Definizione del contratto di gioco e di scommessa. Distinzione tra i due contratti
Il nuovo codice, come già l'antico, non dà la definizione del contratto di gioco e di quello di scommessa, che offre, invece, per quasi tutti gli altri contratti (vendita, permuta, locazione ecc.). Come vedremo, si limita a disporre che per una categoria di tali contratti non compete azione pel pagamento del debito. Così il legislatore ha superato non lieve difficoltà, che in dottrina non son facili le definizioni e specie quella del gioco. Non e facile, in effetti, data la varietà dei giochi (da quello degli scacchi e del bigliardo a quelli delle carte e del lotto pubblico) e la posizione delle parti nei confronti fra loro e in quello dei terzi, riassumere gli elementi caratteristici ed essenziali del contratto, senza omissione ed esuberanze. Una definizione scheletrica, che non comprende tutti gli elementi contrattuali, ma soltanto quelli essenziali potrebbe essere la seguente : un contratto in cui due o più persone si impegnano a corrispondersi reciprocamente una somma di denaro o altra utilità, a seconda che un evento, che dipende dalla maggiore o minore abilità nel gioco e indipendente in tutto o in parte dalla volontà dei giocatori, si verifichi a favore di uno o più di loro.
In conseguenza i giochi si distinguono in quelli di abilità, di puro azzardo e in quelli misti. Tale classificazione non ha molta rilevanza in diritto civile ove, invece, come appresso si dirà, ne ha quella fra i giochi che addestrano al maneggio delle armi, le corse di ogni specie, le competizioni e gli altri che non servono ad avvalorare le forze fisiche o le qualità morali dei partecipanti.
Più agevole la definizione della scommessa, che potrebbe essere la seguente: il contratto nel quale due o più persone si impegnano a corrispondersi reciprocamente una comma di danaro o altra utilità, a seconda che il conflitto fra due o più opposte affermazioni si risolva a favore di una di esse a. Anche la scommessa può essere di puro azzardo o dipendere dalla maggiore acutezza intellettuale, cultura, competenza tecnica, o memoria ecc. di una delle parti ma del pari la distinzione non ha molta importanza dal punto di vista giuridico.
Malgrado che le accennate due definizioni distinguano abbastanza nelle loro concezioni tecniche il gioco della scommessa, è da riconoscere che molte volte nella pratica la distinzione fra i due contratti diviene assai sottile e che è difficile non confonderli. Si sono accennati parecchi caratteri differenziali, ma non idonei allo scopo. Così si è affermato che nel gioco occorre sempre che una certa attività delle due parti per vincere la competizione, ma se ciò accade sovente (per es. nel gioco delle carte), non si verifica sempre, come nel gioco del lotto o della girella
(roulette).
Si è detto che nel gioco si ha anche uno scopo di dilettazione o di svago il quale manca nelle scommesse. Ma è un motivo psicologico interno che non si può facilmente accertare e in ogni modo si può ben avere giocatori che mirano al puro guadagno, e, invece, scommettitori che non agiscano per la soddisfazione intellettuale o morale della vittoria. Si è rilevato anche che nella scommessa precede una discussione e contestazione fra le parti, in cui ciascuna sostiene la propria tesi e che la scommessa nasce appunto da questa contesa, elemento che manta nel gioco osservazione acuta ma neppure soddisfacente, giacché vi sono scommesse, come quelle per le corse dei cavalli, nelle quali gli scommettitori, che sono una folla, neppure si conoscono e le vincite e le perdite si liquidano a mezzo di organi estranei alla competizione.
Si è giunti perciò a dire che le scommesse spesso finiscono per esser giochi. Il criterio più giusto per distinguere i due contratti è quello di avvalersi di tutti i cennati criteri, i quali, per caso, possono servire. II legislatore si è reso conto della difficoltà in esame e non ha esitato a sottomettere i due contratti ad unico regolamento, fin dal primo comma dell'art. 1933 che considera insieme e alla pari i debiti di gioco e di scommessa, come, del resto, aveva fatto il legislatore del 1865 con l’art. 1802. Così il più delle volte manca un interesse apprezzabile per la distinzione intorno alla quale molto si è discusso.
Natura dei contratti. Loro bilateralità. L’alea dei due contratti e sue caratteristiche. Consensualità. Conclusione dei contratti e facoltà di risoluzione unilaterale. Limite di tale facoltà
I due contratti sono bilaterali ed onerosi, perché entrambe le parti si impegnano di corrispondere la
posta a quella che risulterà vittoriosa. È vero che poi nell'esecuzione una soltanto delle parti deve adempiere l'obbligazione, cioè quella che perde. Si è affermato perciò che il contratto è bilaterale nella formazione, unilaterale nell'esecuzione. Vi sono, invece, sempre nel corso del contratto, due obbligazioni opposte e concorrenti, delle quali una si elimina al momento dell'esecuzione, data la speciale natura del contratto stesso. Essa tuttavia ha fatto parte dell'economia e dell'equilibrio convenzionale, fino all'ultimo momento e la sua sparizione integra il risultato economico del contratto.
La vincita, in vero, produce il duplice effetto di liberare il vincitore dalla propria obbligazione e di dargli ii diritto di chiedere l'adempimento dell'obbligazione dell'altra parte. Questa è la conseguenza naturale del carattere unitario della
posta.
I due contratti, inoltre, sono aleatori. Col codice abrogato si aveva a tal proposito una esplicita dichiarazione contenuta nell’art. 1902, che, definendo il contratto aleatorio, ne dava come esempi il gioco e la scommessa. Il nuovo codice non ha riprodotto questa disposizione, per ridurre al minimo quelle di carattere didascalico: ma non può dubitarsi che il contratto non abbia cambiato natura. Quando, invero, il gioco e la scommessa dipendono dal puro azzardo o dal concorso dell’azzardo e dell’abilità, il risultato dipende da une vento futuro ed incerto; quando, invece, dipende dalla semplice abilità è chiara ugualmente la natura aleatoria, poiché è incerto il grado di abilità di un giocatore nei confronti dell’altro, ed incerti sono del pari gli incidenti che ricorrono nel gioco per le condizioni soggettive dei giocatori, dalle quali non raramente ne dipende l’esito. Che se invece fosse sicura l’assoluta superiorità di un giocatore nei confronti dell’altro, sicura l’assoluta superiorità di un giocatore nei confronti dell’altro, talché non potesse essere incerta la vittoria, si dovrà dubitare della validità del contratto, per difetto appunto dell’alea.
Questa, tuttavia, nei confronti del gioco e della scommessa è di natura diversa da quella di tutti gli altri contratti aleatori, poiché i giocatori e gli scommettitori la creano artificialmente, perché altrimenti non ci sarebbero esposti. Essi stessi pongono in essere il fatto incerto da cui dipenderà il risultato contrattuale, mentre per gli altri contratti cui dipenderà il risultato contrattuale, mentre per gli altri contratti l’alea è
in rerum natura, come, ad es., nel contratto di assicurazione. Qui le parti la subiscono, non la creano.
Possiamo quindi aggiungere che il contratto di gioco e di scommessa è consensuale e si conclude con il semplice incontro delle volontà, salvo quanto si dirà in seguito per alcune sue specie, per le quali occorrono determinate formalità, come per il lotto pubblico, le lotterie, i giochi di borsa ecc.
Deve, tuttavia, notarsi che esso sorge effettivamente soltanto dopo compiuto il gioco o la scommessa. L'accordo di due o più parti che stabiliscono di giocare insieme o di scommettere non impedisce alle stesse di sciogliersi unilateralmente dall'impegno senza incorrere nella violazione del contratto. Un accordo del genere può costituire un contratto preliminare, che nei casi dell'art. 1933 non è fornito di azione, perché neppure il definitivo l'avrebbe. Sino a qual momento sia ammesso lo
res poenitendi non si può sempre facilmente stabilire, dovendosi osservare le norme fissate dall'uso. È però generalmente ammesso che iniziata la partita il giocatore non possa può ritirarsi, salvo che il gioco stesso gliene dia la facoltà. Non può neppure ritirarsi se e tenuto ad osservare particolari convenzioni, come nei giochi a squadre, quando queste sono ordinate contrattualmente. Ma quando il ritiro è ammesso, non si può parlare, come naturale, neppure del risarcimento dei danni ed interessi. Se, tuttavia, il ritiro rende impossibile il gioco, per il quale già si sono sostenute delle spese (per fitto di sala o di pista, per diritti al circolo, per acquisto di carte, per spese di viaggio, per accertamenti di fatti, ecc.) il desistente è tenuto a sopportarle, nella misura che sarebbe a lui spettata. Tale obbligo non deriva però dalla violazione di contratto, ma dal regolamento del gioco, cui le parti si sono tacitamente sottomesse. A soltanto dopo l’esecuzione che si costituisce i1 rapporto giuridico contrattuale, vero e proprio. Allora soltanto, in fatti, pei giochi contemplati nell’art. 1934 si determina per il vincitore il diritto al pagamento della posta per quelli contemplati dall’art. 1933 il diritto di ritenere ciò che sia già stato pagato.
I contratti di gioco e di scommessa, infine, per la loro conclusione, come già si è accennato, non hanno bisogno di alcuna formalità. Soltanto per alcune determinate categorie la forma scritta è tassativamente richiesta. Tali sono il gioco del lotto, le lotterie pubbliche, i giochi di borsa ecc., come in seguito sarà detto. Per detti giochi i biglietti o i biglietti bollati o altri particolari documenti sono prova dei contratti e in taluni casi l’elemento indispensabile per la loro validità.
La storia dei contratti e la diffidenza del legislatore. Nel diritto romano antico e nel diritto giustinianeo, nel diritto medievale e in quello canonico
I due contratti, fin da antichissimi tempi, sono stati guardati con diffidenza dal legislatore, sebbene in misura diversa. La maggiore severità si è avuta per quelli di gioco, ma non senza distinzione anche fra essi. In generale si sono sottoposti a diversi regimi i giochi d'azzardo e quelli che richiedono qualche abilità o servono allo svago e al diletto, o quelli, in fine, che sono socialmente utili, perché giovano a irrobustire l'organismo con l'esercizio muscolare, o a migliorare la stirpe, o ad addestrare ad attività fisiche, dalle quali può derivare un vantaggio al giocatore o agli altri.
Il diritto romano antico non concesse alcuna tutela ai contratti di gioco della prima specie ; li considerò anzi come illeciti e condannava i vincenti alla restituzione del
quadruplum della vincita riscossa, penalità che più tardi fu ridotta al
simplum. Ciò era effetto di una disposizione penale
(iudicium publicum), in cui incorrevano i giocatori, altrimenti sarebbe valso il principio
si et dantis et accipientis turpis causa sit, possessor potior est, et ideo repetitio cessat.
L'editto del pretore giunse ad autorizzare il figlio ed il liberto ad esercitare
un'actio utilis o
in factum contro il padre o il patrono per ripetere il danaro, che questi avesse ottenuto al gioco. Una serie di disposizioni mostrano il disfavore del legislatore a riguardo dei giocatori. Così chi riceve presso di se dei giocatori e in tale occasione è ingiuriato o soffre qualche danno non può chiederne soddisfazione o risarcimento. Se, invece, i giocatori stessi si offendono fra di loro o si derubano, ovvero si recano altro danno si applica il diritto comune. Coloro, in fine, che costringono al gioco sono puniti con la multa e col carcere.
Giustiniano mostrò ugualmente il proprio rigore contro i contratti di gioco, ne mantenne il divieto, estese agli eredi del perdente il diritto di ripetere ciò che si era pagato per la vincita, ed autorizzò il padre ad esercitare tal diritto per il
filius familias; stabilì inoltre un termine prescrizionale di 50 anni per tale esercizio, che poteva competere anche al procuratore del fisco, ai vescovi ed a qualunque altro interessato. Punì anche, con la sospensione, gli ecclesiastici che assistessero al gioco. Ma in sostanza si limitò a sanzioni civili, mentre prima erano prevalenti quelle penali. Giustiniano, pero, ritenne leciti quattro giochi, che menzionò espressamente nel Codice (Tit. XLIII), e cioè il m
ononobolos,il
contomonobolos, quintanus contax sine fibula e il
perichytes. Non avendo stabilite norme speciali, i relativi contratti andavano soggetti al diritto comune. Vi era, tuttavia, una limitazione della
posta: questa non doveva essere sproporzionata alle forze del giocatore, ed anche i ricchi non potevano giocare più di un soldo.
Più indulgenti sono state sempre le leggi per le scommesse. Marciano afferma che in
quibus rebus ex loge Tibia et Publicia et Cornelia diam sponsionem facere licet: sed ex aliis, ubi pro virtute certamen non fit, non licet. Si è affermato che tale principio riguardasse soltanto le scommesse fatte da altri sul gioco ; ma sembra, invece, che contenesse un principio generale. In verità, la validità della scommessa è in massima affermata in diritto romano. I suoi requisiti essenziali sono:
a) oggetto non contrario alla morale e al buon costume ;
b) serietà di obbligarsi ;
c) lealtà di condotta delle parti ;
d) non eccessività della somma o del vantaggio stabilito come posta.
La nullità dei contratti di gioco. Eccezione per quelli che valgono ad addestrare l’organismo. Regolamento di questi. Regime nell’era di mezzo e nel codice Napoleone. L’obbligazione naturale nascente dai contratti di gioco e scommessa
La buona logica del diritto romano, stabilito che il gioco è negozio illecito, fatta eccezione di quei giochi che addestrano l'organismo o sono socialmente apprezzabili, stabiliva la nullità dell'obbligazione, e, come conseguenza, il diritto di non pagare la posta e quello di ottenerne la restituzione per chi l’avesse versata. Questo regolamento fu in vigore per buona parte dell’età di mezzo, avvalorato dalle prescrizioni del diritto canonico, che ugualmente guardava al gioco come a ragione di danno, generando ozio, vizi e miseria. Si deve all'innegabile inclinazione della natura umana al gioco la sua resistenza al disfavore della legge.
Al difetto di un'azione giudiziale per conseguire la posta da parte del vincitore si sostituì un'azione morale ; al debito legale il debito d’onore. Il debito parve sacro e mentre il debitore poteva meritare indulgenza se tentava di sottrarsi a quelli di qualsiasi altra natura, compresi, per esempio, quelli alimentari o quelli d'imposta, non parve possibile non soddisfacesse quelli di gioco per posta che gliene sarebbe derivata e il grave pregiudizio sulla sua dignità personale. Si sono affrontati, poi, gravissimi sacrifici per l'adempimento dei debiti di gioco e, non rare volte, quando non si è potuto pagare col denaro si è pagato con la vita.
Tale sentimento è stato così generale e robusto che si è giunti ad affermare che la legge non ha concesso un'azione pei pagamenti dei debiti di gioco per la semplice ragione che non ce ne era bisogno, bastando la sanzione dell'opinione pubblica. Non azione, dunque, per il pagamento. Ma se il pagamento avesse avuto luogo spontaneamente vi era una azione per ripeterne la restituzione? Alcune legislazioni non contenevano una esplicita norma a tal proposito. Nel silenzio agirono il costume e la giurisprudenza. Si ammise che l'adempimento era il riconoscimento di un'obbligazione naturale, la quale se non è protetta da un'azione, e soccorsa da un'eccezione. E la teoria ancora oggi prevalente. Si afferma, in sostanza, che il gioco è un negozio giuridico come un altro, che quando e condotto con lealtà e secondo le norme prestabilite, genera un'obbligazione, di cui se per ragioni di carattere sociale non pub chiedersi l'adempimento a mezzo del giudice, non si pub disconoscere l'esistenza. Ora se il debitore sente la responsabilità e compie it proprio dovere, l'obbligazione ha il suo normale svolgimento ed esecuzione. In tal modo, oggi dopo l'abrogazione dell'art. 1830 del codice civile del 1865, l'obbligazione nascente dal gioco sarebbe l’unica obbligazione naturale disciplinata dal codice. Storicamente la tesi non è sostenibile. L'odierna disposizione dell'art. 1933, attraverso la disposizione dell'art. 1802 del codice del 1865, non è che la riproduzione dell’art. 1965 del codice francese. I lavori preparatori di tale codice mostrano che l’intenzione del legislatore fu precipuamente quella che
in turpis causa melior est condicio possidenti, e nulla fa ritenere che abbia invece applicato il principio accolto all’art. 1235 dello stesso codice: la ripetizione non è ammessa nei riguardi delle obbligazioni naturali, che siano state volontariamente eseguite.
Fondamento del sistema che nega l’azione e la ripetizione del pagamento eseguito
Nella nostra legislazione il principio dell'art. 1933 è effetto di una transazione. 11 legislatore non ha alcuna ragione di proteggere i giochi, tranne quelli della categoria di cui all’art. 1934, per la considerazione che essi sono attività fuori della vita economica, o, come esattamente è stato osservato, determinano spostamenti di ricchezza per cause che sono affatto fuori del movimento delle forte economiche dell'ambiente sociale o, come dir si voglia, sono economicamente improduttive. Nega perciò 1 'azione.
Malgrado ciò la legge non considera più il gioco come cosa illecita per se stessa, anche se si tratta di gioco d'azzardo (tranne che si svolga nelle condizioni previste dalla legge penale e in periodi eccezionali) e non ha quindi ragione di autorizzare la ripetizione di ciò che è stato pagato, come faceva il diritto romano. Preferisce far rispettare il sentimento della comune coscienza, cui motto ripugna il manlevare al vincente ciò che fu dato secondo il regolamento del gioco. Di conseguenza il legislatore ha negato l'attività agli organi giurisdizionali dello Stato, sia per proteggere il diritto del vincente al pagamento sia quello del perdente alla restituzione di ciò che ha pagato. Nel caso, però, che il regolamento del gioco non sia stato osservato e la vincita sia dovuta a baratteria, inganno o altra frode, la ripetizione è ammessa. È ammessa del pari se il perdente sia un incapace, perché si presume che non sia idoneo a difendersi dalla furbizia degli altri giocatori.
Esegesi degli articoli. Il divieto dell’azione. Estensione del divieto alle convenzioni accessorie. Convenzioni relative al gioco, alle quali deve invece riconoscersi l’azione
Si può ora passare all'esegesi degli articoli. La disposizione dell'art. 1802 del codice del 1865 era anche più energica di quella dell'art. 1933, disponendo che “
la legge non accorda azione alcuna pel pagamento di un debito di gioco o di scommessa” , ma sostanzialmente la nuova equivale all'antica dizione. Sappiamo perché la legge non accorda l’azione. Questa forma di anagnosticismo del debito di gioco e di scommessa si estende logicamente a diversi altri negozi giuridici, che avendo come causale lo stesso rapporto vanno soggetti alla stessa norma. Ne accenniamo i principali :
a) il prestito che un giocatore abbia fatto all'altro per permettergli di continuare il gioco. Il prestatore è ugualmente privo di azione. Qui si ha un nesso di causalità fra il gioco e il prestito. Poco conta che si tratti di un credito non sorto dal gioco, ma nell'occasione del gioco. Per la comune coscienza è un debito di gioco. C’è una distinzione fra causa e motivo troppo sottile e quasi inesistente ed, in ogni modo, si può dire che causa e motivi sono egualmente illeciti ; giacché il motivo determinante il negozio giuridico (il motivo prossimo die giustifica l'attribuzione patrimoniale), e il gioco e il motivo remoto (il fattore impulsivo e subiettivo), è egualmente il gioco. Nessuno potrebbe sostenere che chi ha fornito il danaro intendesse compiere una operazione di prestito, col fine economico e giuridico che caratterizza tal negozio giuridico. Si noti che, in generale, prestiti di tal natura si restituiscono appena terminato o anche durante ti gioco con l'eventuale vincita o entro un termine brevissimo. Si noti anche che l’art. 1933 non parla punto del pagamento della vincita del gioco o della scommessa, ma di un
debito di gioco, espressione giuridica, dove l'aggettivo indeterminato uno, in luogo di quello determinato
del, sta a significare qualsiasi debito inerente al gioco;
b) il prestito fatto al giocatore da persona estranea al gioco, perché quegli possa giocare o perché giochi anche per conto di lui. Dopo le cose su dette non occorre indugiarsi nell'esame di questa situazione giuridica. Non sembra, invece, che possa dirsi altrettanto per il prestito di persona estranea al gioco o alla scommessa, fatto dopo il gioco allo scopo di eseguire il pagamento di un debito di gioco o di scommessa. Se il prestatore ignorava la destinazione del denaro e non conosceva la ragione del prestito non si può dubitare che gli competa l'azione. Se, invece, egli conosceva la cagione della richiesta del prestito, si deve tener conto che la sua prestazione non ha influito sulle operazioni di gioco, già compiute che non stanno contro di lui , ed economiche che hanno indotto il legislatore nell’art. 1933 che egli ha inteso concludere una vera operazione di mutuo, su cui non può influire l'uso della somma mutuata da parte del prenditore ;
c) la obbligazione con cui il perdente riconosce il suo debito e prometta di soddisfarlo nel termine e con le modalità convenute, giacché qualsiasi volontario riconoscimento di tal debito conserva sempre il carattere di quello originario, pel quale la legge ha negato l'azione;
d) la transazione su di un debito di gioco, pel quale sia sorto controversia. Anche in questo caso la transazione conserva l'originaria natura del negozio transatto ;
e) la fideiussione per garantire il debito di gioco. Si osserva la disposizione dell'art. 1939;
f) pegno costituito dal debitore pel pagamento del debito di gioco. Il debitore pignoratizio può, tuttavia, chiedere la restituzione del pegno, perché del solo pagamento non si può domandare la restituzione ;
g) la cambiale o l'assegno bancario rilasciato pel pagamento del debito di gioco. La cambiale in questo caso non e die una promessa di pagamento e non un pagamento. Altrettanto si deve dire dell'assegno. Soltanto nei confronti del terzo possessore, cui non si possa oppor-re l'eccezione nascente dal rapporto sostanziale, l'art. 1939 non potrebbe invocarsi ;
h) il versamento della posta nelle mani dell'eventuale vincitore. Prima dell'esito del gioco o della scommessa, die pub ripetersi, perché, come avverte la Relazione ministeriale, tale versamento piuttosto che pagamento, rappresenta un deposito a scopo di garanzia e come tale non può acquistare la stabilità accordata dalla legge (art. 1933. 2 comma), al solo pagamento nel senso tecnico della parola ;
i) il deposito della posta presso un terzo, egualmente può ritirarsi, giacché neppure esso può qualificarsi pagamento. Il perdente quindi, nota la stessa Relazione ministeriale, può ripeterla dal depositario, bene inteso fino a quando la posta stessa non sia stata versata al vincitore ; che se il depositante non abbia ne chiesta ne comunque avuta la restituzione della posta depositata, il depositario e certamente tenuto a pagarla al vincitore, il quale pertanto può da lui conseguirla.
Giochi intellettuali. Giochi d’azzardo autorizzati
L'articolo aggiunge che non compete l'azione anche se si tratta di gioco o di scommessa non proibiti. La non proibizione può derivare o dalla natura stessa dei giochi o da una particolare autorizzazione. I giochi intellettuali, per esempio, e in particolare gli scacchi, non sono punto dannosi come quelli d'azzardo e per comune con-senso considerati leciti e consigliati come ginnastica dello spirito, che si fa accorto ed abile ed ingegnoso. Oggetto di gare e di gare internazionali. Per la loro natura sono ritenuti socialmente utili. Il nostro codice non parla, tuttavia, di giochi intellettuali. Ma noi riteniamo che possano considerarsi compresi fra quelli della categoria dell'art. 1934, elle, come vedremo, suscettibile di largo interpretazione. Altrettanto z‘ a dire del gioco del biliardo.
Vi sono poi veri e propri giochi d'azzardo che per ragioni contingenti sono stati permessi in determinate località (San Remo, Lido di Venezia, Campione d'Italia). Anche per questi giochi non compete azione per il pagamento. Si è risolta in senso negativo — scrive la Relazione ministeriale al Re — la questione variamente disputata in giurisprudenza circa l'ammissibilità di azione di pagamento di debito di gioco e di scommessa non proibiti, tra i quali debbono ritenersi i giochi d'azzardo sottratti alla legge penale per speciale autorizzazione amministrativa : anche per essi sussiste in fatti la
ratio che giustifica la carenza di tutela giurisdizionale civile nel caso di giochi proibiti.
Il pagamento del debito di gioco deve essere eseguito spontaneamente
Le cose suesposte valgono a chiarire la disposizione del capoverso. Alla mancanza di azione da parte del vincente per ottenere il pagamento corrisponde la mancanza di azione del perdente per ottenere ciò che abbia spontaneamente pagato. Abbiamo spiegato questa fenomenologia giuridica. Giova qui aggiungere che it pagamento dev'essere stato fatto senza pressioni o imposizioni, e tanto meno per effetto di minacce o di frode. Per rendere più evidente il significato della disposizione confortata dalla tradizione romana, avverte la Relazione Ministeriale, all'avverbio «
volontariamente », che si leggeva nell'articolo 1804 del codice abrogato, si è sostituito l'avverbio a spontanea-mente.
È bene, inoltre, soffermarsi sull'inciso « dopo l'esito » che non figurava nel corrispondente articolo del codice del 1865. E un elemento cronologico, che ha molta importanza. Come si è già detto, una consegna anticipata della somma da corrispondere in caso di eventuale perdita non e un pagamento di debito di gioco, per il quale la ripetizione non è ammessa, per l'evidente ragione che il debito non e ancora sorto, ond'è che il capoverso esige che sia stata corrisposta la somma a gioco compiuto.
Il pagamento per frode
Importa poco chi paghi effettivamente, se cioè il debitore vero e proprio, vale a dire colui che ha giocato e perduto o altri che sia venuto in suo aiuto e si sia a lui sostituito. In simile ipotesi il pagamento è effettivo e il vincitore ha il diritto di ritenerlo. Per altro, in tutto il gioco non dev'esservi stata frode. La parola frode deve intendersi in senso lato e comprendere anche ogni violazione delle re-gole del gioco compiuta coscientemente allo scopo di determinare la vincita in proprio favore
Il pagamento eseguito dall’incapace
Come, infine, si è già accennato, la ripetizione è ammessa se il perdente sia un incapace. Il codice abrogate diceva più esplicitamente: un minore di età, un interdetto, o un inabilitato. In questi casi vi ha presunzione
iuris et de iure che la vittoria avversaria sia stata effetto di dolo, largamente inteso. Se il minore, invece, è vincente ed ha riscosso la vincita, nessuno pus opporgli die la sua qualità di minore rende annullabile il rapporto (
art. 1425 del c.c.) e ripetibile il riscosso.
I giochi favoriti dal legislatore. Interpretazione estensiva dell’art. 1934
Nella tradizionale bizzarra regolamentazione di questo contratto, l'art. 1934, come già si è accennato, concerne il vero contratto, da cui scaturisce un diritto a conseguire la prestazione pattuita. Tale efficacia hanno i contratti che addestrano al maneggio delle armi, le corse di ogni specie ed ogni altra competizione sportiv. L'art. 1803 del codice del 1865 nella dizione, letterariamente spropositata, era anche più restrittivo perché concedeva l'azione ai contratti di giochi die addestrano al maneggio delle armi, a quelli delle corse a piedi o a cavallo, a quelli delle corse dei carri, a quelli del gioco al pallone ed altri di tale natura D. In forza di cotesta disposizione si poteva allargare la categoria dei giochi favoriti, ma vi si potevano includere soltanto altri della natura del gioco del pallone, delle corse, ecc. La nuova dizione con l'espressione “
ed ogni altra competizione sportiva“ permette almeno all’interprete un più largo respiro, e ciò le fa perdonare l'anglicismo del termine. La voce
sport è abbreviazione di
disport (diporto), che significa portar fuori dal lavoro o dalle cure ; vale dunque, svago, divertimento, gioco, ed ha assunto un significato più tecnico.
Poiché non vi è una classificazione ufficiale non è da escludere che siano da includervisi anche giochi d'altra natura, nei quali prevalgano e agiscano forze spirituali e intellettuali e che ugualmente si prestano a gare e all'emulazione, che e l'anima dello sport. Che se alla giurisprudenza non riuscisse di far accogliere tale benevola interpretazione, bisognerebbe lamentare che il legislatore non abbia protetto i giochi di natura più elevata che sono socialmente utili ed apprezzabili almeno quanto quelli sportivi.
I contratti normali di gioco e il loro funzionamento
Quale che sia l'estensione da dare al 1 comma dell'art. 1934, i giochi in esso contemplati possono dar luogo a contratti normali, dai quali sorge un'azione per conseguire la prestazione pattuita, e cioè il pagamento del debito di gioco. Ciò dovrebbe far ritenere che i contratti concernenti giochi di tal natura siano i veri contratti di gioco e che quelli dell'articolo precedente ne costituiscano una sottospecie dalla limitata efficacia. Il legislatore, invece, ha capovolto la situazione ed ha fatto dei contratti di gioco con azione l'eccezione e di quelli che ne son privi la regola generale.
Il funzionamento dei contratti di gioco favoriti e normale. I loro requisiti essenziali, l'interpretazione, gli effetti, le garanzie, ecc. sono disciplinate dalle norme generali dei contratti. La normalità si comunica anche alle persone che non vi prendono parte, il che praticamente significa che le scommesse che si fanno in occasione di quei giochi sono fornite di azione. Questa estensione del favore concessa all'art. 1934, osserva la Relazione Ministeriale, vuole stimolare la passione per le competizioni sportive, che è condizione indispensabile per lo sviluppo delle stesse. Il progetto di codice italo-francese per le obbligazioni e i contratti aveva limitato l’estensione agli intermediari legalmente autorizzati a raccogliere le poste degli scommettitori estranei al gioco. Nella Relazione viene detto che la disposizione corrisponde ad una necessità di giustizia e di moralità, ad evitare che le società organizzatrici di corse e di altri giochi sportivi, autorizzate dalla legge a raccogliere le scommesse mutue, o gli stessi tenitori privati di giochi
(bookmakers), i quali pure ricevono la poste prima che il gioco sia iniziato, trattengano questa contro i perdenti e si rifiutino di pagare i vincitori. Il nuovo codice, invece, non si occupa di
bookmakers, che non sono proprio scommettitori , non essendo animati da spirito di contrasto e di competizione, ma da quello di speculazione e agiscono professionalmente. Non si è mai dubitato che contro di essi spetti l'azione per il pagamento della vincita, essendo questa una conseguenza diretta dell'autorizzazione concessa al totalizzatore.
Le corse dei cavalli
Una speciale menzione bisogna fare delle scommesse alle corse dei cavalli. La legge di p.s. all’art. 86 stabilisce che compete esclusivamente alle società di corse di cavalli, debitamente costituite ed autorizzate, il diritto di esercitare per le proprie corse, tanto negli ippodromi che fuori di essi, i totalizzatori e le scommesse a libro, sia direttamente sia a mezzo di allibratori, purché questi agiscano in nome e per conto della società, ed abbiano oltre la licenza di cui al presente capoverso, una speciale autorizzazione delle società stesse. II codice non ha fatto specifica menzione delle corse dei cavalli, ma esse sono comprese nella frase “
e ogni altra competizione sportiva”. Il favore concesso dalla legge alle dette corse è giustificato dal convincimento che esse migliorino le razze equine e diano luogo ad una cospicua attività commerciale. Non bisogna, peraltro, ritenere che il codice abbia abrogato la disposizione ora ricordata e che tutte le scommesse fatte in occasione di corse di cavallo siano fornite di azione, anche se non compiute a mezzo dei totalizzatori o con altre forme disposte nella legge, poiché
in toto iure generi per speciem derogatur, non viceversa.
Facoltà del giudice circa l’ammontare delle scommesse
Il capoverso dell'art. 1934 accorda al giudice un potere moderatore in materia di gioco, disponendo che il giudice può rigettare ridurre la domanda qualora ritenga la posta eccessiva. Il capoverso dell’art. 1803 del codice abrogato dava all'autorità giudiziaria la sola facoltà di rigettare la domanda quando la somma impegnata nel gioco o nella scommessa fosse eccessiva. In realtà è soprattutto la gravità delle perdite al gioco che ne determina il pericolo; le piccole o moderate poste non cagionano lo spostamento delle ricchezze a carattere anti-economico e anti-sociale o gli altri danni morali e materiali, che la legge mira ad evitare. Per ciò in alcune antiche legislazioni era fissata la misura massima della posta. Ora tale misura poteva risultare troppo o poco moderata a seconda delle condizioni finanziarie e sociali dei giocatori.
È stata data, perciò, facoltà al magistrato di giudicare caso per caso, non soltanto per rigettare la domanda a causa della sua eccessività soggettivamente ed oggettivamente considerata, ma anche per ridurla entro limiti che possono ritenersi tollerabili dal duplice punto di vista ora accennato. Cotesto non e facile compito del giudice, ma, specie nel nuovo codice, esso gli è frequentemente affidato per dare ai contratti un equilibrio economico e per rendere più eque ed umane le convenzioni.
Bisogna ritenere, poi, che tale facoltà moderatrice concessa al giudice possa essere esercitata anche per le scommesse, per l'assimilazione che la legge ha fatto delle scommesse al gioco (art. 1933); per aver l'art. 1934 contemplato alla pari anche le persone che non prendono parte ai giochi e si limitano quindi alle semplici scommesse ; per l'identità delle ragioni che militano tanto nel campo dei giochi quanto in quello delle scommesse.
I giochi di borsa. I contratti differenziali. Operazioni a premio. Le recenti disposizioni in materia
Per un periodo di tempo, durato per anni, si è discusso circa l’applicazione dell'art. 1802 del codice del 1865 ai giochi di borsa, prendendo in considerazione in modo particolare i contratti differenziali. Il contratto differenziale a una sottospecie del contratto a termine e contiene di regola una vendita, che si risolve non nello scambio dell'oggetto col prezzo, ma nel pagamento, a favore di una parte o dell'altra, della differenza fra il corrispettivo concordato e al valore della cosa venduta, calcolata al prezzo corrente al giorno della scadenza del contratto.
Le parti si possono mettere d'accordo, in modo tacito od esplicito, di non dare esecuzione
effettiva al contratto e di regolarlo col semplice pagamento della differenza. In tali casi il venditore non ha affatto I'animo di trasmettere la proprietà della cosa pattuita nè il venditore quello di pagarne corrispettivo e quasi sempre ne l'uno e in possesso della cosa ne l'altro del corrispettivo, ma entrambe mirano soltanto a conseguire la differenza che può verificarsi nei valori dei due elementi economici del contratto, fra la data del contratto stesso e quella dell'esecuzione. Poiché questa differenza è essenzialmente aleatoria, dipendendo da avvenimenti o circostanze future od incerte, ii contratto fu ritenuto squisitamente aleatorio e fu assimilato a quello di gioco. Per lungo tempo, quindi, gli fu negata l'azione.
Economisti e giuristi, tuttavia, osservavano che esso esercitava una funzione economica essenziale. La speculazione sulle differenze, — osservò la Corte di Cassazione, — costituisce in fondo lo scopo unico di tutte le contrattazioni commerciali, dall'elementare compra dell'immobile fatta a scopo di rivendita fino alle più complicate operazioni sui cambi. Il traffico mercantile moderno si esercita col minimo spostamento dei valori e, per conseguenza, risolvendosi sulla differenze, senza ragione troverebbe ostacoli allorché direttamente si svolge sulle stesse differenze. Dal loro insieme (contratti differenziali) dipende nei limiti del possibile, il regolamento del mercato mediante la determinazione dei prezzi, che invano riguarderebbe le sole operazioni aventi per oggetto effettivo trasferimento dei titoli e valori. Si può aggiungere che contribuiscono a fare si che dato ambiente sociale, nel quale l'attività di tali speculazioni si esercita, sia reso e si mantenga ad ogni momento perfettamente cosciente di ogni minima variazione nei prezzi delle merci e dei valori, che vengono in tal modo negoziati, e delle cause che influirono e possono per l'avvenire più o meno prossimo influire su di esse. Queste considerazioni influirono sulla promulgazione dell'art. 4 della
Legge sulle tasse di bollo per i contratti di borsa, in data 13 novembre 1876, n. 232 6, che stabilì che ai contratti a termine, di cui all'art. 1 della presente legge, stipulati nelle forme in esse stabilite (foglietti bollati) e concessa azione in giudizio, anche quando abbiano per oggetto il solo pagamento delle differenze n. Diverse leggi si sono succedute a quella del 1876, e vanno ricordate in particolar modo la legge 20 marzo 1913, n. 2
72, riguardante l'ordinamento delle borse di commercio, l'esercizio della mediazione e le tasse sui contratti di borsa ; il D. L. 30 dicembre 1923, n. 3278, concernente la tassa sui contratti di borsa, modificata col D. I,. 26 settembre 1935, n. 1749. all. H ; ma l'ordinamento dei contratti differenziali non è stato sostanzialmente modificato e deve ancora ritenersi che se essi non siano redatti sui foglietti bollati siano sprovvisti di azione. Se non che i veri contratti differenziali, come affermano numerosi scrittori, sono poi stati sottoposti al regime stabilito dalla legge 4 dicembre 1930, n. 1913, che all'art. 1 dà facoltà, al Ministro delle Finanze di disporre che le operazioni a termine sui titoli non possono essere effettuate se non contro deposito dei titoli stessi e della relativa copertura in contanti nella misura che sarà di volta in volta determinata e per il periodo di tempo ritenuto opportuno in relazione alle condizioni del mercato, a meno che non trattasi di compensazione di altrettanti titoli in posizione.
Analoga facoltà è concessa al Ministero delle Finanze per le operazioni a premio e per i riporti. I contratti di borsa a termine conclusi senza che nessuna delle due parti abbia effettuato il deposito non sono validi. Qualora il deposito sia stato eseguito da una sola delle due parti, questa ha la scelta o di costringere l'altra all'adempimento del contratto o di domandarne lo scioglimento. In seguito a tali norme i contratti differenziali, come giochi di borsa e come tali da pareggiare ai giochi, se non redatti nelle forme prescritte, hanno perduta l'importanza di un tempo.