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Articolo 1033 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Obbligo di dare passaggio alle acque

Dispositivo dell'art. 1033 Codice Civile

Il proprietario è tenuto a dare passaggio per i suoi fondi alle acque di ogni specie che si vogliono condurre da parte di chi ha, anche solo temporaneamente, il diritto di utilizzarle per i bisogni della vita o per gli usi agrario industriali [1034 ss.](1).

Sono esenti da questa servitù le case, i cortili, i giardini e le aie ad esse attinenti.

Note

(1) Il titolare del fondo dominante può portare le acque su un fondo altrui al fine di sopperire ai bisogni della vita, e secondo le necessità imposte dagli usi agrari ovvero dagli usi industriali, sempre che sussistano i presupposti stabiliti dal legislatore (art. 1037 del c.c.).
Egli deve, peraltro, provvedere alla realizzazione del necessario acquedotto, a meno di non accordarsi col proprietario del fondo servente per il passaggio delle acque in uno proprio già in essere (art. 1034 del c.c.).
Se, inoltre, la costruzione dell'acquedotto effettuata dal titolare del fondo dominante richiede l'attraversamento al disopra o al disotto degli acquedotti già presenti nel fondo servente, questi deve farsi carico di provvedere alla realizzazione delle opere indispensabili per impedire che tali condutture possano venire compromesse (art. 1035 del c.c.).

Brocardi

Aquaeductus est ius aquam ducendi per fundum alienum
Servitus cloacae immittendae

Spiegazione dell'art. 1033 Codice Civile

Contenuto. Distinzione dalla servitù di presa d'acqua

L'acquedotto coattivo importa la facoltà in colui, a cui favore sorge, di far passare le acque per il fondo altrui e costruire e tenere su questo gli impianti necessari per il passaggio dell'acqua (canali, ecc.). Per il proprietario del fondo soggetto, non c’è che un onere consistente in un pati: sopportare il passaggio delle acque, la costruzione e l'esistenza dell'acquedotto.

La servitù di acquedotto coattivo non è da confondere con quella di presa d'acqua. Anche questa, a differenza della pura e semplice servitù di attingere acqua (servitus aquae haustus), può essere esercitata a mezzo di canale o altra opera (art. 1090 del c.c.), ciò nondimeno, si distingue dalla servitù in esame per il diverso contenuto: l'una dà facoltà di prendere l'acqua dal fondo altrui, l'altra di far passare l'acqua per il fondo altrui. Com'è stato osservato, esse possono integrarsi, ciò accade quando il titolare della servitù di acquedotto fa passare acqua che prende, in virtù di servitù di presa d'acqua, da fonte altrui.


Natura giuridica

Dubbia è la natura giuridica dell'acquedotto coattivo. Da un pezzo si è levata qualche voce contro la tesi secondo cui si tratterebbe di una servitù prediale. Per risolvere una così importante questione è necessario anticipare l’esame di alcuni punti controversi.

Anzitutto bisogna domandarsi: con la costituzione dell'acquedotto coattivo passa la proprietà del suolo al titolare del diritto di acquedotto? No, o meglio, non passa la proprietà del suolo laterale, nè quella del suolo sottoposto o sottostante, nè quella del suolo occupato. Infatti, anche se soltanto l’ultima si acquistasse da chi ottiene l'acquedotto coattivo, questo si risolverebbe in una espropriazione di una pars fundi e si avrebbe una proprietà superficiaria, con conseguente diritto di inerenza sul fondo altrui. Ora, di una tale costruzione non sembra esserci traccia nella legge. Non può invochi l'argomento per cui, nel passaggio perpetuo, l’ indennità deve corrispondere al valore del terreno occupato: infatti un tale criterio risponde ad esigenze economiche e pratiche, il pezzo del fondo occupato non è in alcun modo utilizzabile per il proprietario. Pertanto l'acquedotto coattivo dà solo un diritto sul suolo altrui: il fondo rimane altrui, sia per il terreno occupato che per il resto.

Da ciò si è giunti ad una prima deduzione: l'acquedotto coattivo rappresenta il contenuto di un diritto reale su cosa altrui. Ma tale diritto reale è una servitù prediale vera e propria ? La difficoltà sta nel fatto che è dubbia l’ esistenza del fondo dominante. Che sia necessario un fondo dominante si contestava già vecchio codice e si può contestare anche per il nuovo in base alla considerazione che l'uno e l'altro ammettono l'acquedotto a vantaggio « di chi », anche temporaneamente, ha il diritto di utilizzare le acque per la necessità o i bisogni « della vita » (art. 598 codice del 1865, art. 1033 codice attuale).

Quest'ampiezza di terminologia legislativa ha autorizzato le più varie soluzioni: si è detto che non solo il proprietario di un fondo, ma anche l'enfiteuta, l'usufruttuario e il conduttore possono acquistare il diritto di acquedotto coattivo, si è detto che anche per l’ utilità altrui si può chiedere ed ottenere l'acquedotto e, di conseguenza, anche per speculare sull'acqua, vendendola ad altri; si è, alla fine, osservato che per necessità o bisogni della vita si fa riferimento alle utilità personali. A difesa di tale tesi si è posto in risalto il contrasto fra la formulazione della norma in questione « ....da parte di chi.... per i bisogni della vita.... » e quella della disposizione generale (art. 1027 del c.c.) che definisce le servitù prediali, ove si fa menzione di « utilità di un altro fondo ». La conclusione cui si perviene è questa: l'acquedotto coattivo non è sempre una servitù prediale, talvolta è a favore di una persona, come l'usufrutto e l'uso.

Appare preferibile la tesi opposta, per cui l'acquedotto coattivo è sempre una servitù prediale. All'argomento tratto dalla diversità di formulazione della disposizione contenuta nell'art. 1033 rispetto a quella di cui all'art. 1027 (art. 598 e 531 codice del 1865) si oppone il ripetersi continuo, per 1'acquedotto coattivo, del termine servitù: così, il titolo del capo II, così l'art. 1032, così l'art. 1033, comma 2, proprio con riguardo all'acquedotto (« questa servitù»).

Quanto alle altre argomentazioni, è innegabile che qualcuna è esatta nelle premesse, ma va constatato che essa è erronea nelle conseguenze: si può, indubbiamente, ammettere che anche il conduttore possa chiedere l'acquedotto coattivo, ma ciò non legittima la deduzione che, allora, non c’è bisogno di un fondo dominante. La deduzione è un'altra: questa servitù, per la sua funzione, può acquistarsi anche da chi non è proprietario del fondo. Infatti l'acquedotto coattivo rimarrà, anche quando la locazione-conduzione sarà finita, salvo l'obbligo (personale) del proprietario del fondo avvantaggiato di rivalere il colono dell'indennità pagata al proprietario del fondo, su cui ha ottenuto il passaggio della acque.

Invano, poi, si cerca di dimostrare che non è necessario un fondo dominante invocando la tesi che si può chiedere l'acquedotto per utilità altrui e, quindi, per fare oggetto di speculazione l'acqua vendendola ad altre persone: questa tesi è tutta da dimostrare. Essa è ritenuta dai più erronea, e a ragione: basta infatti considerare che la concessione è subordinata all'esistenza di bisogni della vita o usi agrari o industriali, dove sia gli uni che gli altri si devono determinare all'atto della richiesta di concessione.

Alla fine, non è decisivo l'argomento per cui l'acquedotto può ottenersi anche per « bisogni della vita ». Se si trattasse di un diritto con altro oggetto (prendere aria, raccogliere legna o taluni frutti del fondo) sarebbe decisiva la considerazione che ove si ammetta un tale diritto per i soli bisogni della vita, senza che si richieda un fondo, si ha una specie di servitù personale (irregolare). Ma qui si tratta di acquedotto, dato per i bisogni della vita: orbene, per quanti sforzi di fantasia si facciano, non si può immaginare un acquedotto che debba essere utilizzato da una persona come tale, al di fuori di una casa o di un fondo in cui viva. Chi saprebbe immaginare un acquedotto coattivo acquistato da un tale per andare a bere o a lavarsi, come semplice viandante o passeggero?

Un fondo dominante è un presupposto necessario per la stessa natura, per lo stesso contenuto del diritto: « i bisogni di vita » non prescindono da tale presupposto, una volta messi in rapporto con il mezzo con cui devono soddisfarsi (acquedotto). Tutto ciò può spiegare pure perché la legge non parli qui di un « fondo dominante »: del resto la collocazione della norma sotto le servitù in genere e le « servitù coattive » in particolare rendeva inutile la menzione di un fondo dominante, menzione che si sarebbe risolta in una mera ripetizione. Concludendo: « bisogni di vita » sono quelli che si soddisfano in una casa (acqua da bere, acqua pel bagno, per gli usi di cucina, ecc.), sia propria sia tenuta in qualità di enfiteuta, usufruttuario, od anche conduttore.


Estremi. Il diritto dell'acqua

Determiniamo ora il contenuto della norma che impone l'acquedotto fissandone con precisione gli estremi.
Come accennato precedentemente, a carico del fondo servente sorge, quando la servitù è costituita, con la convenzione o la sentenza (art. 1032 del c.c.), un onere consistente in un pati: sopportare, cioè, il passaggio dell'acqua, la costruzione e l'impianto dei canali. Il pati ha, dunque, un duplice oggetto: l'uno e l'altro costituiscono indivisibilmente il contenuto della servitù, con la conseguenza che l'acquedotto coattivo non può pretendersi nè deve subirsi quando manca l'uno o l'altro oggetto.

Dal punto di vista dei soggetti della servitù di acquedotto coattivo, è da precisare che da una parte c’è il proprietario del fondo servente, e anche l'enfiteuta, come si e visto esaminando l' art. 1032 del c.c., può addivenire alla convenzione costitutiva della servitù ma, in tal caso, questa cessa col cessare del diritto di enfiteusi. Quindi chi chiede l'acquedotto fa bene ad ottenere il consenso del concedente. Dall' altra parte, è necessario che chi chiede la servitù abbia il diritto di utilizzare le acque per cui deve attuarsi il passaggio.

Il diritto di servirsi delle acque, lungi dallo scaturire dalla servitù di acquedotto, ne costituisce il presupposto. Esso può spettare al richiedente a qualunque titolo: non è quindi necessario che egli sia proprietario dell'acqua, basta che abbia il diritto di goderne, anche temporaneamente, e cioè in qualità di enfiteuta, pure temporaneo, usufruttuario, anticresista o fittavolo dell'acqua. Nè ha alcun rilievo la breve durata per cui si ha il diritto ad usare dell'acqua, e tanto meno è necessario che il richiedente abbia sull'acqua lo stesso diritto che ha sulla casa o sul terreno a cui l'acqua deve servire: egli può essere proprietario dell'acqua e conduttore del fondo, o viceversa. Il semplice possessore dell'acqua, sia pur animo domini, non può richiedere l'acquedotto: infatti il possessore come tale non ha diritto all'acqua, ma può solo goderne di fatto.

Soluzione opposta si deve, invece, accogliere nei casi in cui il diritto c’è, sia pure ope legis: così «il proprietario di un fondo limitato o attraversato da un'acqua non pubblica, che corre naturalmente e sulla quale altri non ha diritto, può, mentre essa trascorre, fame uso per la irrigazione dei suoi terreni e per l'esercizio delle sue industrie...» (art. 910 del c.c.; art. 543 cod. 1865), cioè ha il diritto di usarne e, quindi, ben può chiedere l'acquedotto. Non si può opporre che egli non è proprietario assoluto dell'acqua perché ciò non è infatti necessario.

Poiché presupposto dell'acquedotto è il diritto all'acqua, non si può chiedere l'acquedotto per un tempo maggiore di quello per cui si ha diritto a disporre dell'acqua, ma per uno minore sì.

Alla fine è da osservare che, come si dirà commentando l’ art. 1037 del c.c., l'onere della prova circa il diritto all'acqua incombe a colui che chiede l'acquedotto: ciò risponde al principio generale sulla ripartizione dell'onere della prova, per cui ciascuno deve provare gli elementi costitutivi, particolari, della sua pretesa o azione.


Varie specie di acque

Le acque per cui è da costituire la servitù di acquedotto possono essere « di ogni specie », ossia sorgive o piovane, correnti o stagnanti, intermittenti o meno, di volume costante o vario, chiare o torbide, fredde o calde, termali, private o demaniali (purché sia stato concesso il diritto a disporne). È indifferente che in una parte dell'anno non scorrano, è necessario che scorrano in corrispondenza all'uso per cui devono servire, così ad es. nel periodo dell'irrigazione.


Utilizzazioni delle acque per bisogni della vita o per usi agrari ed industriali

Il fine per cui l'acquedotto coattivo può aver luogo è l'utilizzazione delle acque «per i bisogni della vita o per usi agrari od industriali». Tale utilizzazione deve essere effettivamente possibile e non solo immaginaria. Non è richiesta la necessità assoluta e neppure quella relativa: basta l’ utilità. Questo è un punto ancor più sicuro nel nuovo codice, che all'espressione adoperata nel vecchio «necessità della vita» (art. 598) ha sostituito l'altra, più comprensiva, «bisogni della vita». Così si deroga al principio, dinanzi illustrato, secondo cui per le servitù coattive si richiede la necessità, sia pur relativa.

Per «bisogni della vita» si intendono tutti gli usi possibili dell'acqua in una casa: bere, lavare, cucinare. Come si è detto poc'anzi, è da escludere un uso che il richiedente voglia fare dell'acqua indipendentemente da ogni abitazione. Inoltre, l'acquedotto può aversi per utilizzare l'acqua per «usi agrari o industriali». Anche qui sono da ammettere tutti gli usi immaginabili: abbeverare gli animali, irrigare i fondi, fare le colmate, macerare canapa o lino, animare opifici, mulini, stabilimenti chimici o idroterapici.

Si è discusso se si ha servitù di acquedotto per ridurre a stagno — come si pratica in alcuni luoghi — i terreni coltivati, per uno o più anni, al fine di fargli produrre abbondanti raccolte. È preferibile la risposta affermativa, perché per «usi agrari» bisogna intendere tutti i bisogni dell' agricoltura.

Si è, del pari, posto in dubbio che l'acquedotto possa pretendersi per utilizzare l'acqua a fini di abbellimento, ad es., per animare fontane zampillanti. È preferibile la soluzione negativa, salvo che con lo scopo voluttuario non concorra uno utilitario, ad es., rinfrescare l'aria con la fontana zampillante in un luogo torrido, ecc.

Parimenti esclusa è la possibilità di richiedere l'acquedotto ai fini di utilizzare l'acqua non per utilità propria, ma per speculazione, come detto precedentemente.


Fondi oggetto della servitù

La servitù di acquedotto coattivo ha per oggetto «i fondi». Tutti i fondi sono soggetti alla servitù, pertanto essa può domandarsi a carico di qualunque fondo intermedio. È irrilevante la distanza del fondo da quello in cui è situata la fonte o deve utilizzarsi l'acqua. Sono esclusi sono i fondi demaniali, salva la compatibilità dell'acquedotto con l'uso cui essi sono destinati, ed è ammessa la revocabilità della stessa servitù, benché legale. Per la disposizione di natura eccezionale contenuta nel comma 2 della norma che stiamo esaminando, sono esenti dalla servitù dell'acquedotto coattivo «le case, i cortili, i giardini, e le aie ad esse attinenti». Si discute se, oltre le case, sono esenti gli edifici in genere: è preferibile la soluzione affermativa.

Quanto ai cortili, ai giardini e alle aie, perché siano esenti, devono essere «attinenti» alle case. Se non sono tali (il che, per i cortili, deve escludersi a priori), sono soggetti all'acquedotto: l’ «attinenza» non significa, però, contiguità, è infatti sufficiente la vicinanza. È indifferente che i giardini, i cortili e le aie siano aperti o chiusi. I parchi e altri recinti, diversi dai giardini e dai cortili, sono soggetti alla servitù.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 1033 Codice Civile

Cass. civ. n. 11563/2016

È inammissibile la costituzione coattiva di una servitù di gasdotto atteso il carattere tipico delle servitù coattive e la non estensibilità dell'art. 1033 c.c. in tema di servitù di acquedotto coattiva, trattandosi di situazioni non assimilabili sotto il profilo strutturale e funzionale per la pericolosità insita nell'attraversamento sotto terra della fornitura di gas, non ricorrente per il trasporto delle acque. (Rigetta, App. Venezia, 05/04/2011).

Cass. civ. n. 14384/2010

In tema di servitù prediali, la titolarità del diritto di servitù di acquedotto o di scarico sul fondo altrui comporta la proprietà delle opere realizzate per l'esercizio del diritto stesso, soprattutto qualora non risulti diversamente dal titolo e dalla servitù non tragga alcun vantaggio il proprietario dei fondo servente.

Cass. civ. n. 16234/2006

Il titolare del diritto di servitù coattiva di acquedotto, ai sensi dell'art. 1033 c.c., ha diritto di mantenere le opere necessarie al relativo esercizio fin quando sussiste, per il proprio fondo, il requisito della utilitas la quale, nel caso in cui la servitù sia posta a favore di una costruzione, viene meno se si sia accertato che essa è stata eseguita in violazione di un divieto assoluto di edificare.

Cass. civ. n. 8815/2003

La titolarità della servitù attiva di acquedotto postula la proprietà degli impianti e della rete di distribuzione dell'acqua, sicché tale ius in re aliena non è configurabile sulla base dell'utenza del servizio di fornitura idrica.

Cass. civ. n. 3055/1995

L'art. 1033 comma secondo c.c., che esonera le case, i giardini e le aie ad esse attinenti dalla servitù di acquedotto, si riferisce solo alle servitù coattive e non può essere invocato, quindi, per negare una servitù volontaria o, addirittura, la tutela, in sede possessoria, dell'esercizio di fatto del potere corrispondente.

Cass. civ. n. 3625/1981

Il passaggio coattivo di acqua, previsto dall'art. 1033 c.c., ben può essere richiesto in perpetuo — e cioè per un tempo indeterminato — qualora, sulla scorta di una concessione soggetta a rinnovazione tacita ad ogni successiva scadenza, sia incerta, ma presumibilmente non breve, la futura durata della disponibilità dell'acqua; fermo, in tal caso, il principio che, venuta meno siffatta disponibilità, anche il peso per il fondo coattivamente assoggettato debba venire a cessare. Ed è compito del giudice del merito — il cui accertamento è incensurabile in sede di legittimità se sorretto da congrua motivazione — valutare, in relazione alle peculiari, concrete circostanze, se ricorre il suddetto requisito.

La nozione di «acque d'ogni specie», posta dall'art. 1033 c.c. in tema di servitù di passaggio coattivo, prescinde dal grado di impurità delle acque stesse e dalla presenza di sostanze recate allo stato di sospensione, includendovi anche quelle luride per la presenza di rifiuti, purché questi ultimi non siano di tale entità da far escludere che si tratti di scarico di acqua.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1033 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Cliente chiede
lunedì 04/11/2024
“Buongiorno,
ho acquistato un lotto di terreno edificabile da un privato con atto notarile tramite intermediazione immobiliare di un'agenzia. Il comune di residenza ha approvato progetto costruzione abitazione e piscina. Durante i lavori di scavo piscina è stato rinvenuto una tubatura di acquedotto pubblico. La tubatura è presumibilmente molto vecchia, non era segnalata sulle mappe e non vi sono opere visibile che potevano far supporre la sua presenza. Nè il venditore, nè l'agenzia, nè il mio tecnico, nè il notaio, nè il comune mi hanno segnalato la presenza di questo tubo. Il venditore dopo essere stato interpellato, ha dichiarato di sapere di questo tubo ma ne ha taciuto la sua presenza in buona fede perchè erano passati almeno un paio di decine di anni. L'ente gestore delle acque pubbliche non sappiamo a che titolo possa avere acquisito questa eventuale servitù. Ho richiesto al gestore che il tubo venga spostato dal mio lotto di terreno ma non intendono farlo gratuitamente. Vi chiedo se posso rivalermi sul venditore e se posso contestare la sussistenza di questa servitù richiedendo la rimozione gratuita. Faccio presente che nell'atto notarile di compravendita è stata inserita la clausola di stile "Quanto innanzi descritto si intende venduto nella sua attuale
consistenza, a corpo, con ogni accessione, accessorio,
pertinenza, diritto e servitù attiva o passiva eventualmente
inerente".
Grazie, cordiali saluti”
Consulenza legale i 14/11/2024
La vicenda descritta nel quesito evidenzia l’esistenza di una conduttura di acqua pubblica che passa sul fondo di un privato a favore, si presume, di altri fondi, e sul quale grava quindi una servitù di acquedotto ai sensi dell’art. 1033 c.c.
Tale servitù è di tipo coattivo e il proprietario del fondo servente su cui passa la tubazione, non può opporsi al suo esercizio stante anche la presumibile usucapione del diritto a favore dei fondi dominanti ai sensi dell’art. 1061 del c.c..

Il proprietario del fondo servente può però legittimamente chiedere di spostare il tubo in una posizione che non gli crei pregiudizio.

A tal proposito è utile analizzare le disposizioni normative in materia.

La regola generale stabilita dal Codice civile all’art. 1068 del c.c. prevede che il proprietario del fondo servente non possa trasferire l’esercizio della servitù in luogo diverso da quello in cui è stato stabilito originariamente.

È ammesso però che il proprietario del fondo servente possa trasferire l’esercizio della servitù qualora voglia fare lavori, riparazioni o miglioramenti che altrimenti non potrebbe eseguire.
Al proprietario del fondo dominante deve essere garantita la possibilità di esercitare il proprio diritto in maniera ugualmente comoda.

La legge nulla dice riguardo a chi debba sostenere le spese ma si ritiene che il costo gravi sul proprietario del fondo servente poiché lo spostamento della servitù è nel suo interesse esclusivo.
Egli ha inoltre il divieto di compiere azioni che possano diminuire l’esercizio della servitù o renderlo più incomodo ex art. 1067 del c.c. per il proprietario del fondo dominante.

Ne deriva, quindi, che la richiesta del proprietario del fondo servente sia legittima ma che egli non possa impedire il passaggio delle condutture sul proprio fondo qualora questo rechi un pregiudizio ai fondi che ricevono l’acqua tramite questa tubatura e che debba sostenere le spese di tale spostamento.

È pur vero però che il proprietario del fondo servente ha acquistato il terreno senza sapere che su di esso passasse questo tubo e ora si trova a non poter realizzare pienamente il progetto che aveva in mente.
Nell’ottica quindi del contratto di compravendita egli, come acquirente, ha quindi diritto a far valere la garanzia ex art. 1489 del c.c. nei confronti del venditore per l’esistenza di un diritto di servitù di acquedotto sul terreno a favore di terzi che non era da lui conosciuta o conoscibile.
Ha così il diritto di chiedere la risoluzione del contratto, qualora debba ritenersi che non avrebbe comprato se avesse saputo dell’esistenza del tubo, oppure la riduzione del prezzo.
In ogni caso ha sempre diritto a chiedere al venditore il risarcimento del danno.

La clausola di stile all’interno dell’atto di compravendita non esime il venditore dal garantire il compratore perché essendo a conoscenza dell’esistenza del tubo, come da lui ammesso, avrebbe dovuto dichiararlo al momento della stipula del contratto.
Il fatto che in buona fede non abbia pensato all’importanza di una tale informazione non giustifica il suo silenzio.

In ottica conciliativa, però, l’acquirente potrebbe rinunciare all’azione nei confronti del venditore accordandosi con questo affinché si accolli il costo di spostamento della tubatura.

R.D. chiede
mercoledì 17/04/2024
“Buongiorno
sono proprietario di una strada dove esiste una servitù costituita con atto notarile per l'accesso ai fabbricati che si trovano in fondo a questa strada, la servitù è per il passaggio pedonale e con qualsiasi mezzo, tranne mezzi pesanti, attraversamento condotte per servizi e sottoservizi ma nell'atto non è indicato il passaggio specifico della tubazione del metano; ma è indicato "salvo altre servitù eventualmente a costituirsi"
Un condominio che si trova in fondo a questa strada privata, vuole allacciarsi alla rete del metano e la tubazione per forza deve passare per la mia strada, come bisogna procedere? La compagnia del metano può accedere e/o effettuare senza autorizzazione, lavori di scavo e posa in opera della tubazione? Mi devono comunicare in qualche modo che dovranno effettuare il lavoro?
Grazie mille.

Consulenza legale i 26/04/2024
L’atto di costituzione di servitù di passaggio indica nell’oggetto anche “gli attraversamenti dei sottoservizi”.
Non viene specificato il diritto di servitù al passaggio delle tubazioni per il gas metano ma è ragionevole ritenere che, per come è stato redatto l’atto, possa ritenersi compresa.
Se non si vuole sollevare contestazioni con il vicino si ritiene che si possa accettare questa interpretazione.
In questo caso, quindi, il titolare del fondo dominante potrà fare le opere necessarie per la conservazione del proprio diritto ma in modo da recare il minor incomodo al proprietario del fondo servente ex art. 1069 del c.c..
A tal fine dovrà comunicare al proprietario della strada su cui dovranno farsi i lavori la data e le modalità in cui verranno svolti.
Oltretutto il posizionamento delle condotte di metano costituisce un elemento di pericolosità, quindi, è sicuramente diritto del proprietario della strada essere informato di dove e come verranno posti i tubi.
Si suppone che la compagnia del metano si accordi con colui che deve eseguire i lavori che dovrà, come già detto, informare il proprietario del fondo servente.

Poiché l’atto però non esplicita espressamente il diritto al passaggio delle condutture del metano il proprietario del fondo servente potrà, eventualmente, contestare al proprietario del fondo dominante il diritto ad eseguire questi lavori e chiedere la costituzione ad hoc di questo tipo di servitù e richiedere un’indennità.
Questo comporterà, oltre all’apertura di una possibile controversia con il vicino, anche un aggravio di costi per entrambe le parti per l’eventuale assistenza di un legale e la stipula dell’atto di servitù davanti ad un Notaio.

Si segnala, in ogni caso, che la giurisprudenza ha ritenuto che non possa costituirsi una servitù coattiva per il passaggio della fornitura del gas in applicazione estensiva dell’art. 1033 c.c. in tema di servitù coattiva di acquedotto (Cass. civ. n. 11563/2016).

In conclusione, poiché non può essere costituita coattivamente una servitù per il passaggio del gas, il proprietario del fondo servente potrà accettare la posa dei tubi ritenendolo un diritto contenuto nell’atto costitutivo della servitù di passaggio oppure opporsi e chiedere al vicino di stipulare un nuovo atto per la costituzione di una nuova servitù.

S. C. chiede
venerdì 21/04/2023
“Descrizione della situazione:
ho una casa in campagna che è allacciata a un Pozzo di acqua non potabile presente in un terreno che è stato venduto 3 anni fa (l'impianto idrico e l'alimentazione elettrica per la pompa, sono presenti da oltre 40 anni). Nell'atto di vendita del terreno non è fatto alcun riferimento alla presenza di questa servitù.

Prima domanda che ho è: come posso formalizzare con il nuovo proprietario del terreno che è attiva questa servitù che vorrei utilizzare per l'irrigazione dell'orto della casa?


Inoltre, ad oggi vorrei dotare la casa di acqua potabile con un allaccio all'impianto idrico dell'acquedotto pubblico ma non ho nè l'autorizzazione agli scavi nè la servitù di passaggio.

Lo scavo per la tubazione, dovrebbe avvenire lungo il confine tra un terreno e una strada privata, in modo da non dover intervenire sull'asfalto della strada stessa.

I proprietari sono così distribuiti:
Quelli del Terreno sono 3 con 1/3 ciascuno;
La Strada invece è divisa in questo modo:
1/3 è di mia proprietà;
1/3 è di proprietà di un vicino che al momento ha già espresso l'opinione di non darmi alcuna autorizzazione per vecchi dissapori tra le famiglie.
1/3 è di 4 proprietari di cui 2 vivono negli USA.
Quindi in totale sono coinvolte 8 persone escluso il sottoscritto.

Di seguito le altre domande:

Considerando la composizione delle proprietà, devo coinvolgere tutti i proprietari in una eventuale costituzione di una servitù volontaria o una maggioranza?

Mi sembra di capire che la costituzione di una servitù va formalizzata in un atto notarile. Qualora fosse volontaria, sarebbe impossibile avere la completa presenza di tutti proprietari dal notaio. Ci sono delle semplificazioni su cui posso far affidamento? (Tipo scritture private con o senza firme autenticate, maggioranze? ecc.)

Qualora ci sia solo il proprietario di 1/3 della strada che si rifiuta di darmi la servitù volontaria, può essere più coveniente in termini organizzativi procedere con la servitù coatta verso tutti i proprietari in modo da semplificare il punto precedente?

Che tempi ha la procedura di una servitù coatta?

La costituzione della servitù, mi da anche automaticamente l'autorizzazione allo scavo o va formalizzata? qualora vada formalizzata si può fare con una scrittura privata?”
Consulenza legale i 08/05/2023
In merito alla formalizzazione della servitù di acquedotto per l’irrigazione, che si assume essere esistente sul fondo di un terzo, si consiglia di sottoscrivere una scrittura privata con il proprietario del terreno su cui è presente il pozzo d’acqua.
In questo atto si dovrà atto dell’esistenza della servitù a favore di un determinato fondo e gravante su un altro.
Una tale scrittura però avrebbe valore solo tra le parti poiché, finché non viene trascrittaai sensi dell’art. 2643 del c.c., non è opponibile ai terzi.
Perché un atto di costituzione di un diritto reale possa essere trascritto, è necessario che venga stipulato con atto pubblico (art. 2699 del c.c.) o scrittura privata autenticata (art. 2703 del c.c.).
Si consiglia quindi di accordarsi con il proprietario del fondo servente per trovare la soluzione che possa tutelare le parti nel modo migliore.
Qualora ci fossero invece contestazioni sull’esistenza della servitù, sarà necessario intraprendere un’azione giudiziaria con l’obiettivo di dimostrare l’avvenuta usucapione del diritto di servitù di acquedotto, sempre che sia stata esercitata in modo continuato e ininterrotto per almeno 20 anni.

Per quanto riguarda la volontà di fornire la propria casa di acqua potabile dall’acquedotto pubblico, è necessaria una premessa.
Tutti hanno il diritto di chiedere l’allacciamento della propria proprietà al servizio idrico pubblico.
Per fare ciò è necessario fare richiesta al gestore della zona e verificare gli adempimenti amministrativi e materiali da fare.
La conferma da parte del gestore di potersi collegare all’acquedotto pubblico e l’indicazione dei lavori da eseguire, dà diritto a chi lo richiede di poter utilizzare le acque.
Il Codice civile stabilisce all’1033 c.c. l’obbligo per il proprietario di concedere il passaggio sul proprio terreno delle acque di ogni specie a colui che ha il diritto di utilizzarle.
Qualora i proprietari dei terreni su cui dovrebbe essere posta la tubazione non dovessero acconsentire per la costituzione di una servitù volontaria, sarà necessario citarli in giudizio per la costituzione di una servitù coattiva di acquedotto ai sensi dell’art. 1034 c.c.
Tale articolo prevede la possibilità per il proprietario del fondo soggetto alla servitù di fare passare l’acqua nei propri acquedotti già esistenti senza che ciò costituisca però un notevole pregiudizio per la condotta che si domanda.
La giurisprudenza ha affermato che l’azione deve essere proposta nei confronti dei proprietari di tutti i fondi interessati dal passaggio delle condutture (Cass. civ. n. 23459/2021).

I tempi di una procedura giudiziaria non sono mai preventivabili, soprattutto in questo momento a seguito dell’entrata in vigore della Riforma Cartabia che ha profondamente modificato il processo civile ma le cui conseguenze pratiche sulla durata dei processi non sono ancora conosciute.

Ai proprietari dei fondi serventi dovrà essere riconosciuta un’indennità come previsto dall’art. 1038 del c.c. comprensiva del valore dei terreni da occupare e degli eventuali danni.

Qualora fosse possibile invece costituire la servitù bonariamente, si consiglia la stipula di un atto notarile alla quale potranno partecipare i soggetti interessati eventualmente anche con le procure notarili rilasciate dagli assenti comproprietari.
La legge infatti stabilisce ai sensi dell’1350 comma 1 n. 4 del Codice civile, la forma scritta ad substantiam per la costituzione delle servitù.
L’art. 1392 del c.c. prevede che la procura debba avere la stessa forma prevista per l’atto da stipulare e quindi, nel caso specifico, è necessaria una procura scritta autenticata da un Notaio.
Stipulando un atto pubblico o una scrittura privata autenticata sarà possibile poi trascrivere l’atto in modo che sia opponibile anche ai terzi.



L. M. chiede
sabato 19/03/2022 - Toscana
“Buongiorno,
attingo da oltre 20 anni acqua da fosso naturale allo scopo di irrigare orti. L'acqua viene prelevata con tubo in polietilene da 3/8 di pollice il quale in alcuni punti è interrato e in altri visibile.
Il tubo o acquedotto serve tre orti. Il tubo è in polietilene da 3/8 di pollice, quindi di modeste dimensioni.
Il punto di presa dell'acquedotto si trova in prossimità della sorgente del fosso. Il tubo segue un percorso lungo il fosso, attraversa un campo abbandonato da oltre 50 anni, attraversa un terreno boschivo e prosegue poi per raggiungere i tre orti.
La sorgente e il fosso sono all'interno di una proprietà privata. Il campo abbandonato e il terreno boschivo appartengono alla stessa proprietà privata. Fino ad oggi il proprietario di quella proprietà privata non ha manifestato impedimenti al passaggio dei tubi. Oggi minaccia di voler far togliere i tubi.
A che cosa possiamo appellarci per non togliere i tubi?
L'acqua è necessaria ai tre orti senza della quale cadrebbero in abbandono, e verrete meno il presidio del territorio in ina area rurale già ad alta densità di spopolamento.
Se facessimo correre il tubo solamente lungo il fosso dove scorre l'acqua avremo qualche vantaggio?
Grazie in anticipo.
Un saluto.”
Consulenza legale i 23/03/2022
Stando alla descrizione fornita nel quesito, è possibile che sia stata acquistata per usucapione una servitù di acquedotto. Infatti il passaggio dell’acqua, attinta alla sorgente, attraverso tubi collocati nella proprietà altrui risulta esercitato da oltre venti anni.
Poiché si parla di tubazioni in parte interrate, occorre precisare che, ai fini dell’acquisto per usucapione della servitù, va verificato anche il requisito dell’apparenza, cioè della presenza di opere visibili e permanenti” destinate all’esercizio della servitù: ai sensi dell’art. 1061 c.c., le servitù non apparenti non possono acquistarsi né per usucapione né per destinazione del padre di famiglia.
In proposito la giurisprudenza (Cass. Civ., Sez. II, 01/07/2008, n. 17992) ha chiarito che “il requisito dell'apparenza, necessario ai sensi dell'art. 1061 c.c., per l'acquisto della servitù per usucapione si identifica nella presenza di opere visibili e permanenti che per struttura e consistenza si rivelino in modo inequivoco destinate all'esercizio della servitù medesima, e rappresenta profilo del tutto distinto dalla conoscenza meramente soggettiva che il proprietario del fondo "servente" abbia dell'esercizio, in atto, della servitù, per cui la conoscenza della situazione di asservimento comunque acquisita dal proprietario del fondo servente è pertanto del tutto irrilevante ai fini dell'acquisto della servitù”.
Laddove non possa dirsi compiuto un acquisto per usucapione, ricordiamo che la servitù di acquedotto, in presenza di particolari presupposti, può essere costituita anche coattivamente (artt. 1033 e ss. c.c.), vale a dire in assenza del consenso del proprietario del fondo servente e, dunque, con provvedimento del giudice.
Le condizioni per la costituzione coattiva di una servitù di acquedotto sono elencate dall’art. 1037 c.c.: in particolare, il richiedente deve dimostrare che può disporre dell'acqua durante il tempo per cui chiede il passaggio; che l’acqua medesima è sufficiente per l'uso al quale si vuol destinare; che il passaggio richiesto è il più conveniente e il meno pregiudizievole al fondo servente, avuto riguardo alle condizioni dei fondi vicini, al pendio e alle altre condizioni per la condotta, per il corso e lo sbocco delle acque.
Si consiglia, dunque, di verificare, con l’ausilio di un tecnico, i profili evidenziati nel quesito, al fine di accertare l’eventuale acquisto per usucapione di una servitù di acquedotto o, in mancanza, valutare la possibilità di una sua costituzione coattiva.

DE S. R. chiede
giovedì 05/11/2020 - Lombardia
“Ho acquisito all’asta un immobile ad uso ufficio (A10), realizzato negli anni 50, abitabilità del 1955 (all. 1), che, dalla descrizione della perizia di stima, risultava dotato degli impianti elettrico ed idrico, sotto traccia (all. 2) e presentava un gruppo di sei servizi igienici al secondo piano, al centro dell’edificio, a lato del vano ascensore (all. 3), mentre ne era privo al primo piano (all. 4), in quanto l’immobile era stato frazionato e il gruppo bagni rientrava in una porzione del primo piano ceduta nel febbraio del 2002 (all.5).
Nell’atto di cessione della porzione suddetta del primo piano, erano previsti dei patti speciali, che impegnavano l’acquirente ad accettare e sottoscrivere un redigendo regolamento consortile, costituendo servitù, tra altro, per servizi quali energia elettrica, acqua e telefono, come previsto nei punti da 1 a 8 di detti patti (all. 6).
Nel regolamento condominiale, all’art 5, era previsto che andassero mantenuti efficienti, tra altro, gli impianti per l’acqua, per l’energia elettrica, fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva, all’art. 19 che l’amministratore dovesse curare la manutenzione ordinaria e straordinaria delle parti comuni, all’art. 23 che le spese relative ai servizi comuni comprendessero, tra altro, gli scarichi e tubazioni comuni (all. 7).
Dopo l’acquisto, apprendevo, dal condomino che aveva acquistato la porzione del primo piano, che il gruppo bagni del secondo piano non era servito da scarico fognario, né da impianto idrico, perché, a suo dire, quando lui aveva acquistato, gli impianti in questione non esistevano, nel mentre quelli di cui lui si sta servendo se li era costruiti ex novo.
Presso il Comune, nel fascicolo del fabbricato, non si rinviene alcuna traccia di lavori successivi al rilascio dell’agibilità del 1955, né peraltro, si rileva alcun documento relativo all’ubicazione degli impianti all’epoca esistenti, nel mentre si rinvengono i permessi per una ristrutturazione, che il suddetto condomino, che aveva acquistato nel 2002, aveva effettuato nel 2012-2013, spostando la posizione del gruppo bagni del primo piano (che prima si trovava perpendicolare al gruppo bagni del secondo piano), realizzandone due ai lati dell’edificio (mantenendoli, però, collegati alla colonna di scarico fognario nella medesima posizione centrale).
Ora, dal punto di vista logico, che gli impianti idrico e di scarico non esistessero al momento dell’acquisto nel 2002, appare inverosimile (vista la concessa agibilità del 1955), né si riesce ad immaginare che alcuno potesse avere asportato gli impianti dai muri centrali dell’edificio, però, documentalmente, non vi sono evidenze, se non quelle della situazione di fatto rappresentata nelle planimetrie allegate alla richiesta al Comune, dal condomino in questione, per essere autorizzato alla ristrutturazione del primo piano (con il correlato spostamento dei due bagni ai lati dell’edificio), che nulla evidenziano circa gli impianti del secondo piano e nulla dicono su chi avesse realizzato gli impianti preesistenti al primo piano.
Peraltro, risulta che, nel 2018, lo stesso condomino avesse comunicato al Comune l’esecuzione di ulteriore opera, costituita dall’apertura di una porta, che affaccia sul pianerottolo comune del primo piano, a lato del vano ascensore, proprio in corrispondenza del punto in cui risulta collocata la colonna del suo scarico fognario, per cui, intuitivamente, si desume che, essendo normalmente la colonna di scarico verticalmente collocata, sia stata proprio l’apertura di tale porta a rimuovere il tratto di colonna di scarico fognario che, originariamente, serviva i bagni del secondo piano, così come intuitivamente si dovrebbe supporre che, al momento dell’acquisto, quand’anche fossero stati sostituiti gli impianti con materiali nuovi, il condomino si fosse quanto meno servito del tracciato degli impianti esistenti.
Nessuna collaborazione viene fornita dall’amministratore del Condominio che si limita a confermare tutto ciò che afferma il condomino in questione, asserendo che gli impianti ora esistenti sono stati realizzati dal condomino in questione, senza menzione alcuna di impianti preesisitenti.
Nessuna deliberazione assembleare, dalla costituzione del regolamento condominiale, nel 1999, ad oggi, si è mai occupata degli impianti condominiali e gli unici condomini interessati all’impianto idrico e fognario della palazzina uffici, sono il sottoscritto e il condomino di cui trattasi, dal momento che gli altri condomini sono proprietari di porzioni immobiliari per altri usi, non collegate agli impianti in questione.
Ora, mi trovo nella necessità, per poter utilizzare il bene acquistato, di fornirlo di nuovi servizi igienici al primo piano e di poter utilizzare quelli già esistenti al secondo piano, per cui ho scritto al condomino del primo piano, chiedendogli un incontro per esercitare il diritto di servitù e collegarmi agli impianti da lui utilizzati, ma mi ha risposto testualmente che: “..all'atto dell’acquisto delle unità immobiliari – come tutti gli altri proprietari - ha realizzato ex novo, ai fini della funzionalità degli uffici, la propria colonna montante dell’impianto idrico e la propria colonna di scarico, senza allacciarsi, pertanto, ad alcun impianto condominiale asseritamente preesistente. Pertanto riteniamo che non ci siano i presupposti per l’incontro richiesto.”
A fronte di tale risposta, non riesco a capire se la servitù passiva, che il condomino del primo piano aveva costituito, acquistando la porzione di detto piano, relativamente ai servizi di energia, acqua e telefono “esistenti o da costruire a norma del redigendo regolamento consortile”, abbia per lui una effettiva consistenza, oppure se sia una servitù passiva sostanzialmente inesistente, nel momento in cui pare che la maggioranza dei condomini (a parte il sottoscritto), a dispetto degli impegni contrattuali e del regolamento condominiale, non abbia alcuna intenzione di costituire il consorzio per detti servizi e redigerne il relativo regolamento.
Posto la situazione sopra illustrata, vorrei sapere se e come sarebbe per me possibile risolvere il problema dell’allacciamento ai servizi idrico e fognario, data la mancanza di collaborazione sia del condomino in questione, sia dell’amministratore condominiale, tenuto anche conto che, rispetto alla totalità dei condomini, ho solo una quota di 120 millesimi, mentre i restanti 880 millesimi pertengono a condomini contrari a fare qualsiasi spesa, oltre che disinteressati alla porzione della palazzina uffici, perché proprietari di porzioni condominiali latistanti, al solo piano terra, ad uso capannoni industriali, con allacciamenti fognari ed idrici separati.
Ringrazio per l’attenzione.
Cordiali saluti.
Allegati: 1/7”
Consulenza legale i 12/11/2020
La situazione normativa del complesso è sicuramente molto intricata: in particolar modo non si riesce a capire il ruolo di questo fantomatico Consorzio, a fronte del fatto che ci troviamo innanzi ad un edificio condominiale in cui è pienamente vigente un regolamento contrattuale. Nel suddetto regolamento è di particolare interesse il punto 2), in forza del quale, per quel che ci è dato capire, viene espressamente costituita a carico della unità immobiliare di cui al 1° piano e a favore delle altre unità immobiliari del complesso (quindi anche a favore di quella di proprietà dell’autore del quesito) una servitù di passaggio delle acque, anche detta di acquedotto. Per come è redatto tale parte del regolamento, la norma è immediatamente operativa e la sua vincolatività non è in nessun modo subordinata alla costituzione di questo fantomatico Consorzio, di cui, lo si ribadisce, non è chiara né il ruolo né tantomeno la sua natura giuridica.

Vi è da dire, inoltre, che in base ai fatti descritti, all’unità immobiliare di cui è proprietario l’autore del quesito pare essere totalmente intercluso lo sbocco alla rete idrica fognaria: tale circostanza rende pienamente applicabile al caso descritto gli art. 1033 e ss. del c.c. disciplinante la servitù di acquedotto e dello scarico coattivo.
In particolare l’art. 1033 del c.c. dispone che: "Il proprietario è tenuto a dare passaggio per i suoi fondi alle acque di ogni specie che si vogliono condurre da parte di chi ha, anche solo temporaneamente, il diritto di utilizzarle per i bisogni della vita o per gli usi agrario industriali".
Tale norma trova a maggior ragione applicazione nel caso descritto dal momento che l’autore del quesito è proprietario di una unità immobiliare ricompresa in un complesso interamente adibito ad uso industriale: la norma in esame infatti, troverebbe parziali limiti applicativi se ci trovassimo in un contesto a maggiore vocazione abitativa.
Per poter costituire mediante sentenza una servitù coattiva di acquedotto o di scarico coattivo l’art. 1037 del c.c. pone in capo al proprietario del fondo intercluso dei precisi obblighi probatori. Egli dovrà infatti dimostrare:
a) che il richiedente possa disporre dell'acqua;
b) che l'acqua sia sufficiente per l'uso cui si voglia destinare;
c) che il passaggio richiesto sia il più conveniente e il meno pregiudizievole al fondo servente, anche con riguardo ai fondi vicini.

Il diritto a disporre dell’acqua.
Per quanto riguarda tale requisito, è necessario dimostrare che si ha diritto di disporre dell’acqua per tutto il tempo che si gode della servitù. Tale onere probatorio viene assolto andando a dimostrare di essere proprietario del fondo dominante, o di essere titolare di una qualsiasi altro diritto reale o obbligatorio che implica la disponibilità dell’acqua (es. usufrutto, enfiteusi, concessione amministrativa ecc.ecc.).

Sufficienza dell’acqua all’uso.
Tale onere probatorio è in stretta connessione con il requisito della utilità. L’utilità è uno degli elementi che devono sussistere affinché possa costituirsi una servitù. L’ordinamento, infatti, ammette che si possa comprimere il diritto di proprietà del fondo servente, solo se tale compromissione sia giustificata in quanto sia utile a garantire un maggior godimento del fondo dominante. La sufficienza dell’acqua è una specificazione del requisito della utilità nelle servitù di passaggio delle acque. Si dimostra di possedere tale requisito indicando l’uso che si vuole fare dell’acqua che passerà sul fondo servente e la sua sufficienza alla finalità per la quale è destinata (es. uso agricolo, industriale o domestico).

Il passaggio deve essere il più conveniente e meno pregiudizievole per il fondo servente, anche con riguardo ai fondi vicini.
Tale requisito impone al proprietario del fondo dominante l’onere di allegare il progetto della servitù di acquedotto e la dimostrazione che la stessa non solo è idonea ad attuare gli interessi del fondo dominante, ma dall’altro non sacrifica eccessivamente il godimento del fondo servente.
La determinazione del luogo ove passeranno le opere necessarie a porre in essere la servitù di passaggio delle acque è uno dei requisiti più delicati previsti dall’ art.1037 del c.c. Si impone al giudice di valutare la fattispecie concreta, e dare la preferenza a quelle modalità costruttive che contemperino da un lato la miglior convenienza per il fondo dominante, e dall’altro il minor pregiudizio del fondo servente. Ovviamente in tale valutazione il giudice dovrà essere affiancato da un perito appositamente nominato.
È giusto anche sottolineare che ai sensi del successivo art. 1038 del c.c. la costituzione della servitù coattiva di acquedotto dà diritto al proprietario del fondo servente di percepire una indennità, liquidata dal giudice nella sentenza che costituirà la servitù.

Vi è da dire però che la normativa finora illustrata entrerebbe in gioco nel caso descritto solo qualora non vi fosse un titolo contrattuale il quale prevedesse espressamente il diritto di passaggio delle acque: ma, nel caso di specie, tale titolo contrattuale esiste ed è appunto il regolamento che è stato dato in visione.
Per tale motivo, al fine di ottenere giudizialmente lo sbocco nella rete fognaria, l’autore del quesito oltre a non dover riconoscere alcuna indennità al titolare del primo piano, non dovrà neppure assolvere agli oneri probatori indicati dall’ art. 1037 del c.c.
Nel caso in cui non si riuscisse, quindi, a trovare un accordo bonario col proprietario del primo piano e con il condominio, si avrà pieno diritto di ricorrere al giudice al fine di ottenere il passaggio delle proprie tubazioni presso l’unità del proprietario del primo piano. Per ottenere un esito positivo del potenziale contenzioso, oltre a dare incarico ad un legale, è opportuno che un tecnico elabori un progetto teso a garantire che il passaggio delle tubazioni rechi il minor aggravio alla unità abitativa servente: tutto ciò ai sensi degli art. 1065e 1067del c.c. Tenendo fermo il principio del minor aggravio, per effettuare il passaggio delle condutture si potranno usare o le strutture condominiali preesistenti (se effettivamente edificate), oppure le strutture realizzate ad hoc dal proprietario del primo piano.

Anonimo chiede
sabato 05/10/2019 - Veneto
“Buongiorno, ho la necessità di sapere,con certezza, se per effetto della Legge del 28 luglio 2016 n. 154 Art.3 la costituzione di servitù di metanodotto è diventata coattiva anche in ambito urbano e se, pertanto, la sentenza n. 11563 del 06.06.2016 della Corte di Cassazione ha perso di efficacia.
I fatti.
Qualche anno addietro i miei confinanti installarono contro la mia volontà e nonostante la mia contrarietà le condotte del gas metano in mio fondo, adducendo di averne diritto senza però portare argomenti o documenti concreti a sostegno della loro affermazione.
Attesa Vostra gentile risposta al fine di decidere eventuali rivalse contro i confinanti.”
Consulenza legale i 11/10/2019
Procediamo con ordine.
Con la sentenza n. 11563 del 06/06/2016, la II Sezione civile della Corte di Cassazione ha statuito che è inammissibile la costituzione coattiva di una servitù di gasdotto atteso il carattere tipico delle servitù coattive e la non estensibilità dell'art. 1033 del c.c., trattandosi di situazioni non assimilabili sotto il profilo strutturale e funzionale per la pericolosità insita nell'attraversamento sotto terra della fornitura di gas, non ricorrente per il trasporto delle acque.
Dunque, con la pronuncia in esame, la Suprema Corte ha ritenuto non applicabile estensivamente l’art. 1033 c.c. (che disciplina appunto la servitù coattiva di acquedotto) all’ipotesi della costituzione di una servitù di metanodotto.


Di pochissimo successiva alla sentenza in questione è l’approvazione dell’art. 3 della legge n. 154/2016 che, appunto, ha introdotto una nuova fattispecie di servitù coattiva.
La norma prevede infatti che “i proprietari di strade private sono tenuti a consentire il passaggio di tubazioni per l'allacciamento alla rete del gas di utenze domestiche o aziendali, compresa l'installazione di contatori, nonché il passaggio di tubazioni per la trasmissione di energia geotermica. Ai fini del rispetto dell'obbligo di cui al presente comma, il sindaco del comune territorialmente competente, su richiesta degli interessati, autorizza l'esecuzione dei lavori di cui al primo periodo, tenendo in debita considerazione la stagionalità delle colture cui sono destinati i terreni agricoli adiacenti le strade private oggetto dei lavori, al fine di impedire o limitare gli eventuali danneggiamenti alle coltivazioni. L'applicazione delle disposizioni di cui al presente comma comporta l'obbligo di ripristino della strada nello stato antecedente il lavoro e l'eventuale risarcimento del danno causato dal medesimo lavoro alle coltivazioni e alle attrezzature di produzione”.
Dunque l’interpretazione dell’art. 1033 c.c., adottata dalla Cassazione con la sentenza sopra citata, deve ritenersi in parte, ed entro dati limiti, superata per effetto dell’entrata in vigore di una norma di legge che prevede espressamente tale nuovo tipo di servitù coattiva.
Attenzione, però: l’obbligo di consentire il passaggio grava sui “proprietari di strade private”; dunque non si parla genericamente di “fondi”, né si fa distinzione tra fondi urbani e rurali.
Inoltre deve trattarsi di “tubazioni per l'allacciamento alla rete del gas di utenze domestiche o aziendali” (tale requisito sembrerebbe sussistere nel caso in esame).
Ma, soprattutto, la previsione di cui all’art. 3 della legge 154/2016 non può avere efficacia retroattiva e si applica alle servitù da costituirsi successivamente alla sua entrata in vigore.
Infatti, ai sensi dell’art. 11 delle preleggi (Disposizioni sulla legge in generale), “la legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo”.
Pertanto la norma che prevede la servitù coattiva di gasdotto, anche qualora ne ricorrano i presupposti, non può applicarsi a opere realizzate prima della sua entrata in vigore.
Nel quesito non è specificato quando sarebbero state installate le condutture del gas (si parla genericamente di “qualche anno addietro”), né in quale parte del fondo ciò sarebbe avvenuto.
Quindi, per verificare l'effettiva illegittimità delle opere in questione, nonché i mezzi di tutela eventualmente azionabili nell'interesse del proprietario del presunto fondo servente, occorrerebbe conoscere la data, o quanto meno il periodo, in cui è avvenuta l'installazione delle tubazioni.

Giuseppe C. chiede
sabato 05/01/2019 - Marche
“Articolo 1065 Codice civile - Esercizio conforme al titolo o al possesso | Quesito n. 13843
22/07/2015 SEGUITO CONSULENZA SOPRAINDICATA.
Domanda: chi deve richiedere la servitù di passaggio per l'allaccio dell'acqua e conseguente attraversamento di una strada condominiale: il richiedente l'allaccio o il fornitore/gestore monopolista dell'erogazione del servizio. Trattandosi di tubi che mai apparterranno al richiedente ma resteranno nella disponibilità e manutenzione del concedente (almeno fino al contatore di utenza che verrà installato)?
L'allacciamento è indispensabile perché attiene alla costruzione di un alloggio in area edificabile interclusa cui ho dovuto acquistare servitù di passaggio. Poiché non ho fatto lottizzazioni (é solo una particella residuale resa edificabile dal comune) e gli Enti che forniscono i servizi non hanno provveduto alla pianificazione degli allacci nella zona edificabile(elettrici, acqua, gas, etc.), dopo una estenuante diatriba col Comune ho ottenuto licenza edilizia di costruzione. Per gli allacci (cui ho già a voi richiesto analoga consulenza in passato) mentre l'ho risolto con l'ENEL (fili aerei) non riesco a risolverla con il Consorzio Idrico. Ecco perché la richiesta del vs. illustre parere.
Grazie


Consulenza legale i 12/01/2019
La servitù viene definita dall’art. 1027 del c.c. come un peso imposto sopra un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenente a un diverso proprietario. Si realizza, in altri termini, con la servitù un rapporto di accessorietà tra due fondi appartenenti a diversi proprietari, in forza del quale su un fondo, detto servente, viene posto un peso che ne limita il godimento da parte del suo proprietario, a favore di un altro fondo, detto dominante, appartenente ad un diverso soggetto.

I soggetti chiamati a costituire una servitù prediale sono in prima battuta i proprietari dei fondi dominante e servente. In assenza di un provvedimento della pubblica amministrazione, che nel caso di specie non pare esista, l’ente che eroga il servizio idrico pubblico non ha alcun potere di intromissione nel rapporto tra i proprietari dei due fondi, il quale è di natura esclusivamente privatistica, e come tale va disciplinato utilizzando le ordinarie norme del codice civile.
È quindi il proprietario del fondo dominante che dovrà attivarsi per costituire la servitù e, una volta costituita, dovrà provvedere a curare l’allacciamento dalla rete idrica pubblica fino al fondo di sua proprietà. Sarà suo onere provvedere alla manutenzione delle opere che garantiscono l’allacciamento, e non certo compito dell’ente concessionario del servizio idrico.

Su questo punto l' art 1069 co.2 del c.c. pone a carico del proprietario del fondo dominante, le spese per la realizzazione delle opere necessarie all’esercizio della servitù, salvo che sia disposto diversamente dalla legge o dal titolo.

La legge prevede diversi modi per costituire una servitù; le modalità maggiormente frequenti e che interessano l’autore del quesito sono essenzialmente due:
- la costituzione per via volontaria
- e la costituzione per via giudiziale.

La costituzione volontaria si realizza nel momento in cui i due proprietari dei fondi, dominante e servente, sottoscrivono un contratto per mezzo del quale costituiscono il diritto di servitù; tale contratto dovrà necessariamente avere la forma del rogito notarile, il quale dovrà poi essere trascritto nei registri immobiliari per far sì che lo stesso divenga efficace anche nei confronti di eventuali futuri acquirenti dei fondi coinvolti. Ovviamente, in base agli accordi presi tra i proprietari dei fondi, la costituzione potrà essere o a titolo gratuito, oppure, molto probabilmente, sarà a titolo oneroso, e il proprietario del fondo dominante dovrà corrispondere a quello del fondo servente una indennità di occupazione.

Colui che ha diritto alla costituzione di una servitù coattiva e non la ottiene in via contrattuale, può agire giudizialmente ai sensi dell’art 2932 del c.c., al fine di ottenerne la costituzione per mezzo di sentenza giudiziaria.
La servitù coattiva può essere richiesta, tra gli altri casi, dal proprietario del fondo intercluso: per fondo intercluso si intende, ai sensi dell’art 1051 del c.c., il fondo che non ha accesso alla pubblica via. Può considerarsi intercluso anche il fondo che per attingere alla rete idrica pubblica, deve necessariamente far passare le tubazioni sulle proprietà dei fondi finitimi.
Nel caso specifico, si dovrebbe costituire a favore del fondo di cui è proprietario l’autore del quesito (fondo dominante,) e a carico della strada condominiale (fondo servente), una servitù di acquedotto, espressamente disciplinata dal codice civile agli artt. 1033 e ss. del c.c.
In particolare, il legislatore impone degli specifici oneri probatori a proprietario del fondo dominante che vuole vedersi giudizialmente riconosciuta, a carico dei fondi limitrofi, una tale servitù.
L’art 1037 del c.c. dispone infatti che il proprietario del fondo dominante dovrà dimostrare:
a) che il richiedente possa disporre dell'acqua;
b) che l'acqua sia sufficiente per l'uso cui si voglia destinare;
c) che il passaggio richiesto sia il più conveniente e il meno pregiudizievole al fondo servente, anche con riguardo ai fondi vicini.

Il diritto a disporre dell’acqua.
Per quanto riguarda tale requisito, è necessario dimostrare che si ha diritto di disporre dell’acqua per tutto il tempo che si gode della servitù. Tale onere probatorio viene assolto andando a dimostrare di essere proprietario del fondo dominante, o di essere titolare di una qualsiasi altro diritto reale o obbligatorio che implica la disponibilità dell’acqua (es. usufrutto, enfiteusi, concessione amministrativa ecc.ecc.).

Sufficienza dell’acqua all’uso.
Tale onere probatorio è in stretta connessione con il requisito della utilità. L’utilità è uno degli elementi che devono sussistere affinché possa costituirsi una servitù. L’ordinamento, infatti, ammette che si possa comprimere il diritto di proprietà del fondo servente, solo se tale compromissione sia giustificata in quanto sia utile a garantire un maggior godimento del fondo dominante. La sufficienza dell’acqua è una specificazione del requisito della utilità nelle servitù di passaggio delle acque; si dimostra di possedere tale requisito indicando l’uso che si vuole fare dell’acqua che passerà sul fondo servente e la sua sufficienza alla finalità per la quale è destinata (es. uso agricolo, industriale o domestico).

Il passaggio deve essere il più conveniente e meno pregiudizievole per il fondo servente, anche con riguardo ai fondi vicini.
Tale requisito impone al proprietario del fondo dominante l’onere di allegare il progetto della servitù di acquedotto e la dimostrazione che la stessa non solo è idonea ad attuare gli interessi del fondo dominante, ma dall’altro non sacrifica eccessivamente il godimento del fondo servente.
La determinazione del luogo ove passeranno le opere necessarie a porre in essere la servitù di passaggio delle acque è uno dei requisiti più delicati imposti dall’ art.1037 del c.c. Tale requisito impone al giudice di valutare la fattispecie concreta e valutare le modalità costruttive che contemperino da un lato la miglior convenienza per il fondo dominante, e dall’altro il minor pregiudizio del fondo servente.
Ovviamente in tale valutazione il giudice dovrà essere affiancato da un perito appositamente nominato.

Il ruolo del perito sarà determinante non solo per la determinazione della migliore modalità costruttiva della servitù, ma anche per stabilire l’indennità di occupazione dovuta dal proprietario del fondo dominante a quello del fondo servente. Tale indennità verrà determinata con i criteri indicati dall’art. 1039 c.c., e verrà liquidata dal giudice in sentenza qualora lo stesso riterrà assolti gli oneri probatori richiesti dall’art. 1038 del c.c. e pertanto emetterà sentenza che costituirà la servitù coattiva di passaggio delle acque.


Anonimo chiede
domenica 21/05/2017 - Campania
“Sono il proprietario di un pozzo, posto all'interno e all'inizio di un cortile in comproprietà. Sul pozzo insisterebbe una servitù prediale a favore dell'altro comproprietario del cortile, nata nel 1984 per mezzo di un atto di divisione e donazione tra eredi, che sarebbe abbondantemente per il non uso. L'unico ad utilizzarlo sono io, a mezzo di pompa sommersa (la mia, l'unica).il pozzo da sempre è dotato di grata di ferro e lucchetti per motivi di sicurezza. Solo recentemente il comproprietario del cortile a mezzo di una comunicazione da parte di un suo avvocato mi ha chiesto di eliminare le barrire che gli impedivano di attingere l'acqua dal pozzo. Gli ho risposto evidenziandogli che tale servitù prediale ai sensi del 1073 c.a. è prescritta. Sottolineo che il comproprietario del cortile non ha mai attinto l'acqua, neanche saltuariamente, ne ho mai ricevuto precedenti comunicazioni a mezzo A/R o atti di citazione/domande giudiziali. Ho testimonianze scritte a sostegno dei fatti. Ho la sensazione che intendano intentare una causa civile.

Questo è l'antefatto.

Quesito:

Il predetto comproprietario, semmai dovesse attingere l'acqua dal mio pozzo, dovrebbe poi istallare delle pompe sommerse nel cortile comune e passare con la relativa tubatura all'interno del cortile comune, attraversarlo tutto (circa 60 mq), per utilizzare l'acqua per innaffiare un suo piccolissimo pezzetto di terreno (meno di 30/40mq), visto che la sua altra unità immobiliare alla quale si accede appunto attraverso il predetto giardino già è servita da acqua potabile.

Gradirei sapere il vostro parere in merito alla possibilità di opporre la esenzione della servitù coattiva di acquedotto ex art. 1033 c.c. trattandosi di un cortile e non di un fondo.”
Consulenza legale i 25/05/2017
La fattispecie che viene descritta impone di affrontare non soltanto il tema della servitù prediale relativa al pozzo, ma anche quello dell’uso della cosa comune.
Infatti il cortile, ove si teme possano farsi attraversare eventuali condutture di acqua, non risulta essere di proprietà esclusiva, bensì in comproprietà, il che impone di prendere in esame non soltanto le norme in materia di servitù, ma anche quelle sulla comunione.

Tra queste, quella che, per il caso che ci interessa, viene subito in rilevo, è la norma contenuta nell’art. 1102 c.c., norma che consente a ciascun partecipante (comproprietario) di servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.

In forza di tale norma, dunque, qualora se ne presentasse la necessità, l’altro comproprietario del cortile avrebbe tutto il diritto di realizzare una conduttura interrata per portare l’acqua dal pozzo sul quale grava la relativa servitù all’immobile di sua proprietà (nel caso di specie per innaffiare il giardino di pertinenza dell’abitazione).
E’ ovvio, in tale ipotesi, che le opere per la derivazione dell’acqua dovrebbero essere realizzate in modo da far sì che il cortile possa continuare ad essere usato in egual misura e secondo la sua naturale destinazione da tutti i comproprietari.

A ciò si aggiunga che, per effetto del disposto di cui all’art. 1064 c.c., il diritto di servitù comprende tutto ciò che è necessario per usarne, il che legittima ulteriormente il proprietario del fondo dominante a realizzare ogni opera necessaria per prelevare acqua dal pozzo, nel rispetto comunque di quanto stabilito dagli artt. 1067 comma 1 c.c. e 1069 comma 1 c.c.

Per quanto concerne l’argomento dell’esonero dei cortili dall'essere gravati da una servitù di acquedotto, come espresso dal secondo comma dell’art. 1033 c.c., giustamente richiamato nel quesito, deve osservarsi che costituisce principio consolidato nella giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, espresso da ultimo nella sentenza n. 11568 emessa dalla Sezione seconda civile in data 06.06.2016, quello secondo cui tale esonero vale allorché per la costituzione della servitù coattiva di acquedotto non sussista una situazione di interclusione assoluta non altrimenti eliminabile ( in tal senso Cass. n. 9926/2004, nonché Cass. n. 5223/1998; Cass. n. 8426/1995).
In questo caso l’interclusione assoluta deriva dal fatto che, trovandosi il pozzo da cui attingere acqua all’interno del cortile in comproprietà, non vi può essere altra soluzione che attraversare il cortile con le relative tubazioni per portare l’acqua da tale pozzo all’altro immobile costituente il fondo dominante.

Né può avere alcun rilievo la circostanza che il fondo dominante in favore del quale risulta costituita la servitù di presa d’acqua dal pozzo risulti già servito da acqua corrente, trattandosi chiaramente di una servitù di tipo volontaria (ossia volontariamente costituita in atto pubblico a seguito di accordo delle parti) per la quale non si ha estinzione con il cessare di quella "utilitas" di cui parla l’art. 1027 c.c.
Per tale tipo di servitù, infatti, in mancanza di nuove pattuizioni, consacrate in atto scritto, che ne modifichino l’estensione o la sopprimano, l’estinzione potrà verificarsi soltanto per confusione o prescrizione per non uso ventennale (cfr. Cass. N. 9492 del 1994 e Cass. N. 3511 del 2000).

A questo punto, dunque, l’unico argomento di cui potersi avvalere al fine di impedire legittimamente al proprietario del fondo dominante di usare della servitù di presa d’acqua dal pozzo, è quello della prescrizione del relativo diritto per non uso ex art. 1073 c.c., il che correttamente risulta essere stato già opposto nel momento in cui è stato formalmente richiesto di eliminare le grate di ferro che impedivano l’esercizio della servitù.
Da quanto detto nel quesito, sembrano sussistere abbastanza elementi (tra cui le testimonianze) per dar prova della estinzione della servitù per non uso ventennale, tenuto conto che l’atto costitutivo è stato stipulato nel 1984 e che da allora il proprietario del fondo dominante non si è mai servito del pozzo, di cui non possiede neppure le chiavi del lucchetto.

Così, seppure un eventuale sopravvenuto venir meno della utilitas che costituisce il contenuto di una servitù volontaria è idoneo a determinare semplicemente un mero stato di quiescenza del relativo diritto, tale stato di semplice quiescenza potrà continuare a perdurare e sarà opponibile soltanto finché non venga a maturazione il termine di prescrizione estintiva previsto in tema di "iura in re aliena".

La sola, astratta possibilità di un ripristino futuro del suo concreto esercizio conferisce al titolare del fondo dominante una attuale legittimazione ad agire, ex art. 100 c.p.c., per la tutela del suo diritto, ma ciò fin quando non risulti giudizialmente accertata, su domanda o su eccezione del proprietario del fondo servente, l'intervenuta prescrizione del vantato diritto.

In conclusione, dunque, sussistendo, sulla base della situazione descritta, i presupposti per far dichiarare prescritta la servitù in oggetto, ciò che si può consigliare è di attendere un’ eventuale azione dell’altra parte volta a reclamare il diritto di attingere acqua dal pozzo, a cui poi opporsi facendo valere l’intervenuta prescrizione del diritto.

Si ritiene utile segnalare che, secondo una recente sentenza della Corte di Cassazione, e precisamente la n. 4157/2015 del 2.03.2015, l’estinzione della servitù per prescrizione si verifica anche in presenza di un uso saltuario; ciò significa che non è necessario dimostrare l’assenza totale di uso, ma basterebbe anche un utilizzo sporadico, avvenuto di tanto in tanto e non in modo continuativo.

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