Contenuto. Distinzione dalla servitù di presa d'acqua
L'acquedotto coattivo importa la facoltà in colui, a cui favore sorge, di far passare le acque per il fondo altrui e costruire e tenere su questo gli impianti necessari per il passaggio dell'acqua (canali, ecc.). Per il proprietario del fondo soggetto, non c’è che un onere consistente in un
pati: sopportare il passaggio delle acque, la costruzione e l'esistenza dell'acquedotto.
La servitù di acquedotto coattivo non è da confondere con quella di
presa d'acqua. Anche questa, a differenza della pura e semplice servitù di attingere acqua
(servitus aquae haustus), può essere esercitata a mezzo di canale o altra opera (
art. 1090 del c.c.), ciò nondimeno, si distingue dalla servitù in esame per il diverso contenuto: l'una dà facoltà di prendere l'acqua dal fondo altrui, l'altra di far passare l'acqua per il fondo altrui. Com'è stato osservato, esse possono integrarsi, ciò accade quando il titolare della servitù di acquedotto fa passare acqua che prende, in virtù di servitù di presa d'acqua, da fonte altrui.
Natura giuridica
Dubbia è la natura giuridica dell'acquedotto coattivo. Da un pezzo si è levata qualche voce contro la tesi secondo cui si tratterebbe di una servitù prediale
. Per risolvere una così importante questione è necessario anticipare l’esame di alcuni punti controversi.
Anzitutto bisogna domandarsi: con la costituzione dell'acquedotto coattivo
passa la proprietà del suolo al titolare del diritto di acquedotto? No, o meglio, non passa la proprietà del suolo laterale, nè quella del suolo sottoposto o sottostante, nè quella del suolo occupato. Infatti, anche se soltanto l’ultima si acquistasse da chi ottiene l'acquedotto coattivo, questo si risolverebbe in una espropriazione di una
pars fundi e si avrebbe una proprietà superficiaria, con conseguente diritto di inerenza sul fondo altrui. Ora, di una tale costruzione non sembra esserci traccia nella legge. Non può invochi l'argomento per cui, nel passaggio perpetuo, l’ indennità deve corrispondere al valore del terreno occupato: infatti un tale criterio risponde ad esigenze economiche e pratiche, il pezzo del fondo occupato non è in alcun modo utilizzabile per il proprietario. Pertanto l'acquedotto coattivo dà solo un
diritto sul suolo altrui: il fondo rimane altrui, sia per il terreno occupato che per il resto.
Da ciò si è giunti ad una prima deduzione: l'acquedotto coattivo rappresenta il contenuto di un
diritto reale su cosa altrui. Ma tale diritto reale è una servitù prediale vera e propria ? La difficoltà sta nel fatto che è dubbia l’ esistenza del fondo dominante. Che sia necessario un fondo dominante si contestava già vecchio codice e si può contestare anche per il nuovo in base alla considerazione che l'uno e l'altro ammettono l'acquedotto a vantaggio «
di chi », anche temporaneamente, ha il diritto di utilizzare le acque per la necessità o i bisogni «
della vita » (art. 598 codice del 1865, art. 1033 codice attuale).
Quest'ampiezza di terminologia legislativa ha autorizzato le più varie soluzioni: si è detto che non solo il proprietario di un fondo, ma anche l'enfiteuta, l'usufruttuario e il conduttore possono acquistare il diritto di acquedotto coattivo, si è detto che anche per l’ utilità altrui si può chiedere ed ottenere l'acquedotto e, di conseguenza, anche per speculare sull'acqua, vendendola ad altri; si è, alla fine, osservato che per necessità o bisogni della vita si fa riferimento alle utilità personali. A difesa di tale tesi si è posto in risalto il contrasto fra la formulazione della norma in questione « ....
da parte di chi.... per i bisogni della vita.... » e quella della disposizione generale (
art. 1027 del c.c.) che definisce le servitù prediali, ove si fa menzione di «
utilità di un altro fondo ». La conclusione cui si perviene è questa: l'acquedotto coattivo non è sempre una servitù prediale, talvolta è a favore di una persona, come l'usufrutto e l'uso.
Appare preferibile la tesi opposta, per cui
l'acquedotto coattivo è sempre una servitù prediale. All'argomento tratto dalla diversità di formulazione della disposizione contenuta nell'art. 1033 rispetto a quella di cui all'art.
1027 (art. 598 e 531 codice del 1865) si oppone il ripetersi continuo, per 1'acquedotto coattivo, del termine servitù: così, il titolo del capo II, così l'art.
1032, così l'art. 1033, comma 2, proprio con riguardo all'acquedotto («
questa servitù»).
Quanto alle altre argomentazioni, è innegabile che qualcuna è esatta nelle premesse, ma va constatato che essa è erronea nelle conseguenze: si può, indubbiamente, ammettere che anche il conduttore possa chiedere l'acquedotto coattivo, ma ciò non legittima la deduzione che, allora, non c’è bisogno di un fondo dominante. La deduzione è un'altra:
questa servitù, per la sua funzione,
può acquistarsi anche da chi non è proprietario del fondo. Infatti l'acquedotto coattivo rimarrà, anche quando la locazione-conduzione sarà finita, salvo l'obbligo (personale) del proprietario del fondo avvantaggiato di rivalere il colono dell'indennità pagata al proprietario del fondo, su cui ha ottenuto il passaggio della acque.
Invano, poi, si cerca di dimostrare che non è necessario un fondo dominante invocando la tesi che si può chiedere l'acquedotto per utilità altrui e, quindi, per fare oggetto di speculazione l'acqua vendendola ad altre persone: questa tesi è tutta da dimostrare. Essa è ritenuta dai più erronea, e a ragione: basta infatti considerare che la concessione è subordinata all'esistenza di bisogni della vita o usi agrari o industriali, dove sia gli uni che gli altri si devono determinare all'atto della richiesta di concessione.
Alla fine, non è decisivo l'argomento per cui l'acquedotto può ottenersi anche per
« bisogni della vita ». Se si trattasse di un diritto con altro oggetto (prendere aria, raccogliere legna o taluni frutti del fondo) sarebbe decisiva la considerazione che ove si ammetta un tale diritto per i soli bisogni della vita, senza che si richieda un fondo, si ha una specie di servitù personale (irregolare). Ma qui si tratta di acquedotto, dato per i bisogni della vita: orbene, per quanti sforzi di fantasia si facciano, non si può immaginare un acquedotto che debba essere utilizzato da una persona come tale, al di fuori di una casa o di un fondo in cui viva. Chi saprebbe immaginare un acquedotto coattivo acquistato da un tale per andare a bere o a lavarsi, come semplice viandante o passeggero?
Un
fondo dominante è un
presupposto necessario per la stessa natura, per lo stesso contenuto del diritto: «
i bisogni di vita » non prescindono da tale presupposto, una volta messi in rapporto con il mezzo con cui devono soddisfarsi (acquedotto). Tutto ciò può spiegare pure perché la legge non parli qui di un «
fondo dominante »: del resto la collocazione della norma sotto le servitù in genere e le «
servitù coattive » in particolare rendeva inutile la menzione di un fondo dominante, menzione che si sarebbe risolta in una mera ripetizione. Concludendo: « bisogni di vita » sono quelli che si soddisfano in una casa (acqua da bere, acqua pel bagno, per gli usi di cucina, ecc.), sia propria sia tenuta in qualità di enfiteuta, usufruttuario, od anche conduttore.
Estremi. Il diritto dell'acqua
Determiniamo ora il contenuto della norma che impone l'acquedotto fissandone con precisione gli estremi.
Come accennato precedentemente, a carico del fondo servente sorge, quando la servitù è costituita, con la convenzione o la sentenza (
art. 1032 del c.c.), un onere consistente in un
pati: sopportare, cioè, il passaggio dell'acqua, la costruzione e l'impianto dei canali. Il
pati ha, dunque, un duplice oggetto: l'uno e l'altro costituiscono indivisibilmente il contenuto della servitù, con la conseguenza che l'acquedotto coattivo non può pretendersi nè deve subirsi quando manca l'uno o l'altro oggetto.
Dal punto di vista dei
soggetti della servitù di acquedotto coattivo, è da precisare che da una parte c’è il proprietario del fondo servente, e anche l'enfiteuta, come si e visto esaminando l'
art. 1032 del c.c., può addivenire alla convenzione costitutiva della servitù ma, in tal caso, questa cessa col cessare del diritto di enfiteusi. Quindi chi chiede l'acquedotto fa bene ad ottenere il consenso del concedente. Dall' altra parte, è necessario che chi chiede la servitù abbia il diritto di utilizzare le acque per cui deve attuarsi il passaggio.
Il
diritto di servirsi delle acque, lungi dallo scaturire dalla servitù di acquedotto, ne costituisce il presupposto. Esso può spettare al richiedente a qualunque titolo: non è quindi necessario che egli sia proprietario dell'acqua, basta che abbia il diritto di goderne, anche temporaneamente, e cioè in qualità di enfiteuta, pure temporaneo, usufruttuario, anticresista o fittavolo dell'acqua. Nè ha alcun rilievo la breve durata per cui si ha il diritto ad usare dell'acqua, e tanto meno è necessario che il richiedente abbia sull'acqua lo stesso diritto che ha sulla casa o sul terreno a cui l'acqua deve servire: egli può essere proprietario dell'acqua e conduttore del fondo, o viceversa. Il semplice possessore dell'acqua, sia pur
animo domini, non può richiedere l'acquedotto: infatti il possessore come tale non ha diritto all'acqua, ma può solo goderne di fatto.
Soluzione opposta si deve, invece, accogliere nei casi in cui il diritto c’è, sia pure
ope legis: così
«il proprietario di un fondo limitato o attraversato da un'acqua non pubblica, che corre naturalmente e sulla quale altri non ha diritto, può, mentre essa trascorre, fame uso per la irrigazione dei suoi terreni e per l'esercizio delle sue industrie...» (
art. 910 del c.c.; art. 543 cod. 1865), cioè ha il diritto di usarne e, quindi, ben può chiedere l'acquedotto. Non si può opporre che egli non è proprietario assoluto dell'acqua perché ciò non è infatti necessario.
Poiché presupposto dell'acquedotto è il diritto all'acqua, non si può chiedere l'acquedotto per un
tempo maggiore di quello per cui si ha diritto a disporre dell'acqua, ma per uno
minore sì.
Alla fine è da osservare che, come si dirà commentando l’
art. 1037 del c.c., l'onere della prova circa il diritto all'acqua incombe a colui che chiede l'acquedotto: ciò risponde al principio generale sulla ripartizione dell'onere della prova, per cui ciascuno deve provare gli elementi costitutivi, particolari, della sua pretesa o azione.
Varie specie di acque
Le acque per cui è da costituire la servitù di acquedotto possono essere «
di ogni specie », ossia sorgive o piovane, correnti o stagnanti, intermittenti o meno, di volume costante o vario, chiare o torbide, fredde o calde, termali, private o demaniali (purché sia stato concesso il diritto a disporne). È indifferente che in una parte dell'anno non scorrano, è necessario che scorrano in corrispondenza all'uso per cui devono servire, così ad es. nel periodo dell'irrigazione.
Utilizzazioni delle acque per bisogni della vita o per usi agrari ed industriali
Il fine per cui l'acquedotto coattivo può aver luogo è l'utilizzazione delle acque «
per i bisogni della vita o per usi agrari od industriali». Tale utilizzazione deve essere effettivamente
possibile e non solo immaginaria. Non è richiesta la necessità assoluta e neppure quella relativa: basta l’ utilità. Questo è un punto ancor più sicuro nel nuovo codice, che all'espressione adoperata nel vecchio «
necessità della vita» (art. 598) ha sostituito l'altra, più comprensiva, «
bisogni della vita». Così si
deroga al principio, dinanzi illustrato, secondo cui per le servitù coattive si richiede la necessità, sia pur relativa.
Per «
bisogni della vita» si intendono tutti gli usi possibili dell'acqua in una casa: bere, lavare, cucinare. Come si è detto poc'anzi, è da escludere un uso che il richiedente voglia fare dell'acqua indipendentemente da ogni abitazione. Inoltre, l'acquedotto può aversi per utilizzare l'acqua per «
usi agrari o industriali». Anche qui sono da ammettere tutti gli usi immaginabili: abbeverare gli animali, irrigare i fondi, fare le colmate, macerare canapa o lino, animare opifici, mulini, stabilimenti chimici o idroterapici.
Si è discusso se si ha servitù di acquedotto per
ridurre a stagno — come si pratica in alcuni luoghi —
i terreni coltivati, per uno o più anni, al fine di fargli produrre abbondanti raccolte. È preferibile la risposta affermativa, perché per «
usi agrari» bisogna intendere tutti i bisogni dell' agricoltura.
Si è, del pari, posto in dubbio che l'acquedotto possa pretendersi per utilizzare l'acqua
a fini di abbellimento, ad es., per animare fontane zampillanti. È preferibile la soluzione negativa, salvo che con lo scopo voluttuario non concorra uno utilitario, ad es., rinfrescare l'aria con la fontana zampillante in un luogo torrido, ecc.
Parimenti esclusa è la possibilità di richiedere l'acquedotto ai fini di utilizzare l'acqua non per utilità propria, ma
per speculazione, come detto precedentemente.
Fondi oggetto della servitù
La servitù di acquedotto coattivo ha per oggetto «
i fondi».
Tutti i fondi sono soggetti alla servitù, pertanto essa può domandarsi a carico di qualunque fondo intermedio. È irrilevante la distanza del fondo da quello in cui è situata la fonte o deve utilizzarsi l'acqua. Sono
esclusi sono i
fondi demaniali, salva la compatibilità dell'acquedotto con l'uso cui essi sono destinati, ed è ammessa la revocabilità della stessa servitù, benché legale. Per la disposizione di natura eccezionale contenuta nel comma 2 della norma che stiamo esaminando, sono esenti dalla servitù dell'acquedotto coattivo
«le case, i cortili, i giardini, e le aie ad esse attinenti». Si discute se, oltre le case, sono esenti gli edifici in genere: è preferibile la soluzione affermativa.
Quanto ai cortili, ai giardini e alle aie, perché siano esenti, devono essere «
attinenti» alle case. Se non sono tali (il che, per i cortili, deve escludersi a priori), sono soggetti all'acquedotto: l’ «
attinenza» non significa, però, contiguità, è infatti sufficiente la vicinanza. È indifferente che i giardini, i cortili e le aie siano aperti o chiusi. I parchi e altri recinti, diversi dai giardini e dai cortili, sono soggetti alla servitù.