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Articolo 404 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Amministrazione di sostegno

Dispositivo dell'art. 404 Codice Civile

La persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica(1), si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio.

Note

(1) La casistica che emerge dai primi dieci anni di applicazione dell'istituto è assai ampia: si va dai disturbi mentali (in luogo della più pesante misura dell'interdizione) alla grave infermità con ricovero permanente conseguente ad intervento chirurgico ritenuto vitale, all'assoluta incapacità di sottrarsi agli stimoli depauperativi esterni, sino ai gravi handicap esclusivamente fisici (come la totale incapacità motoria derivante, ad es., dalla SLA) ed alla spiccata propensione per il consumo di sostanze stupefacenti.

Brocardi

Consilio et opera curatoris tueri debet non solum patrimonium, sed et corpus ac salus furiosi
Imbecillitas mentis

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 404 Codice Civile

Cass. civ. n. 32542/2022

L'amministrazione di sostegno, ancorché non esiga che si versi in uno stato di vera e propria incapacità di intendere o di volere, nondimeno presuppone che la persona, per effetto di un'infermità o di una menomazione fisica o psichica, si trovi nell'impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, mentre è escluso il ricorso all'istituto nei confronti di chi si trovi nella piena capacità di autodeterminarsi, pur in condizioni di menomazione fisica, in funzione di asserite esigenze di gestione patrimoniale. Ne consegue che, salvo che non sia provocata da una grava patologia psichica, tale da rendere l'interessato inconsapevole del bisogno di assistenza, la sua opposizione alla nomina costituisce espressione di autodeterminazione, che deve essere opportunamente considerata. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione del giudice di merito che aveva aperto l'amministrazione di sostegno, nonostante l'opposizione della beneficiaria, in un caso in cui era stata esclusa sia l'infermità che la menomazione ed era stata ravvisata solo una situazione di fragilità, che aveva determinato una difficoltà nella gestione del patrimonio).

Cass. civ. n. 32321/2022

In materia di amministrazione di sostegno, il decreto della corte d'appello di rigetto del reclamo, con il quale era stata chiesta la revoca dell'amministrazione di sostegno e la modifica dei poteri conferiti all'amministratore, benché relativo a decisioni modificabili in ogni tempo dal giudice tutelare, ha un contenuto generale e pertanto decisorio, non concernendo l'autorizzazione a singoli atti di amministrazione, di talché esso è ricorribile per cassazione.

I decreti del giudice tutelare in materia di amministrazione di sostegno sono reclamabili unicamente dinanzi alla corte d'appello ai sensi dell'art. 720 bis, comma 2, c.p.c., trattandosi di disposizione speciale derogatoria rispetto all'art. 739 c.p.c., senza che abbia alcun rilievo la natura ordinatoria o decisoria di detti provvedimenti. (In attuazione del predetto principio, la S.C. ha cassato la decisione della corte territoriale che aveva ritenuto inammissibile il reclamo avverso la parte del decreto con la quale era stata individuata la persona dell'amministratore di sostegno, avendo ritenuto tale decisione di natura amministrativa).

Cass. civ. n. 10483/2022

In tema di amministrazione di sostegno, le caratteristiche dell'istituto impongono, in linea con le indicazioni provenienti dall'art. 12 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, che l'accertamento della ricorrenza dei presupposti di legge sia compiuto in maniera specifica e focalizzata rispetto alle condizioni di menomazione del beneficiario ed anche rispetto all'incidenza di tali condizioni sulla capacità del medesimo di provvedere ai propri interessi, perimetrando i poteri gestori dell'amministratore in termini direttamente proporzionati ad entrambi i menzionati elementi, di guisa che la misura risulti specifica e funzionale agli obiettivi individuali di tutela, altrimenti implicando un'ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona. In tale quadro, le dichiarazioni del beneficiario e la sua eventuale opposizione, soprattutto laddove la disabilità si palesi solo di tipo fisico, devono essere opportunamente considerate, così come il ricorso a possibili strumenti alternativi dallo stesso proposti, ove prospettati con sufficiente specificità e concretezza.

Cass. civ. n. 8464/2022

Nel procedimento relativo alla nomina dell'amministratore di sostegno, ed in analogia a quanto avviene nel giudizio d'interdizione, la morte dell'amministrando determina la cessazione della materia del contendere, facendo venir meno la necessità di una pronuncia sullo "status", sicché qualora l'evento si verifichi nel corso del giudizio d'appello e sia accertato dal giudice di questo il ricorso diviene inammissibile per sopravvenuta carenza d'interesse.

Cass. civ. n. 7414/2022

Nel procedimento relativo alla nomina dell'amministratore di sostegno, e in analogia a quanto avviene nel giudizio d'interdizione, la morte dell'amministrando determina la cessazione della materia del contendere, essendo venuto meno il potere-dovere del giudice di pronunciare sull'originario "thema decidendum" e, quindi, di emettere una decisione non più richiesta né necessaria.

Cass. civ. n. 21985/2021

I decreti del giudice tutelare in materia di amministrazione di sostegno sono reclamabili ai sensi dell'art. 720 bis, comma 2, c.p.c. unicamente dinanzi alla Corte d'appello, quale che sia il loro contenuto (decisorio ovvero gestorio), mentre, ai fini della ricorribilità in cassazione dei provvedimenti assunti in tale sede, la lettera della legge impone in ogni caso la verifica del carattere della decisorietà, quale connotato intrinseco dei provvedimenti suscettibili di essere sottoposti al vaglio del giudice di legittimità.

Cass. civ. n. 4733/2021

Il provvedimento con il quale il giudice tutelare decide sull'istanza, formulata nell'ambito di una procedura di amministrazione di sostegno, diretta ad ottenere l'estensione al beneficiario, ai sensi del combinato disposto degli artt. 411, comma 4 e 85 c.c., del divieto di contrarre matrimonio, incidendo in maniera definitiva, sia pure "rebus sic stantibus", sulla capacità di autodeterminarsi della persona e quindi su un diritto personalissimo, ha natura intrinsecamente decisoria, sicché la competenza a conoscere del relativo reclamo appartiene alla corte d'appello ex art. 720 bis c.p.c.

Cass. civ. n. 29981/2020

L'amministrazione di sostegno, ancorché non esiga che la persona versi in uno stato di vera e propria incapacità di intendere o di volere, nondimeno presuppone una condizione attuale di menomata capacità che la ponga nell'impossibilità di provvedere ai propri interessi mentre è escluso il ricorso all'istituto nei confronti di chi si trovi nella piena capacità di autodeterminarsi, pur in condizioni di menomazione fisica, in funzione di asserite esigenze di gestione patrimoniale, in quanto detto utilizzo implicherebbe un'ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona, tanto più a fronte della volontà contraria all'attivazione della misura manifestata da un soggetto pienamente lucido (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito che aveva ritenuto sottoponibile ad amministrazione di sostegno un'anziana signora sul presupposto di una scarsa cognizione delle proprie possidenze patrimoniali, non paventata come conseguenza di una patologia psico-cognitiva, ma quale semplice effetto dell'organizzazione di vita già da tempo assunta e imperniata su una fiduciaria delega gestionale delle risorse alla figlia). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO LECCE, 04/07/2019).

Cass. civ. n. 19431/2020

In tema di nomina dell'amministratore di sostegno, ai fini dell'individuazione del giudice territorialmente competente si presume la coincidenza della residenza effettiva e del domicilio con la residenza anagrafica dell'amministrando, salvo che risulti accertato non solo il concreto spostamento della sua dimora abituale o del centro principale dei suoi rapporti economici, morali, sociali e familiari, ma anche la volontarietà di tale spostamento. (Regola competenza).

Cass. civ. n. 18943/2020

Nel caso in cui il beneficiario dell'amministrazione di sostegno si trovi in stato di detenzione in esecuzione di una sentenza definitiva di condanna, la competenza territoriale va riconosciuta al giudice del luogo in cui il detenuto aveva la sua dimora abituale prima dell'inizio dello stato detentivo, non potendo trovare applicazione il criterio legale che individua la residenza (con la quale coincide, salva prova contraria, la dimora abituale) nel luogo in cui è posta la sede principale degl'interessi e degli affari della persona, dal momento che, tale criterio, implicando il carattere volontario dello stabilimento, postula un elemento soggettivo la cui sussistenza resta esclusa per definizione nel caso in cui l'interessato, essendo sottoposto a pena detentiva, non possa fissare liberamente la propria dimora. (Regola competenza).

Cass. civ. n. 7241/2020

Nel caso in cui il beneficiario dell'amministrazione di sostegno si trovi in stato di detenzione in esecuzione di una sentenza definitiva di condanna, la competenza territoriale va riconosciuta al giudice del luogo in cui il detenuto aveva la sua dimora abituale prima dell'inizio dello stato detentivo, non potendo trovare applicazione il criterio legale che individua la residenza (con la quale coincide, salva prova contraria, la dimora abituale) nel luogo in cui è posta la sede principale degl'interessi e degli affari della persona, dal momento che, tale criterio, implicando il carattere volontario dello stabilimento, postula un elemento soggettivo la cui sussistenza resta esclusa per definizione nel caso in cui l'interessato, essendo sottoposto a pena detentiva, non possa fissare liberamente la propria dimora. (Fattispecie relativa al reclamo proposto dal detenuto contro il provvedimento di cessazione dell'amministrazione di sostegno; la S.C. ha regolato la competenza in base alla residenza anteriore all'inizio della detenzione, non risultando il mutamento della sede principale degli affari e interessi per effetto della detenzione e, in particolare, per il trasferimento del ricorrente, intervenuto nel frattempo, ad altra casa di reclusione). (Regola competenza).

Cass. civ. n. 6079/2020

L'amministrazione di sostegno prevista dall'art. 3 della l. n. 6 del 2004 ha la finalità di offrire a chi si trovi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minor misura possibile la capacità di agire, distinguendosi, con tale specifica funzione, dagli altri istituti a tutela degli incapaci, quali l'interdizione e l'inabilitazione, non soppressi, ma solo modificati dalla stessa legge attraverso la novellazione degli artt. 414 e 427 del c.c. Rispetto ai predetti istituti, l'ambito di applicazione dell'amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa. Appartiene all'apprezzamento del giudice di merito la valutazione della conformità di tale misura alle suindicate esigenze, tenuto conto essenzialmente del tipo di attività che deve essere compiuta per conto del beneficiario e considerate anche la gravità e la durata della malattia, ovvero la natura e la durata dell'impedimento, nonché tutte le altre circostanze caratterizzanti la fattispecie. (Rigetta, CORTE D'APPELLO PALERMO, 20/02/2017).

Corte cost. n. 144/2019

La ratio dell'istituto dell'amministrazione di sostegno richiede al giudice tutelare di modellare, anche in ambito sanitario, i poteri dell'amministratore sulle necessità concrete del beneficiario, stabilendone volta a volta l'estensione nel solo interesse del disabile. L'adattamento dell'amministrazione di sostegno alle esigenze di ciascun beneficiario è, poi, ulteriormente garantito dalla possibilità di modificare i poteri conferiti all'amministratore anche in un momento successivo alla nomina, tenendo conto, ove mutassero le condizioni di salute, delle sopravvenute esigenze del disabile.

Cass. civ. n. 12998/2019

La procedura di nomina dell'amministratore di sostegno presuppone una condizione attuale d'incapacità, il che esclude la legittimazione a richiedere l'amministrazione di sostegno della persona che si trovi nella piena capacità psico-fisica, ma non esige che la stessa versi in uno stato d'incapacità d'intendere o di volere, essendo sufficiente che sia priva, in tutto o in parte, di autonomia per una qualsiasi "infermità" o "menomazione fisica", anche parziale o temporanea e non necessariamente mentale, che la ponga nell'impossibilità di provvedere ai propri interessi; in tale ipotesi, il giudice è tenuto, in ogni caso, a nominare un amministratore di sostegno, poiché la discrezionalità attribuitagli dall'art. 404 c.c. ha ad oggetto solo la scelta della misura più idonea (amministrazione di sostegno, inabilitazione, interdizione) e non anche la possibilità di non adottare alcuna misura, che comporterebbe la privazione, per il soggetto incapace, di ogni forma di protezione dei suoi interessi, ivi compresa quella meno invasiva. (Nella fattispecie, la S.C. ha cassato la decisione di merito che aveva rigettato la richiesta di nomina dell'amministratore di sostegno perché l'interessato, affetto da una gravissima patologia comportante "shock" emorragici con rapida perdita della coscienza e compromissione delle funzioni vitali, nonché difficolta` nell'eloquio tali da consentirgli di esprimersi esclusivamente mediante computer, era tuttavia capace di intendere e di volere).

La l. 22 dicembre 2017, n. 219, recante norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento, è priva di efficacia retroattiva e non si applica dunque alle manifestazioni di volontà relative ai trattamenti sanitari espresse in data anteriore all'entrata in vigore della legge (31 gennaio 2018), fatta salva l'ipotesi, prevista dall'art. 6 della legge, in cui la volontà del disponente sia stata manifestata in documenti depositati presso il comune di residenza o presso un notaio prima della stessa data; ne consegue che la legge nuova è inapplicabile alle direttive anticipate di trattamento terapeutico che siano state, come nella specie, formulate in sede di designazione anticipata dell'amministratore di sostegno ai sensi dell'art. 408, comma 1, c.c. prima dell'entrata in vigore della legge e che siano contenute in una scrittura privata personalmente conservata dall'interessato. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO GENOVA, 19/07/2016)

Cass. civ. n. 19866/2018

L'amministrazione di sostegno può essere disposta anche nel caso in cui sussistano soltanto esigenze di cura della persona, senza la necessità di gestire un patrimonio, poiché l'istituto non è finalizzato esclusivamente ad assicurare tutela agli interessi patrimoniali del beneficiario, ma è volto, più in generale, a garantire protezione alle persone fragili in relazione alle effettive esigenze di ciascuna, limitandone nella minor misura possibile la capacità di agire.

Cass. civ. n. 12460/2018

In tema di amministrazione di sostegno, il giudice tutelare può prevedere d'ufficio, ex artt. 405, comma 5, nn. 3 e 4, e 407, comma 4, c.c., sia con il provvedimento di nomina dell'amministratore, sia mediante successive modifiche, la limitazione della capacità di testare o donare del beneficiario, ove le sue condizioni psico-fisiche non gli consentano di esprimere una libera e consapevole volontà. Infatti - esclusa la possibilità di estendere in via analogica l'incapacità di testare, prevista per l'interdetto dall'articolo 591, comma 2, c.c., al beneficiario dell'amministrazione di sostegno, ed escluso che il combinato disposto degli articoli 774, comma 1 e 411, commi 2 e 3, c.c., non consenta di limitare la capacità di donare del beneficiario - la previsione di tali incapacità può risultare strumento di protezione particolarmente efficace per sottrarre il beneficiario a potenziali pressioni e condizionamenti da parte di terzi, rispondendo tale interpretazione alla volontà del legislatore che, con l'introduzione dell'amministrazione di sostegno, ha voluto realizzare un istituto duttile, e capace di assicurare risposte diversificate e personalizzate in relazione alle differenti esigenze di protezione.

Cass. civ. n. 4709/2018

La generica, e peraltro del tutto soggettiva, valutazione di incapacità del soggetto di provvedere ai propri interessi, e la sua condizione di analfabetismo, non giustificano l'adozione di nessuna misura limitatrice della sfera di autonomia della persona, neppure l'amministrazione di sostegno, che ha quali presupposti l'infermità o la menomazione fisica o psichica della persona, oggettivamente verificabili, che determinino l'impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere alla cura dei propri interessi.

Cass. civ. n. 23571/2016

In tema di nomina dell'amministratore di sostegno, nel caso di collocamento del beneficiario in casa di cura, ove non ricorra prova della natura non transitoria del ricovero e della volontà dello stesso di ricollocare ivi il centro dei propri interessi e delle proprie relazioni personali, la competenza per territorio spetta al giudice tutelare del luogo in cui la persona interessata si presume abbia ancora la propria abituale dimora.

Cass. civ. n. 14983/2016

Il decreto della corte d'appello che nega l'apertura dell'amministrazione di sostegno è ricorribile per cassazione.

Cass. civ. n. 13929/2014

In caso di persona priva, in tutto o in parte, di autonomia, il giudice, ai sensi dell'art. 404 cod. civ., è tenuto, in ogni caso, a nominare un amministratore di sostegno poiché la discrezionalità attribuita dalla norma ha ad oggetto solo la scelta della misura più idonea (amministrazione di sostegno, inabilitazione, interdizione), e non anche la possibilità di non adottare alcuna misura, che comporterebbe la privazione, per il soggetto incapace, di ogni forma di protezione dei suoi interessi, ivi compresa quella meno invasiva.

Cass. civ. n. 16544/2013

In tema di nomina dell'amministratore di sostegno, la competenza per territorio spetta al giudice tutelare del luogo in cui la persona interessata abbia stabile residenza o domicilio; pertanto le risultanze anagrafiche non assurgono a dato preminente, se vengono superate da evenienze di fatto conclamanti un diverso effettivo domicilio della persona, nel cui interesse si chiede l'apertura del procedimento.

Cass. civ. n. 9389/2013

In tema di amministrazione di sostegno, la competenza territoriale si radica con riferimento alla dimora abituale del beneficiario e non alla sua residenza, in considerazione della necessità che egli interloquisca con il giudice tutelare, il quale deve tener conto, nella maniera più efficace e diretta, dei suoi bisogni e richieste, anche successivamente alla nomina dell'amministratore; né opera, in tal caso, il principio della "perpetuatio iurisdictionis", trattandosi di giurisdizione volontaria non contenziosa, onde rileva la competenza del giudice nel momento in cui debbono essere adottati determinati provvedimenti sulla base di una serie di sopravvenienze.

Cass. civ. n. 18320/2012

La disciplina normativa nell'amministrazione di sostegno è pienamente compatibile con la Convenzione di New York del 13 dicembre 2006, ratificata dall'Italia con gli artt. 1 e 2 della legge 3 marzo 2009, n. 18, nella parte che concerne l'obbligo degli Stati aderenti di assicurare che le misure relative all'esercizio della capacità giuridica siano proporzionate al grado in cui esse incidono sui diritti e sugli interessi delle persone con disabilità, che siano applicate per il più breve tempo possibile e siano soggette a periodica revisione da parte di una autorità indipendente ed imparziale (artt. 1 e 2), anche in ordine al decreto del giudice tutelare, il quale preveda l'assistenza negli atti di ordinaria amministrazione specificamente individuati, nonché, previa autorizzazione del giudice, di straordinaria amministrazione, ferma restando la facoltà del beneficiario di compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della vita quotidiana, con il dovere dell'amministratore di riferire periodicamente in ordine alle attività svolte con riguardo alla gestione del patrimonio dell'assistito, nonché in ordine ad ogni mutamento delle condizioni di vita personale e sociale dello stesso.

Cass. civ. n. 22332/2011

L'amministrazione di sostegno - introdotta nell'ordinamento dall'art. 3 della legge 9 gennaio 2004, n. 6 - ha la finalità di offrire a chi si trovi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minor misura possibile la capacità di agire, distinguendosi, con tale specifica funzione, dagli altri istituti a tutela degli incapaci, quali l'interdizione e l'inabilitazione, non soppressi, ma solo modificati dalla stessa legge attraverso la novellazione degli artt. 414 e 427 del codice civile. Rispetto ai predetti istituti, l'ambito di applicazione dell'amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa. Appartiene all'apprezzamento del giudice di merito la valutazione della conformità di tale misura alle suindicate esigenze, tenuto conto essenzialmente del tipo di attività che deve essere compiuta per conto del beneficiario e considerate anche la gravità e la durata della malattia, ovvero la natura e la durata dell'impedimento, nonché tutte le altre circostanze caratterizzanti la fattispecie.

Cass. civ. n. 19017/2011

Qualora non ricorra il requisito della volontarietà dello spostamento della dimora abituale o del domicilio del soggetto destinatario dell'amministrazione di sostegno, la competenza a decidere della revoca e della nomina di un nuovo amministratore di sostegno, ai sensi dell'art. 404 c.c., spetta al giudice della circoscrizione nella quale l'amministrazione era stata aperta e la prima nomina effettuata, non rilevando il luogo ove il beneficiario sia stato di fatto trasferito. (Nella specie la S.C. ha rilevato che nessun mutamento di residenza o domicilio, effetto di volontaria scelta del sostenuto, poteva ritenersi sussistente a seguito dell'acclarata sottrazione dello stesso dall'istituto nel quale era ricoverato).

Cass. civ. n. 4866/2010

In materia di misure di protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia, la legge 9 gennaio 2004, n. 6 ha configurato l'interdizione come istituto di carattere residuale, perseguendo l'obbiettivo della minor limitazione possibile della capacità di agire, attraverso l'assunzione di provvedimenti di sostegno temporaneo o permanente; ne discende la necessità, prima di pronunziare l'interdizione, di valutare l'eventuale conformità dell'amministrazione di sostegno alle esigenze del destinatario, alla stregua della peculiare flessibilità del nuovo istituto, della maggiore agilità della relativa procedura applicativa, nonché della complessiva condizione psico-fisica del soggetto e di tutte le circostanze caratterizzanti il caso di specie; mentre non costituisce condizione necessaria all'applicazione di tale misura la circostanza che il beneficiario abbia chiesto, o quantomeno accettato, il sostegno ovvero abbia indicato la persona da nominare o i bisogni concreti da soddisfare.

Cass. civ. n. 588/2008

In tema di nomina dell'amministratore di sostegno, ai sensi dell'art. 404 c.c. la competenza per territorio spetta al giudice tutelare del luogo in cui la persona interessata abbia la residenza o il domicilio; stante l'alternatività di detto criterio, lo stato di detenzione in manicomio giudiziario, in esecuzione di sentenza definitiva, avendo carattere coattivo, non implica in via automatica mutamento di domicilio il quale, ex art. 43 c.c., si presume ancora fissato, in difetto di manifestazione di volontà dell'interessato, nel luogo dove il predetto aveva abituale dimora prima dell'inizio del citato stato di detenzione. (Il principio è stato affermato dalla S.C. in sede di regolamento di competenza, dichiarata di spettanza del giudice tutelare dell'ultimo domicilio).

Cass. civ. n. 23743/2007

Il procedimento di nomina e regolamentazione dell'amministrazione di sostegno delineato dagli artt. da 404 a 413 c.c. e dall'art. 720 bis c.p.c., a seguito della legge 9 gennaio 2004, n. 6, è dotato di una sua autonomia e peculiarità, che esclude l'applicazione in via di interpretazione estensiva di norme diverse da quelle espressamente richiamate. Pertanto, nel caso di residenza dell'amministratore diversa da quella del beneficiato, non è applicabile l'art. 343, comma 2, c.c., che consente il trasferimento della tutela del minore nel circondario dove il tutore ha il proprio domicilio, in quanto non specificamente richiamato dalle norme sull'amministrazione di sostegno.

Cass. civ. n. 12466/2007

Nel corso del giudizio di interdizione o inabilitazione, spetta al giudice di merito di valutare, anche d'ufficio, ai sensi dell'art. 6 della legge n. 6 dei 2004, se trasmettere gli atti al giudice tutelare perché valuti l'opportunità di nominare l'amministratore di sostegno; di tale scelta, tuttavia, egli deve dare conto in motivazione, stante la finalità della nuova normativa di sacrificare nella minor misura possibile la capacità di agire delle persone.

Cass. civ. n. 13584/2006

L'amministrazione di sostegno introdotta nell'ordinamento dall'art. 3 della legge 9 gennaio 2004, n. 6 ha la finalità di offrire a chi si trovi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minor misura possibile la capacità di agire, distinguendosi, con tale specifica funzione, dagli altri istituti a tutela degli incapaci, quali l'interdizione e l'inabilitazione, non soppressi, ma solo modificati dalla stessa legge attraverso la novellazione degli artt. 414 e 427 del codice civile. Rispetto ai predetti istituti, l'ambito di applicazione dell'amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa. Appartiene all'apprezzamento del giudice di merito la valutazione della conformità di tale misura alle suindicate esigenze, tenuto conto della complessiva condizione psico-fisica del soggetto da assistere e di tutte le circostanze caratterizzanti la fattispecie.

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E. R. . chiede
mercoledì 07/02/2024
“Buongiorno avrei un quesito sull' amministrazione di sostegno:
Può un ads dimissionario continuare a ricevere la posta dell'ex amministrato al suo indirizzo personale (bollette, raccomandate e posta varia)senza disdire e passare al nuovo ads il tutto. Può mantenere una password che solo lui conosce sul fascicolo sanitario dell'ex amministrato impedendo a chiunque di accedervi e di conseguenza impedire all'ex amministrato o chi per lui di poter prenotare visite mediche?
Il nuovo ads è già stato nominato da oltre 6 mesi, ma i gestori di luce ,gas, telefono mi confermano che le bollette e le ricevute di pagamento varie arrivano ancora alla mail del precedente ads.
Il fascicolo sanitario è inaccessibile in quanto per accedere bisogna conoscere la password impostata dal precedente amministratore che peraltro si nega e risulta irreperibile.
Ci sono numerose mail dove l'ex ads sostiene di avere l'autorizzazione del GT per effettuare varie operazioni: trasferire l'amministrato in rsa, chiamare tecnici per valutare immobili, sanare abusi edilizi e simili.
Mail dove sostiene di aver ricevuto una denuncia per una costruzione pericolante.
Tutto si è rivelato falso il GT non aveva dato autorizzazioni a operare in nessuno di questi ambiti e non esisteva nessuna denuncia.
Ha dichiarato il falso per ottenere agevolazioni sanitarie e chiesto cifre spropositate per preventivi che non ha mai presentato.
Cosa rischia un ads che dice e scrive di avere autorizzazioni del giudice tutelare a fare determinate azioni per l'amministrato quando invece non ha alcunché? Può venire denunciato alla procura?
Grazie”
Consulenza legale i 20/02/2024
Da un punto di vista civilistico, un comportamento come quello descritto nel quesito e nei chiarimenti forniti in seguito è palesemente illegittimo.
L’amministratore di sostegno cessato dalla propria funzione non può, infatti, continuare a compiere atti per conto del beneficiario (ammesso che prima ne avesse il potere, in base a quanto stabilito dal decreto di nomina), ricevere o trattenere documentazione di spettanza del beneficiario (tanto più documentazione “sensibile” come quella sanitaria, addirittura impedendo al beneficiario e al nuovo amministratore di accedervi).
La prima azione da compiere nell’immediato è certo quella di segnalare la situazione proprio al Giudice tutelare (anche se, forse, ciò è già stato fatto); quest’ultimo potrebbe adottare, infatti, gli opportuni provvedimenti o quanto meno informare il pubblico ministero (sui risvolti penali della condotta del vecchio ads si dirà tra poco).
In secondo luogo, qualora la situazione non dovesse risolversi neppure con l’intervento del Giudice tutelare, sarà inevitabile rivolgersi a un legale per stabilire i passi da compiere.
Ad esempio, si potrebbe proporre ricorso per decreto ingiuntivo nei confronti dell’amministratore cessato per ottenere la consegna della documentazione indebitamente trattenuta; oppure si potrebbe valutare la praticabilità di un ricorso d’urgenza (art. 700 c.p.c.). Attenzione, però, perché la risposta non può essere data in astratto, in questa sede, ma occorrerà confrontarsi direttamente con un avvocato.
Dal punto di vista penale la situazione è abbastanza complessa, in considerazione del fatto che dalla richiesta di parere sembra potersi dedurre che l’amministratore ha posto in essere una serie di condotte diverse tra loro che potrebbero configurare altrettante fattispecie di reato.
Fermo restando che, dunque, onde percorrere la strada penale sarà meglio rivolgersi a un avvocato che rediga una denuncia - querela molto dettagliata in cui vengano analizzate tutte le condotte, può comunque dirsi quanto segue.
Se l’amministratore di sostegno si è appropriato di beni o di somme di denaro senza l’autorizzazione del giudice e/o comunque esuberando i compiti lui assegnati, il reato rilevante sarà quello di appropriazione indebita, previsto è punito dall’art. 646 del c.p..
Nel caso di specie, invero, l’amministratore di sostegno possiede i beni in nome e per conto dell’amministrato e l’utilizzo degli stessi uti dominus (cioè come se fosse il proprietario) e in esubero dei suoi compiti configura di certo la fattispecie in parola.
Se invece l’amministratore di sostegno ha, onde ottenere un proprio tornaconto, alterato la realtà dei fatti e/o compiuto artifici su documenti, la fattispecie rilevante potrebbe essere la truffa di cui all’ art. 640 del c.p.. Tale reato, invero, punisce proprio la condotta di chi, mediante artifizi o raggiri, induca taluno in errore e ciò consenta la disposizione di un atto patrimoniale cui consegua un danno al soggetto ingannato e un profitto per l’ingannatore.
Ancora - ma è una ipotesi più remota – se il profitto dell’ads è stato da questi conseguito mediante l’impiego di violenza o minaccia, addirittura potrebbe ricorrere il reato di estorsione di cui all’ art. 629 del c.p.
Come detto in precedenza, dunque, il novero dei reati astrattamente configurabili nel caso di specie è corposo e, pertanto, in casi del genere è essenziale fare riferimento ad un difensore di fiducia che analizzi tutti i fatti e li esponga con coerenza così sussumendoli nelle diverse fattispecie via via configurabili.


G. M. E. chiede
mercoledì 28/09/2022 - Marche
“Buongiorno.<br />
Vorrei sapere se un figlio ha diritto di conoscere le condizioni di salute di un genitore e a partecipare alle decisioni che riguardano tanto la sua salute quanto la vita personale.<br />
Ho due genitori di 85 e 86 anni. Mia mamma soffre di demenza e lo scorso febbraio il medico che la segue da alcuni anni ha ritenuto ci fossero le condizioni per richiederne l'invalidità. Mio padre sta bene.<br />
Tra me e mio padre non ci sono buoni rapporti.<br />
E' accettabile che mio padre rifiuti ai fratelli di mia madre di farle visita?<br />
E' accettabile che mio padre preferisca tenere mia madre con 5 radici dentali ( con rischio di granuloma e masticazione faticosa) piuttosto che rifare la dentiera come consigliato da più di un dentista?)<br />
E' giusto che pur avendo una domestica per 25 ore alla settimana ( regolarmente assunta) non sia possibile farla uscire nemmeno nel parco condominiale per qualche minuto al giorno?<br />
E' normale che da 15 anni non esca nemmeno per una pizza e intrattenga rapporti solo con marito, figlia, domestica?<br />
E' giusto che io non sappia quale terapia segue mia madre, se la pratica di invalidità è stata accolta, il nome della domestica?<br />
Grazie.”
Consulenza legale i 05/10/2022
Stando alla situazione descritta nel quesito, appaiono del tutto comprensibili i timori, manifestati dal figlio, circa le condizioni di vita e di salute della madre e la preoccupazione che quest’ultima possa non essere adeguatamente accudita.
Oltre a ciò, occorre tenere presente che il figlio ha un preciso dovere di prendersi cura del genitore anziano che non sia in grado di provvedere a se stesso, dovere che, se trascurato, diviene passibile anche di sanzioni penali (abbandono di incapaci, art. 591 del c.p.).

Ciò che si consiglia di fare, in questo caso, è richiedere al giudice tutelare la nomina per la madre di un amministratore di sostegno, come previsto dagli artt. 404 e ss. c.c., evidenziando nel ricorso, oltre alla condizione di “fragilità” della signora (ai sensi dell’art. 404 del c.c., può essere assistita da un amministratore di sostegno “la persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi”), anche le particolari motivazioni che inducono a temere che il marito non se ne prenda cura in maniera adeguata.

Ai sensi dell’art. 405 del c.c., il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno dovrà indicare, tra l’altro, gli atti che l'amministratore di sostegno ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario, gli atti che il beneficiario può compiere solo con l'assistenza dell'amministratore di sostegno, nonché i limiti, anche periodici, delle spese che l'amministratore di sostegno può sostenere con utilizzo delle somme di cui il beneficiario ha o può avere la disponibilità.
L’amministratore di sostegno dovrà rendere periodicamente conto della propria gestione al giudice tutelare.

Naturalmente, il figlio potrà proporre se stesso come amministratore di sostegno della madre, fermo restando che (come previsto dall’art. 408 del c.c.), la scelta dell'amministratore di sostegno, di competenza del giudice tutelare, deve avvenire “con esclusivo riguardo alla cura ed agli interessi della persona del beneficiario”.

C. chiede
giovedì 21/10/2021 - Piemonte
“Buongiorno, assisto un genitore quasi novantenne abbandonato dagli altri miei fratelli dopo un litigio per questioni legate alla sua pensione. Io lontano per lavoro mi sono subito messo a disposizione ad assisterlo giorno e notte, e ho notato un decadimento psicofisico notevole, non si cura, mangia quando capita, non si vuole cambiare d'abito, non si vuole lavare, non prende le medicine se non è stimolato. Ho iniziato per quante sono le mie capacità a cucinare e mangiare insieme, a seguirlo e curarlo mentre lui dimostra insofferenza e con appetito ora mangia ma per il resto si impunta. Ho sentito il suo medico di base che mi dice che aveva prescritto visita geriatrica già un anno fa mai fatta, il medico venuto a casa fa una breve visita di 10 minuti e prescrive nuova visita geriatrica oltre che rilevare problemi cardiaci e battiti sospetti, a domanda su che giorno fosse il genitore non sa rispondere.
Chiedo quindi al medico una diagnosi e lo stesso mi risponde, per me persona lucida capace di intendere e di volere, non posso obbligarlo a fare cose e visite che non vuole fare, ne io ne lei ne i servizi sociali possono. Gli spiego i problemi che ho trovato e mi risponde di non preoccuparmene, si faccia la sua vita e lui si arrangerà, se ha bisogno cercherà aiuto. Ho chiesto se il mio parere e ciò che ho visto e vissuto in questo periodo avesse un valore e il medico mi risponde: lo lasci da solo, se non vuole ascoltare che si arrangi se gli succede qualcosa lei non è responsabile. Sono costernato, possibile che un medico possa rispondere così su un paziente che ha visto per soli 10 minuti a cui però già da un anno aveva richiesto una visita geriatrica? Posso chiedere un Vostro gradito consiglio su cosa fare a tutela del genitore e mia? Ringrazio e saluto.”
Consulenza legale i 27/10/2021
Va subito premesso che il “consiglio” dato dal medico, oltre ad essere quanto meno discutibile sul piano etico, appare sicuramente criticabile anche dal punto di vista giuridico.
Abbandonare a se stesso un genitore anziano e palesemente non in grado di provvedere da sé alle più elementari esigenze di vita (tra le quali l’igiene personale, il nutrimento, l’assunzione di medicinali) può innanzitutto comportare, a carico dei figli, una responsabilità penale per abbandono di persona incapace ex art. 591 c.p., come è stato da tempo riconosciuto dalla giurisprudenza.
Ma, soprattutto, occorre utilizzare gli strumenti che la legge prevede per tutelare i soggetti che non siano in grado di provvedere da sé alla cura dei propri interessi.
In particolare, occorre che tale stato di incapacità del soggetto venga accertato da un giudice, il quale adotterà i provvedimenti conseguenti. Più concretamente, nel nostro caso si consiglia di rivolgersi al giudice tutelare, affinché nomini un amministratore di sostegno (ruolo che potrebbe essere svolto proprio dall’unico figlio che attualmente si occupa dell’anziano genitore), ex artt. 404 e ss. c.c.
Sarà il giudice tutelare, a seconda del grado di incapacità del padre, a indicare nel provvedimento di nomina anche gli atti che l'amministratore di sostegno avrà il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario. Tra i poteri dell’amministratore di sostegno, ad esempio, potrebbe rientrare anche il consenso ad eventuali trattamenti sanitari: naturalmente, si tratta di questione delicata che dovrà essere esaminata dal giudice alla luce di tutte le circostanze del caso concreto.
Occorre precisare che il procedimento di nomina dell'amministratore di sostegno non richiede necessariamente l'assistenza di un avvocato: tuttavia, la difesa da parte di un legale è necessaria quando si vada ad incidere sui diritti della persona, con limitazioni della capacità equiparabili, ad esempio, a quelli dell'interdizione. Ad ogni modo, l'assistenza di un avvocato è sicuramente consigliabile al fine di seguire correttamente la procedura prevista dalla legge (che prevede, ad esempio, la notifica a una serie di soggetti), nonché per redigere in maniera corretta il ricorso.

C.Z. chiede
martedì 15/06/2021 - Lombardia
“Buongiorno
mia mamma di 83 anni vive con mia sorella di 41 anni malata psichiatrica.
Ultimamente le condizioni di salute di mia madre sono peggiorate anche a livello psichico e non ritengo che l'una sia in grado di assistere l'altra.
Purtroppo mia sorella non ha dato il consenso per la privacy affinché io possa conoscere il suo effettivo stato di salute e non ammette la sua malattia, mentre mia mamma non riconosce il suo peggioramento di salute a livello psichico.
Mia sorella mi anche aggredita fisicamente e ho richiesto l'ammonimento.
Gli assistenti sociali non fanno nulla se mia mamma non accetta l'aiuto.
Per evitare che mia sorella si approfitti del tutto di mia mamma, su richiesta di mia mamma, sto facendo i documenti per la richiesta di amministratore di sostegno.
La mia domanda è : cosa posso fare sapendo mia mamma in mano di una figlia che potrebbe peggiorare ancora e non poter essere informata su cosa potrebbe succedere ?
Se dovessi trasferirmi in un'altra regione potrei incorrere nel reato di abbandono di incapace ?
Mi si richiedono soltanto dei doveri senza avere dei diritti almeno di informazione.”
Consulenza legale i 17/06/2021
La prima osservazione da fare è che l’anziana madre non può essere lasciata “in mano” dell’altra figlia. Infatti, stando a quanto viene riferito, quest'ultima soffrirebbe di patologie psichiatriche che la rendono, oltre che non in grado di provvedere a se stessa, pericolosa per gli altri.
È dunque evidente che la figlia necessita di una misura di protezione, qual è appunto l’amministrazione di sostegno (artt. 404 e ss. c.c.): sarebbe forse possibile anche l’interdizione, ma si tratta di un provvedimento che si tende ad evitare laddove non sia indispensabile per la tutela del soggetto debole.
Si consiglia, pertanto, a chi pone il quesito di avviare quanto prima la procedura per la nomina di amministratore di sostegno anche in favore della sorella.
Da notare che, nella scelta dell’amministratore di sostegno, il giudice tutelare deve dare precedenza, in linea di principio, alle persone legate al beneficiario da determinati rapporti, di parentela o altro; tuttavia, a seconda delle circostanze, potrà essere nominato un amministratore “esterno”, nella persona del Sindaco del comune di residenza - in questo caso, della persona si occuperanno i Servizi sociali - oppure un professionista, preferibilmente - ma non obbligatoriamente - iscritto negli elenchi appositamente tenuti presso i tribunali.
Quanto alla seconda questione, il trasferimento in un’altra regione non comporterebbe, di per sé, una possibile denuncia per abbandono di incapace. Occorre però che le interessate (madre e figlia) non vengano lasciate prive di assistenza e di qualcuno che possa occuparsi di loro, come appunto un amministratore di sostegno.
Infatti, in merito ai presupposti per la sussistenza del reato di cui all’art. 591 c.p., la giurisprudenza (Cass. Pen., Sez. V, 18/04/2016, n. 29666) ha chiarito che “l'elemento oggettivo del reato di abbandono di persone minori o incapaci è integrato da qualsiasi condotta, attiva od omissiva, contrastante con il dovere giuridico di cura (o di custodia), gravante sul soggetto agente, da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l'incolumità del soggetto passivo”.
Nel nostro caso, è indubbio che tale dovere giuridico di cura sussista in capo a chi pone il quesito, innanzitutto nei riguardi della madre: in proposito sempre la Cassazione (Sez. V Pen., sentenza 18/10/2016, n. 44089), ha precisato che il dovere di cura deriva dalle “norme di livello costituzionale riguardanti il riconoscimento della famiglia come società naturale (art. 29 Cost.), il suo inquadramento tra le formazioni sociali ove si svolge la personalità dei singoli e l'adempimento dei doveri di solidarietà sociale (art. 3 Cost.), nonché di quelle del codice civile che impongono il dovere di rispetto dei figli verso i genitori, che diventa concretamente stringente in caso di stato di bisogno ed incapacità del singolo a provvedere al proprio mantenimento (art. 433 c.c.)”, nonché “le norme contenute nel codice civile sull'amministrazione di sostegno, dirette ai figli, per l'attivazione di meccanismi giuridici di protezione dei genitori non autonomi”.
Considerazioni analoghe possono farsi con riguardo alla sorella, che risulta essere persona non in grado di badare a se stessa.

Lucrezia L. chiede
giovedì 15/04/2021 - Toscana
“Salve,
Mia nonna da circa 3 anni è residente presso l abitazione di mia zia. Mia nonna oltre a mia zia e mio padre (deceduto nel 2019) ha altri due figli.
Mia nonna riceve la pensione e l'accompagnamento in quanto soffre di demenza senile (tutto certificato) ed ha una casa di proprietà in Calabria dove appunto da 3 anni non è più residente. Uno defli altir due figli si è trasferito circa un mese fa in casa di mia nonna dove era stata staccata anche la luce. Si è trasferito lì senza il consenso di nessuno e si è fatto anche riattaccare la luce. Il soggetto oltretutto viene dalla Germania e ha viaggiato senza giusta causa in un momento in cui come sappiamo è vietato. Inoltre è un ex pregiudicato, ha scontato una lunga pena, e ovviamente non sarebbe in grado di prendersi cura di mia nonna. Questa estate mia zia vorrebbe portarla in vacanza presso la sua abitazione che però è occupata da questo soggetto. Mia zia non è tutrice legale di mia nonna ma nel momento in cui non era più capace di gestirsi autonomamente se ne è fatta carico in accordo con mio padre che era l'unico figlio che aveva contatti con lei. Il quarto figlio risulta irreperibile e non abbiamo sue notizie da anni. Come possiamo fare per mandare via da casa di mia nonna il figlio che la occupa senza nessun consenso?”
Consulenza legale i 22/04/2021
Da quanto riferito nel quesito, emerge che la nonna si trova, con ogni probabilità, in condizione di incapacità di intendere e di volere, che tuttavia non è stata “formalizzata” nel senso dell’adozione a sua tutela di uno degli strumenti appositamente previsti dalla legge in questi casi (amministrazione di sostegno, inabilitazione, interdizione).
Un altro dato certo è che, allo stato, solo la nonna, in quanto proprietaria dell’immobile in cui si è abusivamente installato il figlio, potrebbe agire in giudizio per rientrare nel possesso dell’abitazione.
Pertanto, l’iniziativa più urgente da compiere risulta essere la richiesta di nomina di un amministratore di sostegno (artt. 404 e ss. c.c.) dell’anziana donna, che possa assisterla ed eventualmente sostituirla (i poteri dell’amministratore di sostegno sono quelli indicati nel decreto di nomina, e possono variare da caso a caso) nel compimento di una serie di atti che ella non è in grado di compiere consapevolmente da sola.
Il procedimento di nomina dell’amministratore di sostegno si svolge dinanzi al giudice tutelare ed è un procedimento relativamente veloce e snello. L’unica difficoltà, se così si può chiamare, potrebbe essere rappresentata dalla necessità di notificare il ricorso anche ai figli (uno dei quali “irreperibile”, l’altro è proprio il soggetto che ha occupato l’immobile). Non si tratta però di ostacoli insormontabili; inoltre non vi sono altri modi per agire a tutela di una persona debole in un caso come questo.
Data la situazione, potrà essere nominata amministratore di sostegno la stessa figlia che già di fatto si dedica ad accudire la madre.
L’amministratore di sostegno potrà poi - previa autorizzazione del giudice tutelare (artt. 411 e 374 c.c) - proporre nei confronti del figlio l'azione più opportuna per la liberazione dell’immobile.

L.F. chiede
giovedì 21/01/2021 - Lombardia
“Buongiorno,
la nostra situazione riguarda nostro padre (siamo 2 figli, io e mia sorella, 50 e 48 anni), il quale dal 1979, separandosi con la nostra madre defunta, si è risposato e fatto una sua vita sempre a Milano.
I nostri contatti, dopo i primi 10 anni sono diventati sempre più saltuari, con le classiche telefonate per festività e nessun altro tipo di rapporto o mantenimento reciproco.

Ora, all’età di 81 anni, nostro padre presenta:
- Invalidità 100% senza accompagnamento
- Diabete con insulina, ipertensione, demenza senile
- Protesi anca(recente di dicembre 2020), deambula solo, forse quando uscirà dall’ospedale, con stampelle, con probabile richiesta, quindi, per ricevere accompagnamento.

La moglie:
- invalidità 100% grave con accompagnamento
- ipertensione, depressione, fibromialgia, demenza.
- deambula solo per brevi tragitti.

Inoltre, la casa abitativa presenta molti segni di non pulizia e stato di accumulo seriale da parte di entrambi.

Tutti e due hanno una pensione discreta di circa 3000€ mensili, ma vi sono sempre disordini e scompensi economici, dovuti alla mal gestione(debiti vecchi e continui per un tenore di vita non conforme alle loro possibilità a nostro avviso), oltre che avendo la casa di proprietà fino a 10 anni fa, la hanno venduta e sperperato, a nostro avviso, molta liquidità, ed ora vivono nello stesso appartamento, pagando l’affitto al nuovo proprietario, che sembra risulti essere uno dei tanti debitori.
Premetto che non abbiamo mai e poi mai usufruito o chiesto soldi a nostro padre, avendo io e mia sorella una vita indipendente con le rispettive famiglie, anzi. È capitato spesso il contrario, che fosse lui telefonarci, per prestargli dei soldi a metà mese, per arrivare alla fine e per poter fare la spesa.

La domanda, quindi, è:
come possiamo tutelarci, io e mia sorella, (pur avendo già provato svariate volte, di cercare insieme a loro una soluzione di RSA), ma siamo sempre stati respinti malamente, dalla totale responsabilità di come vogliano vivere la loro quotidianità futura, senza poi essere coinvolti, una volta che sarà troppo tardi?

Non vorremmo trovarci poi immersi in problematiche che andrebbero ad influenzare noi e le nostre famiglie, per tempo da dedicare e soldi, non viaggiando sicuramente in buone acque visto i tempi Covid, dove stiamo lavorando meno, e visto quello che è successo ultimamente con il ricovero di nostro padre, dove siamo stati costretti ad andare la pulire casa e sua moglie, e trovare delle soluzioni momentanee, con personale in aiuto e pagato.
Spero di essere stato esaustivo per la situazione creatasi ed attendo vostre.
Grazie e buona giornata.”
Consulenza legale i 28/01/2021
Va premesso che, nonostante i rapporti non esattamente idilliaci tra padre e figli, questi ultimi non possono pretendere di “non essere coinvolti” del tutto nella vita paterna. Infatti i figli non solo rientrano tra i soggetti obbligati a prestare gli alimenti al genitore che si trovi in stato di bisogno, ai sensi degli artt. 433 e ss. c.c., ma potrebbero incorrere, ricorrendone i presupposti, anche in responsabilità penali per violazione dell’art. 591 c.p. (si veda Cass. Pen., Sez. V, sent. 18/10/2016, n. 44089), in caso di “abbandono” del genitore anziano che sia bisognoso di protezione e assistenza.
Nel nostro caso, risulta che il padre e la di lui moglie, oltre a soffrire di svariate patologie, vivano in condizioni igieniche non proprio esemplari, oltre a gestire in maniera disordinata la propria situazione economica.
Pertanto, non si può prescindere dall’attivare una di quelle che il codice civile definisce “misure di protezione delle persone prive in tutto od in parte di autonomia”: in particolare, appare adeguata la nomina di un amministratore di sostegno (artt. 404 e ss. c.c.), i cui poteri verranno definiti in apposito decreto da parte del giudice tutelare, e che potrà assistere e/o sostituire la persona in difficoltà nel compimento degli atti della vita, dai più banali ai più “impegnativi” (questi ultimi sotto la supervisione del giudice tutelare).
Va detto anche che l’amministrazione di sostegno può consentire, tra l’altro, un “controllo” sui beni e sui redditi del beneficiario, naturalmente in funzione di protezione di quest’ultimo, per evitare che possa dissipare il proprio patrimonio.
Si deve precisare anche che i poteri dell’amministratore di sostegno (e le corrispondenti limitazioni alla capacità di agire del beneficiario) non sono predeterminati dalla legge, ma vengono stabiliti caso per caso, a seconda del grado di difficoltà in cui versi l’assistito.
Si consiglia, pertanto, di attivarsi in tal senso, tenendo presente anche che, quanto alla scelta della persona dell’amministratore di sostegno, nonostante la legge esprima preferenza - com’è naturale - per le persone più “vicine”, da un punto di vista di parentela o affettivo, è possibile anche la nomina di un amministratore di sostegno esterno (generalmente i tribunali tengono appositi elenchi da cui il giudice tutelare può attingere). Ciò potrebbe avvenire, ad esempio, in situazioni di conflittualità tra i soggetti interessati, e potrebbe costituire una soluzione nel nostro caso.
Quanto alla moglie del padre, che risulta necessitare di analoga assistenza, qualora non vi provvedano eventuali prossimi congiunti della stessa, la nomina dell'amministratore di sostegno potrà essere richiesta anche dai figli del marito, in quanto affini (artt. 406 e 417 c.c.).

Cristina R. chiede
giovedì 20/08/2020 - Estero
“Gentile Signore/ra,

Le scrivo perché a seguito della mia visita a casa (in Italia) mi sono resa conto che mia madre, seppure non dichiarata inferma di mente, sragiona. Il problema più grave è dato dal fatto che vive al di sopra delle sue possibilità economiche e fisiche, ma tristemente ho scoperto che è una fantasista con manie di grandezza che non solo racconta bugie sulla sua educazione (ha quinta elementare e racconta ad amici di famiglia di avere fatto "ragioneria" e di aver "salvato una multinazionale dal fallimento, riuscendo a far risparmiare 2 miliardi...), ma continua a prendere in casa troppi animali quando deambula a malapena sostenuta da girello, e tramite un gruppo ha su Facebook invita a casa sua gente insana di mente (l'ultima è stata una donna che ha raccontato di essere una vampira!).

Per esempio, mamma riceve una pensione di 630 euro al mese e paga in affitto (esclusi elettricità, tassa della spazzatura, acqua e riscaldamento, cibo per sé e mio fratello e 6 animali domestici) 400 euro al mese. Pare abbia ottenuto il 100% di invalidità civile (non percepisce niente, quindi non è appurabile in fatti) e già in passato il Comune le aveva assegnato abitazione a basso costo per via della sua situazione (fisica ed economica). Ad ogni modo questa spesa è eccessiva, e son venuta a sapere che potrebbe spender meno altrove, ma lei non vuole cambiare casa perché la "vuole grande", con giardino grande per gli animali, e lontana dal paese o città. Si tenga presente che mia madre non è in grado né di pulire una casa grande, né di accudire tutti gli animali ha, poiché è fisicamente debilitata e impossibilitata a muoversi sulle sue gambe! Queste sue scelte sconsiderate fanno sì che mio fratello deve non solo accudire lei in tutto e per tutto, ma gli animali e la casa.

Sono estremamente preoccupata perché mio fratello di 47 anni ha avuto e ha ancora problemi mentali - lei rifiuta l'accompagnamento e insiste a vivere come se i suoi limiti fisici ed economici non fossero reali.
Insiste anche con le fantasie, a mettersi in casa gente che non conosce e chiaramente persone affette da insanità mentali, e non ultimo, a vivere sperperando il poco denaro che ha, semplicemente perché a parole sue "vuole vivere come le pare".

Farà 72 anni a Novembre e sono oltre 15 anni che tenta di ricevere legalmente l'invalidità, senza successo a dispetto del fatto che è cardiopatica certificata, sorda da un orecchio, allergica a quasi tutti i medicinali e ora non deambula più autonomamente se non per qualche passo tra i mobili ai quali si regge. Sono certa ora, dopo averla rivista ed averci parlato, che mia madre è incapace di amministrare la sua vita. Ho parlato col suo medico di famiglia per vedere cosa è possibile fare poiché con le sue "scelte di vita" sperpera il poco denaro che ha, con conseguenti gravi pregiudizi economici anche per mio fratello che vive con lei.

Mi è chiaro che la situazione economica nella quale mia madre vive e fa vivere mio fratello è causata dalla sua inabilità di amministrarsi. È talmente seria che mi chiedo se posso agire legalmente per tutelarla da sé stessa e proteggere così anche mio fratello, il quale come accennato ha sofferto di depressione, ha limitata capacità di comprendere la realtà, e vive in un mondo di fantasia dove lui è capace di cose grandiose che non potrebbe mai fare. Sono entrambe afflitti da problemi mentali che li rendono incapaci di gestirsi nella vita come fa ogni adulto normale.

È possibile procedere per via legale per rendere mia madre inabile, sulla base di parziale incapacità e prodigalità come stipulato dall' articolo 415 del Codice civile, affinché io possa proteggerli entrambe?

Grazie per la vostra risposta!”
Consulenza legale i 25/08/2020
Il codice civile prevede tre tipologie di misure a tutela dei soggetti incapaci di intendere e di volere. Infatti, accanto agli istituti tradizionali dell’interdizione e dell’inabilitazione, è previsto ora anche lo strumento dell’amministrazione di sostegno.
Procediamo con ordine.
L’interdizione, disciplinata dagli artt. 414 ss. c.c., è lo strumento più radicale e "invasivo", nel senso che, di regola (e salve alcune eccezioni che vedremo fra poco), priva totalmente il soggetto della propria capacità di agire. Essa può essere disposta nei confronti di chi si trovi in condizioni di abituale infermità di mente, tale da renderlo incapace di provvedere ai propri interessi.
Ai sensi dell’art. 415 del c.c., si può ricorrere all’inabilitazione nei confronti: dell’infermo di mente, lo stato del quale non è talmente grave da far luogo all'interdizione; di colui che, per prodigalità o per abuso abituale di bevande alcoliche o di stupefacenti, esponga sé o la loro famiglia a gravi pregiudizi economici; del sordo o del cieco dalla nascita o dalla prima infanzia, se non hanno ricevuto un'educazione sufficiente, salvo disporre l'interdizione quando risulta che essi sono del tutto incapaci di provvedere ai propri interessi.
Vi è poi, appunto, l’amministrazione di sostegno (artt. 404 ss. c.c.), strumento certamente più flessibile, che può essere utilizzato a favore di chi, “per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi”.
La legge non predetermina gli effetti dell’amministrazione di sostegno: infatti, ai sensi dell’art. 405 del c.c., il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno deve indicare, tra l’altro, gli atti che l'amministratore di sostegno ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario, nonché gli atti che il beneficiario può compiere solo con l'assistenza dell'amministratore di sostegno.
Inoltre, a norma dell’art. 409 del c.c., il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno.
Viene poi precisato che “il beneficiario dell'amministrazione di sostegno può in ogni caso compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana”.
Va comunque detto che anche la “rigidità” dell’interdizione e dell’inabilitazione risulta attenuata per effetto delle recenti riforme, dal momento che ora l’art. 427 del c.c. prevede che, nella sentenza che pronuncia l'interdizione o l'inabilitazione, o in successivi provvedimenti dell'autorità giudiziaria, può stabilirsi che taluni atti di ordinaria amministrazione possano essere compiuti dall'interdetto senza l'intervento ovvero con l'assistenza del tutore, o che taluni atti eccedenti l'ordinaria amministrazione possano essere compiuti dall'inabilitato senza l'assistenza del curatore.
Quanto ai criteri di scelta tra le varie misure, occorre premettere che non si ritiene più, come un tempo, che l’interdizione sia riservata ai casi più gravi e l’amministrazione di sostegno a quelli meno gravi. Semmai, è necessario verificare quale strumento sia il più adatto a tutelare gli interessi della persona incapace.
In quest’ottica, anche l’interdizione non può considerarsi una scelta obbligata, neppure in casi di grave infermità di mente: del resto il nuovo testo dell’art. 414 c.c. precisa che si fa luogo ad interdizione quando ciò è necessario per assicurare l’adeguata protezione del soggetto “fragile”.
Ad esempio, secondo Cass. Civ., Sez. I, n. 22332/2011, “rispetto agli istituti dell'interdizione e dell'inabilitazione, l'ambito di applicazione dell'amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma alla maggiore capacità di tale strumento di adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, tenuto conto essenzialmente del tipo di attività che deve essere compiuta per conto del beneficiario, e considerate anche la gravità e la durata della malattia, ovvero la natura e la durata dell'impedimento, nonché tutte le altre circostanze caratterizzanti la fattispecie”.
Peraltro, la nomina dell’amministratore di sostegno è caratterizzata da un procedimento più snello e tendenzialmente più rapido rispetto all’interdizione.
Nel caso oggetto del quesito, pertanto, potrà procedersi con la richiesta di nomina di un amministratore di sostegno sia nei confronti della madre che del fratello. Il giudice tutelare sceglierà, preferibilmente, persone “vicine” al beneficiario. Nel caso in cui non vi siano coniuge, parenti o altri soggetti idonei tra quelli elencati dall’art. 408 del c.c., potrà essere nominato un amministratore “esterno”, cioè una persona diversa dai familiari dell'amministrato, purché sussistano gravi motivi (Cass. Civ., Sez. I, sent. n. 6861/2013). Inoltre, potrà essere designato amministratore di sostegno anche un comune (Cass. Civ., Sez. I, ord. n. 5123/2018): si tratta di un’ipotesi abbastanza frequente nella pratica.
Per una panoramica più completa si consiglia la lettura della nostra pagina tematica dedicata a famiglia, minori, alimenti e - per quanto qui specificamente interessa - tutela dei soggetti incapaci: https://www.brocardi.it/consulenza-legale-online/famiglia-incapaci-e-alimenti.html.

Silvano M. chiede
lunedì 08/06/2020 - Lombardia
“Buonasera, sono figlio unico di una coppia di coniugi ultra ottantenni sposati in regime di comunione dei beni. Mio padre è ricoverato in RSA con Alzheimer e incapace di intendere al 100% certificato.
Può mia madre mettere in vendita la casa coniugale senza reali motivazioni di necessità?”
Consulenza legale i 14/06/2020
Non è per nulla semplice disporre di beni appartenenti ad un persona incapace e la cui incapacità, peraltro, risulta ufficialmente accertata.
Diverse, infatti, sono le disposizioni che il codice civile detta a tutela degli incapaci e che occorre necessariamente osservare, soprattutto quando si ha intenzione di compiere un atto di straordinaria amministrazione, come la vendita di un immobile.

Innanzitutto, occorre considerare l’aspetto pratico della questione: sarà sicuramente impossibile riuscire a trovare un notaio disposto a ricevere l’atto di vendita di un immobile appartenente pro quota all’incapace, non potendo quest’ultimo validamente intervenire all’atto.
Dispone, infatti, l’art. 1425 c.c. che è annullabile il contratto in cui una delle parti sia legalmente incapace di intendere e di volere, così come è annullabile qualora ricorrano le condizioni di cui all’art. 428 del c.c., ossia quando si tratti di persona che, sebbene non interdetta, si provi essere stata, anche per una causa transitoria, incapace di intendere e di volere al momento in cui l’atto è stato compiuto.

Ciò comporta la necessità che, per giungere alla stipula del successivo atto di vendita, si debba procedere ad un primo indispensabile adempimento preliminare, ossia l’avvio della procedura di nomina di un rappresentante dell’incapace, ovvero di una persona che possa, previa autorizzazione giudiziale, intervenire in luogo dell’incapace nell’atto pubblico di compravendita.

Diverse sono le misure di protezione che il legislatore prevede a beneficio delle persone prive, in tutto o in parte di autonomia, identificabili nell’amministrazione di sostegno, nell’interdizione e nell’inabilitazione.
La scelta in ordine a quale forma di assistenza e tutela fare ricorso dipende dalle condizioni personali della persona da proteggere e dalle finalità che si intendono perseguire.
In particolare, tra le suddette forme di assistenza, l’amministrazione di sostegno costituisce lo strumento che sacrifica in minima misura la capacità di agire della persona interessata e che viene normalmente utilizzato per chi si trovi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi.

In ogni caso, nella scelta dell’istituto di protezione adatto, il giudice, tenuto conto del tipo di attività da svolgere, della gravità e durata della malattia o impedimento e di tutte le altre circostanze che caratterizzano la fattispecie, mirerà essenzialmente a garantire all’incapace la tutela più adeguata, limitando nella minore misura possibile la sua capacità.
Così, se il tipo di attività da compiere è minima e particolarmente semplice, tale da non pregiudicare i suoi interessi per la scarsa consistenza del patrimonio o la semplicità delle operazioni da svolgere, sicuramente si potrà procedere alla nomina di un amministratore di sostegno, mentre occorrerà fare ricorso all’interdizione o all’inabilitazione se occorre gestire un’attività di una certa complessità o se dovesse rendersi necessario impedire al soggetto da tutelare di compiere atti pregiudizievoli.

La giurisprudenza ha ritenuto l’amministratore di sostegno misura idonea anche per la tutela di soggetto affetto da gravissima infermità psicofisica o nel caso di impossibilità totale di provvedere ai propri interessi (tale da impedirgli di relazionarsi con l’esterno e di compiere i più elementari atti della vita quotidiana), purché la gestione del patrimonio non risulti particolarmente complessa (così Trib. di Modena Sez. II sent. 13.07.2005; Tribunale di Trapani sent. N. 82 del 23.01.2019).

Pertanto, se nel caso di specie la nomina di un rappresentante si rende necessaria soltanto per il compimento di questo singolo atto di amministrazione straordinaria (cioè la vendita della quota di comproprietà della casa coniugale), allora sarà sicuramente sufficiente avvalersi dell’istituto dell’amministrazione di sostegno, anche in considerazione del fatto che si tratta di persona in età assai avanzata ed in condizioni psicofisiche assai precarie.
Se, al contrario, l’incapace è ancora titolare di un cospicuo e vario patrimonio e, dunque, si dovranno ancora compiere nel suo interesse ulteriori e diversi atti di straordinaria amministrazione, in tal caso sarà sicuramente necessario avvalersi dell’istituto giuridico dell’interdizione.

Sulla scorta di quanto detto, ciò che si consiglia di fare, dunque, è di attivare il procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno (competente è il giudice tutelare del luogo in cui la persona incapace ha la residenza), chiedendo al giudice che, con il medesimo decreto di nomina, l’amministratore venga anche autorizzato a procedere alla vendita dell’immobile in questione.
Nel chiedere l’autorizzazione a tale vendita, si consiglia di evidenziare che trattasi di immobile di fatto non occupato dalla parte venditrice e che la proprietà di quell’immobile costituisce solo un gravoso onere per l’incapace, in quanto le spese occorrenti per la sua manutenzione sottraggono denaro liquido che potrebbe essere meglio destinato alla cura ed al mantenimento dello stesso nella struttura in cui si trova ospitato.

Si ritiene, infine, possa essere utile un ultimo suggerimento: considerato che anche la madre è molto anziana, sarebbe opportuno chiedere al medesimo giudice di nominare, con due distinti decreti, un unico amministratore di sostegno, che possa seguire entrambi i coniugi, autorizzandolo anche in questo caso a vendere la quota di proprietà che ha su quell’immobile destinato a casa coniugale.
In questo secondo caso, ovviamente, dovranno fornirsi adeguate garanzie in ordine al luogo in cui la madre andrà a vivere, non potendo certamente essere privata di una adeguata e sicura dimora.
Anche qui, quali motivazioni della vendita, potranno addursi quelle stesse sopra suggerite (ossia necessità di non far gravare sulla medesima le spese di gestione e manutenzione ordinaria e/o straordinaria dell’immobile da vendere).
Peraltro, procedendo in questo modo, si evita il rischio che, data l’avanzata età della venditrice, qualcuno possa in un successivo momento lamentare l’incapacità della stessa al momento della stipula dell’atto, né, del resto, sembra possibile alienare solo la quota di proprietà del padre (sarebbe difficile trovare un acquirente!).


Simone G. chiede
martedì 09/07/2019 - Liguria
“Buongiorno,
Espongo brevemente la mia situazione: mia zia ha 101 anni. Mi vorrebbe fare delega bancaria per espletare le spese correnti. Fino ad oggi se ne è occupato il suo compagno non convivente che non ha la firma sul conto. Mia zia ha fatto testamento a mia mamma e al suo compagno in egual misura, (visto che se ne occupano e la curano in tutti i modi), testamento al sicuro ma non registrato dal notaio ad oggi. La zia è perfettamente in grado di intendere e volere, anzi ha concluso da poco un contratto importante per proprietà che la riguardano. Domanda: può indicarmi come delegato a conto corrente per prelievi di denaro ecc. per spese di cui sopra? O in virtù della sua veneranda età ha bisogno del benestare di parenti vari, che tra l altro non se ne curano ma aspettano l'eredità impunemente?! Che altri rischi posso correre? Vorrei gentilmente delucidazioni in merito a questa situazione.”
Consulenza legale i 12/07/2019
Va subito precisato che l’età avanzata, di per sé, non fa venir meno la capacità del soggetto di provvedere ai propri interessi.
Infatti, ai sensi dell’art. 2 del c.c., la capacità di agire si acquista con il compimento della maggiore età e si conserva per tutta la vita, salvo che venga adottata, nei confronti del soggetto, taluna delle misure di protezione previste dalla legge.
Si tratta, in particolare, dell’interdizione (art. 414 del c.c.) e dell’inabilitazione (art. 415 del c.c.), le quali presuppongono gradi diversi di incapacità di provvedere ai propri interessi, a loro volta dipendenti da gradi diversi di infermità di mente.

Un discorso a parte va fatto per l’amministrazione di sostegno (art. 404 del c.c.), che, invece, a differenza delle altre due, non richiede necessariamente una patologia o un deficit mentale: infatti l’incapacità di occuparsi dei propri interessi può dipendere anche da malattie o difficoltà di tipo fisico che lasciano intatta la capacità di intendere e di volere.
Inoltre, anche in caso di infermità di mente, vi possono essere comunque atti che l’assistito può compiere da solo: infatti i poteri dell’amministratore di sostegno variano da caso a caso a seconda delle concrete condizioni del beneficiario.
Quando non è stata adottata alcune misura di protezione, ma risulta che un soggetto abbia compiuto atti a sé pregiudizievoli in quanto incapace - anche momentaneamente - di intendere e di volere, esiste la possibilità di annullare tali atti: si tratta dell’istituto della “incapacità naturale” di cui all’art. 428 del c.c.

Al di fuori, comunque, dei casi in cui vi sia una incapacità accertata da un giudice, il soggetto rimane pienamente capace di agire.
Pertanto la zia potrà validamente delegare il nipote al prelievo bancario ed alla gestione delle spese correnti; né sarà obbligatoria la nomina di un amministratore di sostegno,
In proposito una recente pronuncia di merito (Tribunale Vercelli decreto 16.10.2015), ha precisato che “ove la persona per la quale viene richiesta l'attivazione dell'amministrazione di sostegno in ragione dell'età avanzata e di deficit visivi, uditivi e di deambulazione di varia gravità, non sia affetta da alcuna patologia psichica e goda di una rete di ausilio costituita dal servizio di assistenza domiciliare, da parenti e vicini di casa e dal proprio legale, non deve farsi luogo all'amministrazione di sostegno – misura comportante la privazione, sia pure parziale, della capacità di agire – ben potendosi procedere, ove l'interessato vi consenta, al conferimento di una procura generale in favore di persona di stretta fiducia quantomeno per il compimento di attività di straordinaria amministrazione patrimoniale”.

Naturalmente, sarà opportuno che il nipote conservi copia della documentazione giustificativa dei movimenti bancari e dei pagamenti effettuati per conto della zia, onde dimostrare la correttezza del proprio operato in caso di contestazioni.

GIOVANNI T. chiede
giovedì 14/02/2019 - Trentino-Alto Adige
“La suocera ha compiuto 100 anni. Sono combattuto con mia moglie al riguardo che sua madre sia sorvegliata alla notte. Vive da sola. L'assistenza di giorno anche con badante inizia dalle ore 8,30 e termina alle 21,30. Dunque le restanti ore notturne è sola. Il letto è quello "ospedaliero" con spondine alte. Non ci vede, non sente, non deambula, sta sulla sedia a rotelle di giorno, osteoporosi, dolori e adesso non è sempre presente psichicamente. Da poco si prospetta il ricovero in casa di riposo. C'è sempre stata l'idea al rifiuto della suocera all'eventuale entrata in casa di riposo. Adesso però non potrebbe opporre resistenza, visto lo stato nel quale giace. Comunque lo stato di attesa all'entrata in casa di riposo potrebbe essere lungo. Così io mi domando: siamo sicuri del nostro operato che sia lecito, sufficiente e allora anche "legale"? Mi può illuminare?”
Consulenza legale i 16/02/2019
In primo luogo, occorre tenere presente che quando deve essere posta in essere una qualsiasi attività medica (come potrebbe essere nei confronti di Sua suocera, anche presso una struttura come la casa di riposo) è necessario il consenso informato del paziente (nessuno può essere sottoposto a trattamenti medici contro la sua volontà, art. 32 della Costituzione).
Tale principio, di rango costituzionale, è tra l’altro confermato a livello internazionale dalla Convenzione di Oviedo del 1997 che è stata ratificata dall’Italia con la Legge n. 145 del 28 marzo 2001.

Pertanto, se i suoi dubbi espressi nel quesito riguardano il ricovero nella casa di riposo sono del tutto fondati.

Da quello che leggiamo in quest’ultimo, infatti, riteniamo che la situazione di Sua suocera richieda la nomina di un tutore o, quanto meno, di un amministratore di sostegno poiché sembrerebbe che si tratti di soggetto incapace di provvedere ai propri interessi per cui andrebbe dichiarata l’interdizione (art. 414 c.c.) o nominato un amministratore di sostegno (art. 404 c.c.) prima di poter portarla in una casa di riposo.

L’interdizione può essere dichiarata quando una persona è totalmente incapace di intendere e volere. L’amministratore di sostegno viene invece nominato dal giudice tutelare per assistere e rappresentare chi, colpito da una menomazione fisica o psichica, si trovi nell'impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere in tutto o in parte al compimento delle funzioni della vita quotidiana (art. 404 c.c.).
Diciamo che nella prassi, quando si tratta di ricoveri come quello prospettato nel quesito, è più frequente la nomina di un amministratore di sostegno (anche perché è un provvedimento meno “pesante” di quello della nomina di un tutore che presuppone l’interdizione del soggetto).
In ogni caso, entrambi i predetti procedimenti fanno parte di quelli rientranti nella volontaria giurisdizione: si presenta un’istanza al giudice tutelare che procederà alla nomina del tutore o amministratore di sostegno.
Naturalmente, i figli (e quindi in questo caso Sua moglie) possono chiedere al Giudice di essere nominati tutore o amministratore.

Prima di qualsiasi istanza, suggeriamo comunque di rivolgersi ad un medico dell’Asl territorialmente competente per le valutazioni mediche del caso.
Ricordiamo anche che per il ricovero in strutture come le residenze sanitarie assistenziali è necessario un certificato di non autosufficienza in cui viene segnato il grado di gravità della malattia.
Fermo in ogni caso che poi il successivo consenso per il ricovero dovrà essere fornito dall’amministratore di sostegno nominato.

Laddove invece i Suoi dubbi riguardino la circostanza che Sua suocera, al momento, venga lasciata sola di notte riteniamo non possa configurarsi il reato di cui all'art. 591 c.p. in quanto leggiamo nel quesito che è stata adottata l'accortezza di usare un letto ospedaliero che eviti al soggetto di cadere in terra.
In merito a tale tipologia di reato la Cassazione (Cfr. sentenza n.48089/2016) ha sottolineato infatti che: "il reato scatta al compimento di qualsiasi condotta, attiva od omissiva, contrastante con il dovere giuridico di cura (o di custodia), gravante sul soggetto agente, da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l’incolumità dei soggetto passivo".


Erika V. chiede
mercoledì 09/01/2019 - Emilia-Romagna
“Buonasera,
Vi scrivo in quanto mia madre si trova in una situazione complicata che a mio avviso è gestibile solo per vie legali.
La madre di mia madre infatti (75 anni) è malata di cancro e vivendo da sola, in occasione di cure pesanti, spesso non riesce a provvedere alla sua sussistenza e cure.
Mia madre, che non vive nelle vicinanze, ha richiesto alle sue due sorelle di contribuire alle cure della madre malata.
Una sorella si è rifiutata di contribuire in qualsiasi modo e non vuole avere niente a che fare con la madre malata, e l'altra lavora all'estero e non è mai presente per prestare la sua assistenza.
Non trovo assolutamente giusto che mia madre si debba accollare da sola tutta la situazione e pertanto vorrei capire se ci sono i presupposti per un'azione legale nei confronti delle sorelle che così facendo stanno abbandonando la madre malata e costringono mia madre a gestire da sola il tutto.
Vorrei gentilmente capire come muoverci e se in caso di vincita della causa i costi legali dovranno essere sostenuti comunque da mia madre o dalle sorelle.”
Consulenza legale i 15/01/2019
A parte gli ovvi obblighi morali, quanto ai doveri previsti dalla legge si osserva quanto segue.

Da un punto di vista civilistico, possono essere intraprese due strade: un ricorso per chiedere gli alimenti in caso di situazione di stato di bisogno (articoli 433 e seguenti del codice civile) e/o un ricorso per chiedere la nomina di un amministratore di sostegno (articoli 404 e seguenti del codice civile).

Con riguardo la prima forma di tutela giudiziale, si evidenzia quanto segue.
Per chiedere in via giudiziale gli alimenti, occorre in primo luogo verificare se la situazione economica di Sua nonna, possa essere qualificata come “stato di bisogno”.
Riguardo tale concetto, quale presupposto del diritto agli alimenti previsto dall’art. 438 c.c., la Cassazione ha specificato che esso “esprime l'impossibilità per il soggetto di provvedere al soddisfacimento dei suoi bisogni primari, quali il vitto, l'abitazione, il vestiario, le cure mediche, e deve essere valutato in relazione alle effettive condizioni dell'alimentando, tenendo conto di tutte le risorse economiche di cui il medesimo disponga, compresi i redditi ricavabili dal godimento di beni immobili in proprietà o in usufrutto, e della loro idoneità a soddisfare le sue necessità primarie” (Cass. n. 25248/2013).
Infatti, il primo comma dell’art. 438 c.c. afferma che “Gli alimenti possono essere chiesti solo da chi versa in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento”.
Dunque, l’attribuzione degli alimenti non è automatica, ma è l’avente diritto che può scegliere se richiederli o meno. La non obbligatorietà degli alimenti si evince anche dal tenore dell’art. 445 c.c. il quale prevede che “Gli alimenti sono dovuti dal giorno della domanda giudiziale o dal giorno della costituzione in mora dell'obbligato, quando questa costituzione sia entro sei mesi seguita dalla domanda giudiziale”.
I soggetti tenuti agli alimenti sono elencati, nell’ordine, nell’art. 433 c.c.
In base all’art. 441 c.c., ciascuno degli obbligati deve concorrere in proporzione alle proprie condizioni economiche. Se non vi è accordo, provvederà l’autorità giudiziaria secondo le circostanze.

L’altra forma di tutela di cui si diceva è la nomina di un amministratore di sostegno.
Questa figura viene nominata dal giudice tutelare ed ha il compito di assistere e rappresentare chi, colpito da una menomazione fisica o psichica, si trovi nell'impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere in tutto o in parte al compimento delle funzioni della vita quotidiana (art. 404 c.c.).
Si tratta di un ufficio gratuito anche se il giudice, considerando l’entità del patrimonio e le difficoltà dell’amministrazione, può assegnargli un’equa indennità (art. 379 c.c.).

Ciò brevemente premesso da un punto di vista teorico, passando allo specifico della presente vicenda, laddove la situazione economica di Sua nonna possa dunque essere considerata uno stato di bisogno e non vi sia - come pare - un accordo dei figli in ordine a provvedere agli alimenti, suggeriamo di agire nel modo che segue.
Se si vuole evitare che Sua nonna presenti in prima persona il ricorso per gli alimenti (seppur comunque tramite l’assistenza di un avvocato), Sua madre potrebbe presentare un ricorso per chiedere di essere nominata amministratore di sostegno. Una volta ottenuta la nomina, potrebbe chiedere al Giudice che disponga gli alimenti a carico anche degli altri obbligati (cioè gli altri due figli di Sua nonna che al momento si disinteressano completamente).
Il giudice, secondo le circostanze, individuerà i modi di somministrazione (in base all’art. 443 c.c. chi deve somministrare gli alimenti ha la scelta di adempiere o mediante un assegno alimentare o accogliendo e mantenendo nella propria casa l’avente diritto).

Con riguardo chi debba sostenere i relativi costi processuali (contributo unificato, marca da bollo e parcella avvocato) essi sarebbero comunque a carico di Sua nonna (a meno che non sia ammessa al gratuito patrocinio) in quanto nei procedimenti di volontaria giurisdizione non è prevista una condanna alle spese (Cfr. Cass.15131/2015).

Precisato quanto precede dal punto di vista civilistico, per completezza, diamo alcuni brevissimi accenni dal punto di vista di una eventuale tutela in sede penale.
Laddove venisse accertato lo stato di bisogno ed i soggetti obbligati (i figli di Sua nonna) continuino a non provvedere, potrebbe ipotizzarsi il reato di cui all’art. 570 c.p. in quanto vi sarebbe una violazione degli obblighi di assistenza familiare.

Oltre la violazione di una assistenza economica, potrebbero anche esservi i presupposti del reato di abbandono della persona incapace previsto dall’art. 591 del codice penale.
Sul punto, la Suprema Corte ha infatti sottolineato che: “la vecchiaia, al pari di altre non specificate, è intesa causa d'incapacità dell'offeso di provvedere a se stesso, alternativa all'infermità fisica o mentale della persona abbandonata. Essa implica la "cura" della persona incapace, se non la sua "custodia", perché le siano assicurate le misure necessarie per l'igiene propria e dell'ambiente in cui vive. Pertanto l'abbandono integra in tal caso l'estremo di condotta criminosa, da cui dipende l'evento di pericolo.” (Cass.31905/2009).

Laddove si intenda chiedere l’accertamento in sede penale dell’una e/o dell’altra ipotesi di reato, occorrerebbe ovviamente presentare una denuncia querela presso un comando di polizia o carabinieri (o direttamente presso una procura della repubblica).

Anonimo chiede
lunedì 11/04/2016 - Sardegna
“Egregi Avvocati,

Nel (omissis) lasciai il lavoro per assistere a tempo pieno mia madre, che era reduce da una frattura di femore, e mia sorella disabile.

Allora mia mamma aveva (omissis) anni e mia sorella (omissis) e io (omissis).

Nel (omissis) mia madre mi donò, tramite atto notarile, il suo 1/3 di quota dell'immobile in nuda proprietà nel quale convivemmo, tenendosi per se l'usufrutto.

Mia madre mi donò sia la parte a titolo di disponibile e l'eventuale esubero a titolo di legittima e deve intendersi a titolo di remunerazione per l'assistenza da me prestatale in occasione della malattia.
E con l'onere da parte mia di prestarle assistenza morale e materiale finché mia madre fosse stata in vita.

Accettai la donazione.

Escluse tutti gli altri figli dalla donazione in quanto io fui l'unico di (omissis) figli che fui disposto ad assisterla.

Con tutti gli altri miei fratelli ereditammo già la quota di nostro padre da tempo defunto.
L'immobile avrà un valore più o meno di (omissis) euro.

Nel (omissis) feci ricorso per diventare amministratore di sostegno di mia sorella invalida.
Andammo, con mia madre mia sorella ed io, davanti al giudice tutelare a prestare giuramento.

Nel (omissis) mia madre muore.

Adesso credo di essere in conflitto d'interesse con mia sorella disabile per lesione di legittima.

Come posso fare per non perdere l'amministrazione di sostegno di mia sorella?

Distinti saluti.

(omissis)
Consulenza legale i 17/04/2016
Com’è noto, la disciplina dell’amministrazione di sostegno, contenuta all’interno del titolo XII del libro primo del codice civile relativo alle “misure di protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia” è stata introdotta dal legislatore con la Legge n. 6 del 2004 per offrire un aiuto concreto a quelle persone che, per effetto di infermità o a causa di una menomazione fisica o psichica, sono impossibilitate (anche parzialmente o in via temporanea) a provvedere ai propri interessi (art. 404 c.c.).
Secondo il legislatore i soggetti tra i quali scegliere per la nomina dell’amministratore di sostegno dovrebbero rientrare, se possibile, nella cerchia dei parenti o comunque dei familiari dell’amministrando, e questo perché il criterio fondamentale nella scelta della figura in questione è quello di aver riguardo alla cura ed agli interessi della persona del beneficiario (art. 408 c.c.): si presume, perciò, che le persone a quest’ultimo più vicine fisicamente e/o affettivamente siano quelle maggiormente in grado e con la volontà effettiva di tener conto dei suoi bisogni e delle sue aspirazioni (art. 410 codice civile).
Può sempre capitare, tuttavia, che nonostante i particolari rapporti tra amministrato ed amministratore, quest’ultimo si trovi in una situazione di contrasto con il primo oppure compia scelte o ponga in essere atti dannosi nei confronti del medesimo, oppure ancora sia negligente nel perseguire l’interesse del beneficiario, nel soddisfare i suoi bisogni e le sue richieste: in tali casi il beneficiario stesso, il pubblico ministero o altri soggetti individuati dalla legge possono ricorrere al Giudice Tutelare affinché quest’ultimo adotti i provvedimenti più opportuni (art. 410 c.c.).
Se, ancora, l’amministratore di sostegno compie atti in violazione alla legge o in eccesso rispetto all’oggetto del suo incarico e dei suoi poteri, tali atti possono essere annullati su istanza dell’amministratore stesso, del pubblico ministero, del beneficiario o infine dei suoi eredi ed aventi causa (art. 412 c.c.)
La disciplina dell’amministrazione di sostegno, sotto il profilo anzidetto, va integrata poi con le norme relative alla tutela, e ciò per effetto dell’articolo 411 che rinvia espressamente ad alcune disposizioni che disciplinano, tra le altre ipotesi, anche i casi di rimozione e sospensione dall’incarico di tutore (e quindi, per analogia, di amministratore di sostegno): la rimozione dall'incarico può intervenire per decisione d’ufficio del Giudice Tutelare quando l’amministratore si sia reso colpevole di negligenza o abbia abusato dei suoi poteri.
Alcuni commentatori ritengono che nell’ipotesi dell’abuso di potere, in particolare, rientrino altresì le ipotesi di conflitto di interessi: in realtà è bene chiarire che in nessuna norma dedicata all'amministrazione di sostegno, né in quelle che disciplinano la tutela e la curatela è contenuto alcun accenno all’ipotesi del conflitto di interessi. La soluzione pertanto a quest’ultimo problema va individuata a livello interpretativo.
E’ evidente che non si può ritenere che il conflitto d’interessi tra amministrato e amministratore – in quanto non menzionato e disciplinato espressamente - non sia rilevante o censurabile: si tratta, infatti, di una situazione prevista in generale dal nostro ordinamento e pacificamente sanzionabile.
Una prima disposizione che può fungere da riferimento per individuare una soluzione al problema si può trovare nell’art. 410 c.c., laddove è stabilito che in caso di contrasto, di scelte o di atti dannosi, ovvero di negligenza rispetto alla cura degli interessi del beneficiario, il giudice tutelare può adottare gli opportuni provvedimenti a richiesta del pubblico ministero o degli altri soggetti di cui all’art. 406 c.c..; un aiuto può venire poi dalla lettura dell’art. 411 c.c., comma 4, il quale stabilisce che il giudice tutelare può disporre che determinati effetti, limitazioni o decadenze, previsti per l'interdetto o l'inabilitato, si estendano al beneficiario dell'amministrazione di sostegno, avuto riguardo all'interesse del medesimo e all'interesse tutelato dalle disposizioni in argomento.
Partendo da queste norme, parte della giurisprudenza ha individuato una soluzione che – benché non prevista nella disciplina dell’amministrazione di sostegno, è tuttavia mutuata da quella sulla tutela: si tratta della nomina di un co-amministratore, ovvero una figura che (qual è il pro-tutore) affianchi l’amministratore “titolare” nel suo ruolo e impedisca il compimento di atti che possano essere pregiudizievoli per il beneficiario. Si veda tal proposito Tribunale Modena, sez. II, 16/06/2014: “Pur nel silenzio della legge, la nomina di un coamministratore di sostegno deve ritenersi ammissibile e ciò alla luce della ratio che presiede al sistema di protezione delle persone prive di autonomia, tutta imperniata sulla cura e sulla tutela degli interessi della persona del beneficiario. Tale giudiziale facoltà resta tuttavia subordinata all’esistenza, in concreto, di particolari esigenze che giustifichino la nomina stessa, come, ad esempio, quella di evitare l’insorgenza (ovvero il procrastinarsi) di un conflitto di interesse tra beneficiario ed amministratore (cfr. l’art. 360 c.c.), come pure quella riscontrabile allorché il familiare più idoneo ad occuparsi della cura ed assistenza della persona non disponga tuttavia delle competenze specifiche necessarie alla gestione della sfera patrimoniale del beneficiario (…)”.
Altra soluzione, analoga a quella appena ipotizzata, ma di carattere temporaneo, è la nomina di un curatore speciale, da individuare – evidentemente – solo in e per una determinata occasione in cui si possa prevedere l’insorgere del rischio di conflitto di interessi.
Esaurita la panoramica normativa, nel caso concreto in esame, è fuor di dubbio che si versi in un’ipotesi di conflitto di interessi anche se la fattispecie si discosta parzialmente da quelle che sono state sopra illustrate dal momento che la situazione di conflitto deriva da un atto specifico da compiersi ma si è già concretizzata, in forza degli effetti della successione materna sulla titolarità dei diritti ereditari in capo a fratello e sorella e del conseguente sbilanciamento che si è venuto a creare tra questi ultimi.
Qualora gli altri fratelli le cui quote ereditarie sono state lese dovessero contestare la donazione a suo tempo effettuata dalla madre, sarebbe, in effetti, non solo probabile ma altresì del tutto legittima da parte di questi ultimi una richiesta di revoca/rimozione dall’incarico di assistenza alla sorella per il fratello beneficiario di quota lesiva delle altre.
A questo punto, pertanto, ad avviso di chi scrive, anche alla luce di quanto sopra esposto, il fratello amministratore avrebbe a disposizione due soluzioni:
a) prendere per primo l’iniziativa di esperire una specifica azione giudiziaria finalizzata, in buona sostanza, a ridurre la propria quota ereditaria ed a ripristinare l’integrità di tutte le quote di legittima senza lesioni dannose: in tal modo potrebbe eliminare alla radice la situazione di conflitto attualmente esistente, tranquillizzando gli altri eredi e continuando a svolgere il proprio incarico senza rischi;
b) chiedere, ottenuto il previo assenso degli altri coeredi, la nomina di un soggetto (che sia curatore speciale o co-amministratore poco importa) che lo affianchi, stabilmente o in particolari occasioni, nell’incarico di assistenza: è evidente, però, che questa seconda soluzione presuppone che i fratelli siano edotti della situazione di illegittima disparità tra quote ereditarie e non intendano rimuoverla formalmente con un’azione giudiziaria.
A tacitazione di ogni rischio, rimane consigliabile, in definitiva, eliminare il conflitto d’interessi e ripristinare la legittimità degli effetti della successione.

Carmela D. P. chiede
domenica 02/08/2015 - Lazio
“Egregio Avvocato le espongo in breve la mia situazione.
Circa 5 anni fa è stato diagnosticato a mia madre il morbo di Alzheimer ed il neurologo che le fece la diagnosi mi disse chiaramente che non poteva vivere da sola e che aveva bisogno di cure costanti specialmente con il progredire della malattia. Premetto che mia madre ha 83 anni, è vedova, ha 5 figli (4 viventi) di cui 2 maschi che vivono a Colonia in Germania e 2 femmine che vivono rispettivamente a Terni e a Roma (la sottoscritta). Subito dopo aver comunicato ai miei fratelli la diagnosi del neurologo, convenimmo che nell’immediato avrei potuto fronteggiare io la situazione e che a tendere avremmo trovato un accordo sulla gestione futura (da allora nulla di fatto). Io sono felicemente sposata e vivo a Roma con mio marito e mia madre. Io e mio marito lavoriamo e ci occupiamo di sicurezza informatica e mia madre vive con noi con l’ausilio di una badante diurna (8 ore dal lunedì al venerdì e giorni extra quando andiamo in trasferta o abbiamo urgenze) per coprire l’assistenza durante le nostre assenze a causa del lavoro. Le spese sostenute per mia madre quasi sempre eccedono la pensione che percepisce (2000 euro mensili tra pensione ed accompagnamento) a causa di tasse e spese varie sulla proprietà nonché i costi della badante. Siamo in un momento difficile per cui ed io e mio marito non possiamo più far fronte alle spese extra che comunque vanno sostenute pur volendo comunque occuparci di mia madre. Non sto qui a spiegare cosa comporta occuparsi di un malato di Alzheimer non solo in termini economici ma anche in termini di impegno fisico e morale, ma vorrei capire quali strumenti giuridici posso utilizzare nei confronti dei miei fratelli (inadempienti in tutto) per chiedere sia un aiuto economico che morale (non la chiamano mai, non vengono mai a trovarla non vogliono tenerla neanche per brevi periodi per consentirci una vacanza soli e spensierati) e soprattutto per costringerli a prendersi cura di nostra madre. Ne abbiamo parlato più volte ma loro affermano che non hanno le condizioni economiche per aiutarla (anche se non è vero) per cui la loro soluzione è trovare una casa di cura al costo della pensione che percepisce e tenerla lì a vita. Sia io che mio marito (e mia madre stessa che nei momenti di lucidità esprime il suo dissenso) non siamo d’accordo. Per arginare il problema economico, mia madre mi vorrebbe nominare amministratore di sostegno per procedere alla vendita dei beni immobili e far fronte così alle spese necessarie al suo mantenimento e per ‘ripagarci’ delle spese che fino ad oggi abbiamo sostenuto io e mio marito, ma non so se la strada è percorribile e se il giudice mi permetta di farlo dato che la sua pensione, come ho già detto, non è esigua. Per farla breve gradirei cortesemente sapere se:
- I miei fratelli sono tenuti a pagare le spese eccedenti la pensione, le tasse che gravano sugli immobili che un giorno avranno in eredità, ed i costi per il mantenimento del patrimonio?(manutenzione terreni e 2 fabbricati)
- I miei fratelli sono tenuti ad ospitare mia madre in casa propria nei momenti di mia indisponibilità o almeno sostenere per intero il costo della badante fissa? (trasferte di lavoro all’estero, malattia prolungata, urgenze varie...)
- Nel caso i miei fratelli non vogliano accogliere nostra madre in casa propria possono optare per una casa di cura anche contro la sua volontà? In caso affermativo devo concorrere anch’io, pur non essendo d’accordo, a pagare la casa di cura anche se me ne sono sempre occupata a mie spese?
- Per le spese sostenute in eccesso (tutte documentate) potrò rivalermi in sede di spartizione dell’eredità sulle quote di eredità dei miei fratelli?
- Se conseguo la nomina di amministratore di sostegno potrò gestire il patrimonio secondo la volontà di mia madre e con il solo controllo del giudice? Le sarei grata, Avvocato, se per ogni quesito mi indicasse, nel caso fosse perseguibile, cosa dovrò fare in termini legali
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 05/08/2015
- La risposta alla prima domanda è negativa, allo stato attuale. Per quanto concerne le tasse e gli altri oneri e spese gravanti sul patrimonio immobiliare della madre, ella risulta agli occhi dei creditori (es. fisco) l'unica debitrice. Se la signora non ha un patrimonio sufficiente a far fronte a tutte le spese derivanti dagli immobili, i creditori potranno seguire le vie ordinarie per il recupero coattivo dei loro crediti (es. espropriazione immobiliare, iscrizione di ipoteche, ...), mentre nulla potrà essere chiesto ai figli, neppure a colei che finora ha contribuito - del tutto volontariamente - agli esborsi economici della madre.

Discorso a parte concerne il pagamento delle spese attinenti alla persona dell'anziana. Quel che finora non è stato dato, purtroppo, non può essere recuperato. Tuttavia, è in facoltà della donna, in prima persona o mediante un legale rappresentante (es. amministratore di sostegno) promuovere un giudizio per la domanda degli alimenti ai figli. Una volta che il giudice abbia accertato lo stato di bisogno della madre, i figli potranno ottenere l'esonero dall'obbligo alimentare solo laddove possano provare che a ciò ostino le loro precarie condizioni economiche. Ciò significa che il giudice eventualmente chiamato a decidere se concedere o meno gli alimenti, deve valutare se la persona obbligata ha la capacità economica per prestare l'aiuto richiesto (art. 438 del c.c.).

- Non esiste un obbligo giuridico che impone ai figli di accudire la propria madre: si tratta di un obbligo solo morale, che però non prevede una sanzione giuridica. I figli, quindi, anche se chiamati a prestare l'obbligazione alimentare, non potranno mai essere costretti a convivere con la madre, nemmeno per brevi periodi.
Quanto al costo della badante, si torna a ribadire quanto sopra detto in tema di alimenti: solo il giudice può individuare se sussista uno stato di bisogno della donna e se i figli hanno la capacità economica per contribuire alle spese necessaria alla vita dell'anziana.

- La scelta del ricovero in una casa di cura, fintanto che la donna non ha un rappresentante legale, può essere dalla stessa rifiutata. Nel momento in cui si rendesse opportuno o necessario nominare un tutore o un amministratore di sostegno, la scelta relativa al luogo in cui far abitare e curare la donna spetterà a tale soggetto, sempre con supervisione del Giudice. Qualora si ottenesse legittimamente il trasferimento dell'anziana nella casa di riposo, i figli dovranno contribuire alla retta solo se riconosciuti debitori di una obbligazione alimentare (torniamo a ribadire che serve una sentenza di un Giudice). Anche la figlia che ha sempre curato la madre può essere chiamata dal giudice a contribuire: non va dimenticato, infatti, che ai sensi del codice civile non è ammessa la restituzione di quanto è stato spontaneamente prestato in esecuzione di doveri morali o sociali (art. 2034 del c.c.).

- Le spese affrontate dall'unica figlia che ha curato l'anziana madre non possono essere oggetto di ripetizione (cioè restituzione) nei confronti dell'eredità, ai sensi del citato art. 2034 c.c.
Qualora, però, la madre - finché è in vita - doni alla figlia parte dei suoi beni a titolo di donazione rimuneratoria per i servizi a lei resi (art. 770, comma secondo, c.c.), non scatterà per la figlia l'obbligo di imputare all'eredità in collazione tali donazioni, cioè, in altre parole, ella potrà trattenerle senza che nasca a favore dei fratelli il diritto ad avere una medesima quantità di valore ("Non sono soggette a collazione le liberalità previste dal secondo comma dell'articolo 770", art. 742 del c.c., ultimo comma).

- La risposta è certamente positiva. Una volta che la figlia viene nominata amministratrice di sostegno, ogni decisione andrà presa da questa con il consenso della madre (per gli atti che le sono stati riservati, cioè che può ancora compiere consapevolmente) e con l'ausilio o l'autorizzazione del Giudice tutelare o del Tribunale. Il decreto di nomina dell'amministratore di sostegno stabilirà in quali atti quest'ultimo presterà mera assistenza al beneficiario e in quali altri lo sostituirà invece del tutto. Per alcuni atti sarà richiesta l'autorizzazione del Giudice tutelare (es. accettazione di eredità), mentre per altri l'autorizzazione del Tribunale, su parere del Giudice Tutelare (es. alienare beni).
Gli altri figli (che non sono amministratori di sostegno) non potranno far valere alcuna propria decisione o volontà, a meno che l'amministratore di sostegno nominato si comporti in maniera negligente ed essi, rivolgendosi al giudice, ne ottengano la sostituzione con altro che, poi, potrà eventualmente decidere secondo il loro desiderio.

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