La legge esclude dalla collazione:
a) le spese di mantenimento, educazione e malattie. Le due prime categorie erano già previste dall’articolo #1009# del vecchio codice del 1865, mentre l’ultima è, in sostanza, un'esplicazione della prima, dal momento che l’obbligo alimentare comprende i medicinali e le cure.
b) le spese ordinarie per abbigliamento e nozze. Sono ordinarie le spese che si suole fare e nella misura che è consueta; esse rientrano, in sostanza, nel mantenimento, concepito però in senso ampio: dunque la dottrina esclude, generalmente, dall’obbligo della collazione non soltanto il comune vestiario, ma anche gli oggetti, arredi ed indumenti occorrenti per talune cariche e funzioni civili, militari, ecclesiastiche, diplomatiche etc. sempre, beninteso, nei limiti dell’uso.
Il vecchio codice del 1865, articolo #1007#, dichiarava in ogni caso soggetto a collazione il corredo nuziale. La legge attuale lo esclude, salvo per la parte che ecceda notevolmente la misura ordinaria, tenuto conto delle condizioni economiche del defunto. Occorre, pertanto, proporzionare il corredo alle condizioni del de cuius in rapporto alle consuetudini sociali per vedere se vi sia eccesso notevole e quindi conferibile.
Lo stesso codice precedente, all’art. #1009#, escludeva le spese di istruzione. La norma in esame ha reso deteriore la condizione del discendente, dichiarando soggetto a collazione soltanto l’eccesso, commisurato nel modo appena descritto alle sostanze del de cuius ed alle consuetudini sociali.
L’art. #1009# escludeva i
regali d’uso, cioè quelli soliti a farsi in certe occasioni (Natale, Pasqua, Compleanno, etc.). Il codice attuale ha fatto riferimento all’art.
770, il quale dichiara che non costituisce donazione la liberalità che si suole fare in occasione di servizi resi o comunque in conformità agli usi. La Commissione parlamentare aveva proposto di sostituire alla formula “in occasione di servizi” quella “a causa di servizi”; ma il Ministro respinse la proposta, osservando che essa avrebbe snaturato il concetto di liberalità d’uso ed avrebbe piuttosto richiamato il concetto di atto oneroso. Deve quindi trattarsi di quei doni, naturalmente modici, che si fanno a colui che rende un servizio o anche fuori di questa ipotesi, ma sempre in obbedienza ad una norma del costume, in cui l’
animus donandi consiste, più che in un senso di benevolenza, in un atto di obbedienza ai
mores.