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Articolo 591 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 02/10/2024]

Abbandono di persone minori o incapaci

Dispositivo dell'art. 591 Codice Penale

Chiunque abbandona(1) una persona minore degli anni quattordici, ovvero una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa(2), e della quale abbia la custodia o debba avere cura(3), è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.

Alla stessa pena soggiace chi abbandona all'estero un cittadino italiano [4] minore degli anni diciotto, a lui affidato nel territorio dello Stato [4] per ragioni di lavoro.

La pena è della reclusione da uno a sei anni se dal fatto deriva una lesione personale [582], ed è da tre a otto anni se ne deriva la morte(4).

Le pene sono aumentate se il fatto è commesso dal genitore [540], dal figlio, dal tutore [346] o dal coniuge, ovvero dall'adottante o dall'adottato [291].

Note

(1) La condotta perseguita non si esaurisce nel venir meno degli obblighi assistenziali, ma deve derivarne uno stato di pericolo per il soggetto abbandonato.
(2) Per i minori di quattordici anni è prevista una presunzione assoluta di incapacità, mentre per gli altri soggetti la capacità deve essere accertata e provata.
(3) La custodia è un dovere di sorveglianza che si riferisce ad un complesso di cautele e prestazioni di cui necessita una persona che non riesce a provvedere a se stessa.
(4) Si tratta di un delitto aggravato dall'evento, in quanto il risultato più grave non deve essere voluto dall'agente cui è addebitato sulla base della pura causalità.

Ratio Legis

La dottrina tradizionale ritiene che , data la collocazione della norma, questa sia stata inserita al fine di tutelare il bene della vita e dell'incolumità fisica dei cosiddetti soggetti deboli. Tuttavia altri autori propendono che la tutela apprestata abbia ad oggetto l'osservanza di obblighi umani e assistenziali.

Spiegazione dell'art. 591 Codice Penale

La norma in esame tutela il valore etico-sociale della sicurezza della persona fisica contro determinate situazioni di pericolo. In tal senso, nessun limite si pone nella individuazione delle fonti da cui derivano gli obblighi di assistenza e di custodia.

Pertanto, ai fini della configurabilità del delitto, l'elemento materiale è costituito da qualunque azione od omissione contrastante con il dovere giuridico di cura che grava sul soggetto agente e da cui derivi uno stato di pericolo, anche potenziale, per l'incolumità della persona.

Sono previste circostanze aggravanti specifiche di natura oggettiva qualora dal fatto derivi una lesione personale (di qualsiasi tipo, lieve, lievissima, grave o gravissima ex artt. 582 e 583) o la morte.

L'ultimo comma disciplina invece un'ipotesi di reato omissivo proprio, nel caso in cui il soggetto agente sia un genitore, un figlio, tutore, coniuge, adottante e adottato.

///SPIEGAZIONE ESTESA

Il reato di abbandono di persone minori o incapaci si concretizza nell'omissione volontaria, da parte dell'agente, del particolare dovere giuridico di custodia o cura verso una persona, che egli sappia essere minore di quattordici anni o incapace, per qualsiasi causa, di provvedere a se stessa, facendone derivare un pericolo per la sua vita o per la sua integrità personale. La stessa fattispecie si configura, poi, ai sensi del comma 2, anche nel caso in cui un soggetto abbandoni all'estero un cittadino italiano minorenne che gli sia stato affidato in Italia per motivi di lavoro.

Si tratta di un reato proprio in quanto, nonostante la lettera della norma parli di "chiunque", soggetto attivo può essere soltanto colui che abbia il dovere, anche di fatto, di custodire una persona minore degli anni quattordici, oppure il dovere giuridico di custodire o curare un soggetto che, per qualunque motivo, sia incapace di provvedere a se stesso. Soggetto attivo può, inoltre, essere colui che abbia abbandonato all'estero un minore italiano che gli sia stato affidato per motivi di lavoro in Italia.
In particolare, il concetto di "custodia" implica la sorveglianza diretta ed immediata, anche puramente momentanea e senza obbligo di convivenza, la quale si esplica nei confronti di soggetti che ne abbiano bisogno, come avviene, ad esempio, nel caso di un bambino. La "cura" comprende, invece, quelle prestazioni e quelle cautele di cui hanno bisogno persone che, seppur di regola capaci di provvedere a se stesse, non lo siano perché si trovano in particolari circostanze. Si parla, infine, di "affidamento", ogni volta in cui, tra il minore e il soggetto agente, sussista un rapporto di dipendenza e, quindi, fiduciario, anche temporaneo, fondato, in questo caso, su motivi di lavoro.

In ogni caso il dovere di cura o custodia e quello di affidamento, di cui al comma 2, devono essere anteriori alla condotta omissiva rilevante ai fini della norma in esame.

La condotta tipica consiste nel comportamento con cui l'agente ometta di osservare il proprio dovere di cura o custodia, oppure i doveri che gli derivino dall'affidamento di un minore per lavoro. Tale omissione si può, peraltro, concretizzare sia in un agire in modo diverso da quello dovuto, ad esempio fuggendo o allontanandosi, sia, più semplicemente, nell'inosservanza di un determinato comando di condotta.
Pur trattandosi sempre di un reato omissivo, le modalità di esecuzione possono, talvolta, consistere in comportamenti, di per sé, attivi. Realizza, infatti, un abbandono, rilevante ex art. 591 c.p., sia chi porti un minore o un incapace in un luogo sperduto lasciandolo incustodito, sia, ad esempio, il sanitario che si rifiuti di assistere un infermo di cui si dovrebbe prendere cura.

Oggetto materiale del reato è la persona minore o incapace di provvedere a se stessa, nei confronti della quale il soggetto attivo abbia un dovere di cura o custodia, oppure che gli sia stata affidata per motivi di lavoro.
Si può, dunque, trattare, alternativamente, di un minore degli anni quattordici, la cui incapacità è presunta per legge, di una persona che sia incapace di provvedere a se stessa a causa di una malattia, fisica o mentale, oppure a causa della vecchiaia o per qualsiasi altro motivo, o, infine, di un cittadino italiano di età inferiore ai diciotto anni che sia stato affidato all'agente all'interno del territorio italiano per ragioni lavorative.
Per "incapacità di provvedere a se stessi" si intende l'impossibilità, assoluta o relativa, di tenersi al riparo da pericoli, di curarsi, di alimentarsi, di orientarsi o di muoversi. Essa necessita, quindi, di essere accertata caso per caso, e si potrà dire sussistente qualora si accerti che il soggetto abbandonato si trovasse, al momento del fatto, nell'impossibilità, sia per le sue condizioni fisiche o psichiche, sia per le circostanze del caso concreto, di provvedere a se stesso, preservandosi dal pericolo generato dall'abbandono.

Nell'ipotesi prevista dal comma 2, costituisce elemento essenziale del reato anche il luogo in cui si sia verificato il fatto. Per rilevare ai sensi dell'art. 591 c.p., infatti, l'affidamento del minore di cittadinanza italiana deve essere avvenuto in Italia, mentre il suo abbandono deve aver avuto luogo all'estero.

Evento tipico del reato in esame è lo stato di abbandono, temporaneo o definitivo, in cui si venga a trovare il soggetto passivo a causa della condotta omissiva dell'agente. Tale "stato di abbandono" consiste nella situazione in cui si venga a trovare il minore o l'incapace per mancanza di assistenza, da cui derivi un pericolo per la sua vita o per la sua integrità fisica.

Non si ritiene configurabile il tentativo poiché, qualora l'agente non adempia al suo obbligo di cura o custodia, il reato di considera già consumato.

Si tratta di un reato a dolo generico, essendo sufficiente, ai fini della sua configurabilità, la volontà dell'omissione e la consapevolezza della minore età o dello stato di incapacità del soggetto abbandonato.
Con specifico riferimento, però, all'ipotesi di cui al secondo comma, il dolo generico consiste nella coscienza e volontà di abbandonare all'estero un cittadino italiano minorenne, avuto in affidamento nel nostro territorio per ragioni di lavoro.

Ai sensi del terzo comma, la fattispecie risulta aggravata se, dalla condotta omissiva del soggetto agente, derivi una lesione personale o la morte della persona abbandonata, la cui verificazione si poteva temere in conseguenza dell'abbandono.

Il reato in esame è, altresì, aggravato, ai sensi del comma 4, qualora sia commesso dal genitore, dal figlio, dal tutore, dal coniuge, oppure dall'adottante o dall'adottato. La ratio di tale previsione è da rinvenire nella particolarità del dovere di assistenza che nasce dal rapporto familiare, esistente tra tali soggetti e la persona da essi abbandonata.

///FINE SPIEGAZIONE ESTESA

Massime relative all'art. 591 Codice Penale

Cass. pen. n. 1780/2021

L'errore sul fatto che, ai sensi dell'art. 47 cod. pen., esime dalla punibilità, è quello che cade su un elemento materiale del reato e che consiste in una difettosa percezione o in una difettosa ricognizione della percezione che alteri il presupposto del processo volitivo, indirizzandolo verso una condotta viziata alla base; mentre, se la realtà è stata esattamente percepita nel suo concreto essere, non v'è errore sul fatto, bensì errore sull'interpretazione tecnica della realtà e sulle norme che la disciplinano, ininfluente ai fini dell'applicazione della citata disposizione.

Cass. pen. n. 44657/2021

Il dolo del delitto di abbandono di persone minori o incapaci è generico e può assumere la forma del dolo eventuale quando si accerti che l'agente, pur essendosi rappresentato, come conseguenza del proprio comportamento inerte, la concreta possibilità del verificarsi di uno stato di abbandono del soggetto passivo, in grado di determinare un pericolo anche solo potenziale per la vita e l'incolumità fisica di quest'ultimo, persiste nella sua condotta omissiva, accettando il rischio che l'evento si verifichi.

Cass. pen. n. 5/2021

Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 591 cod. pen., la condotta di "abbandono" è integrata da qualunque azione od omissione contrastante con il dovere giuridico di cura o di custodia che grava sul soggetto agente e da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l'incolumità del soggetto passivo. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto sussistente il reato con riguardo alla condotta del genitore che, dopo aver accoltellato a morte il coniuge all'interno dell'abitazione familiare, si allontanava lasciando, sul luogo del delitto, i figli in tenera età, in balia di se stessi).

Cass. pen. n. 18665/2021

In tema di abbandono di persone minori o incapaci, il dovere di custodia implica una relazione tra l'agente e la persona offesa che può sorgere non solo da obblighi giuridici formali, ma anche da una sua spontanea assunzione da parte del soggetto attivo nonché dall'esistenza di una mera situazione di fatto, tale per cui il soggetto passivo sia entrato nella sfera di disponibilità e di controllo dell'agente, in ciò differenziandosi dal dovere di cura, che ha invece unicamente ad oggetto relazioni scaturenti da valide fonti giuridiche formali. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi la sentenza con la quale era stata affermata la responsabilità dell'imputato che aveva lasciato in abbandono la madre incapace, con lui convivente, omettendo di richiedere l'intervento di soggetti esterni in grado di evitare l'insorgere di un pericolo per l'incolumità della donna ed impedendo a chiunque altro l'accesso all'ambiente domestico).

Cass. pen. n. 27705/2018

L'elemento oggettivo del reato di abbandono di persone minori o incapaci, di cui all'art. 591 cod. pen., è integrato da qualsiasi condotta, attiva od omissiva, contrastante con il dovere giuridico di cura (o di custodia), gravante sul soggetto agente, da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l'incolumità del soggetto passivo. (Fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto sussistente il reato con riguardo alla condotta del genitore che, recandosi a fare la spesa, aveva lasciato da sola la figlia minore di 23 mesi all'interno della propria automobile, ermeticamente chiusa ed esposta al sole nelle ore più calde della giornata).

Cass. pen. n. 44013/2017

Il dolo del delitto di abbandono di persone minori o incapaci è generico e può assumere la forma del dolo eventuale quando si accerti che l'agente, pur essendosi rappresentato, come conseguenza del proprio comportamento inerte, la concreta possibilità del verificarsi di uno stato di abbandono del soggetto passivo, in grado di determinare un pericolo anche solo potenziale per la vita e l'incolumità fisica di quest'ultimo, persiste nella sua condotta omissiva, accettando il rischio che l'evento si verifichi. (Fattispecie in cui è stato ritenuto responsabile il direttore sanitario di una struttura medica di ricovero per la condotta di mancata predisposizione delle cautele organizzative, idonee ad evitare l'allontanamento dalla struttura di un soggetto psicopatico, poco dopo ritrovato morto).

Cass. pen. n. 10994/2013

I reati di maltrattamenti in famiglia e di abbandono di persone minori o incapaci possono concorrere in quanto le relative fattispecie incriminatrici sono poste a tutela di beni diversi ed integrate da condotte differenti.

Cass. pen. n. 19476/2010

Integra il delitto di abbandono di persona incapace l'omesso adempimento, da parte dell'agente (nella specie, un ausiliare socio-sanitario), dei doveri di custodia e di cura sullo stesso incombenti in ragione del servizio prestato, in modo che ne derivi un pericolo per l'incolumità della persona incapace.

Cass. pen. n. 9276/2009

Ai fini della sussistenza dell'elemento soggettivo del delitto d'abbandono di persone minori rileva esclusivamente la volontà dell'abbandono, sicchè il dolo non è escluso dal fatto che chi ha l'obbligo di custodia ritenga il minore in grado di badare a se stesso, per l'aiuto di coetanei a lui legati da vincoli di parentela.

Cass. pen. n. 5945/2009

Nel reato di abbandono di persona minore o incapace l'evento aggravatore della morte si pone in rapporto di concausa con la condizione patologica della parte lesa, che deve trovarsi, quale presupposto del reato, in condizione di "malattia di mente o di corpo" o di "vecchiaia" tale da non poter provvedere a se stessa.

Cass. pen. n. 15147/2007

Ai fini della sussistenza dell'elemento psicologico del delitto di abbandono di persone incapaci, è richiesta la consapevolezza di abbandonare a se stesso il soggetto passivo che non abbia la capacità di provvedere alle proprie esigenze, in una situazione di pericolo per la sua integrità fisica. (Fattispecie relativa a presunto abbandono di bambino di tre anni, lasciato solo in casa dalla madre, che la Corte ha ritenuto non potesse essere ritenuto sulla base della sola circostanza che costei si fosse momentaneamente recata nel garage attiguo per eseguirvi delle pulizie).

Cass. pen. n. 15245/2005

In tema di abbandono di persona incapace (art. 591 c.p.), l'elemento materiale del reato è costituito da qualunque azione od omissione contrastante con il dovere giuridico di custodia che grava sul soggetto agente e da cui derivi uno stato di pericolo anche potenziale per l'incolumità della persona. Ne deriva — nell'ipotesi di stipula di una convenzione di natura privata dalla quale sorga l'obbligo di accoglienza di persona disabile — la sussistenza dell'obbligazione, indipendentemente dalla natura del servizio (sanitario o di semplice ospitalità) di tutela e di sorveglianza in ogni situazione o stato di pericolo, con l'ulteriore corollario che ogni abbandono deve essere considerato pericoloso e che l'interesse tutelato dalla norma penale deve ritenersi violato anche quando l'abbandono sia solo relativo e parziale.

Cass. pen. n. 12238/2004

Il reato di cui all'art. 591 c.p. di abbandono di persone minori o incapaci ha natura permanente, in quanto la condotta si protrae fino a quando gli imputati non fanno cessare le situazioni che non consentono un'assistenza o cura adeguata o fin tanto che tali situazioni non cessano per intervento esterno (in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto irrilevante, ai fini della decorrenza del termine prescrizionale del reato di cui all'art. 591 c.p. addebitato agli amministratori di una casa di riposo, l'intervenuto accertamento della situazione, laddove successivamente non sia cessata la situazione di abbandono delle persone incapaci ricoverate).

Cass. pen. n. 8833/2004

Integra il reato di abbandono di minore (art. 591 c.p.) la condotta del conducente dell'autobus di una scuola che lascia un piccolo alunno a terra con l'effetto di causarne il viaggio di ritorno a casa in una condizione di pericolo rappresentato dalle condizioni di luogo e di tempo (pioggia battente in atto e strada a scorrimento veloce e fuori dal centro urbano).

Cass. pen. n. 4213/2001

In tema di abbandono di persone minori o incapaci, configura il reato di cui all'art. 591 c.p. la condotta dei responsabili dell'assistenza di soggetti ricoverati presso una casa di cura e di riposo privata (nella specie: titolare, amministratore di fatto e medico di base dell'istituzione assistenziale non convenzionata) i quali non pongono rimedio alla evidente insufficienza e inadeguatezza delle strutture assistenziali, atteso che la norma in questione tutela il valore etico-sociale della sicurezza della persona, e pertanto ogni situazione di pericolo o abbandono, anche solo parziale, dei soggetti minori o incapaci impone la piena attivazione del titolare dell'obbligo giuridico a protezione del bene garantito.

Cass. pen. n. 6885/1999

Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 591, primo comma, c.p., la vecchiaia non può essere intesa come condizione determinante una presunzione assoluta d'incapacità di provvedere a sè stessi, dovendosi invece accertare, di volta in volta, se essa sia concretamente causa di pericolo per l'incolumità dell'anziano, sì da dar luogo all'altrui dovere di assumere le opportune iniziative volte ad ovviare al suddetto pericolo. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha escluso che potessero rispondere del reato di cui all'art. 591 c.p. i figli di una donna novantatreenne lasciata a vivere da sola, atteso che detta donna, nonostante l'età, appariva ancora in grado di condurre vita autonoma e non mostrava intenzione alcuna di accettare il ricovero in una casa di riposo).

Cass. pen. n. 4407/1998

Ai fini della sussistenza del reato di cui all'art. 591 c.p. (abbandono di persone minori o incapaci), non è penalmente apprezzabile l'atto con il quale il direttore sanitario di una clinica — presso cui è ricoverato, in trattamento sanitario non obbligatorio, un soggetto affetto da schizofrenia e diabete mellito — dispone che rimanga sempre aperto il cancello di ingresso pedonale della clinica, appositamente custodito da un operatore, atteso che la custodia va adeguata alle innovazioni introdotte con la legge 13 maggio 1978, n. 189, che vieta la coazione strutturale e prevede, per il trattamento sanitario volontario, il ricovero dell'ammalato in strutture aperte con l'utilizzazione di servizi alternativi. (Fattispecie nella quale il soggetto si era allontanato dalla clinica attraverso il cancelletto pedonale, eludendo la sorveglianza dell'operatore, ed era stato rinvenuto cadavere nella campagna circostante a seguito di un decesso attribuito a collasso cardiocircolatorio, conseguente a coma diabetico).

L'elemento oggettivo del reato di abbandono di persone minori o incapaci è costituito da qualunque azione od omissione contrastante con il dovere giuridico di cura o di custodia, gravante sull'agente, da cui derivi uno stato di pericolo per l'incolumità della persona, incapace di provvedere a sè stessa per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia o altra causa. Venendo in considerazione un reato di pericolo, che non può essere commesso da chiunque, ma soltanto dal soggetto qualificato dal rapporto di protezione che lo lega alla vittima, la condotta deve essere oggettivamente idonea a determinare, anche in via potenziale, l'aggressione del bene protetto dalla norma incriminatrice. Ne consegue, che il criterio giuridico di determinazione del fatto oggettivo, necessario per accertare se una determinata azione o omissione costituisca abbandono di persona incapace, deve essere correlato, da una parte, alla pericolosità del fatto e, dall'altra parte, al contenuto dell'obbligo violato e alla natura dell'incapacità. (Fattispecie nella quale la Suprema Corte ha escluso la configurabilità del reato di cui all'art. 591, commi 1 e 3, c.p., in capo al direttore sanitario ed al custode di una clinica, in relazione al caso di una donna affetta da schizofrenia, in fase però di remissione, che, allontanatasi dalla clinica, era deceduta in seguito a collasso cardiocircolatorio).

Nell'ambito del trattamento sanitario non obbligatorio di persone incapaci, la custodia del malato, finalizzata a soddisfare esigenze di ordine individuale, sociale e giuridico, comprese quelle di prevenzione di atti autolesivi ed eterolesivi, deve essere conciliata con la libertà terapeutica e la dignità del malato; nell'esercizio del potere-dovere di cura e di custodia, è legittimo trattenere il soggetto che manifesti, anche con la fuga, l'intenzione di allontanarsi dal luogo di ricovero volontario, facendo ricorso alla forza fisica quale brevis et modica vis imposta dalla circostanza per sottrarre l'incapace al pericolo di gravi danni e per pretendere la sottoscrizione dell'atto di formale interruzione della degenza contro la volontà del medico. (Fattispecie in cui è stato affermato che l'incaricato della vigilanza del cancello di ingresso di una clinica ha l'obbligo di intervenire per impedire, anche con la modica vis imposta dalle circostanze che un ammalato si allontani senza il permesso dei medici e senza il previo accertamento delle sue condizioni psichiche, pur escludendo, in fatto, la sussistenza della omessa custodia rilevante ex art. 591 c.p.).

Cass. pen. n. 10126/1995

Nel reato di abbandono di persona minore o incapace (art. 591 c.p.), l'elemento materiale è costituito da qualunque azione od omissione contrastante con il dovere giuridico di cura (o di custodia) che grava sul soggetto agente e da cui derivi uno stato di pericolo, anche potenziale, per l'incolumità della persona. Risponde, pertanto, del delitto in questione colui che, pur non allontanandosi dal soggetto passivo, ometta di far intervenire persone idonee ad evitare il pericolo stesso. (Fattispecie nella quale è stata ritenuta la responsabilità dell'imputata che era rimasta tutta la notte e la mattinata successiva accanto al marito già gravemente sofferente, caduto a terra siccome colpito da emorragia cerebrale e solo dopo circa sedici ore aveva chiesto aiuto ad un vicino, che aveva fatto intervenire un'autoambulanza).

Cass. pen. n. 7003/1995

L'oggetto della tutela dell'art. 591 c.p. (abbandono di persona minore o incapace), diversamente da quello dell'art. 570 c.p. (violazione degli obblighi di assistenza familiare), non è il rispetto dell'obbligo legale di assistenza in quanto tale, bensì il pericolo per l'incolumità fisica, derivante dal suo inadempimento. Pertanto, non si configura la condotta di abbandono, se l'agente non abbia già in custodia o in cura l'incapace o il minore, e a tanto si rifiuti, benché possa esservi legalmente tenuto e risultare penalmente perseguibile per tale ragione per altro titolo. (Fattispecie nella quale è stato ravvisato il reato ex art. 570 c.p., avendo la moglie rifiutato di accogliere il marito affetto da sclerosi multipla, dimesso dall'ospedale ed accompagnato dal fratello e da un suo amico, sicché l'uomo veniva ospitato dalla madre).

Cass. pen. n. 290/1994

La norma dell'art. 591 c.p. tutela il valore etico-sociale della sicurezza della persona fisica contro determinate situazioni di pericolo. In questa prospettiva, nessun limite si pone nella individuazione delle fonti da cui derivano gli obblighi di custodia e di assistenza che realizzano la protezione di quel bene e che si desumono dalle norme giuridiche di qualsiasi natura, da convenzioni di natura pubblica o privata, da regolamenti o legittimi ordini di servizio, rivolti alla tutela della persona umana, in ogni condizione ed in ogni segmento del percorso che va dalla nascita alla morte. Ad ogni situazione che esige detta protezione fa riscontro uno stato di pericolo che esige un pieno attivarsi, sicché ogni abbandono diventa pericoloso e l'interesse risulta violato quando la derelizione sia anche solo relativa o parziale. (Nella fattispecie concernente sanitario che rivestiva la qualifica di assistente con incarico di reperibilità presso una clinica privata che, malgrado l'evidente gravità della patologia del paziente, poi deceduto, anziché intervenire prontamente, per sopperire all'inadeguatezza del medico di guardia, palesata dalla delicatezza del caso, si era limitato a dare per telefono generiche indicazioni ed a suggerire di attendere l'evoluzione del quadro clinico).

Cass. pen. n. 832/1993

Ai sensi dell'art. 591 c.p. (abbandono di persone minori o incapaci) costituisce abbandono qualsiasi azione o omissione che contrasti con l'obbligo della custodia o della cura ed è sufficiente, per l'integrazione del reato, che da tale condotta derivi un pericolo anche solo potenziale per l'incolumità della persona incapace. (Nella specie, relativa a ritenuta sussistenza del reato, l'imputato, amministratore unico di una società, cui era affidata la gestione di un gerontocomio, abbandonava le persone ivi ospitate, incapaci di provvedere a sé stesse per vecchiaia e malattia, consentendo in particolare che le stesse [alcune delle quali addirittura non in grado di intendere e di volere] fossero tenute in pessime condizioni, sotto il profilo igienico e sanitario).

Cass. pen. n. 12334/1990

Costituisce abbandono, punibile ex art. 591 c.p., qualsiasi azione od omissione che contrasti con l'obbligo della custodia e da cui derivi un pericolo, anche solo potenziale, per la vita o per l'incolumità del minore o dell'incapace. Per la configurabilità dell'elemento psicologico è comunque richiesta la consapevolezza di abbandonare il soggetto passivo, che non abbia la capacità di provvedere a sé stesso, in una situazione di pericolo di cui si abbia l'esatta percezione.

Cass. pen. n. 3905/1990

Sussiste il reato di cui all'art. 591 c.p. ove gli incapaci (nel caso di specie minorati psichici) di cui l'imputato abbia la custodia, o di cui debba avere cura, siano lasciati in balia di se stessi o di personale inidoneo (nel caso di specie nell'ambito di case di riposo inadeguate e prive dei requisiti igienici).

Cass. pen. n. 9562/1989

Il delitto di abbandono di minore si distingue da quello di tentato omicidio per il diverso elemento psicologico. Nel primo caso l'elemento soggettivo è costituito dalla coscienza di abbandonare la persona minore o incapace con la consapevolezza del pericolo inerente all'incolumità fisica della stessa con l'instaurarsi di una situazione di pericolo, sia pure potenziale. Nella seconda ipotesi è necessario che il soggetto compia la condotta vietata con la volontà e la consapevolezza di cagionare la morte del soggetto passivo o tale evento si rappresenti come probabile o possibile conseguenza del suo operare, accettando il rischio implicito del suo verificarsi.

Cass. pen. n. 10841/1986

Integra gli estremi del reato di abbandono di persone incapaci ex art. 591 c.p., il repentino allontanamento di tutte le assistenti infermiere di una casa di ricovero per anziani e menomati psichici, essendo irrilevante, ai fini della sussistenza dello stato di pericolo per l'incolumità delle persone predette, la presenza in loco di inservienti civili, idonei, quantitativamente e qualitativamente, alla necessaria assistenza infermieristico-sanitaria o i successivi interventi che consentano di evitare l'aggravamento dei ricoverati.

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P. D. M. chiede
venerdì 03/11/2023
“Coppia separata.
Figli affido congiunto(al 50%) con residenza presso casa attribuita alla madre.
Le mattine in cui i figli hanno dormito con la madre, la stessa li deve accompagnare a scuola(bambino 8 anni) e all'asilo bambina di 4 anni. Usualmente la bambina viene lasciata da sola a casa (per 20 minuti) mentre la madre accompagna il fratellino a scuola in auto (provato con investigazione a seguito di racconto della bambina che si era lamentata di essersi svegliata da sola a casa): si può raffigurare abbandono di minore? Azione penale d'ufficio o a seguito di querela di parte?
Si può richiedere intervento assistenti sociali(che già seguono la vicenda della separazione)? Può essere causa di affido in via principale all'altro genitore? Grazie”
Consulenza legale i 09/11/2023
Esaminiamo in primo luogo il quesito di carattere penalistico.
Stando a quanto esposto, la fattispecie di cui all’articolo 591 c.p. può, almeno in astratto, ritenersi sussistente.
Dal punto di vista del soggetto agente, è dato certo che la madre sia soggetto che debba avere cura e custodia della minore che, avendo 4 anni, risulta indubbiamente incapace di badare a se stessa.
È un po’ più complesso comprendere cosa debba intendersi per abbandono.
In via generale è possibile affermare che l’abbandono sensibile ai fini dell’art. 591 c.p. è quello che, a prescindere dalla consistenza temporale dello stesso, sia in grado di creare una situazione di astratto pericolo a danno del minore o dell’incapace.
Proprio su questo profilo, la giurisprudenza, seppur abbastanza variegata sul “tempo” di abbandono, è conforme nell’affermare che l’elemento determinante ai fini della integrazione della fattispecie è proprio la situazione di pericolo che si configura a seguito dell’abbandono in questione.
Tornando al caso di specie, almeno in astratto è possibile affermare la sussistenza della fattispecie atteso che, per quanto si possano adottare tutte le cautele del caso, è davvero difficilmente ipotizzabile che non rappresenti un pericolo per il minore di anni 4 il fatto di essere lasciato da solo in casa.
Per quanto riguarda, invece, i profili di ordine civilistico e quindi i riflessi sulle condizioni della separazione, la valutazione circa l’opportunità dell’intervento degli assistenti sociali è piuttosto delicata e non può essere effettuata in astratto e “a distanza”, ma va compiuta insieme al legale che si occupa della separazione.
Nel quesito, peraltro, viene riferito che gli assistenti sociali “già seguono” la vicenda; non è chiaro, però, a quale titolo ciò avvenga, cioè se abbiano ricevuto un formale incarico dal giudice della separazione o se seguano il nucleo familiare anche per altri motivi.
In ogni caso, e passando alla seconda domanda di carattere civilistico, è difficile anche qui fornire una risposta teorica rispetto a un caso concreto, che va esaminato nelle sue molteplici sfaccettature (che certo questa redazione non conosce).
Occorre, tuttavia, tenere presente che ogni decisione riguardante i figli minori va assunta, come dispone il codice civile, “con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale” della prole (art. 337 ter c.c.).
Tale principio trova applicazione anche rispetto alla scelta del tipo di affidamento: infatti l’art. 337-quater c.c. stabilisce che l’affidamento esclusivo può essere disposto dal giudice quando questi ritenga che l'affidamento all'altro sia contrario all'interesse del minore; le motivazioni di tale scelta devono essere indicate espressamente nel provvedimento del giudice.
Quindi, nel nostro caso, il giudice dovrebbe tenere conto di tutte le circostanze - compreso naturalmente il comportamento imprudente della madre - e valutare se l’affidamento a quest’ultima sia contrario all’interesse dei bambini.
Sarà utile tenere presente che, sempre ai sensi dell’art. 337-quater c.c., la richiesta di affidamento esclusivo non deve essere compiuta a cuor leggero: infatti il secondo comma dell’articolo in esame prevede che, se la domanda risulta manifestamente infondata, il giudice può considerare il comportamento del genitore istante ai fini della determinazione dei provvedimenti da adottare nell'interesse dei figli, rimanendo ferma l'applicazione dell'articolo 96 c.p.c. (che disciplina la condanna per lite temeraria).
Certamente, al di là delle azioni da intraprendere nei confronti della madre, è bene salvaguardare in primo luogo la sicurezza dei minori, e quindi evitare che la situazione di pericolo per la figlia possa ripetersi.

Paolo P. chiede
lunedì 06/04/2020 - Emilia-Romagna
“Scrivo da Modena, sono un ragazzo di 22 anni; mio padre soffre di disturbo schizoaffettivo, è un uomo di 60 anni, non ha quasi mai lavorato nella sua vita, dall'età di 40 anni ha ereditato degli immobili e delle liquidità dai suoi genitori, fino a una certa età ha vissuto della rendita di tale eredità; 4 anni fa ha venduto gli immobili e in questi 4 anni ha vissuto con il ricavato di tale vendita; adesso si trova nella situazione di non avere quasi più soldi e come entrate ha solo una pensione di invalidità di 280€ al mese, sufficiente per una sussistenza, almeno per un po' di tempo; ultimamente ha minacciato di suicidarsi.
La mie domande sono: ci sono gli estremi per il reato di abbandono di incapace nel caso di suicidio? quali sono le mie responsabilità?
premetto che in questi anni si è sempre rifiutato di avere un amministratore di sostegno, è un uomo molto narcisista che difficilmente scende a compromessi. Sono andato a sentire anche dai servizi sociali ma non mi hanno dato molto supporto.”
Consulenza legale i 14/04/2020
Per rispondere al quesito, è imprescindibili analizzare la fattispecie che sarebbe applicabile nel caso di specie, ovvero quella di cui all’art. 591 del codice penale.

Cominciamo subito col dire che, affinchè il reato sia applicabile, occorre che, in capo al soggetto agente, debba instaurarsi una situazione tale per cui lo stesso sia tenuto ad avere cura e custodia dell’incapace. Poiché la norma dell'art. 591 tutela il valore etico-sociale della sicurezza della persona fisica contro determinate situazioni di pericolo, nessun limite si pone nella individuazione delle fonti da cui derivano gli obblighi di custodia e di assistenza che realizzano la protezione di quel bene e che si desumono dalle norme giuridiche di qualsivoglia natura, da convenzioni di natura pubblica o privata, da regolamenti o legittimi ordini di servizio, rivolti alla tutela della persona umana, in ogni condizione e in ogni segmento del percorso che va dalla nascita alla morte (C., Sez. V, 2.5.2016, n. 44089). L'obbligo di custodia e assistenza può nascere da norme giuridiche di qualsiasi natura e altresì da una convenzione di natura privata, indipendentemente dalla natura del servizio prestato, se sanitario o di semplice solidarietà (C., Sez. V, 23.2.2005).

Nel caso di specie, l’obbligo di assistenza ben può nascere dal rapporto parentale padre – figlio, che giustifica che quest’ultimo abbia cura del proprio ascendente. Ciò, ovviamente, in mancanza di altri soggetti che, materialmente, possono occuparsi del soggetto in questione, coma ad esempio la moglie.

Quanto, invece, alla condotta specifica, l’art. 591 c.p. prevede che sia punito chi abbandona l’incapace, con ciò intendendosi il comportamento di chi lascia in balia di sé stesso un soggetto non in grado di occuparsi di se stesso, in modo da determinare una potenziale situazione di pericolo per la sua incolumità. L’abbandono, dunque, deve essere di tipo materiale e non risolversi in una trascuratezza di tipo esclusivamente morale, espressa dal disinteresse affettivo, come accade quando il soggetto violi i doveri di assistenza morale. Lo scopo della norma è, infatti, di evitare che i soggetti deboli vengano a trovarsi in situazione di pericolo per l'incapacità di soddisfare ai bisogni primari di sopravvivenza.

Parlando, invece, del soggetto passivo, l’accezione “incapace” va intesa in senso ampio e presuppone che il soggetto non sia in grado di provvedere a se stesso. Si tratta, in ogni caso, di una circostanza che va appurata caso per caso dal Giudice.

Ora, nel caso di specie, non sembra remota l’ipotesi che il papà, attempato e con problemi psichici, sia ritenuto incapace e, pertanto, una volta abbandonato, sia concretamente messo nella possibilità di danneggiarsi. Ciò, a maggior ragione, se le ultime minacce dallo stesso manifestate rendono prevedibile l’ipotesi di un suicidio.

Quanto al dolo (diritto penale), lo stesso sussiste allorchè il soggetto agente, oltre ad essere consapevole dell’obbligo di cura che grava a suo carico, sia altresì consapevole del pericolo che l’abbandono determina nei confronti dell’incapace.

Si noti, infine, che il reato ha delle pene molto severe. Se, infatti, il primo comma prevede una la reclusione da sei mesi ai cinque anni, la stessa arriva ad un massimo di anni 10 laddove la condotta sia posta in essere, come nel caso di specie, dal figlio nei confronti del genitore, di cui viene causata la morte.

Tirando le fila di quanto suesposto, è verosimile affermare che la condotta di abbandono di un padre con evidenti turbe psichiche, conclamate anche dal fatto che ha più volte minacciato il suicidio, possa essere sussunta nell’alveo della fattispecie di cui all’art. 591 del codice penale. Nel caso di specie, invero, il dovere di cura sarebbe implicito nel rapporto parentale e, vista la particolare situazione del genitore, non è impensabile che lo stesso possa essere definito incapace da qualsiasi giudicante.

Pertanto, onde evitare il coinvolgimento in un procedimento penale, si consiglia di adottare le opportune cautele.

Anonimo chiede
venerdì 31/03/2017 - Puglia
“Buongiorno. Mia madre è affetta da schizofrenia paranoide cronica e convive con mio padre che ha l'età di 68 anni. Mia madre non è interdetta, nè inabilitata nè sottoposta ad amministratore di sostegno. Mio padre è portatore di pacemaker e ha delle moderate difficoltà di deambulazione, ma guida, esce, va a fare la spesa e paga le bollette. Mia madre è in carico al centro di salute mentale, dove si reca una volta al mese per sottoporsi alla terapia di una iniezione di psicofarmaci. Da quando è in cura è abbastanza tranquilla, ma sia lei che mio padre trascurano molto l'igiene sia personale che della casa. Inoltre mia madre soffre anche anche di una forma di accumulo compulsivo che rende difficile e spesso impossibile convincerla a gettare i normali rifiuti che si producono in casa, imballaggi di vetro alluminio o plastica, buste della pasta, scatole dei detersivi etc etc. Sia io che mia sorella ci rechiamo dai miei genitori una volta la settimana, ma mia madre non ci consente di pulire e gettare i rifiuti, si agita e si fa prendere da crisi isteriche. Mia madre rifiuta l'aiuto sia di noi figli che di estranei. Io e mia sorella siamo molto preoccupati per la situazione igienica in cui vivono e contemporaneamente abbiamo paura di una denuncia per 591 cp. Io lavoro, abito a 50 km da loro, ed ho problemi di salute, infatti sono portatore di handicap in stato di gravità ex art. 3 comma 3 lg 104/92. Vorrei chiedere, per iscritto, l'intervento dei servizi sociali del comune per l'attivazione di un servizio di assistenza domiciliare, e chiedere al centro di salute mentale di fare anche degli interventi a domicilio. Vorrei sapere cosa altro fare per aiutare mia madre in primis e contestualmente per evitare in futuro una eventuale condanna per 591 cp. Si ringrazia e si chiede l'anonimato.”
Consulenza legale i 06/04/2017
L’art. 414 c.c. prevede la possibilità di chiedere al Giudice l'interdizione delle persone che si trovano in una condizione di abituale infermità di mente, tale da renderla incapace di provvedere ai propri interessi.
Anche quando l’infermità è intervallata da momenti di lucidità, ciò non è di ostacolo all’interdizione se il Giudice constata che vi è una infermità abituale e attuale.
Con il provvedimento di interdizione la persona perde completamente la sua capacità di agire, non potrà più compiere atti giuridici da sola, ma gli verrà nominato un tutore che deciderà al posto suo.

L’amministrazione di sostegno (art. 404 c.c.) (d’ora innanzi AdS) è invece un istituto meno drastico, misurato sulle esigenze di coloro che, essendo afflitti da un’infermità meno grave ovvero da una minorazione psichica e/o fisica, non riescono a provvedere da soli ai propri interessi.
Dopo la nomina, l’amministratore prenderà le decisioni insieme all’amministrato e solo con riguardo a quelle esigenze espressamente individuate dal provvedimento del Giudice.

Ebbene il richiedere un provvedimento d’interdizione oppure, e più opportunamente, nominare un amministratore di sostegno potrebbe certamente essere un modo per monitorare la salute di sua madre, atteso che all’AdS dovrà essere concesso il potere di prestare il consenso in luogo dell’amministrato per decidere sui trattamenti sanitari cui sottoporla.
Tuttavia deve chiarirsi che né l'interdizione né l’AdS possono concretamente determinare un miglioramento della situazione, come invece potrebbe, probabilmente, fare un drastico intervento di sgombero della casa dai rifiuti, per ripristinare le condizioni igienico-sanitarie essenziali a garantire una salubre vivibilità dell'abitazione.

Senza tuttavia escludere queste strade, ed anzi nella consapevolezza che un intervento risolutivo dovrebbe convogliare diverse azioni, atteso che sono già stati interessati i Servizi Sociali ed il centro di Salute Mentale, l’unica soluzione sembra quella di richiedere uno sgombero coattivo dell’abitazione dai rifiuti: occorre chiedere l’emissione di un’ordinanza contingibile ed urgente da parte del Sindaco (art. 50 TUEL).
Le ordinanze contingibili ed urgenti sono provvedimenti emessi dal Sindaco del Comune ove risiede sua madre al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana, e con le quali, per ragioni igienico-sanitarie, anche e soprattutto per i casi di disposofobia, ordina lo sgombero dell’immobile ed, in caso d'inosservanza, fa eseguire coattivamente il provvedimento.

Oramai i Sindaci dei vari Comuni italiani adottano questa soluzione in quanto i disposofobici non rappresentano un pericolo solo per sé stessi ma anche per gli altri. Basti rammentare i numerosi casi di incendio alla cronaca, che hanno interessato le abitazioni di accumulatori compulsivi.
Sussistendone i presupposti, sarà utile dunque fare un esposto alla Asl – Ufficio Igiene e anche alla Polizia Municipale, affinché mettano in moto la procedura per richiedere l’ordinanza sindacale, avendo cura di sottolineare, nell’esposto, il concreto pericolo della situazione di degrado igienico-sanitario, sia per chi vive nella casa sia per il vicinato.

Per quanto riguarda invece la configurabilità del reato di abbandono di incapaci, previsto e punito dall’art. 591 c.p., nel caso di specie non si ravvisa la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato: ovverosia la coscienza e la volontà di abbandonare a sé stesso un soggetto che non è in grado di provvedere da solo alle proprie esigenze, mettendone in pericolo l'incolumità.
Potrà infatti facilmente dimostrare di aver fatto tutto quanto in suo potere e dovere per salvaguardare la salute dei suoi genitori.
Allo scopo può essere utile scrivere ai Servizi Sociali e tenere copia di tutte le comunicazioni e gli esposti fatti alla Pubblica Autorità per premunirsi di eventuali prove nella remota ed infondata eventualità che venga ad essere denunciato per il reato ex art. 591 c.p. .

Anonimo chiede
giovedì 09/02/2017 - Puglia
“Ho 43 anni, ho una sorella di 42 anni. I miei genitori hanno sempre vissuto in una condizione igienica molto trasandata, in casa c'è sempre stata molta sporcizia, ed accumulo di rifiuti prodotti in casa. Io e mia sorella siamo cresciuti in una grave situazione di disagio igienico sanitario, una volta prendemmo la scabbia a circa 10 anni. la casa era piena di cianfrusaglie, la vasca e la doccia non erano possibili, insomma una situazione grave. Oggi ho capito che mia madre ha sempre sofferto dei sintomi della disposofobia, disturbo di accumulo compulsivo, ma allo stato non ancora certificati. Ora mia sorella ed io ci siamo sposati, io abito a 50 km dal loro domicilio e mia sorella a 35 km. mia sorella ha la sua famiglia con tre figli piccoli ed un marito. Io sono sposato senza figli e lavoro. Sono invalido civile al 75% nonchè portatore di handicap grave ex art 3 comma 3 legge 104. La situazione a casa dei miei genitori è al limite a causa della disposofobia di mia madre. Non ci sono più spazi vitali, dormono in due sul un letto ad una piazza, in casa non ci si può più muovere e c'è sporcizia e rifiuti dappertutto. Io e mia sorella sono anni che litighiamo con loro per farsi curare da uno psichiatra e per cercare di intervenire per pulire, ma purtroppo, essendo capaci di intendere e di volere, e soprattutto nostra madre, ci ha sempre impedito di intervenire nè direttamente nè indirettamente tramite una colf o altro, rifiutano ogni tipo di aiuto. A questo punto sia io che mia sorella vedendoci impotenti davanti a questa situazione che va avanti da 50 anni, abbiamo deciso di chiedere l'intervento dei servizi sociali, del centro di salute mentale e dell'ufficio igiene. Per noi l'infanzia è stata drammatica, andavamo in giro sporchi e puzzolenti, e, non nascondo che questa esperienza mi ha e mi sta segnando profondamente anche dal punto di vista psichiatrico, tanto è vero che sono seguito per problemi d'ansia dal centro di salute mentale della mia città. Mio Padre convive con mia madre che non esce mai, lui è autonomo, esce, guida, va a fare la spesa, paga le bollette e cura la propria salute, si fa analisi del sangue ed urine periodiche, porta il pacemaker, ma per ora è tutto ok. mio padre ha 67 anni, mia madre ha 64 anni. Sicuramente mio padre è affetto da depressione e ludopatia, ma sono solo mie opinioni. I miei genitori non hanno invalidità civili riconosciute. Non sono nè interdetti, nè inabilitati nè hanno un amministratore di sostegno. Se si instaura un ragionamento generico con i miei genitori, sono lucidi e svegli. Se con mia madre si affronta il problema delle pulizie in casa si fa prendere da attacchi isterici e non si può intervenire (tipico della disposofobia). I miei genitori vivono in uno stato di igiene personale scarso. ma non riusciamo ad imporci, ci cacciano. Ora vorrei sapere se secondo voi, ora che gli uffici da noi figli coninvolti andranno sul posto e verificheranno lo stato di sporcizia e di rifiuti accumulati in casa dai nostri genitori potrebbero denunciare mio padre o noi figli per 591 c.p.? E, secondo voi, potremmo essere condannati per 591 c.p. nonostante abbiamo chiesto noi l'intervento dei servizi sociali, del centro di salute mentale e dell'ufficio igiene? I miei genitori hanno sempre vissuto così, e noi siamo cresciuti in quella situazione. per noi è la normalità del loro modo di vivere, ora ho deciso di intervenire ed ho scritto ai suddetti uffici. Potrei comunque essere condannato per 591 c.p.? Nonostante io sia una persona che la situazione l'ha subita da sempre? e solo ora a 43 anni ho trovato la forza di superare la vergogna e di chiedere aiuto? Non vorrei che dopo il danno di aver subito la situazione per decenni, ora ci sia pure la beffa di una condanna per 591 c.p.”
Consulenza legale i 12/02/2017
Il delitto di abbandono di persone minori o incapaci (art. 591 c.p.) è un tipo di reato c.d. di pericolo, vale a dire che richiede, per la sua configurabilità, una situazione di volontaria messa in pericolo del soggetto incapace, abbandonandolo a se stesso.
La giurisprudenza ha affrontato il problema di configurabilità del delitto nelle più svariate occasioni, sia sotto il profilo oggettivo sia sotto il profilo dell’elemento soggettivo del reato.
Infatti, ai fini dell’integrazione del delitto di cui all’art. 591 c.p., si richiede l’elemento soggettivo del dolo, vale a dire “la consapevolezza di abbandonare il soggetto passivo, che non abbia la capacità di provvedere a se stesso, in una situazione di pericolo di cui si abbia l'esatta percezione” (così, C. Cass., sez. V, 18/4/2016 n. 29666; sez. V, 6/5/2013 n. 19327; sez. II, 6/12/2012 n. 10994).

Inoltre, in uno con la dottrina maggioritaria, si ritiene che, per quanto riguarda in particolare l’abbandono delle persone incapaci, presupposto del fatto sia che l'agente abbia la custodia o debba avere cura della persona. La custodia incombe sui destinatari di doveri di sorveglianza; la cura riguarda doveri che, pur implicando la custodia, sono più vari e complessi, trovando fondamento direttamente in norme ovvero in negozi giuridici: la Cassazione ha ritenuto quindi integrato il delitto di abbandono di persona incapace “l'omesso adempimento, da parte dell'agente (nella specie, un ausiliare socio-sanitario) dei doveri di custodia e di cura sullo stesso incombenti in ragione del servizio prestato, in modo che ne derivi un pericolo per l'incolumità della persona incapace” (C. Cass., sez. V, 25/2/2010 n. 19746; più risalente Trib. Rovigo, 8/6/1992).
Poiché il delitto è integrato da qualsiasi azione od omissione, contrastante con il dovere giuridico di cura o custodia da cui derivi uno stato di pericolo, anche potenziale, per l'incolumità della persona minore o incapace, risponde del delitto di abbandono chi ometta di fare intervenire persone idonee a scongiurare la situazione di pericolo (C. Cass., sez. I, 15/1/2009 n. 5945; sez. V, 21/9/1995 n. 10126).

Questa premessa si è resa necessaria per offrire un quadro preliminare prima di dare concreta risposta al quesito.
A chi scrive, invero, non pare configurabile nel caso di specie il delitto di cui all’art. 591 c.p..
Innanzitutto perché non è configurabile il dolo (non esiste nel vostro caso la volontarietà dell’abbandono); in secondo luogo perchè avete diligentemente interpellato i servizi sociali (a confutare qualsiasi dubbio in merito alla sussistenza del dolo); inoltre, vostra madre non pare essere persona incapace, per lo meno non in modo tale da far sorgere un dovere di cura e custodia in capo a voi figli.
La giurisprudenza è chiara: non avete volontariamente messo in pericolo l’incolumità dei vostri genitori, abbandonandoli a se stessi. Avendo addirittura attivato i servizi sociali e chi di dovere, state invece scongiurando un ulteriore aggravamento della situazione. L'agire è stato corretto.


Anonimo chiede
mercoledì 26/10/2016 - Emilia-Romagna
“Buongiorno. Ho un problema con il mio ex marito. Ogni volta che devo andare via per trovare i miei fuori regione lui dice di non esserci per stare con il figlio di 15 anni nei giorni di mia competenza. Il punto è che continua anche a minacciarmi di denuncia se lo lasciassi solo 2/3 gg a casa (sa che non ho nessuno nella nostra città mentre lui ha una numerosissima famiglia). Quando obietto che allora me lo porto minaccia di denunciarmi se non lo riporto nei "suoi" giorni" di visita. Insomma è un ricatto continuo. Premetto che abito in una frazione ma che il ragazzo è già molto autonomo sia nel cucinare un piatto di pasta che nel prendere i mezzi pubblici per la scuola. Domanda : può denunciarmi per quanto descritto sopra? Potrei denunciarlo io per queste continue vessazioni?”
Consulenza legale i 02/11/2016
Dal quesito non risulta con chiarezza se quando la madre si reca dai suoi genitori fuori regione lasci o meno a casa da solo il figlio quindicenne.
Qualora il ragazzo, infatti, non sia mai lasciato solo, è evidente che nessuna responsabilità penale potrà configurarsi a carico della madre. Se invece il ragazzo venga lasciato solo, non solo per qualche giorno ma anche solo per qualche ora, si potrebbe configurare il reato di abbandono di persone minori o incapaci di cui all’art. 591 cod. pen..

Va detto che l’abbandono, ai fini della norma, deve determinare uno stato di pericolo, reale o anche solo potenziale, per l’incolumità del minore: secondo parte degli studiosi, se le circostanze di tempo e luogo in cui il minore viene lasciato ne consentono il tempestivo ritrovamento e soccorso, il pericolo viene meno ed il reato non si configura; altri, al contrario, ritengono che il ritrovamento abbia di per sé degli elementi di aleatorietà intrinseca (nel senso che può verificarsi o no) che non consentono di escludere con sicurezza il pericolo.

La giurisprudenza così descrive la fattispecie: “L’elemento oggettivo del reato di abbandono di persone minori o incapaci, di cui all'art. 591 c.p., è integrato da qualsiasi condotta, attiva od omissiva, contrastante con il dovere giuridico di cura (o di custodia), gravante sul soggetto agente, da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l'incolumità dei soggetto passivo” (Cassazione penale, sez. V, 02/05/2016, n. 44089) e “Il dolo del delitto di cui all'art. 591 c.p. (Abbandono di persone minori o incapaci) è generico e consiste nella coscienza di abbandonare a sé stesso il soggetto passivo - incapace di provvedere alle proprie esigenze - in una situazione di pericolo per la sua integrità fisica di cui si abbia l'esatta percezione. Non occorre la sussistenza di un particolare malanimo da parte del reo.” (Cassazione penale, sez. V, 23/04/2015, n. 34194).

Si noti bene che la norma parla di minore di anni 14 non per escludere il reato se il minore ha più di 14 anni (come nel caso di specie); semplicemente se l’età è inferiore agli anni 14, l’incapacità è presunta dalla legge, mentre negli altri casi (come il nostro, in cui gli anni sono 15) si deve valutare caso per caso se sussista una situazione di incapacità (“incapace (…) per altra causa (…) di provvedere a sé stessa”).

Anche nel caso di specie, quindi, occorrerà valutare il grado di capacità/autonomia del ragazzo, lo spazio temporale dell’”abbandono”, la possibilità che in caso di pericolo egli possa essere tempestivamente soccorso, ecc..
La configurabilità del reato, in buona sostanza, è possibile: è consigliabile, vista la delicatezza della situazione, rivolgersi quanto prima ad un esperto penalista che possa raccogliere tutti gli elementi di fatto e fornire un parere maggiormente approfondito e competente.

Per quanto riguarda, ancora, l’eventuale mancata consegna o riconsegna del minore al padre negli orari o nei giorni in cui quest’ultimo ha diritto di visita, va detto che tale comportamento potrebbe configurare una responsabilità penale ai sensi dell’art. 388 cod.pen., intitolato “mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice”: “Chiunque, per sottrarsi all'adempimento degli obblighi nascenti da un provvedimento dell'autorità giudiziaria, o dei quali è in corso l'accertamento dinanzi all'autorità giudiziaria stessa, compie, sui propri o sugli altrui beni, atti simulati o fraudolenti, o commette allo stesso scopo altri fatti fraudolenti, è punito, qualora non ottemperi all'ingiunzione di eseguire il provvedimento, con la reclusione fino a tre anni o con la multa da euro 103 a euro 1.032.
La stessa pena si applica a chi elude l'esecuzione di un provvedimento del giudice civile, ovvero amministrativo o contabile, che concerna l'affidamento di minori o di altre persone incapaci, ovvero prescriva misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del credito.(..)

La norma, al suo secondo comma, quando parla di “affidamento” si riferisce anche/proprio ai casi di provvedimenti del Giudice in sede di separazione e/o divorzio che stabiliscano gli orari di visita a favore dei genitori. Si tenga presente, tuttavia, che il reato è perseguibile solamente a querela, ovvero vi sono tre mesi di tempo dal verificarsi della condotta di reato per presentare denuncia, decorsi i quali non è più possibile essere perseguiti penalmente.

Sotto il profilo civile, la condotta sopra descritta può invece comportare un’istanza al Giudice da parte del genitore leso nei propri diritti per ottenere una modifica delle condizioni di separazione e/o divorzio, oppure, nei casi più gravi, per chiedere la decadenza dalla potestà genitoriale (ma non è questo il caso).

Infine, per quel che riguarda i “ricatti” psicologici dell’ex marito, che minaccia denunce a carico della moglie, a parere di chi scrive – sulla base di quanto descritto nel quesito – non sussistono (ancora) elementi sufficienti o di natura tale da configurare qualche tipo di responsabilità, di natura penale o civile.

Antonella R. chiede
venerdì 05/02/2016 - Lombardia
“Buongiorno, in riferimento all'articolo 591 del codice penale in materia di abbandono di persona, la mia domanda e' la seguente: se non mi occupo di un genitore anziano in stato di bisogno sono perseguibile per legge? premetto che non viviamo nella stessa città non sono mai andata d'accordo con lo stesso, non ci telefoniamo e vediamo da anni. vi ringrazio anticipatamente per la risposta che vorrete concedermi. cordiali saluti”
Consulenza legale i 15/02/2016
L'art. 591 del c.p. sanziona il reato di "abbandono di persone minori e incapaci". La condotta che viene qui in rilievo è quella prevista dal primo comma (diversa è l'ipotesi di cui al successivo co. 2). I commi 3 e 4 prevedono invece delle aggravanti.
Si ritiene che il bene tutelato sia la vita e l'incolumità individuale dei soggetti c.d. deboli, cioè che versano nella situazione indicata dalla disposizione.

Affinché la fattispecie possa dirsi integrata è necessario il sussistere di tutti i suoi elementi costitutivi.
Soggetto attivo del reato è chi ha un rapporto di custodia o cura con il soggetto, in forza del quale sorge l'obbligo di non abbandonarlo. Nello specifico, risponde dell'omessa custodia chi ha dovere di sorveglianza. Quello di cura, invece, incombe su chi, oltre alla custodia, è titolare di ulteriori doveri, derivanti dalla legge o dall'assunzione per negozio giuridico.

La condotta tipica è quella di abbandono, da intendersi come qualsiasi omissione ai doveri di cura e custodia esistenti, che lasci i soggetti in una situazione di pericolo per la propria incolumità. Rientra nella definizione anche un pericolo solo potenziale.

La disposizione indica anche il soggetto passivo del reato, che può essere "una persona minore degli anni quattordici, ovvero una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a sé stessa e della quale abbia la custodia o debba avere cura" (co. 1). La giurisprudenza ha precisato che, salvo che si tratti di minore di anni 14, l'incapacità non va presunta ma accertata in concreto, non potendosi desumere automaticamente dall'essere anziani lo stato di incapacità e dovendosi raccordare il dovere di cura e custodia all'eventuale capacità di autodeterminazione del soggetto (Cass. 6885/1999).

Sul piano soggettivo si richiede il dolo generico, quale consapevolezza e volontà di abbandonare a se stesso il soggetto incapace di provvedere alle proprie esigenze, in uno stato di pericolo per la sua incolumità.

Come si è detto, per la configurazione del reato è necessario che esista un dovere di custodia o cura del soggetto. A tale proposito la Cassazione ricorre ad un concetto ampio della possibile fonte del dovere di custodia e assistenza: "La norma dell'art. 591 c.p. tutela il valore etico-sociale della sicurezza della persona fisica contro determinate situazioni di pericolo. In questa prospettiva nessun limite si pone nella individuazione delle fonti da cui derivano gli obblighi di custodia e di assistenza che realizzano la protezione di quel bene e che si desumono dalle norme giuridiche di qualsivoglia natura, da convenzioni di natura pubblica o privata, da regolamenti o legittimi ordini di servizio, rivolti alla tutela della persona umana, in ogni condizione ed in ogni segmento del percorso che va dalla nascita alla morte" (Cass. 290/1994).

Quanto al dovere dei figli verso i genitori, la dottrina maggioritaria pone in rilievo la sussistenza di un dovere di carattere morale e sociale in capo ai figli di rispettare i genitori (v. attuale art. 316 del c.c.). Accanto ad esso si pone quello, di natura giuridica, di prestare gli alimenti ex art. 433 ss c.c., ricorrendone i presupposti.
Di conseguenza, seguendo questa impostazione, si potrebbe sostenere che essendo il primo un dovere morale e non giuridico deriverebbe che l'ordinamento non può obbligare il figlio in quanto tale ad accudire il proprio genitore, e che se il figlio non vi assume egli stesso l'obbligo manca un presupposto del reato di cui all'art. 591 c.p.. Tutto ciò presuppone che l'art. 591 c.p. stesso si riferisca ad un dovere di custodia e cura di tipo giuridico. Laddove, invece, lo si ritenesse integrato anche dall'esistenza di un dovere morale le conclusioni dovrebbero essere diverse, così come sarebbero diverse se si dovesse arrivare ad individuare nell'ordinamento un dovere giuridico di assistenza dei figli verso i genitori (interpretazione che non si può escludere in modo assoluto).

Infine si ricorda che anche a voler ritenere che l'ordinamento non imponga, se non come obbligo morale, di accudire i genitori, ciò non toglie che esista un dovere, a ricorrere dei presupposti, di contribuirne al sostentamento. Da cui la possibilità che la sua violazione integri il reato di "violazione degli obblighi di assistenza famigliare" di cui all'art. 570 del c.p..

IVANA chiede
mercoledì 18/11/2015 - Umbria
“Con il mio ex marito ho l'affidamento condiviso. Mio figlio 19 anni è invalido civile al 100% ed è affetto da autismo e ritardo mentale e per questo prende anche l'accompagno. Ogni volta che esce con lui, lascia volutamente mio figlio da solo a girovagare per la strada. o ad affidarlo a terze persone della sua età ignare della sua patologia. Questo è successo molte volte ed anche su segnalazione di miei conoscenti. qual è la cosa migliore da fare? Per evitargli una denuncia penale, potrei chiedere l'affidamento esclusivo?”
Consulenza legale i 24/11/2015
Come noto, in caso di separazione o divorzio i figli minori vengono affidati congiuntamente ai coniugi (scelta sempre favorita) o in esclusiva ad uno dei due genitori.
Nel caso di specie, però, il figlio, invalido, è diventato maggiorenne.

Il figlio maggiorenne, anche se disabile, per legge si presume capace di intendere e di volere (art. 2 del c.c.). Di conseguenza, il giudice non ha più il potere di decidere sul suo affidamento (e - in generale - sugli aspetti personali dell'assistenza), ma solo sull’eventuale diritto al mantenimento.
La Corte di Cassazione ha così statuito in materia: "Va precisato che l'art. 155 quinquies, secondo comma, c.c., stabilisce che ai figli maggiorenni portatori di handicap grave, ai sensi dell'art. 3, comma terzo, l. n. 104 del 1992, si applicano le disposizioni previste in favore dei figli minori. Ai sensi del predetto art. 3, primo e terzo comma, è persona portatrice di handicap, quella che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa, e tale da determinare un processo di svantaggio sociale e dì emarginazione; l'handicap è grave quando la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l'autonomia personale, correlata all'età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione. Il ricordato art. 155 quinquies c.c., come si diceva, dispone applicarsi ai portatori di handicap grave le disposizioni "in favore" dei figli minorenni. È da escludere che possano rilevare le norme sull'affidamento (condiviso od esclusivo); in caso contrario, si dovrebbe concludere che il figlio portatore di handicap, ancorché maggiorenne, sia da considerarsi automaticamente privo della capacità di agire, mentre ciò potrà essere accertato eventualmente, in via parziale o totale, nei giudizi specifici di interdizione, inabilitazione od amministrazione di sostegno. Potranno invece trovare applicazione le norme sulla presenza, le visite, la cura ed il mantenimento da parte del genitore non convivente in virtù degli artt. 155 e 155 bis c.c., nonché quelle in ordine all'assegnazione della casa coniugale, ai sensi dell'art. 155 quater c.c." (Cass. civ., sez. I, 28.5 – 24.7.2012, n. 12977).
Va precisato che oggi, dopo la riforma della filiazione entrata in vigore nel 2014, è l'art. 337 septies del c.c. a sancire che "Ai figli maggiorenni portatori di handicap grave si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori".

La scelta processuale che resta al genitore convivente con il ragazzo - esclusa una denuncia penale - è quella di chiedere che venga accertata la sussistenza di una ridotta capacità di decidere del figlio nell'ambito di un giudizio per la nomina di un amministratore di sostegno, di un tutore (interdizione) o di un curatore (inabilitazione).
Le tre misure si distinguono in base alla diversa gravità del disagio mentale o dell'incapacità: il rimedio più pesante è l'interdizione, che impedisce alla persona interdetta il compimento di qualsiasi atto patrimoniale e personale (art. 414 del c.c.). L'inabilitazione è prevista nei casi elencati all'art. 415 del c.c. (es. per coloro che per prodigalità, intesa quale tendenza allo sperpero del denaro, o per abuso di sostanze stupefacenti o bevande alcoliche, espongono sè o i membri della loro famiglia a gravi pregiudizi economici); l'amministrazione di sostegno è una misura molto elastica, tanto che è nel provvedimento di nomina che il giudice stabilisce quali atti la persona può compiere da solo e quali con l'assistenza o la rappresentanza dell'amministratore di sostegno (art. 404 del c.c.).

Nel nostro caso, è molto probabile che il giudice opti per l'amministrazione di sostegno, nominando per la carica la madre del ragazzo.
Una volta che questa sia nominata amministratrice di sostegno, ogni decisione relativa alla vita del giovane andrà presa da ella con il consenso del ragazzo (per gli atti che gli sono stati riservati, cioè che può ancora compiere consapevolmente) e con l'ausilio o l'autorizzazione del Giudice tutelare o del Tribunale. Pertanto, il decreto di nomina dell'amministratore di sostegno stabilirà in quali atti quest'ultimo presterà mera assistenza al beneficiario e in quali altri lo sostituirà invece integralmente. Per alcuni atti sarà richiesta l'autorizzazione del Giudice tutelare (es. accettazione di eredità), mentre per altri l'autorizzazione del Tribunale, su parere del Giudice Tutelare (es. alienazione di beni).
Il padre dovrà attenersi alle disposizioni dell'amministratrice di sostegno, la quale potrà intervenire ogniqualvolta esse siano disattese (ad esempio, impedendo al genitore certe condotte).

Il procedimento per il deposito del ricorso al fine di provvedere alla nomina di un tutore/curatore/amministratore di sostegno va seguito da un avvocato.

Giorgia chiede
lunedì 13/10/2014 - Veneto
“Conosco una signora che abbandona a casa da soli minorenni senza controllo, e quando rientra li porta in giro con spacciatori, a comprare cocaina, che fumano davanti ai bambini. Che reati compie la signora?”
Consulenza legale i 15/10/2014
La signora che pone in essere questi comportamenti può essere accusata innanzitutto del reato di abbandono di minori, ex art. 591 del c.p.: difatti, chiunque abbandona una persona minore degli anni quattordici, che si presume incapace di provvedere a se stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere cura, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Perché si abbia il reato in esame, la condotta del colpevole non deve consistere solamente nel mancato rispetto degli obblighi assistenziali, ma deve causare anche uno stato di pericolo per la vita o per l’incolumità del soggetto abbandonato. Si specifica che il dolo (l'intenzione di abbandonare i minori) non è escluso dal fatto che chi ha il dovere di custodia - in questo caso il genitore - stimi il minore capace di badare a se stesso anche grazie all’aiuto di coetanei legati a lui da vincolo di parentela (ad es., fratellini più grandi). Va inoltre considerato che le pene sono aumentate se il fatto è commesso dal genitore.

Inoltre il codice penale prevede che chiunque maltratti una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, è punito con la reclusione da due a sei anni (reato di maltrattamenti contro familiari, art. 572 del c.p.).
Nel caso in cui alcuni o tutti i fatti di maltrattamento costituiscano per se stessi reati (percosse, lesioni, minacce, ...), l'agente (il genitore che commette il delitto) risponde in concorso anche di tali reati, ad eccezione di quelli, quali le percosse e le minacce, che devono ritenersi elementi costitutivi della violenza fisica o morale propria del delitto di maltrattamenti. Anche le lesioni volontarie sono punibili in concorso con il delitto ex art. 572, in quanto l'aggravante prevista dall'ultimo comma di tale articolo fa riferimento alle lesioni e alla morte quali conseguenze non voluta ed involontarie del fatto.

Si ravvisa ipoteticamente anche un comportamento che configura violazione degli obblighi di assistenza familiare (se si constatasse che ai minori non vengono dati dalla madre nemmeno i mezzi di sussistenza, come cibo, abbigliamento pulito...) : l'art. 570 del c.p. stabilisce che chiunque, serbando una condotta contraria all'ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da centotre euro a milletrentadue euro.

Dal punto di vista civilistico, in casi estremamente gravi, il giudice può pronunziare la decadenza dalla responsabilità genitoriale, quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio. Tale pregiudizio deve dimostrare l’inidoneità della madre ad assolvere al proprio ruolo, per cui l’unica soluzione possibile è quella di sottrarle i poteri decisionali con cui potrebbe nuocere ai figli.

Se una persona è a conoscenza di situazioni in cui l'integrità psico-fisica di minori è messa in pericolo, potrà fare denuncia alle forze dell'ordine, al fine di consentire adeguate indagini sulle condotte della madre.

Mario R. chiede
giovedì 25/07/2013 - Puglia
“Dato il completo rifiuto e disinteresse di mia sorella nel trovare un accordo per assicurare a mia madre, assistita notte e giorno da una badante e invalida civile al 100% affetta dal Morbo di Parkinson, un punto di riferimento a cui rivolgersi in caso di necessità e urgenza durante la mia assenza, così da impedirmi di avere una vita familiare. Le chiedo cortesemente di conoscere come posso fare per non essere accusata di abbandono di persona non autosufficiente durante una mia assenza fuori città per un periodo di circa un mese.
Distinti saluti”
Consulenza legale i 31/07/2013
Il reato ipotizzabile nel caso in cui un figlio lasci abbandonato a se stesso il genitore anziano e non autosufficiente è quello disciplinato dall'art. 591 del c.p., "Abbandono di persone minori o incapaci".
Ai fini della sussistenza dell'elemento psicologico del delitto di abbandono di persone incapaci, è richiesta la consapevolezza di abbandonare a se stesso il soggetto passivo che non abbia la capacità di provvedere alle proprie esigenze, in una situazione di pericolo per la sua integrità fisica.
Trattandosi di reato di natura dolosa, esso può essere escluso quando l'agente dimostri di avere fondatamente confidato sull'affidamento dell'incapace ad un soggetto terzo: nel caso di specie, se il soggetto incapace è affidato ad un'infermiera o una badante che possa efficacemente provvedere ad ogni necessità dell'anziano, il figlio non può essere accusato di abbandono del genitore.
Se per un mese il figlio, che risulta destinatario di un obbligo specifico di cura e custodia verso il genitore, dovesse risultare irreperibile, ma avesse preavvertito sia la badante che si occupa della madre, sia la sorella (che pure rifiuta di collaborare), non si ravvisano responsabilità penali nel comportamento dello stesso, dal momento che, in caso di urgenza, vi sono dei soggetti tenuti ad intervenire immediatamente in sua sostituzione e, in ogni caso, è possibile per la badante rivolgersi a pubbliche autorità per chiedere assistenza sanitaria immediata.
Al fine di precostituire una prova della propria buona fede, è consigliabile inviare una lettera alla sorella, precisando per quanto tempo si starà lontani da casa, indicando tutti i contatti necessari (ad esempio, numero di telefono della badante, del medico curante, etc.) in caso di emergenza.

Per quanto concerne il comportamento della sorella che non intende accudire la madre né rendersi disponibile in alcun modo, è bene sottolineare che nei confronti del proprio genitore, incapace di provvedere a se stesso, qualsiasi figlio ha un generico dovere di rispetto (art. 315 c.c.). Per la dottrina maggioritaria, tuttavia, si tratta di un dovere che non ha rilevanza giuridica, bensì solo morale e sociale.

Dal punto di vista penale, il nostro ordinamento prevede il reato di "Violazione degli obblighi di assistenza familiare" (art. 570 del c.p., secondo comma), in base al quale, tra le altre condotte previste, è punito chiunque faccia mancare al genitore i mezzi di sussistenza, nel caso in cui questi si trovi in stato di bisogno (non è necessaria la totale indigenza, essendo sufficiente che sia privo di mezzi economici sufficienti a provvedere alle esigenze della vita). L'ordinamento, quindi, non può obbligare una figlia ad accudire la madre, ma può obbligarla a contribuire economicamente al suo sostentamento, in presenza dei presupposti richiesti dalla legge. Si tratta di delitto punibile, nel caso di specie, a querela della persona offesa.

Gianni chiede
domenica 07/04/2013 - Emilia-Romagna
“Rispetto a custodia e obbligo di cura (v. nota 3), la legge impone dei doveri ai figli di genitori anziani con invalidità civile per deficit cognitivo riconosciuta al 100% da commissione medica? Esiste un dovere di sorveglianza 24/7 nei confronti di un genitore in condizioni di invalidità civile? Quali doveri impone la legge rispetto ai genitori?”
Consulenza legale i 15/04/2013
L'articolo 591 c.p. in commento intende sanzionare i casi di violazione degli obblighi assistenziali, punendo il disvalore morale di chi faccia mancare l'indispensabile alla sopravvivenza di un familiare in stato di bisogno.
Costituisce “abbandono” qualsiasi azione od omissione che contrasti con l'obbligo della custodia o della cura.
Per quanto riguarda le persone anziane, con deficit cognitivo medicalmente riconosciuto, esse sono considerate persone incapaci ai sensi dell'articolo in esame: perché possa aversi il reato di abbandono di persona incapace, l'agente deve avere la custodia o la cura della persona. Coloro che nei confronti dell'incapace hanno doveri di sorveglianza, rispondono per l'omessa custodia: coloro, invece, che hanno la "cura" degli incapaci, sono le persone che, oltre che a custodire, sono tenute a vari e complessi obblighi che trovano fondamento in norme o in negozi giuridici.
Per esempio, dalla legge derivano gli obblighi di cura nei riguardi dei malati di mente, assoggettati a trattamento terapeutico obbligatorio ex art. 35, quinto comma, l. 23.12.1978, n. 833. Gli obblighi nei confronti di una persona anziana, affidata a un istituto o a una persona singola, per ragioni di assistenza e di cura derivano, invece, da un negozio di diritto privato.
È discusso se l'obbligo di custodia e cura possa derivare da una sua assunzione spontanea, ma prevale la tesi negativa.
L'incapacità della persona di provvedere a se stessa non può essere presunta, ma va accertata in concreto: lo stato personale, infatti, determina il pericolo che costituisce il presupposto del reato (Cass. civ., Sez. V, 9.4.1999, di annullamento della sentenza che aveva ravvisato il reato di abbandono, sul presupposto che la madre anziana dovesse ritenersi incapace di provvedere a se stessa "per l'età", senza alcun accertamento in concreto sull'effettiva sussistenza di tale condizione).
Nel caso di specie, l'incapacità è stata accertata da una commissione medica, pertanto, il presupposto sussiste.
Come detto, l'ordinamento richiede l'esistenza di un preesistente obbligo specifico di cura o custodia. Ad esempio, con sentenza dell'8.6.1992, il Trib. di Rovigo ha ritenuto l'insussistenza del fatto di reato, per mancanza di un obbligo di cura o custodia, in capo alla figlia e al genero nei riguardi della madre e suocera anziana, anche perché era vivo il marito della donna, destinatario dell'obbligo.
Affinché il reato sussista, è necessario che, in dipendenza dell'abbandono, si crei uno stato, anche solo potenziale, di pericolo per la incolumità della persona abbandonata.
La condotta dell'abbandono della persona incapace consiste nel lasciarla in balìa di se stessa oppure di lasciarla a chi non sia in grado di provvedere adeguatamente all'assistenza inerente al dovere di custodia o di cura: si deve così determinare una potenziale situazione di pericolo per l'incolumità dell'incapace.
Quanto alle modalità dell'abbandono, si deve verificare una separazione materiale tra il custode e il "custodito", non essendo sufficiente una trascuratezza di tipo esclusivamente morale, ad esempio un disinteresse affettivo. La ratio della norma è, infatti, solo quella di evitare che le persone più deboli si trovino in situazioni di pericolo dovute alla loro incapacità di provvedere ai propri bisogni primari.
In questo senso, non si deve confondere il reato di abbandono di incapace con la violazione degli obblighi di assistenza familiare ex art. 570 del c.p..
L'esposizione al pericolo può essere meramente virtuale: essa non è esclusa dal fatto che la condotta determinante l'abbandono sia temporanea, né dalla possibilità che terzi possano soccorrere l'incapace, quando essi siano inidonei a supplire alle attività di custodia o di cura facenti capo al soggetto attivo del reato.
Pertanto, esistendo un obbligo - per legge o per negozio giuridico - di cura o custodia dei figli nei confronti dei genitori anziani, invalidi, la legge non precisa nel dettaglio come essi debbano adempiere ai propri doveri. Il dovere di sorveglianza dell'incapace va commisurato al singolo soggetto, e la custodia può essere temporaneamente demandata ad altri soggetti che abbiano però le competenze per questo tipo di assistenza.
E' bene ricordare che il delitto di cui all'art. 591 c.p. è aggravato se dal fatto deriva una lesione personale o la morte e anche, ai sensi del quarto comma, se il fatto è commesso dal genitore, dal figlio, dal tutore o dal coniuge, ovvero dall'adottante o dall'adottato.

Angelo C. chiede
mercoledì 14/07/2010

“Vorrei sapere se un adulto è da ritenersi incapace se è sotto l'effetto dell'alcool e dunque ebbro.”

Consulenza legale i 22/12/2010

L'abuso abituale di alcool è considerato dalla legge un rovinoso sistema di vita che può pregiudicare i beni economici e della propria famiglia, indipendentemente dalla esistenza di una infermità mentale. In realtà in capo a colui che abusa abitualmente di alcool sussiste sicuramente un indebolimento della volontà. Per questo il nostro ordinamento ha previsto che anche nei confronti di questi soggetti possa essere pronunciata l'inabilitazione, ossia quel procedimento giudiziale che priva il soggetto della capacità di compiere gli atti patrimoniali eccedenti l'ordinaria amministrazione (art. 415 del c.c.. Si dovrà quindi nominare un curatore che integrerà, con il suo assenso, la volontà dell'inabilitato.


C.Z. chiede
martedì 15/06/2021 - Lombardia
“Buongiorno
mia mamma di 83 anni vive con mia sorella di 41 anni malata psichiatrica.
Ultimamente le condizioni di salute di mia madre sono peggiorate anche a livello psichico e non ritengo che l'una sia in grado di assistere l'altra.
Purtroppo mia sorella non ha dato il consenso per la privacy affinché io possa conoscere il suo effettivo stato di salute e non ammette la sua malattia, mentre mia mamma non riconosce il suo peggioramento di salute a livello psichico.
Mia sorella mi anche aggredita fisicamente e ho richiesto l'ammonimento.
Gli assistenti sociali non fanno nulla se mia mamma non accetta l'aiuto.
Per evitare che mia sorella si approfitti del tutto di mia mamma, su richiesta di mia mamma, sto facendo i documenti per la richiesta di amministratore di sostegno.
La mia domanda è : cosa posso fare sapendo mia mamma in mano di una figlia che potrebbe peggiorare ancora e non poter essere informata su cosa potrebbe succedere ?
Se dovessi trasferirmi in un'altra regione potrei incorrere nel reato di abbandono di incapace ?
Mi si richiedono soltanto dei doveri senza avere dei diritti almeno di informazione.”
Consulenza legale i 17/06/2021
La prima osservazione da fare è che l’anziana madre non può essere lasciata “in mano” dell’altra figlia. Infatti, stando a quanto viene riferito, quest'ultima soffrirebbe di patologie psichiatriche che la rendono, oltre che non in grado di provvedere a se stessa, pericolosa per gli altri.
È dunque evidente che la figlia necessita di una misura di protezione, qual è appunto l’amministrazione di sostegno (artt. 404 e ss. c.c.): sarebbe forse possibile anche l’interdizione, ma si tratta di un provvedimento che si tende ad evitare laddove non sia indispensabile per la tutela del soggetto debole.
Si consiglia, pertanto, a chi pone il quesito di avviare quanto prima la procedura per la nomina di amministratore di sostegno anche in favore della sorella.
Da notare che, nella scelta dell’amministratore di sostegno, il giudice tutelare deve dare precedenza, in linea di principio, alle persone legate al beneficiario da determinati rapporti, di parentela o altro; tuttavia, a seconda delle circostanze, potrà essere nominato un amministratore “esterno”, nella persona del Sindaco del comune di residenza - in questo caso, della persona si occuperanno i Servizi sociali - oppure un professionista, preferibilmente - ma non obbligatoriamente - iscritto negli elenchi appositamente tenuti presso i tribunali.
Quanto alla seconda questione, il trasferimento in un’altra regione non comporterebbe, di per sé, una possibile denuncia per abbandono di incapace. Occorre però che le interessate (madre e figlia) non vengano lasciate prive di assistenza e di qualcuno che possa occuparsi di loro, come appunto un amministratore di sostegno.
Infatti, in merito ai presupposti per la sussistenza del reato di cui all’art. 591 c.p., la giurisprudenza (Cass. Pen., Sez. V, 18/04/2016, n. 29666) ha chiarito che “l'elemento oggettivo del reato di abbandono di persone minori o incapaci è integrato da qualsiasi condotta, attiva od omissiva, contrastante con il dovere giuridico di cura (o di custodia), gravante sul soggetto agente, da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l'incolumità del soggetto passivo”.
Nel nostro caso, è indubbio che tale dovere giuridico di cura sussista in capo a chi pone il quesito, innanzitutto nei riguardi della madre: in proposito sempre la Cassazione (Sez. V Pen., sentenza 18/10/2016, n. 44089), ha precisato che il dovere di cura deriva dalle “norme di livello costituzionale riguardanti il riconoscimento della famiglia come società naturale (art. 29 Cost.), il suo inquadramento tra le formazioni sociali ove si svolge la personalità dei singoli e l'adempimento dei doveri di solidarietà sociale (art. 3 Cost.), nonché di quelle del codice civile che impongono il dovere di rispetto dei figli verso i genitori, che diventa concretamente stringente in caso di stato di bisogno ed incapacità del singolo a provvedere al proprio mantenimento (art. 433 c.c.)”, nonché “le norme contenute nel codice civile sull'amministrazione di sostegno, dirette ai figli, per l'attivazione di meccanismi giuridici di protezione dei genitori non autonomi”.
Considerazioni analoghe possono farsi con riguardo alla sorella, che risulta essere persona non in grado di badare a se stessa.

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