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Articolo 417 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Istanza d'interdizione o di inabilitazione

Dispositivo dell'art. 417 Codice Civile

(1)L'interdizione [414] o l'inabilitazione possono essere promosse dalle persone indicate negli articoli 414 e 415, dal coniuge, dalla persona stabilmente convivente, dai parenti entro il quarto grado, dagli affini [78] entro il secondo grado, dal tutore o curatore ovvero dal pubblico ministero [69 c.p.c.](2).

Se l'interdicendo o l'inabilitando si trova sotto la responsabilità genitoriale o ha per curatore uno dei genitori [332], l'interdizione o l'inabilitazione non può essere promossa che su istanza del genitore medesimo o del pubblico ministero [712 ss. c.p.c.](3).

Note

(1) Il comma è stato così modificato dall'art. 5 della L. 9 gennaio 2004 n. 6.
(2) L'elencazione dei soggetti legittimati è da ritenersi tassativa; rispetto al precedente testo (in vigore sino al 2004), potranno ora proporre istanza anche il soggetto interessato e la persona stabilmente convivente.
(3) L'istanza andrà proposta con ricorso al tribunale ordinario del luogo in cui l'interdicendo o l'inabilitando hanno residenza o domicilio; la natura del procedimento, mancando un conflitto di interessi, parrebbe doversi configurare come di volontaria giurisdizione. Si svolge in camera di consiglio e si conclude con sentenza di accoglimento o di rigetto.

Spiegazione dell'art. 417 Codice Civile

A dirimere le molteplici controversie sorte sotto l'impero del precedente codice circa le persone cui è consentito promuovere il provvedimento protettivo, si è voluto circoscrivere precisamente l'ambito di questa legittimazione attiva alla domanda giudiziale. "È sembrato che, per giudizi di cosi grave entità, quali quelli in parola, la facoltà di promuoverli non potesse essere affidata che a parenti od affini piuttosto prossimi all'interdicendo o inabilitando, e per ciò stesso tali da dare affidamento di un suo uso informato soltanto alla preoccupazione della tutela della persona e degli interessi di essa. Del resto, parenti ed affini di grado più remoto e gli stessi estranei, ove stimassero necessario promuovere l'uno o l'altro di quei due giudizi, avrebbero sempre la possibilità di interessare il pubblico ministero e metterlo in grado di prendere le relative iniziative". Di qui la norma, opportunamente precisata nella prima parte di questo articolo.
Senonché, prevedendosi anche "la ipotesi che il giudizio venga promosso durante la minore età dell'interdicendo ed inabilitando, si estende tale facoltà al tutore o curatore di essi, negandola tuttavia ad ogni altro congiunto, quando essi si trovino sotto responsabilità genitoriale od abbiano per curatore uno dei genitori, giacché in tali casi, salvo sempre il potere d'iniziativa del pubblico ministero, nessun altro, più dei genitori, sembra sia giudice migliore della necessità di promuovere il giudizio."

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 417 Codice Civile

Cass. civ. n. 22602/2017

In tema di amministrazione di sostegno colui che, assumendo, ai sensi dell'art. 406 c.c., di essere legittimato a proporre il ricorso per l'istituzione dell'amministrazione di sostegno di una persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trovi nell'impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi -, in caso di specifica contestazione di detta legittimazione, deve fornire la prova, ai sensi dell'art. 2697 c.c., della sua qualità soggettiva ai sensi del combinato disposto dagli artt. 406 e 417 c.c..

Cass. civ. n. 21013/2013

Il processo di interdizione o di inabilitazione si configura come un procedimento contenzioso speciale disciplinato, ove non diversamente disposto, sia pure con rilevanti deviazioni, dalle regole del rito ordinario che non siano con esso incompatibili: pertanto, l'appello avverso la sentenza dichiarativa dell'interdizione va proposto con atto di citazione e, ove il gravame sia erroneamente proposto con ricorso, per stabilirne la tempestività occorre aver riguardo non alla data di deposito di quest'ultimo, ma alla data in cui esso risulti notificato alla controparte unitamente al provvedimento del giudice di fissazione dell'udienza.

Cass. civ. n. 17256/2005

Il processo di interdizione o inabilitazione ha per oggetto un accertamento della capacità di agire che incide sullo "status" della persona e si conclude con una pronuncia qualificata espressamente come sentenza, suscettibile di giudicato. Le peculiarità di detto procedimento, determinate dalla coesistenza di diritti soggettivi privati e di profili pubblicistici, dalla natura e non disponibilità degli interessi coinvolti, e specificamente segnate dalla posizione dei soggetti legittimati a presentare il ricorso, i quali esercitano un potere di azione, ma non agiscono a tutela di un proprio diritto soggettivo (art. 417 cod. civ.), dalla previsione che essi possono impugnare la sentenza, pur se non abbiano partecipato al giudizio (art. 718 cod. proc. civ.), e dagli ampi poteri inquisitori del giudice (art. 419 cod. civ. e art. 714 cod. proc. civ.), non escludono che esso si configuri, pur con tali importanti deviazioni rispetto al rito ordinario, come un procedimento contenzioso speciale, ritenuto dal legislatore come il più idoneo ad offrire garanzie a tutela dell'interesse dell'interdicendo e dell'inabilitando e ad assicurare una più penetrante ricerca della verità, e che quindi esso resti disciplinato, per quanto non previsto dalle regole speciali, dalle regole del processo contenzioso ordinario, ove non incompatibili. Da tanto deriva che anche nel processo di interdizione o di inabilitazione è ammissibile la pronuncia di cessazione della materia del contendere in ogni caso in cui, per motivi sopravvenuti, una pronuncia sul merito si profili come non più necessaria. (Nella specie la corte d'appello, pronunciando sull'appello del solo P.M., aveva dichiarato essere venuta meno la materia del contendere in relazione al giudizio di impugnazione, una volta preso atto che l'impugnante - che in primo grado aveva promosso il giudizio di interdizione - all'esito dei nuovi accertamenti tecnici aveva concluso per la insussistenza di elementi idonei a giustificare il mutamento della pronuncia di inabilitazione adottata dal primo giudice in quella di interdizione; che l'interdicendo aveva chiesto la conferma della sentenza impugnata e che l'interveniente non aveva proposto appello incidentale, limitandosi a formulare valutazioni critiche avverso una parte della motivazione della sentenza del tribunale. Enunciando il principio di cui in massima, la S.C. ha ritenuto la legittimità di tale declaratoria).

Corte cost. n. 748/1988

è manifestamente infondata, in riferimento agli art. 3 e 24 cost., la questione di legittimità costituzionale, esaminata per la prima volta, dell'art. 38, 3° comma, disp. att. c. c., nella parte in cui stabilisce che sulla domanda di dichiarazione giudiziale di paternità e maternità il tribunale per i minorenni ; l'ordinamento conosce vari casi di provvedimenti decisori adottati in camera di consiglio, in cui la procedura è disposta anche in presenza di elementi della giurisdizione contenziosa (procedimento di separazione personale dei coniugi, interdizione, inabilitazione, assenza e dichiarazione di morte presunta: cfr. sent. n. 202 del 1975); la scelta discrezionale di tale procedimento nei casi suddetti risponde a criteri di politica legislativa, inerenti alla valutazione che il legislatore ha compiuto in relazione alla natura degli interessi regolati ed all'opportunità di adottare determinate forme processuali (cfr. sent. n. 142 del 1970) e pertanto, non è sindacabile in sede di legittimità costituzionale, nei limiti in cui, ovviamente, tale scelta non si risolva nella violazione di specifici precetti costituzionali e non sia viziata da irragionevolezza poiché il procedimento in camera di consiglio, di per sé, contrasta con il diritto di difesa sancito dall'art. 24 cost. (cf. dec. n. 122 del 1966); d'altra parte, non risultando l'osservanza del diritto di difesa non preclude la possibilità che la relativa disciplina si conformi alle speciali caratteristiche della struttura dei singoli procedimenti, purché ne vengano assicurati lo scopo e la funzione, cioè la garanzia del contraddittorio, in modo che sia escluso ogni ostacolo a far valere le ragioni delle parti; nel procedimento speficicamente previsto dagli art. 269 segg. c. c. per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità, la difesa è pienamente garantita non solo per ciò che riguarda l'instaurazione del contraddittorio (art. 274 e 276), ma anche con riferimento all'esperibilità di di prova (art. 269, 2° comma), il che rende possibile, diversamente da quanto sostenuto dal giudice a quo, ogni opportuna , così da far escludere la temuta riduzione delle .

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Irene chiede
mercoledì 16/02/2011 - Toscana
“Salve.
Il mio quesito è il seguente. Nell'interdizione nell'ultimo anno di minore età, quando si procede alla comunicazione dell'istanza ai parenti, il grando di parentela deve essere stabilito partendo dai genitori oppure deve essere stabilito partendo dal soggetto che deve essere interdetto?
Spero di essere stata chiara. Grazie.”
Consulenza legale i 16/02/2011

Nell'interdizione promossa nell'ultimo anno di minore età dell’incapace, il ricorso va presentato al Tribunale del luogo in cui esso ha la residenza o il domicilio, in un periodo di tempo, prima del compimento del diciottesimo anno, pari al tempo necessario per svolgere tutta la procedura. Considerate le lungaggini della giustizia, è opportuno muoversi con un buon anticipo (almeno 6 mesi prima), per evitare che l’incapace, divenuto maggiorenne, rimanga sprovvisto di tutela. Secondo l’art. 713 del c.p.c., comma 2, il ricorso e il pedissequo decreto sono notificati a cura del ricorrente (cioè di chi ha chiesto l’interdizione), entro il termine fissato nel decreto stesso, alle persone indicate nel ricorso, in quanto queste, presenti all’udienza, forniranno informazioni ritenute utili dal giudice ai fini della dichiarazione d’interdizione. Nel ricorso devono, quindi, indicarsi i dati anagrafici e le residenze dei parenti entro il quarto grado dell’interdicendo (i suoi genitori, fratelli e sorelle, zii materni e paterni, cugini di primo grado).