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Amministratore di sostegno: può essere nominato anche per rifiutare trattamenti terapeutici

Amministratore di sostegno: può essere nominato anche per rifiutare trattamenti terapeutici
La designazione anticipata dell’amministratore di sostegno è utilizzabile anche in previsione di una futura incapacità, per esprimere il dissenso alle cure salvavita.
L’ordinanza n. 12998/2019, emessa dalla Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, prende posizione sulla delicata questione del rifiuto di trattamenti terapeutici e degli strumenti per esprimerlo.
Nel caso oggetto della pronuncia, una donna si era rivolta al giudice tutelare per essere nominata amministratore di sostegno del marito, funzione per la quale era già stata designata dal coniuge sulla base di una scrittura privata e di una procura speciale autenticata.
Il giudice tutelare rigettava la domanda, sul presupposto che l’uomo fosse “allo stato pienamente capace d'intendere e di volere”.
Avverso il provvedimento i coniugi proponevano reclamo alla Corte d'Appello, anch’esso respinto. In particolare, per i giudici di secondo grado, il diritto di rifiutare determinate terapie sarebbe al di fuori dell'ambito di applicazione dell'istituto dell'amministrazione di sostegno, trattandosi di diritto azionabile autonomamente in giudizio e non tutelabile, in via indiretta, mediante l'istituto in questione.
Marito e moglie ricorrevano allora in Cassazione, sulla base di ben quattro motivi di impugnazione.
Innanzitutto, secondo i ricorrenti, la Corte d’Appello avrebbe errato nel ritenere che il requisito soggettivo di cui all'art. 404 del c.c. riguardi uno stato di totale incapacità d'intendere e di volere, mentre la norma in questione contempla il concetto di "infermità", ossia una malattia o patologia fisica o mentale, non necessariamente involgente una totale incapacità di provvedere ai propri interessi, che può anche essere parziale e temporanea.
In secondo luogo, i coniugi deducevano che la Corte di merito non avrebbe esaminato la documentazione medica prodotta e non avrebbe tenuto conto delle caratteristiche della patologia diagnosticata (Malformazione arterovenosa - MAV), tale da determinare l'impossibilità di comunicare la propria decisione, consistente in una sostanziale obiezione di coscienza, di non sottoporsi alle trasfusioni di sangue nel corso delle crisi emorragiche da cui l'uomo era colpito, trasfusioni ritenute necessarie per la cura.
Inoltre, ad avviso dei ricorrenti, la Corte d’Appello avrebbe erroneamente ritenuto che la domanda di nomina dell'amministratore di sostegno riguardasse un'eventualità futura e non invece attuale (cioè l'impossibilità di opporsi alle trasfusioni ematiche a seguito delle crisi emorragiche che comportavano la perdita dello stato cosciente).
La Corte d’Appello avrebbe altresì sbagliato nel considerare l'amministrazione di sostegno inidonea a soddisfare il diritto fatto valere, in quanto l'unico modo possibile di informare i medici circa il rifiuto di trasfusioni mediche consiste nell'impartire direttive anticipate che, appunto, richiedono la nomina di un rappresentante legale - nella persona dell'amministratore di sostegno - il quale esprimerebbe tale diniego nei casi di impedimento del paziente ove colpito da crisi emorragiche, cagionate dalla patologia in questione, con conseguente perdita di coscienza.
Infine, la decisione impugnata avrebbe comportato una grave lesione dei diritti all'integrità fisica e alla dignità umana.
La Cassazione, nell’esaminare congiuntamente i quattro motivi di ricorso, li ha ritenuti meritevoli di accoglimento.
Secondo i giudici di legittimità, non può essere condiviso l'assunto della Corte d'appello, laddove afferma l’insussistenza del presupposto essenziale dell'amministrazione di sostegno, costituito dall'impossibilità del beneficiario, anche parziale e temporanea, di provvedere ai propri interessi, per effetto di una infermità o di una menomazione fisica e/o psichica, sul presupposto che l’uomo, comparso personalmente all'udienza, sarebbe “apparso allo stato pienamente capace di intendere e di volere”.
Sul punto, la Suprema Corte osserva che l'applicazione dell'amministrazione di sostegno presuppone la sussistenza di un’ipotesi nella quale una persona sia priva, in tutto o in parte, di autonomia - non solo a cagione di una infermità di mente, come nel caso dell'interdizione, ai sensi dell'art. 414 del c.c - bensì anche per una qualsiasi altra “infermità” o “menomazione fisica”, anche parziale o temporanea, che lo ponga nell'impossibilità di provvedere ai propri interessi.
Pertanto, in tale ipotesi, il giudice è tenuto, in ogni caso, a nominare un amministratore di sostegno poiché la discrezionalità attribuita dalla norma ha ad oggetto solo la scelta della misura più idonea (amministrazione di sostegno, inabilitazione, interdizione), e non anche la possibilità di non adottare alcuna misura, che comporterebbe la privazione, per il soggetto incapace, di ogni forma di protezione dei suoi interessi, ivi compresa quella meno invasiva.
Ne discende, secondo la Corte, che soltanto la persona che si trovi nella piena capacità psico-fisica non è legittimata a richiedere l'amministrazione di sostegno, presupponendo l'attivazione della procedura la sussistenza della condizione attuale d'incapacità, in quanto l'intervento giudiziario non può essere che contestuale al manifestarsi dell'esigenza di protezione del soggetto.
Nel caso di specie, la Corte d’Appello non avrebbe considerato la gravissima patologia della quale l’uomo era portatore, tale da comportare emorragie continue, con conseguente instaurarsi di shock emorragico con rapida perdita della coscienza e compromissione delle funzioni vitali, e con gravi difficoltà nell'eloquio, e relativa impossibilità di manifestare il proprio dissenso alla terapia trasfusionale (l’uomo era testimone di Geova sin dal 1982).
La Cassazione ha dunque concluso per la “ineludibilità dell'apertura dell'amministrazione di sostegno…” nella persona della moglie, “sulla base del paradigma normativo fissato nell'art. 408 del c.c., primo comma, che prevede che «l'amministratore di sostegno può essere designato dallo stesso interessato in previsione della propria eventuale futura incapacità. E ciò al fine precipuo di esprimere, in caso di impossibilità del marito, il dissenso alla somministrazione di trasfusioni a base di emoderivati”.
La pronuncia in esame precisa altresì che la designazione anticipata dell’amministratore di sostegno svolge anche la finalità di poter impartire delle direttive, quando si è nella pienezza delle proprie facoltà cognitive e volitive, sulle decisioni sanitarie o terapeutiche da far assumere all'amministratore di sostegno designato, qualora si prospetti tale nuova condizione del designante.


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