Per la gran parte delle famiglie, prima o poi, arriva un momento in cui prendersi cura di un genitore anziano diventa una questione non solo affettiva, ma anche organizzativa, sanitaria e legale. Le difficoltà quotidiane aumentano, le esigenze mediche diventano più complesse e il sostegno casalingo può non essere più sufficiente.
In questi casi, il ricovero in una RSA (Residenza Sanitaria Assistenziale) può rappresentare una soluzione concreta, ma anche un passaggio carico di dubbi, preoccupazioni e tensioni, soprattutto se tra i familiari mancano l’accordo o una visione condivisa.
Cosa succede in questi casi? Quali strumenti giuridici sono previsti per tutelare davvero il benessere della persona non autosufficiente?
Il nodo della decisione: tra esigenze sanitarie e conflitti familiari
Con l’avanzare degli anni o magari dopo una caduta o a causa di problemi di salute, il genitore potrebbe non essere più in grado di vivere da solo. In queste circostanze, i familiari potrebbero ritenere necessario il ricovero all’interno di una RSA. Tuttavia, la situazione si complica se il coniuge dell’anziano, oppure un altro figlio, si oppone al ricovero, magari per motivi affettivi, economici o semplicemente per una diversa visione del tipo di assistenza necessaria.
Interdizione e amministrazione di sostegno: due strumenti giuridici per proteggere chi non può decidere da solo
Il nostro ordinamento prevede due principali strumenti per assistere chi non è più in grado di gestire autonomamente i propri interessi: l’interdizione e l’amministrazione di sostegno.
Quanto alla prima (cfr. art. 417 del c.c.), si tratta di una misura molto incisiva, utilizzata solo nei casi in cui la persona sia del tutto incapace di intendere e di volere, a causa di una abituale e totale infermità mentale. In questo scenario, viene nominato, dal giudice tutelare, un tutore che assume ogni potere decisionale, compreso quello relativo all’assistenza e all’eventuale trasferimento in una RSA. Tuttavia, si tratta di una misura estrema, ormai raramente adottata, proprio perché troppo incisiva sulla persona da interdire.
Più frequentemente, invece, si ricorre all’amministrazione di sostegno (cfr. art. 404 del c.c.), uno strumento introdotto per garantire protezione senza limitare eccessivamente la capacità di agire del soggetto. È il Giudice Tutelare a stabilire, caso per caso, quali siano i compiti da affidare all’amministratore: tra questi, può rientrare la gestione dei rapporti con le strutture sanitarie e la possibilità di decidere in merito al ricovero, sempre nell’interesse esclusivo della persona assistita.
Quando il conflitto tra familiari finisce davanti al Giudice
Se il genitore non è stato ancora dichiarato incapace e la famiglia non riesce a trovare un accordo, è necessario rivolgersi al Giudice Tutelare. Chiunque abbia un legame stretto con la persona – figli, coniuge, parenti prossimi – può presentare un’istanza per chiedere la nomina di un amministratore di sostegno o, nei casi più gravi, l’interdizione.
Tuttavia, anche se un amministratore o un tutore sono già stati nominati, potrebbe accadere che le opinioni divergano. Ad esempio, un figlio può ritenere necessario il ricovero, mentre l’amministratore – magari un altro familiare – si oppone. In queste situazioni, è sempre il Giudice Tutelare a dirimere il conflitto. Può autorizzare il ricovero, integrare o modificare i poteri dell’amministratore, oppure – in casi estremi – sostituirlo.
La priorità, per la legge, resta sempre il benessere dell’assistito, inteso sia dal punto di vista sanitario che relazionale, affettivo e ambientale.
E la retta della RSA? Chi paga?
Molte famiglie si preoccupano, giustamente, anche dell’aspetto economico. La retta per il ricovero in RSA si divide in due componenti: quella sanitaria, coperta dal Servizio Sanitario Nazionale e quella socio-assistenziale o alberghiera che comprende l’alloggio, il vitto ed è a carico dell’ospite. Tuttavia, se quest’ultimo non è in grado di sostenere la spesa necessaria, si può fare richiesta al Comune per ottenere un’integrazione della retta, previa verifica della situazione patrimoniale.
Solo in casi particolari (come, ad esempio, quando sussiste un obbligo contrattuale volontariamente assunto) o se previsto dalla normativa regionale o locale, può essere richiesto un contributo ai familiari. Non si tratta, in ogni caso, di un obbligo che sorge automaticamente: varie sentenze hanno, infatti, escluso qualsiasi dovere di pagamento da parte dei figli, in assenza di un impegno formale o di specifiche disposizioni di legge.
In questi casi, il ricovero in una RSA (Residenza Sanitaria Assistenziale) può rappresentare una soluzione concreta, ma anche un passaggio carico di dubbi, preoccupazioni e tensioni, soprattutto se tra i familiari mancano l’accordo o una visione condivisa.
Cosa succede in questi casi? Quali strumenti giuridici sono previsti per tutelare davvero il benessere della persona non autosufficiente?
Il nodo della decisione: tra esigenze sanitarie e conflitti familiari
Con l’avanzare degli anni o magari dopo una caduta o a causa di problemi di salute, il genitore potrebbe non essere più in grado di vivere da solo. In queste circostanze, i familiari potrebbero ritenere necessario il ricovero all’interno di una RSA. Tuttavia, la situazione si complica se il coniuge dell’anziano, oppure un altro figlio, si oppone al ricovero, magari per motivi affettivi, economici o semplicemente per una diversa visione del tipo di assistenza necessaria.
Interdizione e amministrazione di sostegno: due strumenti giuridici per proteggere chi non può decidere da solo
Il nostro ordinamento prevede due principali strumenti per assistere chi non è più in grado di gestire autonomamente i propri interessi: l’interdizione e l’amministrazione di sostegno.
Quanto alla prima (cfr. art. 417 del c.c.), si tratta di una misura molto incisiva, utilizzata solo nei casi in cui la persona sia del tutto incapace di intendere e di volere, a causa di una abituale e totale infermità mentale. In questo scenario, viene nominato, dal giudice tutelare, un tutore che assume ogni potere decisionale, compreso quello relativo all’assistenza e all’eventuale trasferimento in una RSA. Tuttavia, si tratta di una misura estrema, ormai raramente adottata, proprio perché troppo incisiva sulla persona da interdire.
Più frequentemente, invece, si ricorre all’amministrazione di sostegno (cfr. art. 404 del c.c.), uno strumento introdotto per garantire protezione senza limitare eccessivamente la capacità di agire del soggetto. È il Giudice Tutelare a stabilire, caso per caso, quali siano i compiti da affidare all’amministratore: tra questi, può rientrare la gestione dei rapporti con le strutture sanitarie e la possibilità di decidere in merito al ricovero, sempre nell’interesse esclusivo della persona assistita.
Quando il conflitto tra familiari finisce davanti al Giudice
Se il genitore non è stato ancora dichiarato incapace e la famiglia non riesce a trovare un accordo, è necessario rivolgersi al Giudice Tutelare. Chiunque abbia un legame stretto con la persona – figli, coniuge, parenti prossimi – può presentare un’istanza per chiedere la nomina di un amministratore di sostegno o, nei casi più gravi, l’interdizione.
Tuttavia, anche se un amministratore o un tutore sono già stati nominati, potrebbe accadere che le opinioni divergano. Ad esempio, un figlio può ritenere necessario il ricovero, mentre l’amministratore – magari un altro familiare – si oppone. In queste situazioni, è sempre il Giudice Tutelare a dirimere il conflitto. Può autorizzare il ricovero, integrare o modificare i poteri dell’amministratore, oppure – in casi estremi – sostituirlo.
La priorità, per la legge, resta sempre il benessere dell’assistito, inteso sia dal punto di vista sanitario che relazionale, affettivo e ambientale.
E la retta della RSA? Chi paga?
Molte famiglie si preoccupano, giustamente, anche dell’aspetto economico. La retta per il ricovero in RSA si divide in due componenti: quella sanitaria, coperta dal Servizio Sanitario Nazionale e quella socio-assistenziale o alberghiera che comprende l’alloggio, il vitto ed è a carico dell’ospite. Tuttavia, se quest’ultimo non è in grado di sostenere la spesa necessaria, si può fare richiesta al Comune per ottenere un’integrazione della retta, previa verifica della situazione patrimoniale.
Solo in casi particolari (come, ad esempio, quando sussiste un obbligo contrattuale volontariamente assunto) o se previsto dalla normativa regionale o locale, può essere richiesto un contributo ai familiari. Non si tratta, in ogni caso, di un obbligo che sorge automaticamente: varie sentenze hanno, infatti, escluso qualsiasi dovere di pagamento da parte dei figli, in assenza di un impegno formale o di specifiche disposizioni di legge.