Cass. pen. n. 28212/2018
La radicale divergenza tra dispositivo e motivazione non rientra tra le cause di nullità della sentenza, espressamente e tassativamente previste dall'art. 604 cod. proc. pen., cosicchè il giudice dell'appello deve prendere atto, nei limiti dell'effetto devolutivo, del predetto contrasto e procedere alla valutazione dei motivi di appello. (Fattispecie relativa a contrasto tra dispositivo di condanna e motivazione di una decisione di assoluzione in cui la Corte di appello, rilevato detto contrasto, in considerazione dell'effetto devolutivo conseguente all'appello proposto sia dall'imputato che dal Pubblico Ministero, ha proceduto alla valutazione dei motivi di appello, dando per presupposto che la sentenza di primo grado fosse una sentenza di condanna).
Cass. pen. n. 8273/2018
Non è affetta da nullità, ma da mera irregolarità determinata da errore materiale, la sentenza collegiale nella quale non vi sia corrispondenza tra il nominativo del giudice estensore indicato nel frontespizio e quello del relatore che sottoscrive la sentenza.
Cass. pen. n. 28957/2017
La regola di giudizio compendiata nella formula "al di là di ogni ragionevole dubbio" rileva in sede di legittimità esclusivamente ove la sua violazione si traduca nella illogicità manifesta e decisiva della motivazione della sentenza, non avendo la Corte di cassazione alcun potere di autonoma valutazione delle fonti di prova.
Cass. pen. n. 21795/2017
Il giudice d'appello, a cui sia devoluta esclusivamente la cognizione della nullità della sentenza del giudice di pace recante imputazione e motivazione afferente ad altra e diversa vicenda processuale, non può sostituirsi al primo giudice correggendo la motivazione nell'ambito del potere di integrazione, ma deve trasmetteregli gli atti per non privare l'imputato di un grado del giudizio. (In motivazione, la Corte ha precisato che l'ipotesi di motivazione del tutto avulsa dalla vicenda processuale per cui è processo è assimilabile a quella di omessa motivazione).
Cass. pen. n. 18372/2017
La difformità tra dispositivo letto in udienza e dispositivo in calce alla motivazione non è causa di nullità della sentenza, che ricorre nei soli casi in cui difetti totalmente il dispositivo, ma, prevalendo il dispositivo di udienza, detta difformità è sanabile mediante il procedimento di correzione dell'errore materiale. (Nella specie il dispositivo in calce alla motivazione indicava la conferma della sentenza di primo grado emessa nei confronti di altro imputato, mentre quello letto in udienza dichiarava l'estinzione per prescrizione di un reato, con conseguente riduzione della pena).
Cass. pen. n. 51252/2014
In tema di requisiti della sentenza, qualora il presidente di un collegio giudicante rediga personalmente la motivazione della sentenza, è sufficiente la sua sola firma per ritenere rispettato il disposto dell'art. 546 cod. proc. pen.
Cass. pen. n. 47576/2014
In caso di contrasto tra dispositivo e motivazione non contestuali, il carattere unitario della sentenza, in conformità al quale l'uno e l'altra, quali sue parti, si integrano naturalmente a vicenda, non sempre determina l'applicazione del principio generale della prevalenza del primo in funzione della sua natura di immediata espressione della volontà decisoria del giudice; invero, laddove nel dispositivo ricorra un errore materiale obiettivamente riconoscibile, il contrasto con la motivazione è meramente apparente, con la conseguenza che è consentito fare riferimento a quest'ultima per determinare l'effettiva portata del dispositivo, individuare l'errore che lo affligge ed eliminarne gli effetti, giacché essa, permettendo di ricostruire chiaramente ed inequivocabilmente la volontà del giudice, conserva la sua funzione di spiegazione e chiarimento delle ragioni fondanti la decisione. (Fattispecie relativa alla mancata menzione nel dispositivo dell'assoluzione dell'imputato in relazione ad un segmento della condotta nonostante che la motivazione evidenziasse la chiara ed univoca volontà dei giudici di ritenerlo colpevole solo in relazione ad altra parte addebitatagli nell'ambito di un'unitaria contestazione di calunnia).
Cass. pen. n. 5500/2014
Tra gli elementi essenziali la cui mancanza o incompletezza determina la nullità della sentenza a norma dell'art. 546, terzo comma, cod. proc. pen., non è previsto il capo di imputazione, posto che l'enunciazione dei fatti e delle circostanze ascritte all'imputato ben possono desumersi dal complessivo contenuto della decisione, tenendo conto delle sentenze di primo e secondo grado, che si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile. (Fattispecie, nella quale la Corte ha escluso profili di nullità nella sentenza di secondo grado, che recava nell'intestazione, a causa di un refuso, un capo di imputazione relativo ad altro procedimento, mentre quello corretto e pertinente era riportato nella sentenza di primo grado).
Cass. pen. n. 45606/2013
In tema di motivazione della sentenza, l'art. 546, comma primo, lettera e), cod. proc. pen. non impone al giudice di merito di fare espresso riferimento ad orientamenti giurisprudenziali, essendo sufficiente la corretta interpretazione e applicazione delle disposizioni rilevanti per la decisione.
Cass. pen. n. 44418/2013
Ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione.
Cass. pen. n. 31250/2013
In tema di motivazione della sentenza di patteggiamento, solo nel caso in cui emergano, dagli atti o dalle deduzioni delle parti, concreti elementi circa la possibile applicazione delle cause di non punibilità previste dall'art. 129 c.p.p., è necessario che il giudice dia conto, nella motivazione, della esclusione delle stesse, essendo sufficiente, in caso contrario, anche una implicita motivazione circa la loro insussistenza.
Cass. pen. n. 14978/2013
La mancata sottoscrizione della sentenza d'appello da parte del presidente del collegio non giustificata espressamente da un suo impedimento legittimo e sottoscritta dal solo estensore configura una nullità relativa che non incide né sul giudizio né sulla decisione consacrata nel dispositivo, e che, ove dedotta dalla parte nel ricorso per cassazione, comporta l'annullamento della sentenza-documento e la restituzione degli atti al giudice di appello, nella fase successiva alla deliberazione, affinché si provveda ad una nuova redazione della sentenza-documento che, sottoscritta dal presidente e dall'estensore, deve essere nuovamente depositata, con l'effetto che i termini di impugnazione decorreranno, ai sensi dell'art. 585 cod. proc. pen., dalla notificazione e comunicazione dell'avviso di deposito della stessa sentenza. (Nella specie la S.C. ha escluso che la mancata sottoscrizione da parte del presidente del collegio comporti una mera irregolarità rimediabile con il procedimento di correzione dell'errore materiale oppure una nullità riguardante l'intero giudizio con conseguente necessità di rinnovazione dello stesso o, infine, l'inesistenza della sentenza).
Cass. pen. n. 5907/2012
L'incertezza sulla data di nascita dell'imputato, riportata nell'intestazione della sentenza, non comporta nullità, quando è comunque possibile l'esatta identificazione del soggetto al quale la sentenza medesima si riferisce.
Cass. pen. n. 13094/2011
L'omessa trascrizione, nell'originale della sentenza, del dispositivo letto in pubblica udienza non integra la nullità di cui all'art. 546 c.p.p., trattandosi di una mera assenza grafica sanabile con la procedura di correzione degli errori materiali di cui all'art. 130 c.p.p..
Cass. pen. n. 625/2011
Non sussiste la nullità della sentenza qualora il presidente estensore abbia omesso di sottoscrivere le singole pagine di essa provvedendo tuttavia alla sottoscrizione in calce al documento, in quanto, in tal caso, non è prevista alcuna nullità.
Cass. pen. n. 600/2010
Ai fini della legittimazione alla sottoscrizione del provvedimento collegiale da parte del giudice più anziano del collegio, l'impedimento, diverso dalla morte, di cui fa menzione l'art. 546, comma secondo, c.p.p., deve essere effettivo, serio, grave e duraturo. (Nella specie il trasferimento ad altra sede del presidente del collegio non è stato ritenuto, di per sé, ostacolo giuridico alla sottoscrizione, pur non potendosi escludere che possa esserlo di fatto, sulla base di accertamento da condurre nel singolo caso; in applicazione di tale principio la Corte, preso atto dell'intervenuta valutazione, in concreto, della sussistenza dell'impedimento da parte del componente più anziano del collegio, ha ritenuto inammissibile la censura proposta).
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Il decreto che conclude il procedimento di prevenzione ha natura di sentenza e, pertanto, ad esso si applicano le disposizioni relative ai requisiti indicati, per quest'ultima, nell'art. 546 c.p.p., tra cui quello della sottoscrizione del giudice, la cui mancanza ne determina la nullità
Cass. pen. n. 22/2010
Non è censurabile in sede di legittimità la valutazione circa la sussistenza dell'impedimento del presidente del tribunale di prevenzione (nella specie causato dal suo trasferimento in altra sede), che deve comunque essere effettivo, serio, grave e duraturo, in forza del quale il componente anziano deve sottoscrivere il provvedimento anche per il presidente impedito.
Cass. pen. n. 46201/2008
In tema d'impugnazioni, è inammissibile il ricorso per cassazione del P.M. con cui si denunci la nullità di una sentenza di condanna per mancanza grafica della motivazione, non sussistendo alcun interesse all'impugnazione in difetto di qualsiasi specificazione delle ragioni dell'illegittimità della decisione ovvero dell'indicazione del vantaggio pratico perseguito con l'annullamento della medesima. (Fattispecie nella quale la sentenza era costituita dall'intestazione con allegata una fotocopia del dispositivo di condanna letto in udienza).
Cass. pen. n. 48431/2008
La mancata redazione della motivazione della sentenza, a causa di un qualsiasi impedimento del giudice che abbia adottato la relativa decisione e pubblicato il dispositivo, è equiparabile alla omessa motivazione e non determina pertanto l'inesistenza della pronuncia, ma la sua nullità, rilevabile in quanto tale solo nell'eventuale giudizio di impugnazione.
Cass. pen. n. 39294/2008
È affetta da nullità assoluta la sentenza del tutto priva di motivazione.
Cass. pen. n. 35802/2007
Il contrasto tra dispositivo e motivazione, in ordine alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, non determina la nullità della sentenza, ma si risolve con la logica prevalenza dell'elemento decisionale su quello giustificativo, potendosi eliminare tale divergenza mediante il ricorso alla procedura di correzione dell'errore materiale ex art. 547 c.p.p.
Cass. pen. n. 34293/2007
La mancata sottoscrizione della sentenza da parte del giudice monocratico comporta la nullità del provvedimento medesimo, che può peraltro essere sanata con la mera rinnovazione dell'atto viziato e cioè attraverso una nuova redazione del medesimo.
Cass. pen. n. 42363/2006
Ove l'indecifrabilità grafica della decisione non sia limitata ad alcune parole e non consista nella semplice difficoltà di lettura superabile senza uno sforzo eccessivo, essa ne comporta la nullità, non solo perché equivale, quanto agli effetti, all'ipotesi di omissione della motivazione, ma anche perché lede il diritto al contraddittorio, nella misura in cui pregiudica la possibilità di ragionata determinazione in vista dell'impugnazione e di un'efficace difesa. Si tratta pertanto di una nullità a regime intermedio, che deve essere eccepita o rilevata ai sensi degli artt. 180 e segg. c.p.p.
Cass. pen. n. 1149/2006
Nella motivazione della sentenza il giudice di merito non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata.
Cass. pen. n. 863/2006
Costituisce causa di nullità (relativa), ex art. 546, comma 3, c.p.p., e non semplice irregolarità della sentenza il fatto che quest'ultima, se pronunciata da giudice collegiale, sia priva della sottoscrizione del presidente del collegio. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha annullato senza rinvio, con trasmissione degli atti al giudice a quo per nuova redazione e sottoscrizione della motivazione, una sentenza che recava la sottoscrizione, come presidente del collegio, di un magistrato diverso da quello che, secondo l'epigrafe, aveva esercitato detta funzione).
Cass. pen. n. 45276/2003
In tema di concorso di persone nel reato, la circostanza che il contributo causale del concorrente morale possa manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa (istigazione o determinazione all'esecuzione del delitto, agevolazione alla sua preparazione o consumazione, rafforzamento del proposito criminoso di altro concorrente, mera adesione o autorizzazione o approvazione per rimuovere ogni ostacolo alla realizzazione di esso) non esime il giudice di merito dall'obbligo di motivare sulla prova dell'esistenza di una reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti, non potendosi confondere l'atipicità della condotta criminosa concorsuale, pur prevista dall'art. 110 c.p., con l'indifferenza probatoria circa le forme concrete del suo manifestarsi nella realtà.
Cass. pen. n. 37392/2003
Il contrasto tra dispositivo e motivazione non determina nullità della sentenza, ma si risolve con la logica prevalenza dell'elemento decisionale su quello giustificativo, potendosi eliminare la divergenza mediante ricorso alla semplice correzione dell'errore materiale in base al combinato disposto degli artt. 547 e 130 c.p.p.. (Nella specie la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso per la lamentata discordanza tra dispositivo e motivazione della sentenza riguardante il calcolo della pena finale).
Cass. pen. n. 10629/2003
Qualora la sentenza emessa da giudice collegiale sia priva della sottoscrizione del presidente, ricorre un'ipotesi di nullità relativa della sentenza, da far valere a pena di decadenza nell'atto di gravame.
Cass. pen. n. 1307/2003
La motivazione della sentenza di appello è del tutto congrua se il giudice abbia confutato gli argomenti che costituiscono l'«ossatura» dello schema difensivo dell'imputato, e non una per una tutte le deduzioni difensive della parte, ben potendo, in tale opera, richiamare alcuni passaggi dell'iter argomentativo della decisione di primo grado, quando appaia evidente che tali motivazioni corrispondono anche alla propria soluzione alle questioni prospettate dalla parte.
Cass. pen. n. 39569/2002
Deve considerarsi priva di motivazione la sentenza di merito che, limitandosi a riprodurre stralci di alcune deposizioni testimoniali, affermi che alla stregua delle medesime sussistono gli estremi oggettivi e soggettivi del reato, omettendo il vaglio critico delle risultanze e l'illustrazione della ritenuta riconducibilità del fatto così ricostruito alla fattispecie criminosa contestata.
Cass. pen. n. 45458/2001
La redazione di una sentenza con grafia assolutamente illeggibile priva la motivazione dei requisiti minimi previsti dall'art. 546, comma 1, lett. e), c.p.p. e dà luogo a nullità del provvedimento, ai sensi dell'art. 125, comma 3, stesso codice.
Cass. pen. n. 44657/2001
In tema di requisiti della sentenza, la mancata sottoscrizione del presidente del collegio, ove sia presente quella dell'estensore, non integra una ipotesi di nullità - che si configura soltanto quando la mancanza di sottoscrizione sia completa, stante la previsione del terzo comma dell'art. 546 c.p.p. secondo la quale è nulla la sentenza se «manca la sottoscrizione del giudice» - bensì un'ipotesi di mera irregolarità, suscettibile di rimedio mediante ricorso alla procedura per la correzione degli errori materiali.
Cass. pen. n. 8868/2000
Allorché le sentenze di primo e secondo grado concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo.
Cass. pen. n. 1520/2000
Non costituisce motivo di nullità della sentenza il fatto che, nelle more della estensione della motivazione del provvedimento, il giudice relatore tenga conto di eventuale giurisprudenza sopravvenuta dopo l'intervenuta lettura del dispositivo del processo poiché ciò non incide in alcun modo sulla decisione già presa e riguarda semmai ipoteticamente solo il suo argomentare.
Cass. pen. n. 12754/1999
Qualora la sentenza sia mancante della sottoscrizione finale del giudice, la nullità prevista, per tale ipotesi, dall'art. 546, comma 3, c.p.p., non è esclusa né dall'esistenza del dispositivo letto in udienza e debitamente sottoscritto, né dal fatto che le pagine del documento precedenti l'ultima siano state contrassegnate a margine da informi ghirigori inidonei, come tali, in assenza di una firma chiarificatrice alla fine dell'atto, ad assicurare la sua provenienza dal giudice che lo ha compiuto.
Cass. pen. n. 7572/1999
In tema di motivazione della sentenza di appello, si deve ritenere consentita quella per relationem con riferimento alla pronuncia di primo grado, nel caso in cui le censure formulate contro quest'ultima non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi; il giudice di appello non è infatti tenuto a riesaminare dettagliatamente questioni riferite solo sommariamente dall'appellante nei motivi di gravame, questioni sulle quali si sia già soffermato il primo giudice con argomentazioni (non specificamente e criticamente censurata dall'appellante) ritenute esatte ed esenti da vizi logici dal giudice di appello. (Nella fattispecie, la Corte ha rigettato il ricorso dell'imputato, ritenendo che la questione circa il diverso significato da attribuirsi alle sue dichiarazioni era già stata risolta dal giudice di primo grado, anche in base al più vasto compendio probatorio nel quale esse andavano ad inserirsi).
Cass. pen. n. 5087/1999
Non comporta nullità della sentenza la mancata manifestazione in dispositivo della decisione su di una questione preliminare o incidentale. Invero, in base a quanto stabilisce l'art. 546 comma terzo c.p.p., la sentenza è nulla per omessa pronuncia solo quando il dispositivo sia mancante o incompleto in alcuno dei suoi elementi essenziali. (Fattispecie nella quale il ricorrente aveva sostenuto la nullità della sentenza di secondo grado per omessa statuizione e motivazione sull'eccezione di decadenza della parte civile per difetto di forma dell'atto costitutivo, dedotta nella udienza dibattimentale di appello).
Cass. pen. n. 4415/1999
In tema di motivazione della sentenza di appello, deve ritenersi ammissibile quella redatta per relationem a quella impugnata, nel caso in cui le censure formulate a carico della sentenza di primo grado non contengano elementi di novità con riferimento a quelli già esaminati e disattesi in primo grado; invero il giudice di appello non è tenuto ad riesaminare una questione formulata genericamente nei motivi di appello, questione sulla quale il primo giudice si sia già soffermato, risolvendola con argomentazioni corrette e prive di vizi logici.
Cass. pen. n. 1760/1999
Il principio per cui l'atto che estrinseca la volontà del giudice è solo il dispositivo — che di conseguenza non può subire modifiche, integrazioni e sostituzioni con la motivazione — è valido solo quando il dispositivo è formato e pubblicato in udienza prima della redazione della motivazione. Detto principio non vale, invece, quando dispositivo e motivazione non sono separati ma sono formati e pubblicati contestualmente in un unico documento sicché è pienamente legittimo interpretare o anche integrare il dispositivo sulla base della motivazione.
Cass. pen. n. 1495/1999
Anche in sede di legittimità può procedersi alla cosiddetta «prova di resistenza», nel senso di valutare se gli elementi di prova acquisiti illegittimamente abbiano avuto un peso reale sulla decisione del giudice di merito, controllando in particolare la struttura argomentativa della motivazione al fine di stabilire se la scelta di una determinata soluzione sarebbe stata la stessa anche senza l'utilizzazione di quegli elementi, per la presenza di altre prove ritenute di per sè sufficienti a giustificare l'identico convincimento.
Cass. pen. n. 3658/1998
Il principio che si desume dall'art. 546 c.p.p. secondo cui, in caso di difformità, il dispositivo prevale sulla motivazione opera soltanto per la sentenza e non trova applicazione nei confronti dell'ordinanza e del decreto, non essendo prevista per tali provvedimenti una specifica forma, cosicché la motivazione adempie una funzione di chiarificazione e integrazione della decisione adottata dal giudice (nel caso di specie il Gip, dopo avere osservato nella motivazione del decreto di rinvio a giudizio che il fatto ascritto all'imputato integrava il reato di corruzione per atti conformi ai doveri di ufficio, anziché, come contestato dal P.M., per atti contrari, aveva disposto il rinvio a giudizio «per i reati di cui all'allegato capo di imputazione», cioè per il capo di imputazione così come formulato dal pubblico ministero. La Corte di cassazione, nell'enunciare il principio di cui in massima, ha ritenuto che il rinvio a giudizio fosse stato disposto per il reato di corruzione propria, come precisato nella motivazione del decreto).
Cass. pen. n. 11497/1998
La mancanza o l'incompletezza totale o parziale del dispositivo determina la nullità della sentenza, con conseguente necessità di una nuova pronuncia, limitatamente ai capi d'imputazione contestati e non decisi, poiché il procedimento di correzione degli errori materiali è escluso nell'ipotesi in cui l'errore produca la nullità dell'atto. La motivazione, invero, ha funzione strumentale, mentre nel dispositivo è estrinsecata la volontà del giudice. (Fattispecie in materia di omessa statuizione sanzionatoria nei confronti dell'imputato cui la corte di merito aveva erroneamente ovviato con la correzione materiale).
Cass. pen. n. 10972/1998
Deve ritenersi sufficiente la motivazione contenente la mera indicazione degli elementi probatori, ritenuti evidentemente attendibili, su cui fondare la sussistenza di determinate circostanze di fatto, individuati attraverso un rinvio per relationem al corrispondente atto processuale, che può esser compulsato al fine di accertare la congruenza del richiamo effettuato e della valutazione posta a base della decisione.
Cass. pen. n. 6559/1998
È priva di conseguenze sul piano processuale la mancata indicazione nell'estratto notificato all'imputato della sentenza di primo grado dell'autorità giudiziaria che l'ha pronunciata, in quanto tra le ipotesi di nullità della sentenza, ai sensi del combinato disposto degli artt. 125, comma terzo, e 546, comma terzo, c.p.p., non è compresa l'indicazione prevista dalla lettera a) del comma primo dell'art. 546. (Nella specie la Cassazione ha confermato la decisione dei giudici di merito che avevano ritenuto comunque priva di fondamento la censura — dedotta con i motivi di appello — sia perché dal decreto di citazione risultava che il giudice si identificava nel Pretore di S. Maria Capua Vetere, sez. distaccata di Aversa, sia perché, costituendo le sezioni distaccate mere articolazioni delle preture circondariali, l'autorità è comunque agevolmente identificabile).
Cass. pen. n. 476/1998
L'omessa indicazione, nell'intestazione di un'ordinanza del tribunale, della data o dei nomi dei giudici che poi ritualmente lo sottoscrissero e lo depositarono non comporta la nullità del provvedimento: basti al proposito rilevare che questa sanzione non è prevista dall'art. 546 c.p.p. per una siffatta situazione nemmeno con riguardo alle sentenze che pure, a differenza delle ordinanze, sono atti a forma disciplinata.
Cass. pen. n. 6753/1998
In caso di discordanza tra il dispositivo letto in udienza e il contenuto della motivazione della sentenza successivamente depositata, deve prevalere il primo, che costituisce il mezzo con il quale è immediatamente estrinsecata la volontà del giudice. È ammissibile, in tale caso, il procedimento di correzione di errori materiali per l'adeguamento della motivazione al dispositivo.
Cass. pen. n. 51/1998
Il computo della pena deve risultare con precisione e chiarezza dal testo della sentenza, onde consentire il dovuto controllo circa la correttezza della motivazione. L'eventuale motivazione per relationem deve risultare estremamente puntuale e servire ad integrare il computo ed il ragionamento posto a base della sua specificazione nei vari passaggi. (Nella specie la Corte ha annullato con rinvio la sentenza nella quale il computo della pena era stato operato con generico rinvio ai prospetti allegati ai verbali di indagine per violazione degli art. 1 e 2 della legge 23 ottobre 1969 n. 1369 intermediazione nelle prestazioni di lavoro)
Cass. pen. n. 8962/1997
L'omesso esame di una prova può essere dedotto in cassazione soltanto nei limiti di cui all'art. 606 lett. e) c.p.p. È, cioè, necessario che la prova sia enunciata nella decisione, ma trascurata nello sviluppo delle argomentazioni. Anche in quest'ultimo caso deve risultare non assorbita in altre considerazioni. Esso non può essere inquadrato nella violazione dell'art. 546 comma 1 lett. e) - tale da determinare la nullità della pronunzia in base all'art. 125 comma 1 n. 3 c.p.p. in riferimento all'art. 606 lett. b) - poiché tale vizio attiene a disposizioni di diritto sostanziale e non processuale, anche laddove menziona le «altre norme giuridiche». Non è configurabile neppure la violazione dell'art. 606 lett. c) c.p.p., poiché il difetto di motivazione, pur costituendo fonte d'invalidità della sentenza, può essere rappresentato esclusivamente alla stregua dell'art. 606 lett. e), che opera come previsione specifica e rende inapplicabile quella di carattere generale, contenuta nella lett. c). Né la censura può, infine, rientrare nella lett. d) dell'art. 606 cit., in quanto questa statuizione ha la funzione di apprestare tutela nel caso di eventuali violazioni del c.d. diritto alla controprova, quando sia stata compromessa l'effettiva instaurazione del contraddittorio fra le parti in ordine ad un elemento decisivo dell'istruzione probatoria.
Cass. pen. n. 937/1997
Tra gli elementi essenziali la cui mancanza o incompletezza determina la nullità della sentenza a norma dell'art. 546, terzo comma, c.p.p., non è previsto il capo di imputazione, posto che l'enunciazione dei fatti e delle circostanze ascritte all'imputato ben possono desumersi dal complessivo contenuto della decisione.
Cass. pen. n. 6980/1997
In tema di valutazione del vizio di mancanza o illogicità della motivazione, deve ritenersi legittimo — allorquando le decisioni delle due sedi di merito conformemente concludono al riguardo — anche un rinvio agli argomenti esposti dalla pronuncia di prime cure, salvo che con i motivi di appello non siano state poste specifiche questioni, per le quali l'apparato argomentativo della sentenza del giudice sovraordinato deve essere autonomo ed autosufficiente.
Cass. pen. n. 6006/1997
L'incompletezza del dispositivo, inteso quale provvedimento che rende esplicita la volontà del giudice nel caso concreto, individuato attraverso l'imputazione, si traduce in un riconoscibile divario tra dictum reale e dictum legale, in una ablazione di una parte del provvedimento che, per interna consequenzialità logica ed ontologica e per l'ordinaria progressione processuale, è privo di una parte essenziale della statuizione. Si traduce, cioè, in una disarmonia tra statuizione concreta e statuizione legale, sanzionata da una inevitabile nullità, emendabile soltanto con l'imputazione. La mancanza del dispositivo, invece, postula conseguenze diverse a seconda che sia assoluta o parziale. Quella parziale è equiparabile all'incompletezza e genera la nullità della sentenza. La mancanza assoluta determina, invece, l'inesistenza materiale e giuridica della sentenza che non è suscettibile di passare in giudicato, con la conseguenza che il vuoto decisorio deve essere rilevato e colmato dal giudice che procede, anche in assenza d'impugnazione.
Cass. pen. n. 4911/1997
In tema di nullità della sentenza, l'asserita mancata verbalizzazione di richieste difensive o delle conclusioni della difesa non è idonea a produrre alcuna nullità se non vengono specificate nell'impugnazione sia il contenuto delle richieste non verbalizzate che il pregiudizio derivato dal loro mancato esame. La nullità infatti può derivare esclusivamente dal totale impedimento alla difesa di illustrare le proprie conclusioni, dal mancato accoglimento della richiesta di prendere per ultima la parola, dalla immotivata non ammissione di prove rilevanti ai fini del decidere.
Cass. pen. n. 3018/1997
La sentenza è nulla sia quando manchi la sottoscrizione del presidente del dibattimento, sia quando la sottoscrizione del presidente — per impedimento di questi — sia sostituita da quella del consigliere anziano, ma difetti la formale menzione dell'impedimento medesimo. Pertanto, per il principio della competenza funzionale esclusiva, il processo deve regredire nel grado in cui l'atto nullo è stato compiuto; per il principio dell'autonomia funzionale degli atti, la declaratoria di nullità della sentenza non può invalidare anche la precedente fase del dibattimento. (Nella specie, la S.C., una volta dichiarata la nullità della sentenza, non potendo provvedere alla sua rinnovazione, ha rinviato il processo davanti alla corte d'appello che aveva emesso detta sentenza, affinché quello [stesso] collegio giudicante, provveda alla rinnovazione della sentenza-documento annullata, ed ha ritenuto che «più precisamente il processo regredisce nella fase post-dibattimentale in cui l'atto nullo è stato compiuto, o meglio ancora nella sotto-fase degli atti successivi alla deliberazione, in cui la sentenza-documento è stata redatta e sottoscritta». Il giudice provvederà alla rinnovazione dell'atto nullo attraverso una nuova redazione della sentenza da parte dell'estensore ex comma secondo dell'art. 546 c.p.p., e un nuovo deposito in cancelleria, in tutto ciò seguendo le norme stabilite per questa sottofase negli artt. 544-548 c.p.p.).
Cass. pen. n. 2117/1997
La norma di cui all'art. 546 comma terzo c.p.p. (requisiti della sentenza) sanziona a pena di nullità la sola mancanza o incompletezza del dispositivo. Viceversa, nessuna nullità si verifica per l'omissione dei capi di imputazione nell'epigrafe della sentenza, ben potendo l'enunciazione dei fatti e delle circostanze che formano oggetto dell'imputazione essere contenuta nel corpo del provvedimento.
Cass. pen. n. 2042/1997
In tema di contrasto tra il dispositivo e la motivazione della sentenza, mentre è certo che debba essere sempre il criterio della prevalenza del dispositivo a guidare l'interpretazione della sentenza divenuta irrevocabile, è da escludere, invece, che un tale contrasto possa sempre essere dedotto come motivo di ricorso per cassazione. In particolare, il contrasto non è impugnabile se il dispositivo è conforme alla richiesta del soggetto processuale che si duole della motivazione, stante la carenza di un concreto e attuale interesse. (Nella specie, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso dell'imputato, che si doleva del fatto che la corte di appello aveva negato in motivazione la sospensione condizionale della pena già riconosciuta in primo grado, pur mancando una impugnazione del pubblico ministero e pur avendo la stessa Corte, nel dispositivo, riducendo la pena principale, confermato nel resto sul punto la sentenza impugnata).
Cass. pen. n. 1020/1997
Non basta la mera contraddittorietà formale della motivazione per dar luogo alla nullità della sentenza. Occorre che le affermazioni apparentemente contrastanti facciano leva sugli stessi presupposti di fatto, sicché non vi è contrasto reale tra affermazioni formalmente contraddittorie se esse riguardano presupposti di fatto differenti. (Nella specie la Corte di cassazione ha ritenuto non contraddittorie l'esclusione della diminuente per la lieve entità del fatto, di cui all'art. 73, comma quinto, D.P.R. 309/90, e la concessione delle attenuanti generiche nella misura massima).
Cass. pen. n. 705/1997
La omissione, nel dispositivo di una sentenza, che solo integra il decisum, di qualsiasi pronuncia nei confronti di alcuni tra gli imputati, determina nullità e perciò non può legittimamente ricorrersi alla procedura di correzione degli errori materiali. È peraltro del tutto abnorme il provvedimento di correzione dell'errore materiale adottato dal presidente del collegio giudicante e non dall'intero collegio e senza il rispetto del contraddittorio secondo quanto previsto dall'art. 127 c.p.p.
Cass. pen. n. 10162/1996
Le argomentazioni che specificamente riguardano le ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove a favore dell'imputato devono avere lo stesso spessore di adeguatezza e coerenza richiesto per la motivazione delle prove a carico; e, nella comparazione, delle scelte operate e del privilegio accordato agli uni o agli altri elementi acquisiti va data congrua dimostrazione, senza salti logici.
Cass. pen. n. 7749/1996
In tema di formazione della sentenza penale, va distinto il dispositivo — redatto e sottoscritto dal presidente non appena conclusa la deliberazione, nel quale è indicata la volontà dello Stato in relazione alla pretesa punitiva — dalla motivazione, in cui vi è l'esposizione dei motivi di fatto e di diritto sui quali la sentenza stessa è fondata. L'accertamento delle condizioni di capacità del giudice deve essere compiuto con riferimento al momento dell'emissione della sentenza-decisione, mentre il venir meno delle stesse nel momento della redazione della motivazione non incide sulla sostanza dell'atto ormai emanato: d'altra parte l'art. 546 comma 2 c.p.p. esclude qualsiasi rilevanza di carattere sostanziale al venir meno della stessa persona fisica del giudice («per morte o per altro impedimento») dopo la deliberazione della sentenza, limitandosi soltanto ad impartire disposizioni dirette a disciplinare in quale modo sostituire la sottoscrizione non più possibile. (Nella fattispecie il Supremo Collegio ha disatteso la censura mossa dal ricorrente il quale aveva dedotto la nullità della sentenza di primo grado in quanto sottoscritta da un presidente che al momento del deposito della stessa aveva cessato di far parte dell'ordine giudiziario).
Cass. pen. n. 2185/1996
Qualora il presidente di un collegio giudicante abbia provveduto personalmente a redigere la motivazione della sentenza, è necessaria e sufficiente per la validità dell'atto la sua sola sottoscrizione.
Cass. pen. n. 17/1996
L'obbligo della motivazione deve ritenersi assolto allorché il giudice indichi il principio di diritto applicato ed esprima la propria adesione ad esso, ritenendo, anche per implicito, che non esistano ragioni che giustifichino una deviazione da indirizzi giurisprudenziali costituenti ius receptum.
Cass. pen. n. 3986/1996
Qualora la sentenza sia priva, per qualsivoglia causa della firma del presidente del collegio giudicante, si realizza — secondo il dettato dell'art. 546 c.p.p. 1930 e dell'art. 546 del nuovo codice di rito — una ipotesi di nullità e non già di mera irregolarità: il dato legislativo infatti è tale da ritenere che siffatta sanzione, espressamente prevista dalle citate norme, si riferisca a ciascuna delle richieste sottoscrizioni (quella del presidente e quella dell'estensore). L'invalidità in questione non rientra peraltro tra le nullità di carattere assoluto o di ordine generale, ma si configura come relativa; ciò in quanto la sottoscrizione della sentenza attiene al momento formativo della documentazione e non a quello della decisione e pertanto non riguarda la capacità e la costituzione del giudice. Conseguentemente la relativa eccezione deve essere sollevata a pena di decadenza nell'atto di gravame avverso la sentenza stessa, con esclusione della possibilità di formularla solo nel corso del giudizio di impugnazione.
Cass. pen. n. 3962/1996
La mancata riproposizione nel nuovo codice di rito dell'art. 211 c.p.p. 1930 (obbligo di rispettare i vari gradi di giurisdizione, salvi i casi espressamente eccettuati) non assume rilevanza, trattandosi di una disposizione meramente enunciativa di un principio generale dell'ordinamento processuale tuttora vigente. La potestà di impugnazione della parte e il potere del giudice di decidere sulla domanda di impugnazione presuppongono, infatti, l'esistenza del provvedimento di cui si chiede la sostituzione. Tale principio, da un lato, trova applicazione nell'art. 522 c.p.p. il quale, escludendo che il giudice di primo grado possa decidere su fatti nuovi e diversi rispetto a quelli oggetto di contestazione, a maggior ragione fa operare siffatta preclusione nei confronti del giudice di appello; dall'altro lato, trova conferma nell'art. 597 c.p.p. che pone limiti alle attribuzioni del giudice di appello, che non può sostituirsi al primo giudice, salve le eccezioni tassativamente previste, fra cui quella specifica enunciata nel comma 5 dello stesso art. 597 e quella generale di cui all'art. 129 c.p.p., con riguardo ai capi e ai punti impugnati. Ne consegue che il giudice di appello non può decidere in ordine ad un reato su cui il giudice di primo grado abbia omesso di pronunciare, ma deve rilevare anche di ufficio la nullità di cui all'art. 546, comma 3, c.p.p. (mancanza od incompletezza del dispositivo) e rimettere gli atti al giudice di primo grado per il giudizio.
Cass. pen. n. 556/1996
Nel contrasto tra intestazione della sentenza e risultanze verbali del dibattimento, sono queste ultime a dover prevalere, in considerazione del valore probatorio del verbale.
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Quando la sentenza è sottoscritta dagli stessi magistrati che la pronunciarono e fecero effettivamente parte del collegio, l'errata indicazione, nella intestazione della sentenza, del nome di un giudice che non prese parte al dibattimento, al posto del giudice che concorse a pronunciarla, non è causa di nullità e costituisce un mero errore materiale ed una semplice irregolarità formale, in quanto la reale situazione trova incontestabile riscontro e documentazione nelle risultanze del verbale del dibattimento.
Cass. pen. n. 1169/1996
La indicazione delle conclusioni delle parti (art. 546, comma 11, lettera d, c.p.p.) non deve essere necessariamente riportata nel preambolo della parte motiva della sentenza mediante rinvio al verbale d'udienza o mediante la descrizione dei motivi di appello. D'altra parte anche la completa omissione dell'indicazione delle conclusioni delle parti non è prevista quale causa di nullità.
Cass. pen. n. 12490/1995
La nullità sancita dall'art. 546, comma 3, c.p.p., per la mancanza o incompletezza del dispositivo, riguarda esclusivamente la sentenza redatta dal giudice a norma dell'art. 546 c.p.p.; analoga sanzione non è prevista, viceversa, per quanto concerne il dispositivo che il giudice è tenuto a redigere a norma dell'art. 544, comma 1, c.p.p., e che è destinato ad essere letto in udienza, sicché è da ritenere che la mancata redazione del dispositivo pronunciato in udienza non incide sulla validità della sentenza redatta e sottoscritta dal giudice in conformità di quanto disposto dall'art. 546 c.p.p.
Cass. pen. n. 11513/1995
L'adempimento dell'obbligo della motivazione in ordine alla determinazione della pena ed alla scelta della sanzione non può essere assolto con il mero richiamo all'art. 133 c.p. (gravità del reato: valutazione agli effetti della pena) ma è necessario che siano enunciati, seppur sinteticamente, gli elementi giustificativi della scelta. Tale onere, tuttavia, con riguardo al giudizio di appello, deve essere correlato con il principio dell'integrazione delle motivazioni delle sentenze di primo e di secondo grado. Deve peraltro aggiungersi che l'uso di espressioni sintetiche quali «alla luce dei criteri ex art. 133 c.p.» o «pena congrua» è giustificato quando viene irrogata una pena molto vicina al minimo edittale, giacché non essendo, in tale caso, necessaria una analitica enunciazione dei criteri.
Cass. pen. n. 11421/1995
Sussiste il vizio di mancata e di manifesta illogicità di motivazione quando, trattandosi di motivazione per relationem (di per sé legittima, quando vi sia concordanza non solo tra i dispositivi, ma anche sulla valutazione degli elementi più rilevanti sui quali si fonda il convincimento), l'iter logico seguito dal giudice di primo grado risulti incompatibile con quello seguito dai giudici di appello. (Nella fattispecie la sentenza d'appello, confermativa della sentenza di primo grado, rinviava per relationem la motivazione del primo giudice, ma riteneva inattendibili le chiamate di correità su cui era stata fondata la prima decisione, senza peraltro indicare quali altre prove sorreggevano il convincimento di responsabilità).
Cass. pen. n. 10372/1995
L'obbligo della motivazione, imposto al giudice dagli artt. 111 Cost. e 125, comma terzo, c.p.p. per tutte le sentenze, opera anche rispetto a quelle di applicazione della pena su richiesta delle parti. Tuttavia, in tal caso, esso non può non essere conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento, rispetto alla quale, pur non potendo ridursi il compito del giudice a una funzione di semplice presa d'atto del patto concluso tra le parti, lo sviluppo delle linee argomentative della decisione è necessariamente correlato all'esistenza dell'atto negoziale con cui l'imputato dispensa l'accusa dall'onere di provare i fatti dedotti nell'imputazione. Ne consegue che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle ipotesi di cui all'art. 129 c.p.p. deve essere accompagnato da una semplice motivazione soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non punibilità, dovendo, invece, ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nell'enunciazione - anche implicita - che è stata compiuta la verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la pronuncia di proscioglimento ex art. 129 c.p.p.
Cass. pen. n. 295/1995
È viziata da illogicità la motivazione che, pur riconoscendo la possibilità di acquisizione di una prova che dimostri in modo diretto la sussistenza o meno di un reato o anche solo di un elemento della fattispecie criminosa dedotta in contestazione, ne escluda l'ammissibilità sul presupposto della sua non indispensabilità o necessità, dovuta alla presenza di prove indiziarie e logiche ritenute sufficienti per la decisione in ordine al reato nel suo complesso o ad un elemento di esso. Ciò in omaggio ad un principio di gerarchia delle prove, implicito nel nostro sistema processuale, in virtù del quale la prova diretta prevale su quella indiziaria, e logica, in quanto idonea più di questa a dimostrare il thema probandum ed a costituire pertanto fondamento della certezza morale e giuridica che è presupposto indispensabile di una sentenza di condanna.
Cass. pen. n. 8277/1995
La mancanza o incompletezza del dispositivo comporta la nullità della sentenza ai sensi dell'art. 546 c.p.p. Ed invero l'obbligo della pronuncia sull'azione penale, cui corrisponde un diritto soggettivo dell'imputato, può dirsi adempiuto soltanto con la statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza stessa. Né ad una eventuale omissione può supplirsi con la motivazione, la quale adempie una finalità permanente strumentale ed è improduttiva di conseguenze giuridiche se non trova la sua conclusione nel dispositivo, donde l'impossibilità di fare ricorso alla procedura di correzione di cui all'art. 130, c.p.p. più volte ribadita da questa Corte. Peraltro, ove l'omissione sia solo parziale, essa determina la nullità della sentenza limitatamente ai capi di imputazione formalmente contestati e non decisi, con conseguente necessità di una distinta pronuncia sugli stessi e non travolge l'intero provvedimento che conserva la sua piena validità nelle restanti parti. Ne consegue che in tal caso l'anomalia deve essere fatta valere dalla parte mediante gli ordinari rimedi predisposti dall'ordinamento, vale a dire attraverso l'impugnazione della sentenza.
Cass. pen. n. 6677/1995
Nel caso in cui venga irrogata una pena di gran lunga più vicina al minimo che al massimo edittale, il mero richiamo ai «criteri di cui all'art. 133 c.p.» deve ritenersi motivazione sufficiente per dimostrare l'adeguatezza della pena all'entità del fatto; invero, l'obbligo della motivazione, in ordine alla congruità della pena inflitta, tanto più si attenua quanto maggiormente la pena, in concreto irrogata, si avvicina al minimo edittale.
Cass. pen. n. 3926/1995
Il dispositivo della sentenza, essendo l'atto nel quale è estrinsecata la volontà del giudice in ordine all'applicazione della legge nel caso concreto, prevale sulla motivazione. Pertanto, è irrilevante che in questa si giustifichi la risoluzione di pena operata con la concessione di attenuanti generiche, ritenuta equivalente, qualora di dette circostanze e del giudizio di comparazione non vi sia traccia alcuna nel dispositivo.
Cass. pen. n. 7309/1994
Nell'ipotesi di mancata involontaria sottoscrizione della sentenza (nella specie del presidente del collegio) si verifica una irregolarità formale, che, se dedotta (diversamente si procede con il rito della correzione degli errori materiali), dà luogo a nullità relativa, sanabile mediante rinnovazione della stesura del solo documento. (La Corte ha annullato la sentenza impugnata, disponendo nel senso suddetto. Ha altresì precisato che in caso di volontaria omessa sottoscrizione si verifica una nullità assoluta).
Cass. pen. n. 1696/1994
Ai fini della validità dell'ordinanza emessa da un giudice collegiale - anche per il nuovo codice di rito - è sufficiente che il provvedimento sia sottoscritto dal presidente e dall'estensore, ponendo l'art. 546, comma 2, c.p.p. un principio di ordine generale.
Cass. pen. n. 928/1994
La motivazione per relationem di un provvedimento dà luogo alla nullità dello stesso nel caso che essa sia adottata dal giudice dell'impugnazione poiché si risolve nella violazione del principio del doppio grado di giurisdizione. Invece nel caso in cui il giudice adotti per la prima volta un provvedimento, riportandosi alla motivazione contenuta in altro atto processuale, non vi è illegittimità di detta motivazione per relationem, se quella richiamata sia conosciuta o conoscibile dall'interessato, per modo che questo sia in grado di controllarne la congruenza e la legittimità.
Cass. pen. n. 5112/1994
In materia di impugnazione, anche in base al nuovo codice di procedura penale, la sentenza appellata e quella di appello, quando non vi è difformità sul punto denunciato, si integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile. Ne consegue che la motivazione adottata dal primo giudice vale a colmare le eventuali lacune di quella d'appello.
Cass. pen. n. 4704/1994
La motivazione per relationem è legittima nell'ambito della mera ricostruzione del fatto e nelle parti della sentenza di primo grado, non impugnate. Nell'ipotesi in cui l'interessato con precise considerazioni svolga specifiche censure sui singoli capi e punti della pronunzia, oggetto di gravame, il giudice di secondo grado non può però limitarsi a richiamare la stessa, ma deve rispondere in modo congruo alle singole doglianze prospettate; né può esaurire il suo compito nella mera ritrascrizione della precedente decisione, venendo così meno al dovere della motivazione, che è l'unico strumento, attraverso il quale le parti ed il giudice superiore possono esercitare il loro controllo sui passaggi logici seguiti. Diversamente viene meno il doppio grado di giurisdizione, che assolverebbe solo formalmente alla funzione voluta dal legislatore, ma sostanzialmente sarebbe privo di ogni concreto contenuto di revisio prioris instantiae.
Cass. pen. n. 3772/1994
Ai fini dell'assolvimento dell'obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall'imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l'uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l'indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo. (Nella specie il giudice di merito aveva ritenuto che non potessero concedersi le attenuanti generiche in relazione alla gravità del fatto ed ai precedenti penali dell'imputato; la Cassazione ha ritenuto corretta la relativa motivazione, enunciando il principio di cui in massima).
Cass. pen. n. 226/1994
La sottoscrizione della sentenza non implica che la firma del provvedimento debba essere apposta in maniera tale da consentire l'individuazione del giudice (o dei giudici) da cui la decisione promana, non essendo ciò richiesto da alcuna norma giuridica, ed in particolare dall'art. 546 c.p.p, che pure contiene la specifica indicazione dei requisiti richiesti per la sentenza e contempla i casi di nullità relativi.
Cass. pen. n. 11450/1993
Non ricorre il vizio di omesso esame, quale vizio della motivazione, quando il giudice di merito abbia considerato e valutato i risultati delle prove (relative, nella specie, ad omicidio colposo relativo ad investimento di pedone da parte di conducente di ciclomotore) in modo completo e senza errori logici o giuridici.
Cass. pen. n. 10116/1993
Qualora l'affermazione di responsabilità sia stata fondata su ipotesi alternative e il relativo giudizio poggi su ragioni distinte, gli eventuali vizi della sentenza in ordine ad una delle ragioni non possono determinare l'annullamento della decisione, dato che essa trova adeguato e corretto sostegno sulle altre argomentazioni non infirmate da detti vizi. (Nella specie, sentenza di condanna per omicidio colposo verificatosi in sinistro stradale)
Cass. pen. n. 2303/1993
L'omessa sottoscrizione della sentenza o di un provvedimento camerale da parte del presidente o del giudice estensore determina nullità relativa (artt. 181 e 546 c.p.p.).
Cass. pen. n. 763/1993
La nullità della sentenza in caso di mancata sottoscrizione del giudice, ai sensi dell'art. 546 comma terzo c.p.p., sussiste soltanto quando detta mancanza sia completa; il che non si verifica quando, pur mancando la sottoscrizione del giudice estensore, vi sia però quella del presidente del collegio giudicante, risolvendosi in tal caso la detta mancanza in una mera irregolarità, suscettibile di sanatoria mediante la procedura di correzione degli errori materiali. (Nella specie la Corte ha ritenuto che la mancata sottoscrizione del giudice fosse certamente dovuta a mera negligenza o disattenzione).
Cass. pen. n. 1097/1993
È nulla la sentenza firmata dal presidente e non pure dall'estensore, poichè l'art. 546 comma terzo c.p.p. richiede la firma del giudice e questi va individuato prima di tutto nell'estensore della sentenza. (Nella specie la S.C. ha altresì precisato: «nè può trattarsi la ipotesi della mancata sottoscrizione alla stregua di un errore materiale suscettibile di correzione, giacchè, ricorre un caso di nullità, che ben può essere eccepita con ricorso per cassazione»).
Cass. pen. n. 6992/1992
La concessione delle attenuanti generiche risponde a una facoltà discrezionale, il cui esercizio, positivo o negativo che sia, deve essere bensì motivato, ma nei soli limiti a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l'adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo. Detta motivazione, in caso di diniego delle attenuanti in parole, può legittimamente ricavarsi, per implicito, anche mediante raffronto con le espresse considerazioni poste a fondamento del loro avvenuto riconoscimento, con riguardo ad altre posizioni esaminate nella stessa sentenza, quando gli elementi meritori illustrati in dette considerazioni appaiano quegli stessi la cui mancanza ha assunto, nel quadro di una valutazione generalmente negativa, efficacia determinante.
Cass. pen. n. 1139/1992
In caso di difformità con la motivazione, prevale il dispositivo letto in udienza — esso solo costituendo l'attuazione della volontà di legge nel caso concreto — con la conseguenza che le affermazioni contenute nella motivazione, se non trovano rispondenza nel dispositivo, non sono, di per sè singole, suscettibili di rilevanza giuridica.
Cass. pen. n. 3754/1992
In sede di motivazione della sentenza di condanna la prospettazione di ipotesi deve ritenersi certamente vietata quando il giudice intenda trarre da esse, e non da fatti obiettivamente accertati, la prova della colpevolezza dell'imputato. Un tale divieto, però, non sussiste né potrebbe logicamente sussistere quando, in presenza di altri elementi non ipotetici atti a dimostrare la detta colpevolezza, il giudice debba affrontare l'esame delle risultanze che si assumano come potenzialmente idonee a vanificare la loro valenza. In tal caso, infatti, il giudice altro non potrà né dovrà fare se non verificare, ricorrendo necessariamente a delle ipotesi, se le dette risultanze siano in effetti compatibili o meno con la ricostruzione dei fatti in chiave accusatoria, la quale, peraltro, anche in caso di esito positivo di detta verifica, rimarrà comunque basata esclusivamente sulle prove acquisite e non sulle ipotesi formulate in funzione della verifica stessa.
Cass. pen. n. 9141/1991
La motivazione in ordine alla determinazione della pena base, ed alla diminuzione o agli aumenti operati per le eventuali circostanze aggravanti o attenuanti, è necessaria solo quando la pena inflitta sia di gran lunga superiore alla misura media edittale. Fuori di questo caso anche l'uso di espressioni come «pena congrua», «pena equa», «congrua riduzione», «congruo aumento» o il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere dell'imputato sono sufficienti a far ritenere che il giudice abbia tenuto presente, sia pure globalmente, i criteri dettati dall'art. 133 c.p. per il corretto esercizio del potere discrezionale conferitogli dalla norma in ordine al quantum della pena.
Cass. pen. n. 7767/1991
L'onere di motivare la sentenza non equivale ad obbligo del giudice di convincere tutti i destinatari della motivazione. Ciò che rileva è l'esistenza di un apparato argomentativo, cui non si possa imputare violazione di principi di diritto o regole codificate, superficialità ed approssimazione nella valutazione del dato probatorio, contrasto con il buon senso, incoerenza delle illazioni, inadeguatezza del giudizio sulle risultanze processuali.