(massima n. 1)
La mancata riproposizione nel nuovo codice di rito dell'art. 211 c.p.p. 1930 (obbligo di rispettare i vari gradi di giurisdizione, salvi i casi espressamente eccettuati) non assume rilevanza, trattandosi di una disposizione meramente enunciativa di un principio generale dell'ordinamento processuale tuttora vigente. La potestà di impugnazione della parte e il potere del giudice di decidere sulla domanda di impugnazione presuppongono, infatti, l'esistenza del provvedimento di cui si chiede la sostituzione. Tale principio, da un lato, trova applicazione nell'art. 522 c.p.p. il quale, escludendo che il giudice di primo grado possa decidere su fatti nuovi e diversi rispetto a quelli oggetto di contestazione, a maggior ragione fa operare siffatta preclusione nei confronti del giudice di appello; dall'altro lato, trova conferma nell'art. 597 c.p.p. che pone limiti alle attribuzioni del giudice di appello, che non può sostituirsi al primo giudice, salve le eccezioni tassativamente previste, fra cui quella specifica enunciata nel comma 5 dello stesso art. 597 e quella generale di cui all'art. 129 c.p.p., con riguardo ai capi e ai punti impugnati. Ne consegue che il giudice di appello non può decidere in ordine ad un reato su cui il giudice di primo grado abbia omesso di pronunciare, ma deve rilevare anche di ufficio la nullità di cui all'art. 546, comma 3, c.p.p. (mancanza od incompletezza del dispositivo) e rimettere gli atti al giudice di primo grado per il giudizio.