Danno cagionato dal fondo servente
Come nelle altre servitù coattive, anche per la costituzione del passaggio forzoso è dovuta un'indennità, giusta la norma generale di cui all'art.
1032 comma 2. L' indennità, come le modalità della servitù, può fissarsi per accordo delle parti; in mancanza, provvede l'autorità giudiziaria. Le spese sono a carico di chi domanda la servitù, precisamente quelle necessarie per la determinazione dell'ammontare dell'indennità, ad es. le spese di perizia; le maggiori spese giudiziarie dovute al comportamento ostruzionistico del proprietario del fondo servente, che protrae la durata della lite, possono essere poste dal giudice a carico di lui (art. 370 cod. proc. civ. 1865; artt.
91-
92 nuovo cod. proc. civile).
L'indennità dev'essere
proporzionata al danno cagionato al fondo servente: ciò vuol dire che non deve corrispondere all'utilità o al vantaggio del fondo dominante, e tanto meno deve rappresentare il prezzo della servitù. Per
danno deve intendersi, anzitutto, la diminuzione di valore del fondo servente, rappresentata dalla differenza tra il valore (del fondo) antecedente alla costituzione della servitù e il valore del fondo minorato dalla stessa esistenza della servitù. Inoltre nel danno vanno ricomprese le effettive menomazioni che deve subire il fondo, ad es. abbattimento di alberi, ecc.
L'indennità deve fissarsi con riguardo al
momento in cui la servitù si costituisce: ciò però non esclude che si possa tener conto del danno che la servitù potrà arrecare in futuro al fondo, impedendone una migliore utilizzazione o destinazione. Così, secondo noi, può eliminarsi la questione dibattuta in dottrina, per il caso in cui il passaggio non cagioni alcun danno essendo il fondo incolto, ma lo cagioni in seguito, quando il fondo si mette a cultura: per tal caso si è discusso se l'indennità, una volta fissata, si possa in seguito cambiare; sono state sostenute anche opposte tesi, ma tale questione va risolta, invece, col criterio indicato.
In generale, poi, l'indennità si deve determinare una volta per sempre. Del pari si deve determinare in una somma da pagare tutta in una volta: le parti, d'accordo, possono, se credono, stabilire un canone annuo in base alla loro volontà, ai sensi dell'
art. 1055 del c.c., che contempla l'ipotesi dell'indennità convenuta
in annualia.
Valore della zona occupata
Nel nuovo codice, l'indennità non è ristretta al danno: la materia viene regolata con più precisione di quanto non avveniva nel vecchio codice, pertanto oggi si prevede l'ipotesi che, per attuare il passaggio, sia necessario occupare con opere stabili una zona del fondo servente, oppure lasciarla incolta. In tale ultimo caso si deve pagare il valore della zona stessa nella misura stabilita per l'acquedotto coattivo nell'
art. 1038 del c.c.
Pagamento
L'indennità deve pagarsi quando si attua la servitù: finché il pagamento non ha luogo, il proprietario del fondo servente può impedire l'esercizio della servita ciò vale sia per l'indennità, corrispondente al danno derivante al fondo servente, sia per quella relativa al valore della zona da occupare con opere stabili o da lasciare incolta. Che nel comma secondo solo con riferimento a quest'ultima si accenna alla necessità di pagare «
prima d
i imprendere le opere o d'iniziare il passaggio » non è un argomento da cui possa dedursi opposta soluzione per l'altra, in quanto per ogni indennità e per tutti i casi vige la norma generale posta nel comma 3 dell'art.
1038, secondo cui nelle servita coattive «
prima del pagamento dell'indennità il proprietario del fondo servente può opporsi all'esercizio della servitù ».
Diritto all'indennità e prescrizione
Una delicata questione può presentarsi con riguardo al diritto all'indennità, relativamente alla
prescrizione. Nel codice del 1865 era presente una norma (art. 597) così concepita: «
L'azione per l'indennità indicata nell'art. 594 (ossia l'indennità per il passaggio e per l'accesso) è soggetta a prescrizione, e sussiste il diritto di continuare il passaggio, quantunque l'azione per l'indennità non sia più ammissibile ». Tale norma, riprodotta nel progetto della Commissione Reale «
Cose e diritti reali », art. 217, non appare più nel testo legislativo. Nella Relazione al Re non si indica peraltro la ragione di tale scelta.
L'
abolizione è opportuna, perché una norma come quella è pericolosa o superflua. La dimostrazione di questo assunto rappresenta l'occasione per trattare di questo argomento della prescrizione del diritto all'indennità, e di inquadrarlo in quello della prescrizione della servitù.
Facciamo una
prima ipotesi: il proprietario di un fondo intercluso passa per il fondo del vicino per un certo numero d'anni. Per la disciplina della prescrizione acquisitiva della servitù contenuta nel vecchio codice, egli non acquista mai la servitù di passaggio (art. 630, 617 ult. cpv.). Quindi, se un giorno il proprietario del fondo servente gli proibisce di passare, egli deve chiedere il passaggio forzoso, e ha l'obbligo di pagare l' indennità. Al fine di liberarsi da un tale obbligo non può certo invocare il fatto di essere passato per tanti anni senza indennità, perché un tale fatto in astratto non poteva produrre altra conseguenza che l'acquisto della servitù volontaria e quindi senza indennità, ma, nel sistema positivo, non l'ha prodotta. Nel nuovo codice l'acquisto della servitù di passaggio per prescrizione non è da escludere (
art. 1061 del c.c.): se esso ha luogo, sorge una servitù volontaria, che sorgerebbe pure se il fondo non fosse intercluso. Di conseguenza, nessuna indennità è dovuta: ma ciò non perché si sia prescritto il diritto o l'azione all'indennità, o perché sia sorta per prescrizione una servitù coattiva senza indennità, ma perché è sorta una servitù non coattiva, come dicevamo precedentemente. L'opposta tesi presupporrebbe insanabili contraddizioni.
Facciamo un'
altra ipotesi: il proprietario del fondo intercluso chiede la costituzione della servitù, questa si crea con la convenzione o la sentenza, senza che mai si faccia cenno dell' indennità. In tale ipotesi, la servitù nasce e può esercitarsi indipendentemente da ogni indennità. È dubbio se rimanga in piedi il diritto ad essa e alla sua determinazione. Appare preferibile la soluzione negativa: una volta nata la servitù senza indennità, come si fa poi, dal proprietario del fondo servente, a pretenderne e a chiederne la determinazione, quando il proprietario del fondo dominante nulla ha più da domandare? E poi, nel maggior numero dei casi, non deve ritenersi rinunciato tacitamente il diritto all'indennità quando non se ne è fatta parola nella formazione del contratto o nel corso del giudizio? Non si dica che il proprietario del fondo servente può opporsi all'esercizio della servita finché l'indennità non sia pagata (
art. 1032 del c.c., comma 3), perché ciò presuppone che il diritto all'indennità esista, e che questa sia stata già nella convenzione o nella sentenza, determinata.
Certo, se nonostante gli addotti argomenti, si dovesse propendere per la tesi della sopravvivenza del diritto all'indennità - nonostante esso non si sia invocato nella convenzione o nel giudizio, prima della costituzione della servitù - detto diritto sarebbe soggetto alla prescrizione estintiva ordinaria (10 anni:
2946). E allora si avrebbe una prescrizione (estintiva) del diritto all'indennità, da cui sarebbe da separare la sorte del diritto di servitù.
Un'
ultima ipotesi: l'indennità è stata chiesta e determinata nella convenzione o nella sentenza, il proprietario del fondo servente non ne chiede il pagamento per 10 anni (per il vecchio codice, 30), intanto il proprietario del fondo dominante ha esercitato la servitù, senza alcuna opposizione da parte del proprietario del fondo servente. Conseguenza: il diritto all'indennità si estingue. È evidente che tale prescrizione estintiva del diritto all'indennità nessuna influenza può avere sul diritto di servitù: infatti, determinata l'indennità, il diritto alla somma stabilita non è che un semplice, autonomo diritto di credito, avente per oggetto la prestazione di una somma di denaro.