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Articolo 840 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Sottosuolo e spazio sovrastante al suolo

Dispositivo dell'art. 840 Codice Civile

La proprietà del suolo si estende al sottosuolo, con tutto ciò che vi si contiene(1), e il proprietario può fare qualsiasi escavazione od opera che non rechi danno al vicino. Questa disposizione non si applica a quanto forma oggetto delle leggi sulle miniere, cave e torbiere(2)(3). Sono del pari salve le limitazioni derivanti dalle leggi sulle antichità e belle arti [839], sulle acque [909], sulle opere idrauliche e da altre leggi speciali [Cost. 42].

Il proprietario del suolo non può opporsi ad attività di terzi che si svolgano a tale profondità nel sottosuolo o a tale altezza nello spazio sovrastante(4), che egli non abbia interesse ad escluderle(5).

Note

(1) Alcune cose site nel sottosuolo non sono soggette alla disponibilità del titolare del fondo, i criteri per la loro utilizzazione sono sottoposti, cioè, a dei limiti ben precisi: i giacimenti minerari sono, ad esempio, compresi tra i beni propri del patrimonio dello Stato.
(2) Le cave e le torbiere sono del proprietario del suolo, ma egli deve sfruttarle ed è soggetto al controllo della P.A.. In ipotesi di negligente sfruttamento la cava può essere presa in cura solo da chi possa trarne utilità.
(3) In tema di miniere, vedasi R.D. 1926, n. 1443; l. 1982, n. 752; l. 1984 n. 246.
Per quanto concerne le cave, vedasi R.D. 1926 n. 1443.
(4) Il titolare può sfruttare lo spazio sovrastante il suo terreno edificando, dando vita, cioè, ad un autonomo diritto, differente da quello di proprietà sul fondo.
(5) La disposizione è posta a tutela del il diritto del titolare relativamente ad utilizzi che possano essere in sintonia con le caratteristiche naturali del fondo o con la finalità cui normalmente è deputato.

Ratio Legis

Dalla disposizione in oggetto si evince che la titolarità del suolo si estende al sottosuolo e a tutto ciò che in esso è compreso. Si dibatte, viceversa, se lo spazio sovrastante il suolo sia indipendente, se faccia parte, cioè, della sfera di appartenenza del proprietario come accade per il sottosuolo, oppure se sia solo un tramite che consente al proprietario di esercitare il suo diritto.

Spiegazione dell'art. 840 Codice Civile

Considerazioni di ordine sistematico

Il capo II del titolo II inizia con disposizioni riguardanti la proprietà fondiaria, anzi inizia con la sez. I, contenente le disposizioni generali. Nel codice abrogato non vi sono tracce di una sistematica tanto accurata, le cui linee si metteranno in evidenza nel corso di queste osservazioni.

A proposito di tale sistematica, la dottrina aveva già rilevato, analizzando il Progetto: «Va accentuata la necessità che, al di fuori di ogni classificazione, certe cose o gruppi di cose vengano individualmente considerati come oggetto di particolare tutela, con riferimento agli interessi che vi si collegano. Così è da approvare, sotto il profilo sistematico, la tendenza a raggruppare in titoli distinti le norme concernenti la disciplina della proprietà fondiaria. Anche se si tratti soltanto di un ordinato raggruppamento di norme prima sparse o confuse con altre di carattere più generale, perché appunto risalta in tal modo la cosa, e risalta il gruppo di interessi che richiedono la particolare tutela ».

La proprietà fondiaria, infatti, è, per la sua essenza e natura, null' altro che il diritto di proprietà, ma il suolo ha tale importanza nella storia e nell'economia dei rapporti sociali, e tale carattere di stabilità anche come cosa, che è stato sempre sottoposto ad una disciplina giuridica piuttosto complessa e ricca. Basti pensare che in certe epoche, dominando l'economia agricola o le tendenze feudali, il suolo costituiva la più importante tra le cose, di fronte alla quale tutte le altre perdevano qualsiasi valore, e dall'opposizione tra il suolo, caratterizzato per la sua immobilità, e tutte le altre cose staccate dal suolo, e quindi mobili, sorse e si diffuse la massima « res mobilis res vilis ».

Oggi è certamente anacronistica la svalutazione della ricchezza mobiliare, ma sarebbe antistorica la svalutazione di quella immobiliare: il suolo è sempre centro di attrazione di una ricca e complessa disciplina giuridica, per la sua importanza economico-sociale e per le sue caratteristiche naturali.


Il suolo come oggetto di proprietà. La teoria del contenuto normale della proprietà

Per l'appunto la disposizione in esame si rifà a fondamentali caratteristiche naturali del suolo, dalle quali non hanno mai potuto prescindere i legislatori. La considerazione e la disciplina del sottosuolo e dello spazio sottostante al suolo è, infatti, tradizionale: ad essa si ricollega quello che, nella dottrina recente, è stato posto come problema dei confini della proprietà in senso orizzontale. Ma vi si ricollega anche, per un processo di illegittima generalizzazione, la c.d. teoria del contenuto normale della proprietà. Secondo tale ricostruzione teorica, la proprietà avrebbe un contenuto normale il quale presupporrebbe « dei confini che normalmente lo delimitano. E a sua volta il contenuto normale può essere ulteriormente compresso in virtù di limiti che si presentano come anormali in questo solo senso: che costituiscono un di più oltre i confini normali ».

Alla base di queste affermazioni, che non vanno senz'altro respinte, ma criticamente valutate, sta un principio della cui esattezza non si può dubitare: che il diritto di proprietà « è plasmato dalla legge ed esce da questa elaborazione in modo unitario e completo », ma da questo principio si deduce soltanto che il diritto di proprietà risulta definito, anzi delimitato dalle limitazioni di ogni specie che nascono dalla legge. La difficoltà nella quale si imbatte la teoria del contenuto normale consiste nel distinguere i confini dai limiti, segnando quella linea che divide la delimitazione normale del diritto di proprietà dalle limitazioni anormali che restringono di più il contenuto normale. È evidente che il criterio meramente quantitativo non solo non è sufficiente, ma dà luogo ad un circolo vizioso, perché presuppone, appunto, la determinazione del contenuto normale, oltre il quale le limitazioni sono da considerare anormali.

Il solo criterio accettabile potrebbe essere quello della generalità, che rappresenterebbe, in un certo senso, la traduzione in termini pratici del carattere di essenzialità che è implicito nel concetto logico di una normalità, che sia da contrapporre ad una anormalità. Esso potrebbe formularsi così: possono ritenersi confini delimitanti il contenuto normale della proprietà quelli che non possono mancare e non mancano in nessuna situazione a cui dia luogo il rapporto di proprietà.

Ma tale criterio si rivela subito di difficile applicazione. Per esempio, si dovrà subito convenire che quelli che possono essere considerati come confini rispetto al contenuto della proprietà fondiaria (e ci riferiamo, per maggior chiarezza, ai più estesi e generali: quelli, appunto, concernenti il sottosuolo e lo spazio atmosferico), non potranno più essere tali rispetto a singoli mobili, del tutto autonomi. E la differenza rimane scolpita, quando si dice che « dal punto di vista estensivo nulla vi è da dire per le cose mobili, per le quali la signoria dominicale è ontologicamente ed esattamente limitata dalla configurazione della cosa stessa ». Basta, dunque, considerare comparativamente il suolo e le cose mobili non legate al suolo, perché sia estremamente difficile trovare dei confini che determinano il contenuto normale della proprietà dell'uno e delle altre.

Ciò spinge inesorabilmente i sostenitori della tesi esposta a distinguere, rispetto al contenuto normale, la proprietà mobiliare dalla proprietà immobiliare, e a ricercare un confine che sia proprio della prima. Però quando si dice che il confine determinante il contenuto normale della proprietà mobiliare non tocca il rapporto dal punto di vista statico, ma da quello dinamico (al contrario di quanto avviene per la proprietà immobiliare), e concerne soltanto la circolazione dei beni mobili, quando si dice che questo confine « di natura speciale » colpisce la proprietà mobiliare « fino a distruggerla, quando sia in gioco la buona fede del terzo possessore », non si dice nulla che possa alla risoluzione del problema del quale ci si occupa.

Infatti, le affermazioni che precedono possono interpretarsi in due modi: a) le norme dettate a protezione della buona fede dei terzi pongono un confine specifico ed esclusivo della proprietà mobiliare, b) le norme predette pongono un confine che può riguardare (e in effetti riguarda) anche la proprietà immobiliare, ma solo per la proprietà mobiliare determina il contenuto normale del rapporto. Nell'uno e nell'altro caso si giungerà inesorabilmente alla conclusione che il contenuto normale della proprietà mobiliare è diverso da quello della proprietà immobiliare, e che persino i criteri e le esigenze fondamentali in base ai quali quei confini vengono tracciati sono del tutto differenti.

Bisognerebbe, dunque, decidersi a trattare distintamente la proprietà mobiliare da quella immobiliare, e non soltanto sotto il profilo del loro rispettivo contenuto normale. Ma neppure sarebbe sufficiente questa concessione, che comprometterebbe l'unità sistematica del concetto di proprietà.

Consideriamo, infatti, due distinti esempi: la proprietà forestale e la proprietà di cose mobili di particolare interesse archeologico, storico, paleontologico o artistico. Rispetto alla prima si dice che il « vincolo forestale » non costituisce un limite, ma rappresenta il confine « entro cui è contenuto il godimento normale di quella speciale proprietà; rispetto alla seconda « le limitazioni poste al proprietario costituiscono determinazioni del contenuto normale; il proprietario di una cosa di questa categoria bisogna che soffochi l'istintiva coscienza di una piena illimitata signoria ».

Non basta, dunque, il riferimento alla summa divisio tra beni immobili e beni mobili a creare e giustificare differenze di natura e di regime giuridico che possano indurre a temprare il criterio di determinazione del confine normale, poiché si è già arrivati alla proprietà speciale di categorie determinate di beni, mobili o immobili, rispetto alle quali variano i criteri per determinare il preteso contenuto normale. Non è difficile dimostrare che, per questa via, si perviene a situazioni individuali, e quindi alla completa svalutazione di un criterio che, contraddittoriamente, si presenta come criterio generale.

Sembra, infatti, che (con criterio formale non giustificato) si vogliano considerare come confini quelle limitazioni legali della proprietà che impropriamente il codice abrogato denominava servitù legali. Nel nuovo codice, mutata la sistematica, sarebbe difficile rintracciare le disposizioni a cui si allude e il criterio formale viene meno. Comunque, si tratta di altro.

Si consideri, ad esempio, la disposizione dell'art. 536 del codice del 1865, per la quale il fondo inferiore è soggetto a ricevere le acque che dai fondi superiori scolano naturalmente senza che vi sia concorra l'opera dell'uomo. E si consideri la disposizione analoga dell' art. 887 del c.c. per cui se di due fondi posti negli abitati uno è superiore e l'altro inferiore, il proprietario del fondo superiore deve sopportare per intero le spese di costruzione e conservazione del muro dalle fondamenta all'altezza del proprio suolo. Nell'una e nell'altra ipotesi, il proprietario del fondo inferiore subisce una limitazione. Ora, se questa definisce il contenuto normale del suo diritto di proprietà, se ne deduce che il diritto di proprietà relativo a due fondi che si trovino nelle condizioni previste dalle disposizioni citate, ha un diverso contenuto normale.

Che valore abbia il preteso contenuto normale e soprattutto l'aggettivo che dovrebbe indicarne la validità generale e conferirgli dignità concettuale, non è facile da stabilire. È facile invece mostrare come dal contenuto normale, dunque tipico, del diritto di proprietà in genere, si sia pervenuti, per successivi passaggi, al contenuto concreto e specifico, dunque individuale, del singolo rapporto di proprietà, rispetto al quale non ha più senso non solo la distinzione tra confini e limiti, ma si devono invece considerare anche tutti i presupposti naturali e di fatto, nonché le limitazioni convenzionali stabilite dallo stesso proprietario.

Ma lo studio delle situazioni giuridiche può essere proficuo solo se tende ad identificare situazioni tipiche, e quindi va condotto con l'esclusione delle differenze specifiche, verso la ricerca delle costanti che consentano la delimitazione di concetti. In base a tale criterio la dottrina ha esaminato la struttura del diritto di proprietà, pervenendo ad una graduazione fondata sempre su situazioni tipiche: « il primo grado è quello della proprietà piena e il successivo quello della proprietà limitata. Viene subito dopo il grado della proprietà compressa che si ha quando convenzionalmente o legalmente viene a costituirsi un diritto reale a favore di altri. La comproprietà o condominio dà luogo alla proprietà distribuita, mentre dal rapporto di enfiteusi sorge, nel suo duplice aspetto (dominio diretto e dominio utile), la proprietà attenuata. L'influenza dell'interesse sociale dà luogo alla proprietà-funzione, la realizzazione diretta dell'interesse pubblico si ottiene attraverso la proprietà funzionale. La classificazione annunciata è costruita sul punto di partenza di una proprietà, almeno teoricamente, piena o esente da limiti ».

Tale ipotesi però, è stata contestata con l'affermazione che « una proprietà illimitata non esiste nel nostro come neppure in ogni altro sistema legislativo ». Affermazione, questa, troppo generica e apodittica perché non sia facile offrire immediatamente la prova contraria, domandando, ad esempio, quale limita esista nel nostro diritto positivo sulla proprietà di un bicchiere di acqua che si possa consumare o buttar via, esercitando, nell'uno o nell'altro caso l'illimitato diritto di proprietà. E così per moltissimi minuti oggetti di uso continuo e quotidiano attraverso i quali tutti i soggetti, nessuno escluso, dal mendicante al plutocrate, hanno la possibilità di esercitare dei diritti di proprietà piena e illimitata. Se si prescinde dall'importanza, si può affermare che, in ogni sistema giuridico, la proprietà piena e illimitata e più difficile della proprietà limitata.

E lo stesso fatto che la lotta agli sprechi venga condotta sul piano politico sociale è indice preciso che, in rapporto agli oggetti di uso comune e personale, il limite giuridico allo spreco non esiste. D'altra parte anche se la proprietà piena e illimitata rappresentasse una ipotesi teorica, si potrebbe tutt'al più dedurre che il primo gradino sarebbe costituito dalla proprietà limitata, e per il resto la classificazione rimarrebbe inalterata.


Il problema dei confini della proprietà e la norma in esame. Il sottosuolo e lo spazio soprastante al suolo

Messo da parte il problema del contenuto normale della proprietà, rimane il problema generale dei confini del diritto di proprietà, nel senso indicato, e che sarà più oltre precisato, e il problema particolare della delimitazione del godimento in relazione alla proprietà fondiaria. Quest'ultima questione riconduce all'interpretazione della disposizione da cui si sono prese le mosse.

Essa ha una funzione completamente opposta a quella dell'art. 440 codice del 1865 dalla quale deriva: infatti l'art. 440 del codice abrogato delineava soltanto l'estensione del diritto spettante al proprietario del suolo, nelle due direzioni opposte, in senso verticale: spazio sovrastante e sottosuolo. La disposizione in esame, presupposta una estensione del diritto nelle due direzioni predette, senza di che il diritto stesso si vanificherebbe, mira invece a determinare, nell'una e nell'altra direzione, il limite oltre il quale il diritto medesimo (o il godimento del titolare) non può più estendersi.

È noto che alla ricerca di tale limite, nella duplice direzione, si erano mosse dottrina e giurisprudenza, e che, sia per il diritto romano che per il nostro, sotto la vigenza del codice del 1865 si era in linea di massima concordi nel ritenere che l'estensione del diritto di proprietà relativo al suolo dovesse ritenersi misurata dall'interesse effettivo del proprietario. Il principio era stato accolto dalle più moderne codificazioni (art. 667 codice svizzero, § 905 B.G.B. Tedesco, art. 526 codice brasiliano). Così il nuovo legislatore ha ritenuto opportuno enunciare la duplice limitazione.

Per quanto riguarda il sottosuolo, il legislatore ha voluto sancire il principio della estensione della proprietà, riconoscendo al proprietario del suolo specificamente la facoltà di fare escavazioni od opere. Ma qui la legge pone una limitazione che può dirsi in senso orizzontale, poiché non consente le escavazioni ed opere che possono arrecare danno al vicino. E si capisce che al vicino sono concessi i rimedi di cui agli artt. 1171 e 1172.

Lo spazio, invece, non viene considerato come oggetto di dominio: rispetto ad esso « non si pone se non un problema di limiti, a differenza di quanto si verifica per il sottosuolo, che può anche essere oggetto di proprietà ».

Il problema dei limiti viene posto e risolto, piuttosto che con riferimento immediato al diritto di proprietà e alla sua estensione, con riguardo all'eventuale conflitto dell'interesse del proprietario e di quello di un terzo. In sostanza viene limitato l'esercizio della facoltà di escludere rispetto all'attività di terzi che si volga a tale profondità nel sottosuolo o a tale altezza nello spazio sovrastante, che il proprietario non abbia interesse alla esclusione stessa.

In tal modo non si viene a cristallizzare l'interesse astratto e a determinare una misura costante che delimiti il contenuto della proprietà. Questa può ritenersi potenzialmente illimitata, fino a che il proprietario ha un interesse effettivo ad opporsi alle attività dei terzi: può mancare se muti la forma di sfruttamento o l'attività del terzo. È stato infatti rilevato che « la limitazione all'uopo stabilita... se da un lato dovrà nei singoli casi avere applicazione concreta secondo le diverse contingenze, dall'altro dovrà sempre essere caratterizzata dalle esigenze del fondo, escludendosi quelle utilizzazioni che a questo e alla sua attuale destinazione non si ricolleghino ».

Tuttavia questi concetti vanno precisati e temperati. In rapporto all'attuale destinazione del fondo, possono essere ritenute legittime attività temporanee, che non diano luogo a situazioni, in favore del terzo, tali che egli in avvenire possa, a loro tutela, impedire un diverso sfruttamento del fondo. Se così non fosse, il terzo potrebbe, ove il suolo fosse coltivato ad erbaggi, fare opere nel sottosuolo a modeste profondità, e in avvenire ostacolare con tali opere lo sfruttamento del suolo mediante coltivazioni di alberi di alto fusto con profonde radici. E potrebbe, con la costruzioni di gallerie o di altre opere sotterranee, impedire lo sfruttamento delle cave o delle torbiere.

In conclusione: la situazione attuale e contingente è non solo la misura delle facoltà del proprietario, ma anche quella delle facoltà del terzo.

Rimane sempre il problema della massima estensione del diritto di proprietà del privato, che non può andare oltre il limite di utilizzabilità della cosa, non di utilizzabilità attuale, ma di utilizzabilità possibile.

Oltre il limite predetto, il sottosuolo non è da considerare come cosa suscettibile di formare oggetto di proprietà o di altro diritto. Per quanto riguarda lo spazio, si deve escludere che sia da considerare come cose e quindi come oggetto di diritti: « la cosiddetta proprietà dello spazio significa soltanto che il proprietario del suolo ha il diritto di fare qualunque cosa entro quello spazio, escludendone tutti gli altri ». Di conseguenza, basterà avvertire che, oltre il limite dell'interesse del proprietario del suolo, non si possono escludere nello spazio le immissioni aliene.

Quanto al sottosuolo che si trova oltre il limite di utilizzabilità, si deve escludere che esso sia res communis, perché se fosse utilizzabile da tutti, sarebbe utilizzabile pure dal proprietario del suolo. Neppure può ritenersi che sia proprietà dello Stato, ai sensi dell' art. 827 del c.c., perché questa disposizione « presuppone il riferimento a immobili nella loro integrità, compreso soprattutto il suolo ». Viceversa la zona in esame potrà essere utilizzabile, in situazioni particolari, da qualcuno, e allora potrà diventare oggetto di proprietà.

Non è da escludere, intanto, che ciò che, rispetto al proprietario di un dato terreno e sottosuolo, sia, per un altro soggetto, vero e proprio suolo. Così è chiaro che la galleria ferroviaria scavata sotto una montagna, non è sottosuolo se non rispetto ai proprietari dei terreni soprastanti. Per essa, dunque, in profondità e in altezza, si pone il medesimo problema dei limiti, che, così, acquista più complessa fisionomia perché si può porre come problema di confini (in senso verticale) tra proprietari vicini. Del resto il problema dei confini tra proprietari vicini soltanto nella sua semplice espressione va posto sul piano orizzontale, poiché spesso esso si pone rispetto a piani paralleli (caso di dislivelli) o rispetto a piani tangenti lungo una linea (proprietà delle falde di una collina). Qui i principi relativi all'estensione della proprietà nel senso sopra detto (rapporto tra il proprietario e i terzi) si complicano e combinano con quelli relativi ai rapporti di vicinato (rapporto tra proprietario e proprietario).

Nell'ultimo esempio, infatti, finché esiste un interesse dei proprietari, il piano bisettore dell'angolo formato dall'incontro dei due piani costituisce il confine che divide la proprietà di un soggetto da quella dell'altro. Di una immissione di terzi in questa zona non si può certo parlare, perché essi potrebbero essere esclusi tanto dall'uno quanto dall'altro proprietario. Crescendo, però, verso le falde della collina, la distanza tra i due fondi, si potrebbe ammettere che ad un certo punto venisse meno l'interesse all'esclusione, sia da parte dell'uno come da parte dell'altro proprietario: si verrebbe così a formare una zona che costituirebbe quella zona libera nella quale non si farebbe sentire l'influenza del diritto di proprietà. E proseguendo si potrebbe pervenire alla zona libera, che non è, in atto, oggetto di diritti. In questo caso, tale zona libera risulterebbe delimitata sia in senso verticale che orizzontale.

È facile comprendere che queste ipotesi sono ridotte alla massima semplicità e che in pratica esse possono risultare notevolmente complesse.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

409 Nell'affrontare il problema dei limiti della proprietà fondiaria rispetto al sottosuolo e allo spazio sovrastante, il nuovo codice (art. 840 del c.c.) adotta espressamente il criterio dell'interesse. E' l'interesse la misura del limite entro il quale il proprietario può esercitare il suo potere di esclusione; e poiché rispetto allo spazio sovrastante non si pone se non un problema di limiti, a differenza di quanto si verifica per il sottosuolo, che può anche essere oggetto di proprietà, ho abbandonato la formula del codice 1865, che parlava di una estensione della proprietà del suolo allo spazio sovrastante.

Massime relative all'art. 840 Codice Civile

Cass. civ. n. 7027/2021

La responsabilità del proprietario di un fondo per i danni derivanti da attività di escavazione, ex art. 840 c.c., non opera in senso oggettivo, ma richiede una condotta colposa, sicché, nell'ipotesi in cui i lavori di escavazione siano affidati in appalto, è l'appaltatore ad essere, di regola, l'esclusivo responsabile dei danni cagionati a terzi nell'esecuzione dell'opera, salvo che non risulti accertato che il proprietario committente, avendo - in forza del contratto di appalto - la possibilità di impartire prescrizioni o di intervenire per richiedere il rispetto delle normative di sicurezza, se ne sia avvalso per imporre particolari modalità di esecuzione o particolari accorgimenti antinfortunistici che siano stati causa (diretta o indiretta) del sinistro, nel qual caso la responsabilità dell'appaltatore verso il terzo danneggiato può aggiungersi a quella del proprietario, ma non sostituirla o eliminarla. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO GENOVA, 15/06/2016).

Cass. civ. n. 779/2020

A norma dell'art. 840 c.c., la proprietà del sottosuolo spetta al proprietario del suolo, salvo che in senso contrario disponga il titolo di acquisto di quest'ultimo oppure che detta proprietà risulti spettare ad altri in base ad un titolo opponibile al proprietario del suolo. Incombe, pertanto, alla parte che assuma di avere la proprietà separata sul sottosuolo fornire la relativa prova, avente ad oggetto l'atto di trasferimento separato del sottosuolo proveniente da colui che, mediante successivi atti di trasferimento, ha trasferito a terzi la titolarità del suolo.

Cass. civ. n. 33163/2019

In tema di condominio negli edifici, in ipotesi di controversia circa la titolarità di un locale posto nel sottosuolo del fabbricato, ricavato mediante scavo nell'area sottostante ad un appartamento, attuato con svuotamento di volume ed asportazione di terreno, deve gradatamente accertarsi se la proprietà di tale locale, preesistente al frazionamento, sia attribuita dal titolo costitutivo del condominio, ovvero sia altrimenti da riconoscersi acquisita per usucapione, o, infine, se esso, per la sua struttura, debba considerarsi non tra le parti comuni dell'edificio di cui all'art. 1117 c.c., quanto, piuttosto, destinato ad uso esclusivo, potendosi, del resto, estendere la disciplina prevista dagli artt. 840 e 934 c.c. anche ai vani sottostanti al pianterreno dell'edificio condominiale sempre che dal titolo non risulti il contrario. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 06/03/2015).

Cass. civ. n. 21993/2019

L'ipoteca iscritta sul terreno sul quale insiste, già al momento della costituzione della garanzia, un capannone industriale si estende anche alla costruzione in virtù del principio della normale estensione dell'ipoteca all'intero immobile, nei limiti in cui si estende il diritto di proprietà ai sensi dell'art. 840 c.c. (In applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva riconosciuto alla società di leasing, che aveva acquistato e concesso in locazione finanziaria un capannone industriale, il diritto di ottenere dall'utilizzatrice il rimborso della somma erogata per la cancellazione dell'ipoteca legale iscritta sul terreno al quale era incorporato il capannone). (Rigetta, CORTE D'APPELLO MILANO, 13/12/2017).

Cass. civ. n. 27256/2018

È valida una separata alienazione del soprasuolo dal sottosuolo quali entità giuridicamente autonome, nonché la costituzione in via accessoria di diritti di servitù in favore del sottosuolo trasferito all'acquirente e a carico del soprasuolo rimasto all'alienante, al fine della migliore utilizzazione del fondo alienato, scindendosi l'unica proprietà originaria appartenente a un solo soggetto in più proprietà distinte in senso verticale facenti capo a soggetti diversi. (La S.C. ha enunciato il principio in una fattispecie di compravendita di terreni montani per escavazione di marmo e pietra similare, con specifica pattuizione che tutta la legna, erba e pattume sarebbero restati a beneficio del venditore).

Cass. civ. n. 4664/2018

Il proprietario non può opporsi, ai sensi dell'art. 840, comma 2, c.c., ad attività di terzi che si svolgano a profondità od altezza tali che egli non abbia interesse ad escluderle e, pertanto, ove ritenga di contestarle, è suo onere dimostrare che dette attività gli arrechino un pregiudizio, da intendere non in astratto, ma in concreto, avuto riguardo alle caratteristiche ed alla normale destinazione, eventualmente anche futura, del fondo. (Nella specie, veniva in rilievo un cornicione sporgente per circa 60 cm. sulla colonna aerea della proprietà confinante e la S.C. ha confermato la decisione della corte territoriale che aveva escluso vi fosse un danno attuale del ricorrente).

Cass. civ. n. 6296/2013

La responsabilità del proprietario di un fondo per i danni derivanti da attività di escavazione, ex art. 840 c.c., non opera in senso oggettivo, ma richiede una condotta colposa, sicché, nell'ipotesi in cui i lavori di escavazione siano affidati in appalto, è l'appaltatore ad essere di regola l'esclusivo responsabile dei danni cagionati a terzi nell'esecuzione dell'opera, salvo che non risulti accertato che il proprietario committente aveva - in forza del contratto di appalto - la possibilità di impartire prescrizioni o di intervenire per richiedere il rispetto delle normative di sicurezza e che se ne sia avvalso per imporre particolari modalità di esecuzione o particolari accorgimenti antinfortunistici che siano stati causa (diretta o indiretta) del sinistro.

Cass. civ. n. 14620/2012

La servitù di veduta e quella esercitata mediante un balcone "aggettante" sul fondo gravato soddisfano interessi e determinano pesi differenti, di guisa che la prima non include totalmente la seconda, esaurendo la veduta la propria "utilitas" nella maggiore amenità arrecata al fondo dominante. Ne consegue che il titolo negoziale costitutivo di una servitù di "veduta ed affaccio" non implica di per sé - in assenza di specifiche indicazioni di segno diverso e tenuto conto che la nozione di affaccio è comune tanto alle vedute dirette, quanto ai balconi - la facoltà del proprietario del fondo dominante di esercitare la veduta tramite un balcone aggettante, la cui realizzazione viola, pertanto, l'art. 840 cod.civ.

Cass. civ. n. 6470/2012

In tema di estensione della proprietà immobiliare, la disposizione dell'art. 840 c.c. è estranea allo statuto del contratto e della relativa ermeneutica, in quanto svolge la funzione di risolvere il conflitto tra soggetti terzi, non legati, cioè, da inerente vincolo contrattuale, attribuendo la proprietà del sottosuolo, salvi i limiti di ordine pubblico previsti dal primo comma dello stesso articolo, al soggetto titolare del suolo. Ne consegue che il venditore di un fabbricato elevato fuori terra non risponde dell'altruità dei vani interrati, se il contratto, interpretato ai sensi degli artt. 1362 e segg. c.c., non faccia espressamente o implicitamente riferimento anche ad essi come oggetto di cessione.

Cass. civ. n. 11028/2011

L'imposizione di un vincolo di uso pubblico sulle strade vicinali permette alla collettività di esercitarvi il diritto di servitù di passaggio con le modalità consentite dalla conformazione della strada, ma non altera il diritto di proprietà della medesima, che rimane privata; pertanto, l'esistenza di tale servitù non consente anche l'utilizzo del sottosuolo di quella strada al fine di collocare tubature, poiché tale attività comporta l'insorgenza di una nuova servitù sul bene privato, diversa da quella di passaggio.

Cass. civ. n. 24302/2006

Atteso che già sotto il vigore del codice civile del 1865 era da ritenersi legittimo il frazionamento della proprietà del suolo rispetto a quella relativa al sottosuolo (e al soprasuolo) e premesso che, secondo il codice vigente, il proprietario del suolo non può opporsi ad attività che si svolgano a profondità tale che egli non abbia interesse ad escludere, deve ritenersi ammissibile l'acquisto a titolo originario, per effetto del possesso utile all'usucapione, della proprietà di una grotta — costituente entità autonoma sotto il profilo materiale e funzionale — disgiunta dalla proprietà del suolo sovrastante.

Cass. civ. n. 22226/2006

A mente dell'art. 840, primo comma, c.c., il proprietario di un fondo risponde autonomamente e direttamente, in via generale ai sensi dell'art. 2043 c.c. e, nel caso di rovina di edificio o di altra costruzione, ai sensi dell'art. 2053 c.c., dei danni arrecati a terzi a seguito di opere o di escavazioni nel proprio fondo, indipendentemente dalla responsabilità dell'appaltatore che abbia eseguito tali lavori.

Cass. civ. n. 17091/2006

In tema di proprietà immobiliare, nel caso di terreno nel cui sottosuolo insista una proprietà separata (nella specie ampie grotte risultanti da antichissime cave di tufo), con antistante piazzale, acquistata con atto di compravendita dal proprietario del sovrastante terreno, e separata da questo da una parete (costone roccioso), ai fini della estensione e delimitazione dei relativi diritti, in mancanza di precisazione del titolo, poiché il piano di calpestio della seconda proprietà si trova alla quota del piazzale, sottostante il terreno del venditore, ed il suo ingresso si apre nella parete rocciosa, con accesso dal piazzale, la predetta parete, secondo la norma dell'articolo 840, secondo comma, c.c., è funzionale alla proprietà sottostante ed alla sua destinazione, piuttosto che al terreno sovrastante, e come tale va considerata in proprietà all'acquirente.

Cass. civ. n. 7655/2004

Il diritto di proprietà può esser frazionato in senso orizzontale e quindi la proprietà del sottosuolo può appartenere ad un soggetto diverso dal proprietario del suolo e del fabbricato su esso insistente. In tal caso il rapporto tra i rispettivi proprietari non è di comunione perché il fondo sottostante deve sopportare il peso dell'edificio sovrastante e quindi il rapporto tra le due proprietà è di servita (servitus oneris ferendi). Pertanto, da un lato il proprietario del sottosuolo non deve, se sono necessarie opere di manutenzione o consolidamento per consentire l'esercizio di detta servita, sopportarne le spese, in applicazione dell'art. 1030 c.c., a meno che la legge o il titolo dispongano diversamente; dall'altro egli non può diminuire o rendere pia incomoda la servitù, in applicazione dell'art. 1067 c.c. (principio affermato in fattispecie in cui il giudice di merito, per le opere di manutenzione e consolidamento della volta di una grotta su cui sovrastavano degli edifici, aveva posto a carico del proprietario di questa le relative spese, a norma dell'art. 1125 c.c., ritenuta inapplicabile dalla Corte cass.).

Cass. civ. n. 3318/1987

A norma dell'art. 840 c.c., la proprietà del sottosuolo spetta al proprietario del suolo, salvo che in senso contrario disponga lo stesso titolo di acquisto di quest'ultimo oppure che detta proprietà risulti spettare ad altri in base ad un titolo opponibile del proprietario del suolo, ossia per un negozio antecedentemente trascritto o per un fatto di acquisto originario. Tale fatto non può consistere nella mera situazione dei luoghi, come la esclusiva possibilità di accesso al sottosuolo (nella specie una grotta) dal fondo altrui.

Cass. civ. n. 1379/1976

Il possesso di un immobile si estende, di norma, allo spazio aereo compreso nella proiezione ideale, in altezza, dell'immobile stesso, fin dove, però, tale spazio non presenti una soluzione di continuità per la frapposizione di altro immobile, soggetto ad altrui possesso; oltre tali limiti, infatti, non è normalmente concepibile l'esplicazione, effettiva o virtuale, di una signoria di fatto del possessore dell'immobile posto a livello inferiore. (Nella specie, in base al riferito principio, si è ritenuto che il possesso di un cortile non si estendeva allo spazio aereo sovrastante alcune scale ed un pianerottolo, da altri posseduti, aggettanti sul cortile medesimo).

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Consulenze legali
relative all'articolo 840 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

GIUSEPPE M. chiede
sabato 19/10/2019 - Sardegna
“Salve, il confinante della mia abitazione che sto sopraelevando con regolare progetto approvato, mi ha denunciato in Tribunale perché ho chiesto per iscritto che dovendo sollevare il mio muro dobbiamo tagliare una scossalina che entra nella mia proprietà di 15 cm.
Dagli accertamenti fatti nel progetto del confinante depositato in comune nel 1995, non è presente la scossalina, nella denuncia loro parlano di una usucapione visto che sono passati 20 anni da quando è stata fatta. È veramente così anche se dai documenti risulta un abuso e comunque invade e limita la mia proprietà?
Faccio presente che ho il cantiere bloccato per questo motivo da un anno esatto.
La ringrazio e saluto cordialmente”
Consulenza legale i 23/10/2019
Norma di indubbio interesse per la soluzione del caso in esame è l’art. 840 c.c.
La situazione che viene descritta richiede innanzitutto di affrontare il problema di stabilire fino a che punto si estenda in altezza la proprietà del suolo o di una costruzione, e ciò perché l’installazione di quella scossalina, di cui adesso ci si lamenta, non ha fatto altro che occupare la colonna d’aria soprastante la proprietà di chi pone il quesito.
Proprio di questa c.d. colonna d’aria si occupa l’art. 840 c.c., il quale, pur trattando in maniera unitaria del sottosuolo e dello spazio aereo, non assegna al proprietario del fondo lo spazio sovrastante lo stesso, come invece viene fatto per il sottosuolo.
Per lo spazio aereo soprastante il legislatore, infatti, si limita soltanto a stabilire che il proprietario del suolo non può opporsi ad attività di terzi che si svolgano ad una tale altezza da non avere alcun interesse ad escluderle.

Ciò ha fatto pensare da un lato che non si possa configurare un vero e proprio diritto di proprietà per lo spazio soprastante, mentre dall’altro lato si è sviluppata altra tesi, divenuta poi preferibile e prevalente, favorevole al riconoscimento del diritto proprietario su tale spazio, fondata sulla considerazione che la funzionalità socio economica di un immobile non termina con la relativa superficie fisica, ma si estende fino alla parte superiore.
Si è giunti così ad affermate che lo spazio aereo debba considerarsi come un bene giuridicamente rilevante e, pertanto, oggetto di proprietà e di possesso ex art. 1140 del c.c..

Tale dicotomia di pensiero si ritrova anche in giurisprudenza, la quale, nei suoi orientamenti più recenti, ha preferito la tesi secondo cui la proprietà si espande sull’area sovrastante suscettibile di utilizzazione, la quale non può che appartenere al proprietario del fondo (così C. 22032/2004; C. 12258/2002; C. 11117/1991).
L’aver aderito alla tesi della configurabilità dello spazio aereo come bene giuridicamente rilevante e oggetto di proprietà, ha indotto la medesima giurisprudenza ad affermare che l’immissione di una gronda o di uno sporto nello spazio aereo sovrastante il fondo vicino è ammissibile solo quando gli stessi vengano collocati ad un’altezza tale da non pregiudicare un qualche legittimo interesse del proprietario del fondo in relazione alle concrete possibilità di utilizzazione dello spazio aereo stesso.
Il suddetto principio, riferito alla gronda ed allo sporto, ma indubbiamente applicabile in via analogica anche nel caso di una scossalina, si ritrova espresso in particolare in due sentenze della Suprema Corte di Cassazione, e precisamente la n. 1484/1996 e la n. 12258/2002.

In tali sentenze la S.C. afferma che, poiché la colonna d’aria sovrastante un’area, configurandosene come proiezione verso l’alto, appartiene anch’essa al proprietario dell’area medesima, a questi, in quanto anche possessore, va riconosciuta la legittimazione ad opporsi ex art. 840 comma secondo c.c. all'installazione dello sporto (nel nostro caso della scossalina) chiedendo la tutela della situazione di fatto con le azioni di reintegrazione e/o manutenzione, disciplinate dall'art. 1168 del c.c. e dall'art. 1170 del c.c., azioni che, come dispongono le medesime norme, sono esercitabili entro un anno dal sofferto spoglio o dalla turbativa.

L’aver prestato acquiescenza a tale situazione non soltanto ha fatto perdere il diritto di esercitare le suddette azioni, ma, cosa ancor più grave, ha determinato, come correttamente sostenuto dal proprietario confinante, l’acquisto per usucapione del diritto a mantenere quella scossalina e, dunque, di invadere lo spazio aereo soprastante la proprietà altrui (usucapione che, certamente, l'altra parte dovrà provare in giudizio).

Per quanto concerne, infine, l’aspetto urbanistico, ossia il fatto che la scossalina non risulta figurare nel progetto depositato in Comune, va detto che, purtroppo, anche sotto questo profilo non è possibile avanzare alcuna pretesa, in quanto sempre la Corte di Cassazione ha addirittura ritenuto ammissibile l’acquisto per usucapione di una servitù avente ad oggetto il mantenimento di una costruzione a distanza inferiore a quella fissata dal codice civile o dai regolamenti e dagli strumenti urbanistici, anche nel caso in cui la costruzione sia abusiva, argomentando dal rilievo secondo cui il difetto della concessione edilizia esaurisce la sua rilevanza nell’ambito del rapporto pubblicistico, senza incidere sui requisiti del possesso ad usucapionem (così Cass. n. 3979 del 18/02/2013).

In conclusione, dunque, si ritiene che, a distanza di così tanti anni, non si abbiano a disposizione idonei strumenti giuridici per contrastare la pretesa del vicino e che forse sarebbe opportuno adoperarsi per trovare sul piano tecnico una soluzione che consenta di superare questa difficoltà e così portare a compimento la costruzione.


Fabio R. chiede
martedì 17/10/2017 - Sicilia
“Salve, sono proprietario di una villetta confinante con uno scavo di sbancamento (circa mq.450) realizzato, almeno 8 anni fà, per la costruzione di un locale commerciale. Tale opera è rimasta incompiuta con relativa concessione edilizia scaduta ed al giorno d'oggi la situazione è illustrata nelle foto inviateVi (Foto.doc).
Con precipitazioni normali e durature, l'invaso si riempie regolarmente soprattutto dopo che terminano in quanto raccoglie tutta l'acqua che proviene dai terreni a monte. Ma la notte tra il 22 e 23 gennaio 2017, la zona è stata oggetto di un evento meteo avverso creando nel giro di poche ore la situazione che è illustrata in (Foto1/2/3/3a) ed all'interno del mio scantinato (Foto4/5). In (Foto6/6a) noterete il livello che l'acqua ha raggiunto a ridosso del mio muro di confine in quanto l'impresa non ha mai costruito un suo muro di confine e questo non era previsto in nessun accordo tra di noi. Vorrei precisare che l'acqua è incominciata a filtrare dall'angolo dietro la cisterna grigia e da due fori verso il centro del muro.
Vorrei sapere:
Le responsabilità del confinante ed eventuale possibilità di chiedere il risarcimento dei danni sostenuti.
Grazie e distinti saluti.”
Consulenza legale i 23/10/2017
Sembra evidente che una situazione di questo tipo sia in grado di legittimare una richiesta di risarcimento danni.
Si tratta soltanto di vedere in forza di quali norme e principi il risarcimento va richiesto.

Intanto, la prima norma che si ritiene di poter invocare è quella contenuta nell’art. 840 c.c., il quale dispone che il proprietario può fare qualsiasi opera od escavazione che non rechi danno al vicino.

La giurisprudenza, in particolare Cassazione civile sez. III n. 6296 del 13 marzo 2013, ha tenuto a precisare che la responsabilità prevista da questa norma non è di tipo oggettivo, ma richiede un comportamento colposo.
Ciò significa che nel caso in cui i lavori di escavazione siano affidati in appalto, come spesso avviene e come sicuramente sarà avvenuto quando è stato realizzato lo scavo di sbancamento per dare corso alla costruzione del locale commerciale, sarà di regola l'appaltatore ad assumere su di sé l'esclusiva responsabilità dei danni cagionati a terzi nell'esecuzione dell'opera, a meno che non si accerti che il proprietario committente aveva, sulla base di quanto pattuito nel contratto di appalto, la possibilità di impartire prescrizioni o di intervenire e che si sia avvalso di tale potere per imporre particolari modalità di esecuzione, che siano stati causa (diretta o indiretta) del sinistro (ipotesi questa alquanto improbabile nella pratica).

Sembra ovvio, però, che a distanza di ben otto anni, con una concessione edilizia scaduta e lavori mai eseguiti, non si potranno ricercare nell’appaltatore eventuali responsabilità; ciò, dunque, conduce necessariamente a configurare la responsabilità esclusiva del proprietario del terreno confinante (ove è stato realizzato lo scavo di sbancamento), quale responsabilità per danni da cose in custodia ex art. 2051 c.c., la quale invece costituisce, almeno secondo il costante orientamento giurisprudenziale (può citarsi fra le tante Cass. 19 gennaio 2010 n. 713), una ipotesi di responsabilità oggettiva.

Il custode/proprietario del terreno confinante, dunque, sarà tenuto a rispondere del danno per il solo fatto di essere in tale posizione giuridica, ossia di dover vigilare sulla cosa, salva la possibilità di dimostrare che il fatto sia avvenuto per un caso fortuito, ossia in ragione di un fatto imprevedibile e sottratto alla sua potestà d’intervento.

A questo punto, però, si rende necessario che chi ha subito il danno, ne provi la sua esistenza e il nesso di causalità, ossia la derivazione del danno dalla cosa, nel nostro caso dallo scavo esistente sul terreno del confinante.
Indispensabile sarà a tal fine rivolgersi ad un perito, ossia una figura professionale che si occupa di consulenza peritale di parte (che potrà essere un ingegnere o architetto di propria fiducia), al quale verrà chiesto di redigere una perizia.
Tale perizia servirà a stabilire:
  • l’entità e la causa del danno subito ( a cosa è dovuto il danno e quali sono le conseguenze).
  • la responsabilità (chi è il responsabile del danno subito).
Se le indagini confermano che la responsabilità del danno subito è dello scavo di sbancamento del confinante (e precisamente della infiltrazione di acqua dalla feritoia nel terreno che si trova nell’angolo dietro la cisterna grigia e dai due fori verso il centro del muro, come si sospetta), allora si potrà procedere con la richiesta di risarcimento, alla quale si potrà dar seguito per vie legali o con constatazione amichevole.

Prima di procedere a formalizzare una eventuale richiesta di risarcimento danni alla controparte, tuttavia, ragioni prudenziali consigliano di chiedere al perito di verificare se le infiltrazioni che hanno causato l’allagamento possano anche essere dovute a difetto di manutenzione nel proprio muro di contenimento, e ciò per non incorrere, in sede di un eventuale giudizio civile, nel rischio di vedersi addossato un addebito per corresponsabilità in ciò che si è verificato.

Unico aspetto negativo della situazione descritta è la circostanza che quanto lamentato oggi si è verificato nel mese di gennaio.
Ci si auspica che nel frattempo vi siano almeno stati dei contatti tra le parti per affrontare il problema ed in qualche modo risolverlo, contatti che sarebbe stato opportuno consacrare in qualche atto scritto (ci si intende riferire ad una missiva con la quale si denunzi, in qualche modo, il danno patito).

L’assoluta mancanza di ciò renderà certamente più difficile effettuare una stima concreta dei danni, a distanza di ben nove mesi, e soprattutto renderà più complessa l’opera del perito, il quale potrà solo limitarsi a constatare per presunzioni che le infiltrazioni di acqua, causa dell’allagamento, possano essersi verificati dai punti sospettati.

Nicola P. chiede
lunedì 03/10/2016 - Veneto
“Nel chiedervi la consulenza di cui sopra sono stato troppo succinto. Non mi riferivo all'art. 834 c.c. ma bensì all'art. 840 c.c.
La formulazione di questo articolo, salvo mio errore di interpretazione, mi informa che il proprietario di un terreno possiede unitamente a quest'ultimo anche la parte sottostante (il sottosuolo) come pure la parte (aerea) che lo sovrasta.
Poiché il codice non fissa limiti massimi di profondità o altezza non ci costa nulla pensare che la massima lunghezza della parte aerea possa raggiungere l'infinito e la parte sottostante il centro della terra.
Tenendo validi questi presupposti ne consegue che il corpo rappresentante un terreno di forma quadrangolare (ad esempio: di metri 10x10) si presenterebbe come un'enorme piramide con la punta appoggiata al centro della terra e la base alta nel cielo a diretto contatto con l'infinito.
Per terreni di altro diverso disegno irregolare, ogni interessato può sbizzarrirsi ad immaginarsi il relativo disegno risultante.
Il "mappale" è un lotto di terreno contrassegnato da un numero catastale.
Ne deriva che ogni terreno (costruito o meno) debba essere immaginato come sovrastato dallo spazio che lo contiene e contemporaneamente ancorato alla parte immersa nel fondo. In tutta la sua reale dimensione.
Ne consegue che in questa situazione ogni mappale ha le sue dimensioni e una posizione ben definita sul terreno, che non è possibile modificare in base al libero arbitrio, a nuovi desideri oppure necessità del proprietario. Qualunque variazione deve essere richiesta, discussa e accordata dalle autorità all'uopo preposte.
Sic stantis rebus, ogni mappale occupa il suo spazio e non potrà mai scivolare su quelli limitrofi. Neanche per errore! In quanto ne viene impedito dalla presenza delle parti sotterranee ed aeree adiacenti che fanno da sponda.
Tornando alla richiesta di consulenza del 31 agosto, era mio desiderio ricevere da persone esperte in materia una conferma anche concisa che i principi sopra esposti possono essere considerati in accordo con il contenuto dell'art. 840 c.c.”
Consulenza legale i 12/10/2016
Pare che l'autore del quesito, a cui si cercherà di rispondere, vada incontro ad una commistione di concetti tra:
a) confini della proprietà costituenti l'estensione orizzontale della stessa e sua estensione verticale, ossia verso e verso l'alto.
b) titolarità formale del diritto e limiti al suo esercizio.

Generalmente siamo abituati a parlare della proprietà di un immobile riferendoci alla sua rappresentazione cartografica, mentre viene comunemente trascurata la continuità della medesima sia nel sottosuolo che nello spazio sovrastante il suolo.
Non vi è alcun dubbio che dal punto di vista cartografico, il foglio di mappa rappresenta una porzione ben definita del territorio, numerato progressivamente da nord a sud, attraverso cui vengono rappresentate graficamente le particelle (mappali) ivi contenute, anch’esse ben definite.

Le particelle, a loro volta, identificano la minima unità impositiva che può essere il fabbricato, l’area di terreno, una porzione di strada; inoltre, come giustamente osservato dall’autore del quesito, ogni mutamento che influisce sulla sagoma dell’edificio o del terreno comporta conseguentemente la modifica del classamento e della rendita catastale, modifiche per le quali un tecnico dovrà predisporre la relativa denuncia di variazione con il Docfa.

Occorre tuttavia osservare che il diritto del proprietario nell’attuale codice civile ha perso quel carattere di astratta assolutezza che lo rappresentava in antico usque ad inferos et usque ad sidera.
Infatti, seppure ai sensi dell’art. 840 c.c. i fondi sono individuati nello spazio con le due sole dimensioni della lunghezza e della larghezza, mentre l’altezza resta indeterminata (sembrando a prima vista che il codice con tale espressione voglia riprendere l’antica massima dei romani secondo cui la proprietà del suolo ricomprende le incommensurabili profondità del sottosuolo e si proietta all’infinito nella colonna di area o spazio aereo sovrastante), nella stessa norma si precisa poi che tale regola, utile soprattutto per stabilire nei casi dubbi a chi appartenga tutto ciò che si contiene nel sottosuolo, in primo luogo non consente al proprietario di esercitare il diritto nel sottosuolo a suo arbitrio (sicché non sono ammesse le escavazioni od opere che rechino danno al vicino) ed in secondo luogo è sottoposta alle importanti limitazioni stabilite nell’interesse pubblico dalle leggi speciali e in particolare a quelle previste dalle leggi sulle miniere, cave e torbiere, sulle antichità e belle arti, sulle acque e sulle opere idrauliche.

Fissati questi principi, sorge dunque il problema di stabilire sino a che punto si estende in senso verticale la proprietà; potrebbe, ad esempio, il proprietario impedire che degli aerei sorvolino il suo fondo?
Una risposta ci viene sempre dall'art. 840 c.c., che distingue tra opere compiute nel sottosuolo e attività che si svolgono nello spazio sovrastante la proprietà.

Il proprietario del suolo ha anche la proprietà del sottosuolo, ma la proprietà del sottosuolo è limitata da numerose legislazioni speciali previste per determinate attività, tra cui ricordiamo:
1. miniere, cave torbiere
2. antichità e belle arti
3. opere idrauliche
4. zone forestali
5. limiti imposti dal codice della navigazione (v. art. 714 detto codice)

Al di fuori dei limiti imposti dalle leggi speciali, il proprietario ha diritto di usare il sottosuolo, ma non può opporsi ad attività di terzi che si svolgano a tale profondità che egli non abbia interesse ad escluderle
Come si vede, l'art. 840 c.c. delimita un concetto dell'esercizio del diritto di proprietà del sottosuolo "flessibile", poiché non ne pone un limite preciso (ad es. 100 metri), ma lo relaziona all'interesse del proprietario.

Difficile risulta individuare il limite ove si arresta l’interesse o il diritto di utilizzazione del proprietario del fondo.
Il criterio seguito dalla legge è quello che ognuno, nel proprio fondo, può eseguire ogni sorta di scavi o opere sotterranee (sempre nei limiti delle vigenti leggi e dei regolamenti locali, e con i dovuti permessi e nulla osta prescritti), salvo quelle "limitazioni" basate sulla mancanza di interesse ad escludere l’attività di terzi nel suo sottosuolo.
Solo se il proprietario dimostri di avere un interesse concreto allo sfruttamento del sottosuolo ad una determinata profondità, potrà escludere altri dall'usarlo, ma se questo interesse manca il secondo comma dell'art. 840 c.c. espressamente gli inibisce di opporsi ad attività di terzi.

Discorso analogo può essere fatto per lo spazio soprastante il fondo: il proprietario del suolo non può opporsi ad attività di terzi che si svolgano a tale altezza nello spazio sovrastante, che egli non abbia interesse ad escluderle.

Trattasi di una limitazione al diritto di proprietà dettata dalla necessità di conciliare l’interesse privato del proprietario di un fondo con quello collettivo (molto più rilevante dato lo sviluppo della navigazione aerea dichiarata libera); pertanto, la facoltà di immissione da parte del vicino nella colonna d’aria che si eleva dai suoi confini superficiali verso il cielo è consentita qualora il proprietario del fondo stesso non abbia interesse ad escluderla.

E’ principio costante in giurisprudenza quello secondo cui non può essere consentita l’invasione dello spazio aereo corrispondente alla proprietà del vicino, sulla quale ha il diritto di sopraelevare e comunque di non vedere menomata la sua piena libertà: diventa quindi legittima la pretesa di quel proprietario che richieda che vengano rimosse le sporgenze che si protendono in qualunque modo o misura in detto spazio.
Da quanto abbiamo sino ad ora visto si intuisce chiaramente che l'art. 840 c.c. non limita la proprietà verticale alla possibilità di sfruttamento, ma ne limita solo l'esercizio.

Anzi dallo stesso articolo 840 c.c. emerge che il legislatore ha inteso estendere la proprietà in linea teorica sino all'infinito sia verso il basso che verso l'alto, ma condizionandone l'uso verticale all'esistenza di uno specifico interesse e (secondo i casi) limitando la proprietà stessa o il suo uso con delle leggi speciali.

In senso orizzontale, invece, il proprietario può agire come meglio crede sul suo fondo, anche recintandolo (art. 841 c.c.) e, comunque, impedendo ad altri di attraversarlo.

In definitiva la disciplina dell’estensione in altezza della proprietà fondiaria muove dall’idea della proprietà come sfera di esclusiva sovranità sui beni, ma nella sostanza (e anche indipendentemente dalle sempre più intense limitazioni poste nell’interesse pubblico) attenua ancora una volta, fino a capovolgerlo, l’antico principio, che sarebbe del resto palesemente non idoneo a comporre in maniera realistica i possibili conflitti di interessi con altri soggetti; e lo attenua nel duplice senso di
- non autorizzare qualsivoglia attività arbitraria del proprietario
- e viceversa di consentire quelle attività dei terzi che non rechino al medesimo un sostanziale pregiudizio.

Sicché può dirsi che l’art. 840 c.c. si limita a fornire un criterio di valutazione elastico, che costituisce un’applicazione specifica di quei più ampi limiti la cui determinazione risulta possibile solo in base a un esame delle circostanze del fatto.

In definitiva, e volendo tirare le fila delle superiori considerazioni, può concordarsi con l’idea che ogni mappale occupa il suo spazio e non potrà mai scivolare su quelli limitrofi, ma non può accettarsi l’idea di vedere il diritto di proprietà esteso all’infinito nel sottosuolo e nello spazio aereo soprastante, immaginando addirittura che si proietti nei due sensi seguendo la stessa forma del mappale.

Alberto P. chiede
venerdì 22/04/2016 - Toscana
“Buongiorno,
Sono proprietario di un appartamento situato al primo piano di una villetta bifamiliare. Lo scorso Novembre 2015 abbiamo realizzato con regolare SCIA lavori di ampliamento della Mansarda, nella fattispecie un innalzamento di circa 1,20 dell'altezza.
Il mio appartamento è libero su 3 lati e confina a sud con un altra proprietà. Nel realizzare l'opera di innalzamento, abbiamo sfruttato il muro in comune con il vicino. La gettata della nuova gronda sporge di circa 50 cm sul tetto del mio vicino.
Egli mi ha chiesto la rimozione dell'opera.
In realtà egli non ha al momento nessun interesse che porti ad escludere la realizzazione della mia opera (non ci sono affacci, terrazzi etc..)
La mia intenzione sarebbe quella di proporgli la stipula di una scrittura privata nel quale mi impegno a rimuovere la gronda (limitatamente alla parte che sovrasta la sua proprietà) nel momento in cui lui dovesse avere un progetto approvato di realizzazione di un opera di innalzamento analoga alla mia.
Cosa mi suggerite di fare? L'art. 840 del cc. giustifica la sporgenza della mia gronda sulla proprietà altrui?
spero di essere stato sufficientemente chiaro.
Saluti”
Consulenza legale i 29/04/2016
Correttamente nel quesito posto si fa riferimento all’art. 840 del codice civile, poiché è quest’ultimo che disciplina l’utilizzo, da parte del proprietario di un fondo, dello spazio sottostante e sovrastante il suolo.

In particolare, nel caso di specie, viene in rilievo l’ultimo comma della norma citata, secondo il quale “il proprietario del suolo non può opporsi ad attività di terzi che si svolgano a tale profondità nel sottosuolo o a tale altezza nello spazio sovrastante, che egli non abbia interesse ad escluderle”.

La giurisprudenza, a tal proposito, segnala che l’interesse che individua il limite di espansione del diritto di proprietà sullo spazio sovrastante deve essere valutato secondo la sua concreta possibilità di utilizzazione, presente e futura, quindi non solo con riferimento all’utilizzazione attuale del fondo ma anche potenziale: “la sussistenza dell'interesse del proprietario del suolo ad escludere l'attività di terzi, che si svolga nello spazio sovrastante, ai sensi dell'art. 840, comma 2, c.c., va valutata con riferimento non soltanto all'attuale situazione e destinazione del suolo, ma anche alle sue possibili, future utilizzazioni, sia pure in concreto non individuate, purché compatibili con le caratteristiche e la normale destinazione del suolo medesimo” (Cassazione civile, sez. II, 11/08/2011, n. 17207).

Dal punto di vista, poi, di chi sfrutta lo spazio in commento, vanno considerati i vantaggi che quest’ultimo può offrire se la sua utilizzazione non importi danno ai vicini e risponda a sistemi di normalità.

Per quel che concerne, ancor più nello specifico, la realizzazione di “sporti” (ovvero di manufatti che sporgano) nello spazio sovrastante il proprio fondo e che insistano sulla proprietà altrui (come è esattamente avvenuto nel caso in esame) la Cassazione ha assunto nel tempo un orientamento uniforme e consolidato.
Esiste una pronuncia (Cassazione civile, sez. II, 20/08/2002, n. 12258) che riguarda proprio una fattispecie analoga a quella che ci occupa, ovvero la costruzione di una gronda, a seguito di sopraelevazione dell’edificio, che sporgeva su suolo altrui e che il proprietario di quest’ultimo intendeva far rimuovere (si cita di seguito, a tal proposito, uno stralcio della parte in fatto della sentenza: “premesso che alla fine del mese di luglio del 1989 quest'ultima, eseguendo lavori di ristrutturazione, aveva anche applicato al muro di confine una grondaia sporgente sulla sua proprietà, (…) conveniva la Folli innanzi al pretore di Enna chiedendo nei confronti della stessa ordine di rimozione e riduzione in pristino.”)
Ebbene i giudici, in questa situazione, si sono così pronunciati: “Poiché la colonna d'aria sovrastante un'area appartiene anch'essa al proprietario, a questi, in quanto anche possessore, e/o a chi comunque abbia il possesso di tale area, va riconosciuta la legittimazione a chiedere la tutela della situazione di fatto con le azioni di reintegrazione e/o di manutenzione; tuttavia, ai sensi dell'art. 840 c.c., l'immissione di sporti (nella specie, gronda) nello spazio aereo sovrastante il fondo del vicino è consentita quando questi non abbia interesse ad escluderla, cioè quando la stessa intervenga ad un'altezza tale da non pregiudicare alcun legittimo interesse del proprietario del fondo in relazione alle concrete possibilità di utilizzazione di tale spazio aereo.

Va evidenziato, peraltro, che la Corte di Cassazione ha ritenuto non lesiva per il vicino la sopraelevazione con realizzazione di sporti anche in situazioni di fatto in cui la lamentata “molestia” allo spazio del vicino era ben maggiore rispetto all’esistenza di une semplice grondaia aggettante sul confine tra le due proprietà.
Ad esempio Cassazione civile, sez. II, 16/10/2012 n. 17680 si è pronunciata in senso favorevole al proprietario costruttore che aveva munito le due finestre dell’ultimo suo piano di infissi apribili all’esterno, composti da profilati di alluminio e lastre di vetro; il suo vicino deduceva che il primo non aveva diritto a collocare detti infissi in quanto sporgenti sulla sua proprietà e perché costituenti pericolo per le persone che usavano il terrazzo sottostante tali finestre e chiedeva che il convenuto fosse condannato alla rimozione degli infissi.
Neppure in questo caso la Corte ha accolto il ricorso, motivando come segue “Il motivo è infondato. Anche in questa occasione, questa Corte ribadisce quanto ha avuto modo di affermare più volte, in passato e, cioè, che: ai sensi dell'art. 840 cod. civ., l'immissione di sporti nello spazio aereo sovrastante il fondo del vicino, è consentita quando questi non abbia interesse ad escluderla, cioè quando la stessa intervenga ad un'altezza dal suolo, tale da non pregiudicare alcun legittimo interesse del proprietario del fondo in relazione alle concrete possibilità di utilizzazione di tale spazio aereo (ex multis Cass. n. 1484 del 1996 nonché Cass. n. 9047 del 2012). Nel caso concreto, come, per altro, ha osservato la Corte di merito, la collocazione dei manufatti di cui si dice non pregiudicavano alcun interesse di B.E. proprietaria della terrazza sottostante considerato che la fissazione al muro di ante apribili verso l'esterno, la tipologia del manufatto (telai metallici) e lo stesso sistema di ancoraggio degli infissi non creavano per se stesse situazioni di pericolo, né l'apertura e la chiusura degli infissi, attesa la significativa altezza del piano di calpestio, era in grado di limitare la fruizione della sottostante terrazza”.
In un altro caso analogo, sempre la Corte di Cassazione ha cassato la decisione del giudice dell’appello, il quale “aveva escluso la lesione possessoria per l'occupazione dello spazio sovrastante un terrazzo ed una tettoia mediante installazione di una caldaia e dei relativi tubi di alimentazione, senza valutare se ed in che misura sussistesse un concreto interesse del proprietario sottostante ad opporsi a tale, pur limitata, occupazione della colonna d'aria).” (Cassazione civile, sez. II, 05/06/2012, n. 904).

In conclusione, nel caso in esame, applicando il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte, si può affermare con una certa sicurezza che, anche tenendo conto del contemperamento degli interessi dei due proprietari, sicuramente quello dei due che ha realizzato la grondaia non ha compromesso minimamente le “concrete possibilità di utilizzazione” del fondo confinante, certamente non quelle attuali ma neppure, in realtà, quelle future.
Pur nella tranquillità garantita dal diritto secondo quanto sopra illustrato, è in ogni caso sicuramente opportuno assumere con il vicino di casa l’impegno, in caso di futura sopraelevazione da parte di quest’ultimo sul proprio fondo, di rimuovere la grondaia a sua semplice richiesta, in tal modo evitando il rischio di spiacevoli azioni giudiziarie che – benché con buona probabilità infondate – costringerebbero comunque ad una difesa, con tutti i costi conseguenti.

Matteo R. chiede
martedì 27/05/2014 - Piemonte
“Sono proprietario di un appartamento in villa storica dal 2011. Nel mio terreno esiste da tempo immemore (la casa risale ai primi del 900') una piccola latrina, attualmente adibita a ripostiglio, ricavata in un muro; tale locale è accessibile solo dalla mia proprietà e non è presente a catasto. Il muro sovradetto è confinante con altra proprietà ed i vicini ne rivendicano dal 2010 (ne sono venuto a conoscenza solo una settimana fa) la loro appartenenza (essendo sotto al loro suolo). Non hanno iniziato una causa per ora. Ribadisco che i vicini non possono accedere a tale locale (sia perché l'acceso alla loro abitazione è altrove sia perché non hanno servitù di passaggio sul mio suolo) ed aggiungo che tale latrina è sempre stata in uso esclusivo della villa in cui vivo (era il bagno della servitù). Cosa posso fare? grazie”
Consulenza legale i 04/07/2014
La descrizione dei luoghi e i fatti narrati nel quesito fanno pensare che si sia ormai perfezionata l'usucapione del ripostiglio ex art. 1158 del c.c..
Difatti, la nicchia esiste da circa un centinaio di anni (come noto, sono sufficienti 20 anni, quindi molto meno del tempo effettivamente trascorso); è sempre stata usata in modo pacifico ed esclusivo dal proprietario della villa, prova ne sia che solo questi poteva accedervi (e ora può accedervi solo il proprietario dell'appartamento nella villa); il possesso è stato continuo e ininterrotto: vi sono quindi tutti gli elementi per ritenere che quello che un tempo era il bagno della servitù sia ormai di proprietà dei titolari della villa.
Il fatto che tale locale sia posto all'interno di un muro altrui non è di ostacolo, posto che l'usucapione è proprio un modo di acquisto a titolo originario della proprietà su beni che possono essere anche altrui.
Il termine per l'usucapione, inoltre, non può dirsi ancora interrotto, posto che secondo la giurisprudenza, per interrompere tale termine è necessario un vero e proprio atto giudiziale (v. Cass. civ., sez. II, 6.11.2012, n. 19089: "A tal riguardo va richiamato e ribadito il costante indirizzo della giurisprudenza di questa Corte, a termini del quale siffatta efficacia interruttiva, per il combinato tassativo disposto di cui agli artt. 1165 e 2943 c.c., può essere ascritta soltanto a quegli atti comportanti la perdita materiale, sia pur temporanea, del potere di fatto esercitato sulla cosa, o alle iniziative giudiziali dirette a provocarne ope iudicis la privazione nei confronti del possessore usucapente").
Pertanto, ai vicini di casa proprietari del muro - che rivendicano la titolarità del ripostiglio - può essere opposta dall'attuale possessore l'usucapione della nicchia da parte degli ex proprietari della villa storica. Se non si troverà un accordo in via stragiudiziale, sarà necessario:
- se i vicini iniziano un giudizio di rivendica ex art. 948 del c.c., opporre la domanda riconvenzionale di usucapione della cosa, chiedendo espressamente che il giudice accerti il perfezionamento dell'acquisto emettendo una sentenza che possa avere forza di giudicato fra le parti (art. 2909 del c.c.);
- se i vicini restano inerti: è possibile non fare nulla e continuare a godere del bene, ma in alternativa è plausibile iniziare un'azione in qualità di attore da parte del proprietario dell'appartamento nella villa storica, con domanda al giudice di accertare l'usucapione e quindi fugare ogni dubbio circa la titolarità del bene.
In ogni caso chi chiede l'accertamento dell'usucapione a suo favore, dovrà dare prova del possesso del precedente proprietario e della durata dello stesso: trattandosi di prova su situazioni di fatto, si può utilizzare anche la testimonianza.

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