Non basta, dunque, il riferimento alla
summa divisio tra beni immobili e beni mobili a creare e giustificare differenze di natura e di regime giuridico che possano indurre a temprare il criterio di determinazione del confine normale, poiché si è già arrivati alla proprietà speciale di categorie determinate di beni, mobili o immobili, rispetto alle quali variano i criteri per determinare il preteso contenuto normale. Non è difficile dimostrare che, per questa via, si perviene a situazioni individuali, e quindi alla completa svalutazione di un criterio che, contraddittoriamente, si presenta come criterio generale.
Sembra, infatti, che (con criterio formale non giustificato) si vogliano considerare come confini quelle limitazioni legali della proprietà che impropriamente il codice abrogato denominava servitù legali. Nel nuovo codice, mutata la sistematica, sarebbe difficile rintracciare le disposizioni a cui si allude e il criterio formale viene meno. Comunque, si tratta di altro.
Si consideri, ad esempio, la disposizione dell'art. 536 del codice del 1865, per la quale il fondo inferiore è soggetto a ricevere le acque che dai fondi superiori scolano naturalmente senza che vi sia concorra l'opera dell'uomo. E si consideri la disposizione analoga dell'
art. 887 del c.c. per cui se di due fondi posti negli abitati uno è superiore e l'altro inferiore, il proprietario del fondo superiore deve sopportare per intero le spese di costruzione e conservazione del muro dalle fondamenta all'altezza del proprio suolo. Nell'una e nell'altra ipotesi, il proprietario del fondo inferiore subisce una limitazione. Ora, se questa definisce il contenuto normale del suo diritto di proprietà, se ne deduce che il diritto di proprietà relativo a due fondi che si trovino nelle condizioni previste dalle disposizioni citate, ha un diverso contenuto normale.
Che valore abbia il preteso contenuto normale e soprattutto l'aggettivo che dovrebbe indicarne la validità generale e conferirgli dignità concettuale, non è facile da stabilire. È facile invece mostrare come dal contenuto normale, dunque tipico, del diritto di proprietà in genere, si sia pervenuti, per successivi passaggi, al contenuto concreto e specifico, dunque individuale, del singolo rapporto di proprietà, rispetto al quale non ha più senso non solo la distinzione tra confini e limiti, ma si devono invece considerare anche tutti i presupposti naturali e di fatto, nonché le limitazioni convenzionali stabilite dallo stesso proprietario.
Ma lo studio delle situazioni giuridiche può essere proficuo solo se tende ad
identificare situazioni tipiche, e quindi va condotto con l'esclusione delle differenze specifiche, verso la ricerca delle costanti che consentano la delimitazione di concetti. In base a tale criterio la dottrina ha esaminato la struttura del diritto di proprietà, pervenendo ad una graduazione fondata sempre su situazioni tipiche: «
il primo grado è quello della proprietà piena e il successivo quello della proprietà limitata. Viene subito dopo il grado della proprietà compressa che si ha quando convenzionalmente o legalmente viene a costituirsi un diritto reale a favore di altri. La comproprietà o condominio dà luogo alla proprietà distribuita, mentre dal rapporto di enfiteusi sorge, nel suo duplice aspetto (dominio diretto e dominio utile), la proprietà attenuata. L'influenza dell'interesse sociale dà luogo alla proprietà-funzione, la realizzazione diretta dell'interesse pubblico si ottiene attraverso la proprietà funzionale. La classificazione annunciata è costruita sul punto di partenza di una proprietà, almeno teoricamente, piena o esente da limiti ».
Tale ipotesi però, è stata contestata con l'affermazione che «
una proprietà illimitata non esiste nel nostro come neppure in ogni altro sistema legislativo ». Affermazione, questa, troppo generica e apodittica perché non sia facile offrire immediatamente la prova contraria, domandando, ad esempio, quale limita esista nel nostro diritto positivo sulla proprietà di un bicchiere di acqua che si possa consumare o buttar via, esercitando, nell'uno o nell'altro caso l'illimitato diritto di proprietà. E così per moltissimi minuti oggetti di uso continuo e quotidiano attraverso i quali tutti i soggetti, nessuno escluso, dal mendicante al plutocrate, hanno la possibilità di esercitare dei diritti di proprietà piena e illimitata. Se si prescinde dall'importanza, si può affermare che, in ogni sistema giuridico, la proprietà piena e illimitata e più difficile della proprietà limitata.
E lo stesso fatto che la lotta agli sprechi venga condotta sul piano politico sociale è indice preciso che, in rapporto agli oggetti di uso comune e personale,
il limite giuridico allo spreco non esiste. D'altra parte anche se la proprietà piena e illimitata rappresentasse una ipotesi teorica, si potrebbe tutt'al più dedurre che il primo gradino sarebbe costituito dalla proprietà limitata, e per il resto la classificazione rimarrebbe inalterata.
Il problema dei confini della proprietà e la norma in esame. Il sottosuolo e lo spazio soprastante al suolo
Messo da parte il problema del contenuto normale della proprietà, rimane il problema generale dei
confini del diritto di proprietà, nel senso indicato, e che sarà più oltre precisato, e il problema particolare della delimitazione del godimento in relazione alla proprietà fondiaria. Quest'ultima questione riconduce all'interpretazione della disposizione da cui si sono prese le mosse.
Essa ha una funzione completamente opposta a quella dell'art. 440 codice del 1865 dalla quale deriva: infatti l'art. 440 del codice abrogato delineava soltanto l'estensione del diritto spettante al proprietario del suolo, nelle due direzioni opposte, in senso verticale: spazio sovrastante e sottosuolo. La disposizione in esame, presupposta una estensione del diritto nelle due direzioni predette, senza di che il diritto stesso si vanificherebbe, mira invece a determinare, nell'una e nell'altra direzione, il limite oltre il quale il diritto medesimo (o il godimento del titolare) non può più estendersi.
È noto che alla ricerca di tale limite, nella duplice direzione, si erano mosse dottrina e giurisprudenza, e che, sia per il diritto romano che per il nostro, sotto la vigenza del codice del 1865 si era in linea di massima concordi nel ritenere che l'estensione del diritto di proprietà relativo al suolo dovesse ritenersi misurata dall'interesse effettivo del proprietario. Il principio era stato accolto dalle più moderne codificazioni (art. 667 codice svizzero, § 905 B.G.B. Tedesco, art. 526 codice brasiliano). Così il nuovo legislatore ha ritenuto opportuno enunciare la duplice limitazione.
Per quanto riguarda il
sottosuolo, il legislatore ha voluto sancire il principio della
estensione della proprietà, riconoscendo al proprietario del suolo specificamente la facoltà di fare escavazioni od opere. Ma qui la legge pone una limitazione che può dirsi in senso orizzontale, poiché non consente le escavazioni ed opere che possono arrecare danno al vicino. E si capisce che al vicino sono concessi i rimedi di cui agli artt.
1171 e
1172.
Lo
spazio, invece, non viene considerato come oggetto di dominio: rispetto ad esso «
non si pone se non un problema di limiti, a differenza di quanto si verifica per il sottosuolo, che può anche essere oggetto di proprietà ».
Il problema dei
limiti viene posto e risolto, piuttosto che con riferimento immediato al diritto di proprietà e alla sua estensione, con riguardo all'eventuale
conflitto dell'interesse del proprietario e di quello di un terzo. In sostanza viene limitato l'esercizio della facoltà di escludere rispetto all'attività di terzi che si volga a tale profondità nel sottosuolo o a tale altezza nello spazio sovrastante, che il proprietario non abbia interesse alla esclusione stessa.
In tal modo non si viene a cristallizzare l'interesse astratto e a determinare una misura costante che delimiti il contenuto della proprietà. Questa può ritenersi potenzialmente illimitata, fino a che il proprietario ha un interesse effettivo ad opporsi alle attività dei terzi: può mancare se muti la forma di sfruttamento o l'attività del terzo. È stato infatti rilevato che «
la limitazione all'uopo stabilita... se da un lato dovrà nei singoli casi avere applicazione concreta secondo le diverse contingenze, dall'altro dovrà sempre essere caratterizzata dalle esigenze del fondo, escludendosi quelle utilizzazioni che a questo e alla sua attuale destinazione non si ricolleghino ».
Tuttavia questi concetti vanno precisati e temperati. In rapporto all'attuale destinazione del fondo, possono essere ritenute legittime attività temporanee, che non diano luogo a situazioni, in favore del terzo, tali che egli in avvenire possa, a loro tutela, impedire un diverso sfruttamento del fondo. Se così non fosse, il terzo potrebbe, ove il suolo fosse coltivato ad erbaggi, fare opere nel sottosuolo a modeste profondità, e in avvenire ostacolare con tali opere lo sfruttamento del suolo mediante coltivazioni di alberi di alto fusto con profonde radici. E potrebbe, con la costruzioni di gallerie o di altre opere sotterranee, impedire lo sfruttamento delle cave o delle torbiere.
In conclusione:
la situazione attuale e contingente è non solo la misura delle facoltà del proprietario, ma anche quella delle facoltà del terzo.
Rimane sempre il problema della massima estensione del diritto di proprietà del privato, che non può andare oltre il limite di utilizzabilità della cosa, non di utilizzabilità attuale, ma di utilizzabilità possibile.
Oltre il limite predetto, il sottosuolo non è da considerare come cosa suscettibile di formare oggetto di proprietà o di altro diritto. Per quanto riguarda lo spazio, si deve escludere che sia da considerare come cose e quindi come oggetto di diritti: «
la cosiddetta proprietà dello spazio significa soltanto che il proprietario del suolo ha il diritto di fare qualunque cosa entro quello spazio, escludendone tutti gli altri ». Di conseguenza, basterà avvertire che, oltre il limite dell'interesse del proprietario del suolo, non si possono escludere nello spazio le immissioni aliene.
Quanto al
sottosuolo che si trova oltre il limite di utilizzabilità, si deve escludere che esso sia
res communis, perché se fosse utilizzabile da tutti, sarebbe utilizzabile pure dal proprietario del suolo. Neppure può ritenersi che sia proprietà dello Stato, ai sensi dell'
art. 827 del c.c., perché questa disposizione «
presuppone il riferimento a immobili nella loro integrità, compreso soprattutto il suolo ». Viceversa la zona in esame potrà essere utilizzabile, in situazioni particolari, da qualcuno, e allora potrà diventare oggetto di proprietà.
Non è da escludere, intanto, che ciò che, rispetto al proprietario di un dato terreno e sottosuolo, sia, per un altro soggetto, vero e proprio suolo. Così è chiaro che la galleria ferroviaria scavata sotto una montagna, non è sottosuolo se non rispetto ai proprietari dei terreni soprastanti. Per essa, dunque, in profondità e in altezza, si pone il medesimo problema dei limiti, che, così, acquista più complessa fisionomia perché si può porre come problema di confini (in senso verticale) tra proprietari vicini. Del resto il problema dei confini tra proprietari vicini soltanto nella sua semplice espressione va posto sul piano orizzontale, poiché spesso esso si pone rispetto a piani paralleli (caso di dislivelli) o rispetto a piani tangenti lungo una linea (proprietà delle falde di una collina). Qui i principi relativi all'estensione della proprietà nel senso sopra detto (rapporto tra il proprietario e i terzi) si complicano e combinano con quelli relativi ai rapporti di vicinato (rapporto tra proprietario e proprietario).
Nell'ultimo esempio, infatti, finché esiste un interesse dei proprietari, il piano bisettore dell'angolo formato dall'incontro dei due piani costituisce il confine che divide la proprietà di un soggetto da quella dell'altro. Di una immissione di terzi in questa zona non si può certo parlare, perché essi potrebbero essere esclusi tanto dall'uno quanto dall'altro proprietario. Crescendo, però, verso le falde della collina, la distanza tra i due fondi, si potrebbe ammettere che ad un certo punto venisse meno l'interesse all'esclusione, sia da parte dell'uno come da parte dell'altro proprietario: si verrebbe così a formare una zona che costituirebbe quella zona libera nella quale non si farebbe sentire l'influenza del diritto di proprietà. E proseguendo si potrebbe pervenire alla zona libera, che non è, in atto, oggetto di diritti. In questo caso, tale zona libera risulterebbe delimitata sia in senso verticale che orizzontale.
È facile comprendere che queste ipotesi sono ridotte alla massima semplicità e che in pratica esse possono risultare notevolmente complesse.