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Articolo 793 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Donazione modale

Dispositivo dell'art. 793 Codice Civile

La donazione può essere gravata da un onere(1) [794, 797 c.c.].

Il donatario è tenuto all'adempimento dell'onere entro i limiti del valore della cosa donata(2).

Per l'adempimento dell'onere può agire, oltre il donante, qualsiasi interessato [1174 c.c.](3), anche durante la vita del donante stesso [648 c.c.].

La risoluzione per inadempimento [1453 c.c.] dell'onere, se preveduta nell'atto di donazione, può essere domandata dal donante o dai suoi eredi [2652 n. 1 c.c.].

Note

(1) L'onere consiste nell'imposizione di un peso rivolta al beneficiario della donazione che limita gli effetti dell'atto. Non assume la natura di corrispettivo, ma riduce la liberalità che resta, in ogni caso, la causa della donazione.
(2) Ove l'adempimento dell'onere comporti l'uso di risorse maggiori rispetto a quelle ricevute attraverso la donazione, l'onerato non è tenuto all'adempimento per la parte in eccedenza.
(3) Legittimato non è chiunque ma solo colui che possa ricevere un vantaggio, seppur indiretto, dall'adempimento.

Brocardi

Cuius est dare, eius est disponere
Donatio cum onere
Modus
Perfecta donatio condiciones postea non capit

Spiegazione dell'art. 793 Codice Civile

Definizione di "donazione modale"
La donazione modale è un contratto di donazione gravato da un modus, cioè da un onere a carico del donatario che, però, non è tenuto al suo adempimento oltre i limiti del valore della cosa donata. Il modus rappresenta infatti il mezzo mediante il quale acquistano rilevanza i motivi.
Lo spirito di liberalità tipico della donazione è perfettamente compatibile con l'imposizione di un peso al beneficiato, purché tale peso, non assumendo il carattere di corrispettivo, costituisca una modalità del beneficio senza snaturare l'essenza di atto di liberalità della donazione.
Per capire se un elemento costituisce un onere ai sensi dell'art. 793 del c.c. o un motivo di cui all'art. 787 del c.c. si deve guardare alle circostanze di fatto, di modo da ricercare l'effettiva volontà dei contraenti.
Natura giuridica della "donazione modale"
La natura giuridica della donazione modale è stata oggetto di ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale.
Secondo un primo orientamento (c.d. teoria dell'elemento accessorio), l'apposizione dell'onere non muterebbe la causa gratuita della donazione, ma semplicemente ne limiterebbe solo l'effetto principale dell'arricchimento. Tra le due prestazioni (quella oggetto di donazione e quella oggetto del modus) non si instaura un rapporto di dipendenza bilaterale ma unilaterale, poichè è la donazione ad essere causa del modus.
Minoritaria è, invece, la c.d. teoria del contratto a prestazioni corrispettive (Carnevali), la quale si basa sul presupposto per cui esisterebbe una relazione funzionale tra arricchimento del donatario ed esecuzione del modus, sempre che quest'ultimo abbia costituito motivo unico e determinante. Tale ricostruzione è stata tuttavia criticata sulla base dell'osservazione che la donazione rimarrebbe tale anche qualora l'onere assorba totalmente il valore della cosa donata funzionando come limite dell'obbligazione a carico del donatario.
Maggioritaria appare la c.d. teoria del negozio autonomo, in base alla quale l'onere donativo avrebbe una propria autonomia anche se collegato alla donazione. A conferma di ciò militerebbe l'assunto per cui qualora venga prevista la clausola di accrescimento esso trasmigrerebbe a carico del donatario.
Alcuni autori, muovendo da tale ricostruzione, giungono a sottolineare che il modo realizzerebbe una seconda donazione accessoria tra donatario e terzo beneficiario; tuttavia tale teoria è stata criticata osservandosi che il donatario agisce sempre animus solvendi ed il beneficiario dell'onere potrebbe anche essere un soggetto indeterminato.
Oggetto della "donazione modale"
L'onere donativo è fonte di una obbligazione in senso tecnico, pertanto la prestazione deve avere contenuto patrimoniale. Secondo l'orientamento maggioritario, tuttavia, è possibile assoggettare il donatario anche all'adempimento di una prestazione di carattere diverso prevedendo una clausola penale che svolge la funzione di "patrimonializzare" la prestazione.

Questa ricostruzione è stata criticata da alcuni autori (in particolare Torrente), i quali hanno osservato anzitutto che la penale non trasformerebbe la natura della prestazione; in secondo luogo, che mentre l'adempimento dell'onere può essere chiesto da chiunque vi abbia interesse ai sensi dell'art. 793, comma 3, c.c., l'adempimento della penale può essere domandato solo dal contraente.
Spesso non è facile stabilire se si è in presenza di un modus oppure di uno scambio. L'onere in ogni caso non deve assumere carattere di corrispettivo, poiché costituisce solo un elemento accidentale, quale limitazione di valore, volto a perseguire una finalità aggiuntiva e ulteriore rispetto a quella principale, e cioè l'arricchimento del donatario.
Per quanto concerne, invece, il rapporto tra il valore della donazione e il valore del modus, dottrina e giurisprudenza sono concordi nell'affermare che se il valore della donazione è inferiore a quello del modus, come si desume dall'art. 793, comma 2, c.c., la donazione comunque rimane un atto liberale, avendo l'ordinamento solo stabilito i limiti dell'obbligo cui è tenuto il donatario affinché non venga snaturata la causa donativa, perché altrimenti il contratto diventerebbe una causa di impoverimento.
Se, invece, il valore della donazione è superiore a quello dell'onere, non si pone alcun problema.
Infine, qualora i due valori coincidano, si tratterà di un contratto a prestazioni corrispettive se non vi è un lasso apprezzabile di tempo tra le prestazioni e l'equivalenza è conosciuta dalle parti; sarà invece una donazione se l'adempimento dell'onere deve essere effettuato dopo qualche tempo, di modo che il donatario tragga vantaggio dal godimento della cosa donata.
Per stabilire ciò, in ogni caso si dovrà avere riguardo non già al tempo della stipula del contratto ma al risultato finale ottenibile con lo sfruttamento del bene donato e il suo incremento patrimoniale una volta adempiuto l'onere.
Impossibilità sopravvenuta della "donazione modale"

In presenza di un motivo unico determinante non potrà applicarsi l'art. 794 del c.c., che concerne l'impossibilità originaria della donazione qualora l'onere ad essa apposto sia illecito o impossibile. Alcuni autori (Giorgianni) invocano la risoluzione del contratto, ma tale ricostruzione è stata criticata poiché non considera che tale eventualità risulta limitata all'ipotesi di previsione espressa per il caso di inadempimento.
Poiché il modus è elemento estraneo alla struttura della donazione, in assenza di corrispettività l'esecuzione dell'onere non potrà ripercuotersi sulla validità della donazione, salvo il disposto di cui all'art. 793, comma 4, c.c. Se pertanto l'impossibilità sopravvenuta è imputabile al donatario vi sarà inadempimento con risarcimento del danno in favore del creditore del modus e anche la risoluzione; se, invece, non è imputabile il modus si estinguerà ai sensi dell'art. 1256 del c.c., considerandosi non apposto anche se ha costituito l'unico motivo della donazione.
Rapporti e differenze della "donazione modale" con altri istituti
Donazione modale e clausola risolutiva espressa. Mentre nella donazione modale l'onere imposto al donatario costituisce una vera e propria obbligazione, con conseguente rilevanza dell'indagine volta ad accertare se la sua mancata esecuzione dipenda da inadempimento imputabile al donatario, l'avveramento dell'evento futuro ed incerto previsto dalle parti come condizione risolutiva del contratto produce effetti a prescindere da ogni indagine sul comportamento colposo o meno dei contraenti in ordine al verificarsi dell'evento stesso.
Donazione modale e donazione condizionata. Mentre nella donazione sottoposta a condizione l'avvenimento futuro ed incerto, al cui verificarsi è subordinata l'efficacia o la risoluzione del contratto, non forma oggetto di obbligazione per l'obiettiva incertezza della realizzazione dell'evento previsto come condizione, nella donazione modale l'onere imposto al donatario costituisce vera e propria obbligazione, con la conseguenza che la sua mancata esecuzione, quando sia determinata da inadempimento imputabile al donatario, può essere causa di risoluzione della donazione se in tale atto la risoluzione stessa sia stata prevista.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

379 Una modificazione formale apportata all'art. 793 del c.c., ultimo comma, tende ad escludere il dubbio che sia ammissibile la risoluzione della donazione per inadempimento dell'onere su istanza del donante, anche quando la risoluzione non sia stata prevista nell'atto di donazione, mentre è evidente che la previsione è elemento essenziale tanto nei riguardi del donante, quanto nei riguardi degli eredi.

Massime relative all'art. 793 Codice Civile

Cass. civ. n. 28857/2021

In tema di attribuzioni a titolo gratuito, lo spirito di liberalità è perfettamente compatibile con l'imposizione di un peso al beneficiato, purché tale peso, non assumendo il carattere di corrispettivo, costituisca una modalità del beneficio, senza snaturare l'essenza di atto liberalità della donazione; stabilire se l'onere imposto al donatario sia tale da porre in essere un "modus" limitativo della liberalità ovvero, incidendo sulla causa del negozio, imprima ad esso il carattere di onerosità costituisce indagine di fatto attinente all'interpretazione del negozio di donazione che, come tale, è riservata al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se congruamente e correttamente motivata. (Nella specie la S.C. ha ritenuto corretta la qualificazione, in termini di donazione modale, attribuita dai giudici di merito ad un negozio, redatto da un notaio, avente ad oggetto la cessione del patrimonio immobiliare dalla madre al figlio e contemplante la previsione di prestazioni di assistenza morale e materiale in favore della prima, tenuto conto del "nomen iuris" utilizzato per il contratto, dell'indeterminatezza e genericità delle prestazioni assistenziali ivi previste, nonché del comportamento successivo della disponente, che non aveva mai chiesto l'adempimento dell'obbligazione assistenziale).

Cass. civ. n. 28993/2020

In tema di donazione modale, la risoluzione per inadempimento dell'onere non può avvenire "ipso iure", senza valutazione di gravità dell'inadempimento, in forza di clausola risolutiva espressa, istituto che, essendo proprio dei contratti sinallagmatici, non può estendersi al negozio a titolo gratuito, cui pure acceda un "modus". (Rigetta, CORTE D'APPELLO NAPOLI, 01/06/2017).

Cass. civ. n. 25907/2020

La donazione modale (art. 793 c.c.) non introduce elementi di corrispettività nella causa liberale del contratto, il modus non potendosi qualificare in termini di corrispettivo costituendo, piuttosto, una modalità del beneficio attribuito e, in senso proprio, una sua limitazione. Sotto il profilo strutturale, quindi, il modus integra un elemento accessorio della donazione che, volto al conseguimento di finalità diverse e ulteriori rispetto al fine liberale della donazione, non snatura la causa unitaria (liberale) della donazione e non dà vita ad un negozio autonomo con causa propria ovvero ad un negozio complesso nel quale coesistono rapporti a titolo gratuito e a titolo oneroso. Non sconta l'imposta proporzionale di registro l'atto di donazione (di una farmacia), gravata di un onere modale rappresentato dalla costituzione di una rendita vitalizia in favore del donante.

Cass. civ. n. 24131/2018

L'azione di risoluzione della donazione modale per l'inadempimento dell'onere in essa stabilito a carico del donatario può essere proposta solo dal momento in cui si verifica tale inadempimento, purché questo non sia determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile all'obbligato; ne consegue che l'azione di risoluzione è soggetta alla prescrizione e al relativo termine, decorrente dall'epoca dell'inadempimento dell'onere e non dalla data di conclusione del contratto di donazione.

Cass. civ. n. 5702/2012

Qualora una clausola apposta ad una donazione sia prevista dalle parti non come "modus", che costituisce per il donatario una vera e propria obbligazione, ma come condizione risolutiva del contratto, questa produce effetti indipendentemente da ogni indagine sul comportamento, colposo o meno, dei contraenti in ordine al verificarsi dell'evento stesso, tenuto conto che nella disciplina delle condizioni nel contratto non possono trovare applicazione i principi che regolano l'imputabilità in materia di obbligazioni.

Cass. civ. n. 11096/2004

È ammissibile l'inserimento del modus come elemento accessorio di un negozio atipico di liberalità, atteso che le specifiche disposizioni codicistiche in cui esso è disciplinato, rappresentano applicazioni — e tuttavia fonti normative utilizzabili per la regolamentazione di casi analoghi — che non esauriscono la possibile gamma negoziale in cui può estrinsecarsi l'autonomia privata negli atti di liberalità, attesa l'attitudine del modus a modificare, ampliandolo, il singolo schema negoziale, consentendo la realizzazione di singole e specifiche finalità estranee alla causa (nella specie si è ritenuto che l'obbligo, di costruire un manufatto, imposto ad un comune in un atto unilaterale di consenso del proprietario all'occupazione di un terreno, avesse la natura di disposizione modale piuttosto che di condizione).

Cass. civ. n. 1036/2000

Ai sensi dell'art. 793 c.c., mentre per l'adempimento dell'onere imposto con le donazioni modali sono legittimati ad agire sia il donante sia qualunque altro interessato (anche durante la vita del donante stesso), per la risoluzione della donazione per inadempimento dell'onere possono agire unicamente il donante e, dopo la sua morte, gli eredi, e ciò sempre che tale facoltà di agire sia espressamente prevista nell'atto di donazione. Tale principio deve ritenersi applicabile anche alle donazioni compiute in epoca antecedente all'entrata in vigore del codice del 1942, (pur se il codice del 1865, all'art. 1080, non prevedeva espressamente alcuna limitazione soggettiva per l'azione di risoluzione de qua) qualora la qualità di «interessato» (e la conseguente legittimazione all'azione) risulti acquistata per effetto di un atto compiuto sotto il vigore dell'attuale codice civile.

Cass. civ. n. 5122/1999

Costituisce modus, e non condizione risolutiva, un obbligo morale apposto ad una donazione che non diviene inefficace in caso di inadempimento, ma obbliga il donatario al trasferimento del bene ad altri per realizzare le finalità stabilite dal donante, ancorché sia previsto a carico di questi ultimi l'obbligo di rimborsare miglioramenti e addizioni apportati su di esso dal primo donatario.

Cass. civ. n. 5983/1994

In caso di donazione gravata da un onere modale consistente nel compimento di un'opera di cui sia destinatario lo stesso donatario, per stabilire se l'adempimento dell'onere si risolva, ai sensi dell'art. 793, comma 2, c.c., in un pregiudizio economico per il donatario a causa della sua eccedenza sul valore della cosa donata, occorre avere riguardo al risultato finale ottenibile con lo sfruttamento di tutte le potenziali caratteristiche del bene donato e del suo incremento patrimoniale ad opera compiuta.

Cass. pen. n. 7679/1986

Distinta dal vitalizio oneroso — contratto dal quale derivano obbligazioni reciproche contrapposte tra i contraenti e nel quale sussiste un nesso di interdipendenza fra le due prestazioni — è, per diversità della causa, della natura giuridica e degli effetti, la donazione cui acceda un onere che comporti l'obbligo, giuridicamente coercibile, del donatario di effettuare prestazioni periodiche in favore del donante o di un terzo per tutta la vita contemplata. In tal caso la disposizione modale costituisce un elemento accessorio dell'atto di liberalità in quanto con esso il disponente mira ad attuare un fine che si aggiunge a quello principale del negozio a titolo gratuito, operando come ulteriore movente di questo, senza peraltro condizionarne l'attuazione e senza che, anche quando la disposizione modale preveda a carico del donatario la prestazione di una rendita vitalizia a favore del disponente, resti modificata la natura e la causa della donazione. (Nella specie, la decisione dei giudici del merito — confermata dalla Corte Suprema — ha respinto la domanda di riscatto di un fondo agricolo, qualificando come donazione l'atto dispositivo di cui quello era stato oggetto).

Cass. civ. n. 3819/1986

L'azione di risoluzione della donazione per inadempimento dell'onere, da cui la medesima sia gravata ai sensi dell'art. 793 c.c., va proposta, in caso di morte del donatario cui siano succeduti dei figli minori, nei confronti di tutti questi ultimi, ma qualora gli stessi, per mezzo del loro rappresentante legale, non abbiano accettato l'eredità nelle forme previste inderogabilmente dalla legge (accettazione espressa con beneficio d'inventario), è necessaria la preventiva nomina di un curatore speciale ai medesimi, a norma dell'art. 321 c.p.c.

Cass. civ. n. 2432/1986

Nella controversia promossa, a norma dell'art. 793 ultimo comma, c.c., per conseguire una pronuncia di risoluzione della donazione per inadempimento dell'onere da parte del donatario, deve escludersi che il giudice, qualificando il contratto come a prestazioni corrispettive, possa rilevarne lo svolgimento, ai sensi dell'art. 1453 c.c., in conseguenza di clausola risolutiva espressa, atteso che tale ultima pronuncia, di carattere dichiarativo e non costitutivo (come invece quella richiesta con la domanda), è riconducibile ad un'azione diversa, per presupposti, caratteri ed effetti.

Cass. civ. n. 3735/1985

Le limitazioni alla disponibilità del bene oggetto di donazione, eredità o legato, che vengano imposte dal donante o dal testatore, non incidono sulla natura sostanziale dell'atto di liberalità, e configurano mero onere o modus con esso compatibile, qualora, pur traducendosi in una riduzione o perdita dell'utilità economica ricevuta dal donatario, erede o legatario, svolgano per il medesimo donante o testatore una funzione soltanto accessoria, in quanto siano rivolte a perseguire una finalità aggiuntiva ed ulteriore rispetto a quella principale di beneficiare l'onerato con la diretta attribuzione in suo favore del predetto bene.

Cass. civ. n. 2237/1985

Mentre nella donazione sottoposta a condizione l'avvenimento futuro e incerto, ai cui verificarsi è subordinata l'efficacia o la risoluzione del contratto, non forma oggetto di obbligazione per l'obiettiva incertezza della realizzazione dell'evento previsto come condizione, nella donazione modale l'onere imposto al donatario costituisce vera e propria obbligazione, con la conseguenza che la mancata sua esecuzione, quando sia determinata da inadempimento imputabile al donatario, può
essere causa di risoluzione della donazione se in tale atto la risoluzione stessa sia preveduta (art. 70 comma terzo c.c.).

Cass. civ. n. 1134/1982

L'attribuzione patrimoniale di un quadro ad una parrocchia, perché sia destinato alla contemplazione dei fedeli nella chiesa, non costituisce datio ob causam (contratto innominato del genere do ut facias in cui l'accipiens si impegna a devolvere a terzi l'utilità ricevuta) ma donazione, con la quale l'ente destinatario acquisisce al proprio patrimonio il bene, per il perseguimento dei propri fini istituzionali con il vincolo della destinazione pertinenziale alla chiesa, a beneficio della comunità dei fedeli.

Cass. civ. n. 739/1977

Il modo non è parte integrante della manifestazione di volontà di donare, ma integra soltanto un elemento accessorio della donazione; esso è pertanto valido anche se la relativa disposizione è documentata da scrittura privata, mentre la donazione cui è apposto è fatta per atto pubblico.

Cass. civ. n. 1024/1976

Nella donazione modale l'onere si concreta in un rapporto obbligatorio in senso tecnico, come tale giuridicamente coercibile, con la conseguenza che l'onerato è tenuto alla prestazione dedotta in contratto; in tale prospettiva la disposizione modale resta normalmente soggetta alla disciplina generale delle obbligazioni, tranne per quelle norme che presuppongono l'esistenza di un negozio a prestazioni corrispettive.

Cass. civ. n. 1668/1973

In tema di attribuzioni patrimoniali a titolo gratuito lo spirito di liberalità è perfettamente compatibile con l'imposizione di un peso al beneficiato, se tale peso non assume carattere di corrispettivo ma costituisce, invece una modalità del beneficio, ossia una mera limitazione del beneficio mediante riduzione del valore attribuito al destinatario della liberalità. Costituisce indagine di fatto, attinente all'interpretazione del negozio di donazione, stabilire se l'onere imposto dal donatario sia tale da porre in essere un modus oppure valga ad imprimere al negozio carattere di onerosità; e l'apprezzamento del giudice del merito circa il carattere modale della donazione è insindacabile in sede di legittimità, se congruamente e correttamente motivato. La legge non commina la nullità della donazione cui sia apposto un onere modale che assorbisca o addirittura superi l'entità economica della cosa donata, né l'assoggetta alla disciplina giuridica dei contratti a titolo oneroso. Nel caso in cui l'onere modale si concreti in una prestazione vitalizia, come tale a carattere aleatorio, il donatario deve subire l'incidenza dell'alea, e sarà tenuto ad eseguire il modus con il solo limite dell'effettivo arricchimento conseguito (art. 793 c.c.).

Cass. civ. n. 2966/1971

Il giudice che rigetti la domanda di risoluzione di una donazione modale per inadempimento dell'onere, sul presupposto che tale risoluzione non è prevista nell'atto di donazione, non è esonerato dall'accertare, ove esista domanda specifica del donante di risarcimento dei danni dipendenti dalla mancata esecuzione dell'onere, se ricorrano le condizioni oggettive e soggettive per il riconoscimento del diritto al risarcimento indipendentemente dalla risoluzione del contratto.

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Consulenze legali
relative all'articolo 793 Codice Civile

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M. S. chiede
giovedì 18/05/2023
“Zio celibe senza figli, una sorella e un fratello defunti che hanno lasciato 4 figli e una sorella in vita con figlia, una casa di proprieta' e dei c/c. quest'anno lo zio muore, si viene a conoscenza che e' stato da una notaio e aveva fatto un atto di donazione della casa con usufrutto vitalizio a suo favore lasciando la nuda proprieta' al nipote maschio, figlio del fratello defunto. in un punto della donazione si dice " la donazione e' effettuata con l' onere per il donatario di consentire gratuitamente alla sorella del donantee con lui convivente ( per 35 anni ) di continuare ad abitare l'immobile una volta estintosi l'usufrutto del donante per tutto il tempo che lo desideri ed ospitandovi anche la figlia", che e' sposata e residente altrove. la sorella, disabile, dal 2022 ha trasferito la residenza presso la figlia in altra regione. la sorella che diritti ha sulla casa ? che spese potrebbero esserle richieste dal nipote ? come sono ripartite le quote tra sorella del defunto e i 4 nipoti per quanto riguarda la ripartizione dei c/c bancari o postali ? grazie.”
Consulenza legale i 25/05/2023
L’art. 536 del c.c. dispone che soggetti a cui deve essere riservata una quota del patrimonio ereditario di colui che muore sono il coniuge, i figli e gli ascendenti.
Nel caso in esame tra i chiamati all’eredità del de cuius non vi è alcuno di questi soggetti, con la conseguenza che lo stesso ben poteva liberamente disporre del suo patrimonio sia in vita che post mortem, ciò che ha fatto decidendo di donare la nuda proprietà della sua casa di abitazione al nipote maschio, figlio del fratello premorto.
Nel medesimo atto di donazione il donante poneva a carico del donatario l’onere di consentire ad una delle sue sorelle di continuare ad abitare l’immobile oggetto di donazione una volta estintosi l’usufrutto che si era riservato (ovvero dopo la sua morte), con facoltà anche di ospitarvi la figlia.
Tale clausola configura a tutti gli effetti una donazione modale, fattispecie tipica disciplinata dall’art.793 c.c., ove viene in particolare disposto che il donatario è tenuto all’adempimento dell’onere entro i limiti del valore della cosa donata (così il secondo comma) e che per l’adempimento dell’onere può agire oltre al donante qualsiasi interessato (così il terzo comma, ove per “interessato” deve intendersi soltanto colui che possa ricevere un vantaggio, seppure indiretto, dall’adempimento).

Sempre nello stesso art. 2 del contratto di donazione viene precisato, a mero titolo di raccomandazione e non di onere, che il donante invita il donatario ad avere cura dell’abitazione e di quanto in essa contenuto.
Il problema che ci si pone, a questo punto, è quello di riuscire a capire quali particolari obblighi possono configurarsi in capo alla beneficiaria dell’onere.
Ebbene, trattandosi di onere posto a carico del donatario e non avendo il donante inteso costituire un vero e proprio diritto reale di abitazione in capo alla sorella, si ritiene che tale fattispecie possa giuridicamente ricondursi, in conformità peraltro a quella che è la natura giuridica dell’onere, ad un diritto di abitazione di natura meramente obbligatoria.
In quanto tale, quel diritto potrà essere fatto valere esclusivamente nei confronti del donante e non nei confronti di chiunque, essendo privo della efficacia erga omnes propria dei diritti reali.
Un’ulteriore conseguenza dell’inquadramento giuridico che si ritiene di dover dare a tale clausola negoziale sta proprio nella disciplina giuridica che da essa ne scaturisce, non potendo di certo porsi a carico della beneficiaria tutti gli oneri connessi al diritto reale di abitazione, quali, a titolo meramente esemplificativo, gli obblighi di natura fiscale (in particolare, questa non potrà ritenersi soggetto passivo IMU, tenuto conto che secondo la normativa IMU soggetti obbligati al pagamento di tale imposta sono tutti coloro che risultano titolari di un diritto reale di godimento).

D’altro canto, ad escludere la sussistenza nel caso di specie di un vero e proprio diritto reale di abitazione può addursi un’ulteriore considerazione, ovvero che se così fosse colei che ne è titolare potrebbe vantare, ex art. 1022 del c.c., il diritto di destinare l’immobile ad abitazione propria e della propria famiglia, escludendo da tale abitazione qualunque soggetto estraneo al proprio nucleo familiare, qual è lo stesso donatario.
Sul piano della disciplina dei rapporti tra donatario e beneficiaria dell’onere, dunque, si ritiene possibile richiamarsi, nei limiti della compatibilità, alle norme che il codice civile detta in materia di comodato senza determinazione di durata.
In particolare potranno trovare applicazione gli artt. 1804 e 1808 c.c., il primo dei quali pone in capo al comodatario (che qui si identifica con la beneficiaria dell’onere) l’obbligo di servirsi della cosa per l’uso determinato in contratto e conformemente alla sua natura, mentre dal secondo deve farsene derivare l’obbligo per la medesima beneficiaria di sostenere le spese ordinarie necessarie per servirsi della cosa (ne possono essere un esempio le spese per le utenze, a cui non ci si potrà esimere dal partecipare se e nella misura in cui verrà effettivamente abitato l’immobile).

Per quanto concerne l’ultima domanda posta, ovvero quella relativa alla esatta determinazione delle quote secondo cui dovranno essere ripartiti tra i chiamati all’eredità i beni lasciati dal de cuius, va detto che, in forza del combinato disposto di cui agli artt. 570 e 469 c.c., tre sono le quote che verranno a formarsi.
In particolare a ciascuno dei fratelli e delle sorelle dovrà essere assegnata una quota pari ad 1/3 indiviso, con la particolarità che per i fratelli premorti la suddetta quota dovrà a sua volta essere divisa in parti eguali tra i loro discendenti, chiamati a succedere per rappresentazione ed in conformità a quanto disposto dall’art. 469 c.c.

J. N. chiede
lunedì 30/05/2022 - Piemonte
“Buonasera,
i miei genitori vorrebbero aiutarmi a comprare casa donandomi una somma di denaro a cui io aggiungerei i miei risparmi per completare l'acquisto.
Quando un domani i miei genitori non ci saranno più, mio fratello potrebbe avere qualche diritto di rivalsa su tale somma?
Se si, quelle azione potrebbero intraprendere per evitare il problema? Potrebbero per esempio fare il bonifico a un amico che a sua volta lo girerebbe a me? O quale altro modo andrebbe adottato?
Ringrazio anticipatamente.”
Consulenza legale i 06/06/2022
Da un punto di vista meramente teorico ed astratto, qualunque somma uscita a titolo gratuito dal patrimonio di una persona deve essere necessariamente presa in considerazione al fine di determinare l’ammontare della quota di patrimonio di cui colui che muore poteva liberamente disporre.
Stabilisce, infatti, l’art. 556 del c.c. che, per conseguire tale risultato, occorre formare la massa di tutti i beni che appartenevano al defunto al momento della morte, detraendovi i debiti (se ve ne sono) e riunendovi fittiziamente i beni (compreso il denaro) di cui in vita sia stato disposto a titolo di donazione.

Solo all’esito di tale risultato sarà possibile stabilire in concreto se quella donazione ha leso la quota di riserva spettante all’altro fratello (che non ha beneficiato di alcun aiuto economico da parte dei genitori) e, pertanto, se lo stesso potrà essere legittimato o meno ad agire in riduzione (ossia, come chiesto nel quesito, se “potrebbe avere qualche diritto di rivalsa su tale somma”).

Tale rischio, sicuramente, non può essere evitato utilizzando il sistema del doppio bonifico (il primo dai genitori ad un amico ed il secondo dall’amico al figlio beneficiario finale), in quanto, come detto prima, per determinare la quota disponibile del patrimonio del defunto occorre riunire fittiziamente tutto quanto donato in vita dal padre ed in favore di chiunque, estranei compresi (tale è l’amico, il quale potrebbe soltanto sfuggire all’obbligo di collazione, non venendo sicuramente ad assumere la posizione di coerede).

Fra le soluzioni che possono in qualche modo garantire di raggiungere con maggiore certezza il proprio intento, si vuole qui suggerire quella della donazione modale, fattispecie presa in considerazione dallo stesso legislatore all’art. 793 c.c.
Più precisamente, alla donazione della somma di denaro dovrebbe accompagnarsi un onere, posto a carico del donatario, e consistente nell’obbligo di prestare cure ed assistenza morale e materiale agli stessi donanti.
Infatti, sia in dottrina che in giurisprudenza prevale la tesi secondo cui l’eventuale azione di riduzione della donazione, portata avanti dagli altri legittimari che si ritengono lesi nella propria quota, non può non tener conto dell’effettivo arricchimento del donatario e, pertanto, ove questa sia gravato da un modus od onere, si dovrà tener conto della sua incidenza sulla donazione stessa.

In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione con sentenza n. 6925 del 7 aprile 2015, in occasione della quale la S.C. è stata in particolare chiamata a pronunciarsi sul seguente quesito di diritto: “se in caso di donazione in nuda proprietà con imposizione di oneri modali, il valore della donazione debba essere fissato alla differenza tra il valore del diritto trasferito ed il valore dell’onere, costituito dal peso patrimoniale che la prestazione modale richiederebbe al donatario..”
Rispondendo a tale quesito, la S.C. ha dunque statuito che l’aggiunta del modus non snatura l’essenza della donazione, non potendo assegnarsi ad esso la funzione di corrispettivo, con la sussunzione della donazione modale nella categoria dei contratti a titolo oneroso, ma comporta che la liberalità, che resta sempre la causa del negozio, attraverso il modus, viene ad esserne limitata.
Ne consegue che, nel concorrere alla successione dell’ascendente, i figli legittimi e naturali e i loro discendenti legittimi e naturali, essendo tenuti a conferire ai coeredi tutto ciò che direttamente e indirettamente abbiano ricevuto dal defunto (art. 737 del c.c.), sono assoggettati all’obbligo della collazione anche nell’ipotesi di donazione modale, ma limitatamente alla differenza tra il valore dei beni donati ed il valore dell’onere (in tal senso si era già espressa Cass. 27.11.1985 n. 5888).

In altre parole, l’onere, anche se non va considerato come corrispettivo, comporta pur sempre una diminuzione di valore della donazione, incidendo sull’ammontare del trasferimento patrimoniale, con la conseguenza che la determinazione del valore da considerare ai fini della riunione fittizia deve essere effettuata tenendo conto del valore dell’onere che, pertanto, deve essere detratto dal valore del bene donato.

Accanto a questa, che si ritiene, da un punto di vista tecnico giuridico, la soluzione più complessa (è richiesto l’intervento del notaio) ma che potrebbe avere maggiori possibilità di riuscita, si possono prospettare altre soluzioni più semplicistiche, per la cui formalizzazione non è richiesto l’intervento del notaio.
Si potrebbe, ad esempio, suggerire di fare ricorso allo strumento del c.d. prestito familiare, ossia concludere un contratto di prestito, con il quale dissimulare la donazione.
Anche in questo caso è necessario, ai fini probatori, rispettare il requisito della forma scritta, ma, come già anticipato, non occorre che il relativo contratto venga stipulato con il ministero del notaio.
In particolare, il meccanismo da utilizzare potrebbe essere il seguente:
a) il padre presta al figlio la somma di denaro complessiva;
b) il figlio si impegna a restituire quella medesima somma a rate mensili, di importo inferiore a quello fissato dalla legge per non essere soggetto all’obbligo di tracciabilità, senza previsione di alcun tasso di interesse (si tratterebbe, dunque, di un prestito infruttifero, concesso a titolo gratuito);
c) al momento del versamento di ogni singola rata il padre rilascia al figlio una semplice quietanza di pagamento.

L’inconveniente di tale meccanismo può essere quello che, qualora prima della scadenza fissata per la restituzione integrale della somma data in prestito, dovesse verificarsi la morte del padre mutuante, gli altri eredi (ovvero il fratello) avrebbero diritto di esigere il pagamento delle rate residue, trattandosi a tutti gli effetti di un credito ereditario (e questa volta il pagamento dovrebbe essere effettivo).
Quindi, in questo tipo di operazione, assumono un’incidenza determinante sulla sua buona riuscita, l’aspettativa di vita del mutuante e l’importo complessivo della somma da trasferire (più alta è la prima e meno consistente è il secondo, maggiori saranno le possibilità di conseguire l’effetto pratico desiderato).

Al di là delle soluzioni sopra suggerite, si ritiene che non vi siano altri modi capaci di far sfuggire quel trasferimento gratuito di denaro, in favore di uno solo dei legittimari, alle norme dettate in tema di donazione.

Salvatore A. chiede
martedì 16/03/2021 - Sicilia
“Quesito
Buongiorno,
Con la presente vorrei chiedere una consulenza in merito ad una citazione pervenutami da parte di mia sorella, alla quale nel 2007 io e i miei fratelli donammo la nostra quota legittima di eredità attraverso una donazione modale.
Motivo per cui abbiamo donato le quote era l'assistenza che mia sorella (donataria ) si impegnava a prestare a mia madre (deceduta nel 2014) e ad un'altra mia sorella disabile.

Dopo 16 mesi dalla donazione, ritenendo mia sorella troppo gravoso per lei l'impegno assunto, decide di avvalersi dell'aiuto di una badante e dal mese di maggio 2009 sino a febbraio 2014 mia madre e la sorella disabile sono state sempre assistite, h22, da diverse badanti succedutesi negli anni, sempre retribuite con risorse loro (pensione) contrariamente a quanto disposto nell'atto di donazione.

Dopo la morte della mamma, licenziò la badante ritenendo di poter gestire da sola la sorella che comunque durante il giorno era fuori casa perché frequenta un centro ricreativo per disabili.

Citata in giudizio da noi fratelli per inadempienza dell’onere, nonostante fosse stata cristallizzata quest’ultima, la richiesta veniva rigettata dal giudice in quanto considerata "di scarsa importanza" .

Ai fatti di oggi veniamo citati in giudizio poiché mia sorella (donataria) , fatto un conto di carattere a prestazioni corrispettive basato sul C.c.n.l “ colf e badanti “, ritiene di aver estinto il suo “modus” e citando l’art 793 comma 2 chiede di essere liberata dall'onere tenendo la casa e mandando mia sorella disabile in un centro non a sue spese.
Il mio quesito è questo: quale strada intraprendere per opporsi a questa richiesta ?
È lecito in una donazione modale quantificare l’assistenza utilizzando strumenti a carattere di corrispettivo quale il CCNL?

Qualora fosse lecito calcolare l'onere secondo il ccnl si dovrebbero detrarre dal conteggio gli anni gestiti da badante?

Venendo meno alla prestazione assistenziale (onere e motivo della donazione) qualora sia lecito, potremmo avvalerci dell'art 787 c.c.?
Dato che la donazione è stata fatta affinché lei si prendesse cura di mia madre e di mia sorella disabile e liberare noi fratelli dal dovere di assistenza (in quanto all’epoca dei fatti tutti lavoravamo fuori paese e sarebbe stato pressoché impossibile) si potrebbe parlare di "errore di donazione" vista la sua chiara ritrosia nell’assolvere l’onere?
Allego atto notarile e citazione in giudizio.
Ringraziandovi
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 24/03/2021
La definizione e le caratteristiche della donazione modale sono certamente note, a questo punto, a chi pone il quesito, così come chiara dev’essere ormai la questione della risolubilità di tale atto per inadempimento: tale questione, in particolare, è stata non solo analizzata, ma altresì decisa con sentenza che, a quanto consta, dovrebbe essere passata in giudicato.
Riassumiamo, quindi, brevemente, che la donazione modale, prevista dall’art. 793 c.c., è un particolare tipo di atto di liberalità, caratterizzato appunto dalla previsione di un onere, un “peso” a carico del destinatario, che nel nostro caso si concretizza in un’attività assistenziale da prestarsi in favore della donante e della sorella della donataria stessa.
Va comunque ricordato che l’onere non è un corrispettivo e la sua eventuale presenza non trasforma la donazione in un contratto a prestazioni corrispettive; al contrario, essa conserva la propria natura di atto compiuto per spirito di liberalità (così anche la recentissima Cass. Civ., Sez. V, ordinanza 16/11/2020, n. 25907: “la donazione modale (art. 793 c.c.) non introduce elementi di corrispettività nella causa liberale del contratto, il modus non potendosi qualificare in termini di corrispettivo costituendo, piuttosto, una modalità del beneficio attribuito e, in senso proprio, una sua limitazione. Sotto il profilo strutturale, quindi, il modus integra un elemento accessorio della donazione che, volto al conseguimento di finalità diverse e ulteriori rispetto al fine liberale della donazione, non snatura la causa unitaria (liberale) della donazione”).

Ciò premesso, arriviamo alla previsione contenuta nel comma 2 dell’art. 793 c.c., che stabilisce un limite quantitativo alla prestazione dovuta dall’onerato: quest’ultimo, infatti, è tenuto all'adempimento dell'onere solo entro i limiti del valore della cosa donata.
Proprio su tale disposizione si fonda il giudizio attualmente introdotto dalla donataria: quest’ultima sostiene, infatti, di aver ormai adempiuto all’onere, per avere le sue prestazioni superato il valore dell’immobile donato.
La prima domanda sollevata nel quesito riguarda proprio la strategia difensiva da adottare per contrastare la domanda dell’attrice.
Al riguardo, è necessario chiarire, preliminarmente, su chi incomba in questo caso l’onere della prova.
Sul punto, è vero che secondo Cass. Civ., Sez. II, 26/01/2000, n. 865, “in caso di donazione gravata da un onere modale che si concreti in una prestazione vitalizia di assistenza in favore del donante, spetta a costui, se agisca per l'adempimento dell'onere, provare la misura complessiva della prestazione dovuta dal donatario, contenuta, ai sensi dell'art. 793, comma 2, c.c., nei limiti del valore del bene donato; il donatario può limitarsi a sostenere di avere già esattamente adempiuto l'onere, in quanto l'assistenza prestata superava il valore del bene ricevuto in donazione”; tuttavia tale principio di diritto si riferisce ad un’ipotesi inversa a quella oggetto del nostro caso (il donante che agisce per l’adempimento dell'onere).
Nella vicenda che ci interessa, invece, è la donataria che agisce per essere “liberata” del peso; pertanto, ad avviso di chi scrive, l’onere della prova di aver adempiuto all’onere grava sulla medesima attrice, secondo i principi generali (art. 2697 c.c.).
Stando così le cose, quest’ultima dovrebbe provare entrambi i presupposti della propria domanda, ovvero sia il valore dell’immobile che quello delle prestazioni rese.

Quanto al valore dell’immobile, lo stesso viene quantificato in citazione in € 77.000,00: tale importo, come si legge nell’atto, risulta fondato su una “perizia di stima”, verosimilmente di parte, e quindi non dotata, di per sé, di un valore probatorio per così dire privilegiato, ma da assimilarsi a quello di una allegazione di parte.
Pertanto, uno dei primi passi da fare è quello di verificare se sia possibile ragionevolmente (non pretestuosamente) sostenere che il valore dell’immobile sia, in realtà, superiore a quanto dichiarato dall’attrice. Naturalmente dovrà trattarsi di una differenza di valore apprezzabile.
Nel quesito, però, non si sottolinea questo aspetto. Si pone invece l’accento sui criteri di quantificazione adottati dall’attrice, la quale ha fondato il proprio sommario conteggio sulle tabelle di cui al C.C.N.L. Colf e badanti.
Ora, senza entrare nel merito del contratto collettivo richiamato, dell’inquadramento e delle tabelle applicate, occorre precisare che, nella materia che ci occupa, non esistono criteri predeterminati per accertare il valore della prestazione. Anzi, la prestazione assistenziale dovuta dalla donataria, nel nostro caso, risulta per certi versi difficilmente quantificabile da un punto di vista prettamente monetario, proprio perché coinvolge profili di cura e accudimento della persona. Tale aspetto, a ben vedere, era già emerso nel giudizio precedente, in sede di valutazione dell’eventuale inadempimento della donataria.
Alla luce di simili considerazioni, il valore dell’assistenza fornita dalla donataria ben può essere calcolato sulla base di criteri presuntivi, quali per l’appunto la retribuzione stabilita dal C.C.N.L. Colf e badanti (previa verifica, però, della correttezza dei parametri e della tabella applicati).

Potrebbe, invece, almeno in astratto, essere lecito - come suggerito nel quesito - detrarre dal computo i periodi in cui si è fatto ricorso ad una o più badanti (peraltro, come riconosciuto nella sentenza già emessa tra le parti, nemmeno retribuite con denaro della donataria, anche se tale circostanza non è stata poi ritenuta decisiva ai fini della gravità dell’inadempimento).
Da notare, però, che il giudice della nuova causa potrebbe anch’egli non attribuire rilevanza ostativa dell’adempimento al fatto che la donataria si sia avvalsa di badanti: in primo luogo perché nell’atto stesso di donazione viene, comunque, pattuita la facoltà di svolgimento delle prestazioni di assistenza per mezzo di persona incaricata (sia pure retribuita dalla donataria, ma abbiamo visto come questo elemento in passato non sia stato considerato dirimente).
In secondo luogo, inoltre, proprio la sentenza pronunciata nel giudizio per la risoluzione ha di fatto riconosciuto la sostanziale continuità dell’assistenza da parte dell’odierna attrice, tenendo conto anche dei problemi di salute della donataria. Leggiamo nella motivazione della sentenza: “si consideri, peraltro, (la circostanza è pacifica) che la convenuta a partire dal 2010 doveva sottoporsi ad interventi chirurgici e cure chemioterapiche con ovvia impossibilità di svolgere direttamente l’assistenza richiesta nel contratto”.
Ribadiamo, infatti, l’impossibilità nel nostro caso di fare riferimento ad un criterio puramente matematico di calcolo del valore della prestazione, data la particolare natura della stessa e la necessità di tener conto di molteplici fattori, quali le esigenze personali dell’obbligata.
Ciò è stato ben evidenziato nella sentenza in esame, laddove si osserva testualmente che “sebbene sia stato dimostrato che la convenuta si sia avvalsa dell’opera di altri soggetti per attendere ai compiti indicati nell’atto di donazione è altrettanto vero che [la donataria, n.d.r.] non ha mai cessato di prestare assistenza alla madre ed alla sorella, specie anche quando la stessa ha dovuto affrontare gravi problemi di salute che non le hanno impedito di assistere la sorella [...]. Deve sul punto osservarsi che la donazione modale rimane pur sempre un negozio a titolo gratuito sicché non può imporsi a carico della donataria una vera e propria prestazione che assuma le vesti di una controprestazione. Nel caso di specie appare, tenuto conto peraltro della giovane età della sorella [omissis] al tempo della donazione, oltremodo onerosa la prestazione di assistenza che avrebbe dovuto adempiere la convenuta ventiquattro ore al giorno e nei confronti di due distinti soggetti per un tempo illimitato e indeterminabile”.
Si tratta di valutazioni che anche il nuovo giudice potrebbe benissimo compiere.

L’ultima questione sollevata riguarda l’eventuale applicabilità dell’art. 787 c.c., che disciplina l’errore sul motivo della donazione, sia esso di fatto o di diritto: in tale ipotesi la donazione può essere impugnata, purché il motivo risulti dall'atto e sia il solo che ha determinato il donante a compiere la liberalità.
Ora, il richiamo a tale norma è improprio, quanto meno perché, nel quesito, viene ricollegato ad un presunto inadempimento dell’onere da parte della donataria - peraltro già escluso dalla precedente sentenza.
Il motivo riguarda, infatti, il momento formativo della volontà, mentre l’adempimento si riferisce alla fase di esecuzione del negozio giuridico.
In altri termini, nel quesito si discute non di un errore, ma sul fatto che possa considerarsi adempiuto l’onere apposto alla donazione, che è cosa ben diversa dall’errore; inoltre, ricordiamo ancora che sulla questione dell’inadempimento c’è già stata una pronuncia tra le parti.
In ogni caso, la giurisprudenza (Cass. Civ., Sez. II, sentenza 19/10/2005, n. 20189) ha chiarito che “lo stabilire se un determinato elemento della donazione sia da qualificare come onere, ai sensi dell'art. 793 cod. civ., o come motivo, per gli effetti di cui all'art. 787 cod. civ., si risolve nella valutazione di circostanze di fatto, connesse alla ricerca della effettiva volontà dei contraenti”.
Da sottolineare, inoltre, che, anche volendo per ipotesi ammettere l’applicabilità dell’art. 787 c.c., l’azione di annullamento si prescriverebbe in cinque anni dalla scoperta dell’errore (art. 1442 c.c.).

GIUSEPPE P. chiede
lunedì 06/01/2020 - Sicilia
“Abbiamo sottoscritto una donazione con onore a favore di un conoscente. Nell'atto sottoscritto il donatario si impegnava a prestare assistenza morale e materiale fornendo medicine, alimenti e tutto il necessario per garantire un dignitoso tenore di vita a me e alla mia consorte per tutta la durata della nostra vita.
In cambio abbiamo donato la nuda proprietà di un cospicuo patrimonio di beni immobili costituito da fabbricati e terreni.
Il donatario, nel corso di questi anni, pur garantendoci assistenza morale non ha ottemperato all'assistenza materiale. Inoltre ha apportato modiche ai terreni con taglio indiscriminato di alberi secolari e la demolizione di un casolare presente nella proprietà e regolarmente iscritto a catasto.
Sulla base di quanto sopra esposto chiediamo se sussistono, dal punto di vista legale, gli elementi che consentano l'annullamento di detta donazione.”
Consulenza legale i 17/01/2020
L’atto che tra le parti è stato stipulato, e che si è avuto modo di leggere perché inviato in copia a questa redazione, può senza alcun dubbio qualificarsi, sotto un profilo prettamente giuridico, come una donazione modale o con onere, per la cui disciplina occorre dunque fare riferimento alle norme che il codice civile detta in materia di donazione.
In particolare, si tratta di una donazione della sola nuda proprietà con riserva di usufrutto in favore della stessa parte donante, il che non può che porsi in favore di quest’ultima per la soluzione del problema lamentato, considerato che l’art. 5 del contratto di donazione dispone espressamente che il possesso ed il materiale godimento dei beni donati sarebbero passati al donatario al cessare dell’usufrutto, e considerato ancor di più che nel caso di specie è stato costituito un usufrutto c.d. successivo, ossia in favore della donante e dopo di sé a favore del coniuge.

Come correttamente riferito nel quesito, l’oggetto specifico dell’onere posto a carico del donatario consiste nella assunzione dell’obbligo da parte di questi, sia nei confronti della donante che del di lei marito e nei confronti di chi dei due sopravviverà, di prestare assistenza materiale e morale ai medesimi, facendo loro compagnia e se necessario coabitando con gli stessi, nonché nel garantire loro un tenore di vita materiale non inferiore a quello fino ad allora condotto, fornire loro medicine, articoli sanitari ed in genere quanto occorrente alla cura degli stessi e necessario per una vita dignitosa e priva di beni necessari.

Ora, per quanto concerne il primo dei problemi lamentati, ossia il mancato adempimento dell’obbligo di assistenza materiale, va detto che purtroppo in nessuna parte del contratto concluso tra le parti viene detto che il mancato o non corretto assolvimento dell’onere da parte del donatario debba costituire causa di risoluzione di quel contratto, mentre l’art. 793 c.c., disciplinante proprio la donazione modale, dispone espressamente che il donante o i suoi eredi possono agire in giudizio per ottenere la risoluzione del contratto di donazione per inadempimento dell’onere solo se ciò sia stato previsto nell’atto di donazione.

Anche la giurisprudenza ha più volte ribadito che, a fronte della mancata esecuzione del modo, dovuta a fatto imputabile al donatario, la risoluzione per inadempimento può essere concessa solo se espressamente prevista nell’atto di donazione, non risultando neppure sufficiente al suo accoglimento la circostanza che l’adempimento del modo sia stato il motivo unico e determinante della liberalità (in tal senso possono citarsi Cass. Civ. n. 3329/1982; Cass. Civ. n. 5122 del 26.05.1999; Cass. N. 9330/2011; Tribunale di Catania del 25.03.1993; Tribunale di Busto Arsizio del 03.08.2011).

E’ stato peraltro anche precisato che il giudice investito della eventuale controversia non può neppure rilevare lo scioglimento della donazione per la presunta operatività di una clausola risolutiva espressa, trattandosi di un rimedio proprio dei contratti sinallagmatici (ossia a prestazioni corrispettive), inapplicabile ad un atto che mantiene pur sempre il suo essenziale carattere di gratuità.

Esclusa, dunque, la possibilità di chiedere la risoluzione della donazione per le ragioni sopra esposte, due sono le soluzioni che si ritiene possano prospettarsi, sul presupposto che le azioni lamentate (taglio indiscriminato di alberi secolari e demolizione di un casolare) siano state poste in essere dal donatario, ancora non immesso nel possesso dei beni, senza il consenso, neppure tacito, di chi è attualmente titolare dell’usufrutto, e precisamente:
  1. avvalersi dell’azione di manutenzione nel possesso, prevista dall’art. 1170 del c.c., il quale, tuttavia, assoggetta tale azione ad una precisa scadenza temporale, richiedendo che la stessa venga esperita entro l’anno dalla turbativa (si teme che i termini siano scaduti);
  2. tentare di agire in giudizio per far valere la revocazione della donazione per ingratitudine del donatario ex art. 801 del c.c..

Dispone quest’ultima norma che la domanda di revocazione per ingratitudine può essere proposta qualora il donatario abbia dolosamente arrecato grave pregiudizio al patrimonio del donante o gli abbia indebitamente rifiutato gli alimenti.
In questo caso l’obbligo degli alimenti discenderebbe non solo dalla legge (si veda l’art. 437 del c.c.), ma anche dal contratto, mentre, per quanto concerne il grave pregiudizio, occorrerebbe dare prova del fatto che:
  1. le azioni poste in essere dal donatario hanno di fatto danneggiato in qualche modo parte dei beni donati;
  2. sono state compiute senza alcun consenso espresso o tacito della parte donante, attuale usufruttuaria dei beni;
  3. costituiscono prova del fatto che il donatario potrebbe continuare a compiere, ad insaputa della donante e senza averne alcuna legittimazione, ulteriori atti lesivi del suo patrimonio.

Si ritiene sia facilmente intuibile che trattasi di azioni particolarmente complesse da portare avanti, soprattutto alla luce del fatto che il donatario non si è proprio del tutto sottratto ai suoi obblighi, in quanto nella richiesta di consulenza viene anche riconosciuto che il medesimo ha comunque adempiuto all’obbligo di assistenza morale.
Pertanto, ciò che nell’immediato può consigliarsi è di invitare, prima bonariamente e poi, se necessario, formalmente, lo stesso donatario a:
- non usare in qualunque modo dei beni donatigli, tenuto conto che degli stessi ha la sola nuda proprietà e, di conseguenza, non può in alcun modo farne uso;
- adempiere al suo obbligo di assistenza materiale, a cui fino a quel momento sembra essersi sottratto, possibilmente precisando ciò che non ha prestato ed a cui si ritiene di aver diritto.
Si tenga conto, infatti, che l’obbligazione dal donatario assunta nel contratto ha un oggetto estremamente generico e che, pertanto, per potersi configurare un suo inadempimento, è quanto mai opportuno specificarne il più possibile il contenuto.

Qualora, neppure a seguito dell’invito formale, si riesca ad ottenere nulla di concreto, allora non resterà, purtroppo, che avventurarsi in una complessa causa di revocazione, per tentare di riprendersi ciò a cui si era deciso di rinunciare al fine di ricevere sostegno morale e materiale.


ROBERTO . R. chiede
mercoledì 11/09/2019 - Lazio
“Un'Associazione sportiva ha ricevuto con atto di donazione un impianto sportivo nel giugno 1979. Nell'atto ci sono due condizioni:
1) Richiedere il Riconoscimento Giuridico alla Prefettura (richiesta effettuata)
2) Ottenimento entro 10 anni dalla donazione (1989) del Riconoscimento Giuridico ai sensi dell'art.786 c.c.
e un impegno (non condizione) a mantenere l'attività sportiva senza scopo di lucro.
Passati i 10 anni non c'è stato il Riconoscimento.(Problema nazionale)
Nessuno dei donanti ha rivendicato la restituzione per inefficacia della donazione e l'Associazione ha proseguito nel pieno possesso dell'impianto donato a tutt'oggi 2019
.
Nell'anno 2000 con la Legge 192 c'è stata l'abrogazione della condizione prevista dall'art.786 relativo al riconoscimento giuridico con applicazione retroattiva di tutte le donazioni che prevedevano il predetto art. c.c..
Si chiede di sapere se:
- il Titolo di Proprietà e da ritenersi valido come ATTO DI DONAZIONE
- un possibile acquirente rischia qualcosa ?

Inoltre nel frattempo il terreno dell'impianto è stato inserito nel Piano regolatore edificabile con possibilità di sviluppo edilizio Residenziale e non residenziale (centro Sportivo) e l'Associazione ha presentato un Progetto
che riduce il Campo di Calcio prevedendo abitazioni e ampliando e migliorando l'attività sportiva inserendo nel Nuovo Progetto di attività sportiva Piscina, Palestra,ecc.
si chiede sapere se:
- l'impegno morale "di mantenere attività sportiva" possa creare problemi nella riduzione del terreno x attività sportiva ma di contro un incremento delle discipline sportive che si intendono realizzare con la vendita della parte residenziale.”
Consulenza legale i 16/09/2019
L’art. 782 del codice civile stabilisce quali debbano essere i requisiti di forma dell’atto di donazione.
Tra questi, vi è l’accettazione da parte del donatario (l’associazione sportiva, nel nostro caso).
Come ha osservato la Suprema Corte con sentenza n. 7821/2015 “in base all'espresso disposto dell'art. 782 c.c., comma 2, l'accettazione della donazione può essere fatta nello stesso atto pubblico della donazione, ovvero con atto pubblico posteriore, nel qual caso la donazione può ritenersi perfezionata solo nel momento in cui l'accettazione del donatario è notificata al donante.” Nella medesima pronuncia, è stato altresì evidenziato che: “secondo la giurisprudenza, per stabilire se in conseguenza di una convenzione (anche se nulla per difetto di requisiti di forma) con la quale un soggetto riceve da un altro il godimento di un immobile si abbia un possesso idoneo all'usucapione, ovvero una mera detenzione, occorre fare riferimento all'elemento psicologico del soggetto stesso ed a tal fine stabilire se la convenzione sia un contratto ad effetti reali od uno ad effetti obbligatori, in quanto solo nel primo caso il negozio è idoneo a determinare l'"animus possidendi" nell'indicato soggetto (Cass. 11-6- 2010 n. 14092; Cass. 6-8-2004 n. 15145; Cass. 27-1-1983 n. 741). In applicazione di tali principi, in particolare, è stato affermato che l'atto di donazione nullo, in quanto privo della forma richiesta dalla legge (art. 782 c.c.), costituisce, dal punto di vista materiale - che è l'unico che può essere considerato a tal fine -, fatto certamente idoneo a trasferire o costituire in favore del donatario il possesso del bene, atteso che con la sua accettazione questi manifesta univocamente la propria intenzione di considerarsi proprietario”.

Orbene, nella presente vicenda, l’atto di donazione del 1979 appare essere un contratto sia valido che efficace.
E’ valido in quanto in quanto presenta tutti i requisiti formali richiesti dalla legge (art. 782 c.c.): la forma dell’atto pubblico, l’accettazione del donatario (l’associazione sportiva) e l’assenza di una revocazione della donazione.
E’ efficace alla luce dell’abrogazione dell’art. 786 c.c. in quanto, come espressamente previsto dall’art. 1 della L.192/2000, essa si applica “ anche alle acquisizioni deliberate o verificatesi in data anteriore a quella di entrata in vigore della legge”.
Inoltre, l’atto pubblico ha anche i requisiti relativi alla pubblicità essendo stato regolarmente trascritto.

Dunque, la risposta alla prima domanda in merito alla validità dell’atto deve intendersi affermativa.
In ogni caso, pour parler, anche volendo ipotizzare una qualche invalidità dell’atto di donazione, alla luce della costante giurisprudenza sopra richiamata esso costituirebbe comunque titolo idoneo ai fini dell’acquisto per usucapione. Ne consegue che un possibile acquirente, sotto questo profilo, non rischia nulla.

Con riguardo invece all’ultima domanda contenuta nel quesito in merito all'impegno morale "di mantenere attività sportiva" , si osserva quanto segue.

Nell’atto di donazione è specificato espressamente l’onere per il donatarioche sul fondo donato continui a svolgersi attività sportiva, senza perseguire fini di lucro”.
Si tratta quindi di una donazione modale ai sensi dell’art. 793 c.c.
La Corte di Cassazione con sentenza n.9330/2011 ha evidenziato che: “In una donazione lo spirito remuneratorio non è incompatibile con l'apposizione di un modus. In caso di inadempimento dell'onere la donazione sarà, quindi, risolubile.” Tuttavia, il predetto articolo 793 c.c. prevede espressamente che “la risoluzione per inadempimento dell'onere, se preveduta nell'atto di donazione, può essere domandata dal donante o dai suoi eredi”.
Nell’atto di donazione in questione, non è presente alcuna clausola risolutiva in tal senso.
E anche laddove voglia intendersi che tale risoluzione sia implicita, occorre tenere presente che comunque sarebbe necessario un accertamento del giudice di merito che valuti l’importanza o meno dell’inadempimento.
Su tale aspetto, la Suprema Corte con sentenza n. 14120/2014 ha infatti evidenziato che: “resta ferma la necessità che il suo inadempimento, per poter comportare la risoluzione, non abbia scarsa importanza: è significativo che l'art. 793 c.c. consente al donante o ai suoi eredi di “domandare” la risoluzione per inadempimento dell'onere, se preveduta nell'atto di liberalità, con terminologia analoga a quella utilizzata per l'azione costitutiva nell'art. 1453 c.c., senza disporre in ordine alla risoluzione stabilita dall'art. 1456 c.c. come effetto “di diritto”, oggetto quindi di sentenza di accoglimento di domanda di semplice accertamento.”.
Ciò significa, appunto, che non potrebbe in ogni caso operare una risoluzione di diritto dell’atto di donazione.

Ciò posto, a parere di chi scrive, la circostanza che l’Associazione abbia presentato un progetto che riduce il campo di calcio prevedendo abitazioni potrebbe in astratto costituire un inadempimento dell’onere.
Tuttavia, non essendo prevista la risoluzione della donazione in caso di mancato rispetto di tale onere, si ritiene che essa non possa essere richiesta.
In ogni caso, come sopra evidenziato, non potrebbe comunque aversi una risoluzione di diritto ma dovrebbe essere oggetto di accertamento in sede giudiziale.
In definitiva, in risposta alla domanda contenuta nel quesito, l’onere di mantenere l’attività sportiva non appare possa “creare problemi” alla realizzazione dei progetti descritti. Chiaro che non può essere escluso al 100% il rischio di azione giudiziale.

A. P. chiede
mercoledì 20/02/2019 - Puglia
“Mi è stata revocata una donazione modale nei 3 gradi di giudizio. La sentenza di Cassazione è del dicembre scorso. Ero molto fiducioso, unitamente ai due legali che hanno gestito i 3 gradi, ma le ns/ ragioni non sono state considerate. Vi chiedo se l'errore è all'origine dell'atto pubblico (del notaio) o se posso chiedere il risarcimento spese al donante (ora all'erede in quanto deceduta). In atto il notaio identifica le parti " il donante pensionata e il donatario dipendente" (bancario ora in pensione). In atto pone come onere di prestare ogni assistenza e cura, anche in caso di malattia all'uopo occorrenti e precisamente ad assisterla di giorno e di notte e provvedere al suo sostentamento con somministrazione del vitto, alla sua pulizia, al suo vestiario, alle cure mediche e ai medicinali, all'alloggio e alle sue eventuali spese funerarie. Ovviamente è un onere a cui non potevo attendere perchè ero un lavoratore dipendente con una famiglia a carico. Al notaio posi questa obiezione ma mi rispose che è una frase di rito. Ancora vorrei chiedervi se posso avviare giudizialmente una richiesta di risarcimento spese per aver provveduto alla cura della sua persona per ca. 3 anni con personale. Spese che ho presentato in I° grado ma che non sono state considerate dal giudice mentre nella sentenza recita "il modus riportato in forma scritta non può essere modificato se non in altrettanta forma scritta. Ma la donante sapeva perfettamente la mia condizione in quanto bancario in una filiale a pochi metri da casa sua e ha voluto e gradito l'assistenza di persone che aveva precedentemente pagato e dopo la donazione riceveva gratis . Grazie e saluti.”
Consulenza legale i 01/03/2019
La donazione modale, cioè gravata da un onere, è disciplinata dall’art. 793 c.c.
Secondo tale norma, il donatario è tenuto all'adempimento dell'onere entro i limiti del valore della cosa donata.
La risoluzione per inadempimento dell'onere, se preveduta nell'atto di donazione, può essere domandata dal donante o dai suoi eredi.
Ciò significa che la sola previsione dell’onere non è sufficiente a chiedere la risoluzione del contratto: è necessario cioè che l’atto preveda espressamente che, in caso di inadempimento dell’onere, il contratto venga risolto.
Sul punto, la Corte di Cassazione ha sottolineato che: “In caso di donazione gravata da un onere modale che si concreti in una prestazione vitalizia di assistenza in favore del donante, spetta a costui, se agisca per l'adempimento dell'onere, provare la misura complessiva della prestazione dovuta dal donatario, contenuta, ai sensi dell'art. 793, comma 2, c.c., nei limiti del valore del bene donato; il donatario può limitarsi a sostenere di avere già esattamente adempiuto l'onere, in quanto l'assistenza prestata superava il valore del bene ricevuto in donazione”(Cass. civ. Sez. II, 26/01/2000, n. 865).

Inoltre, occorre sottolineare che l’onere non deve avere la natura di corrispettivo. Ciò significa che la causa della donazione, infatti, resta sempre la liberalità.
Sul punto la Suprema Corte ha ribadito che: “In materia di donazione modale, l'imposizione di un onere in capo al donante - sebbene non presenti natura di corrispettivo, trasformando il titolo dell'attribuzione da gratuito in oneroso - comporta una diminuzione di valore della donazione stessa, incidendo sull'ammontare del trasferimento patrimoniale” (Cass. civ. Sez. II Sent., 07/04/2015, n. 6925).

Ciò posto, nell’atto di donazione in esame è previsto espressamente che il mancato puntuale adempimento dell’onere comporta la risoluzione del contratto.
Da questo punto di vista, quindi, è stato legittimo richiedere la risoluzione per mancato adempimento dell’onere.
Come ha osservato la Suprema Corte “se nell'atto di donazione di un immobile viene apposta specifica clausola di risoluzione nel caso in cui i donatari non provvedano ad assistere i donanti per tutta la loro vita e a sostenere le spese per i loro funerali, il solo inadempimento di una di tali obbligazioni comporta la risoluzione del contratto” (Cass. 9330/2011).

Ciò premesso, esaminate anche le sentenze trasmesse, si osserva quanto segue.
Nella sentenza di primo grado, risulta che non vi sarebbe stata prova dell’adempimento da parte del donatario.
Quanto al dedotto accordo di corrispondere l’importo di euro 1200, esso doveva risultare da un atto pubblico. Tale ragionamento del tribunale appare corretto in quanto per modificare un atto pubblico come la donazione occorre un altro atto che abbia i medesimi requisti formali.
Inoltre, dalla medesima sentenza risulta che tale corresponsione mensile sarebbe stata anche rifiutata dalla donante.
La Corte d’Appello, del resto, conferma la pronuncia di primo grado evidenziando la gravità dell’inadempimento e la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.

L’accertamento quindi sul mancato rispetto dell’onere previsto nel contratto di donazione è dunque ormai definitivo e inoppugnabile.

Sulla base delle predette osservazioni, con riguardo alla domanda se possa essere azionata una causa di rimborso delle spese sostenute, si ritiene che non ve ne siano i presupposti di legge in quanto le spese - se ed in quanto provate - erano state sostenute per adempiere all’onere previsto nel contratto di donazione.
Del resto, lo stesso art. 793 c.c. al secondo comma prevede che il donatario è tenuto all'adempimento dell'onere entro i limiti del valore della cosa donata.
In sostanza, a parere di chi scrive, appare giuridicamente infondata una azione civile che voglia chiedere un rimborso per delle spese sostenute con riguardo all’adempimento di un obbligo previsto in un contratto, in quanto si vorrebbe chiedere il rimborso di una spesa sostenuta adempiendo in modo non corretto ad una obbligazione.
In ogni caso, anche volendo ipotizzare per assurdo che si possa intentare una tale causa civile, visto il periodo di riferimento, la stessa dovrebbe intendersi preclusa dalla prescrizione decennale (art. 2946 c.c.) visto che i fatti risalgono al 2006 (e comunque non oltre il 2007, anno di iscrizione a ruolo della causa di revocazione della donazione).

Inoltre, non appare possibile nemmeno una impugnazione del contratto di donazione viziato da errore (derivante dall’affermazione del notaio in merito all’onere che sarebbe stato una mera “frase di rito”).
Infatti, ammesso che ciò possa essere dimostrato in un giudizio e che lo si voglia intendere un errore essenziale ai sensi dell’art. 1429 c.c., anche qui sarebbe comunque intervenuta la prescrizione, peraltro più breve (cinque anni) di cui all’art. 1442 c.c.
E poi, in tal caso, l’azione sarebbe anche inammissibile per violazione del principio del “ne bis in idem” di cui all’art. 2909 c.c. secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile:
Può ritenersi formato un giudicato implicito tutte le volte in cui tra la questione risolta espressamente e quella risolta implicitamente sussista un rapporto indissolubile di dipendenza, nel senso che l’accertamento contenuto nella motivazione della sentenza cade su questioni che si presentano come necessaria premessa o il presupposto logico e giuridico della decisione, coprendo il dedotto e il deducibile, e cioè non semplicemente le questioni fatte valere in giudizio, ma anche tutte le altre che si caratterizzano per la loro inerenza ai fatti costitutivi delle domande o eccezioni dedotti in giudizio” (Cass.14055/2017).

In definitiva, le risposte alle domande contenute nel quesito devono intendersi tutte negative.

ANTONIO chiede
giovedì 03/10/2013 - Puglia
“Faccio riferimento alla Vs/ risposta del 26/11/2012 (quesito n° 7093) nel quale vi chiedevo: in caso di decesso della donante (nubile) il possesso e quindi il godimento dei beni sarebbe mio fino a sentenza passata in giudicato o degli eredi legittimi?.
La situazione ad oggi: la donante è deceduta e il procedimento è nella fase di appello che si terrà nel 2014.
Mi sono presentato a casa della defunta avanzando i miei diritti ma sono stato messo alla porta da un nipote (a suo dire unico erede) il quale mi ha denunciato per esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone (art. 393 cp). Ci sono anche 2 locali commerciali dati in fitto e per questo ho fatto le racc. ai locatari affinchè mi riconoscano il fitto.
Vi chiedo come comportarmi per venire in possesso della casa, considerando che l'arredo è certamente dell'erede.”
Consulenza legale i 10/10/2013
Premesso che la fase in cui versa attualmente la controversia richiede l'intervento di un legale, in particolare per gestire il rapporto con gli eredi della donante (è sconsigliabile in questo momento agire senza l'assistenza di un avvocato), è possibile in questa sede fornire solo alcuni chiarimenti.

Come già anticipato nella risposta al quesito n. 7093, la donante, vittoriosa in primo grado, ha ottenuto il riconoscimento del suo diritto alla restituzione dell'immobile. Si tratta di un diritto che potrebbe essere già esercitato, in quanto la condanna alla restituzione si pone come effetto della sentenza riconducibile all'alveo degli effetti "esecutivi" della medesima. Il processo di cui faceva parte la defunta, proseguirà ora nei confronti degli eredi, che potranno far valere gli effetti esecutivi della sentenza pronunciata a favore della signora deceduta. Naturalmente la richiesta di restituzione è attualmente superflua in quanto il donatario non è nel possesso dei beni donati, di cui era usufruttuaria la donante.

Inoltre, il fatto che il ritrasferimento della proprietà non sia già richiedibile da parte degli eredi della donante e che esso avverrà solo dopo il passaggio in giudicato della eventuale sentenza che - in secondo o terzo grado - dovesse confermare quella del primo giudice, non deve indurre il donatario ad agire senza alcuna cautela.
Difatti, come già sottolineato, il temporaneo godimento della cosa da parte dell'una o dell'altra parte, in pendenza di giudizio, potrà essere oggetto di una richiesta di interessi, frutti e accessori, nonché di risarcimento dei danni, successivi alla sentenza di primo grado, ai sensi del primo comma dell'art. 345 del c.p.c.. Ad esempio, se il donatario ricevesse il pagamento dei canoni di locazione degli immobili donati, e poi risultasse soccombente in appello, gli eredi della donante avrebbero diritto a chiedere la restituzione dei canoni percepiti, trattandosi di frutti civili non percepiti dal legittimo proprietario dopo la sentenza di primo grado (Cass. civ., sez. III, 27.1.2003 n. 16089: "Poiché i canoni di locazione costituiscono frutti civili, è ammissibile in appello la domanda volta ad ottenere il pagamento dei canoni maturati dopo la sentenza impugnata").
Si capisce, quindi, che ogni azione nei confronti degli eredi della defunta, diretta a riottenere il possesso del bene, andrà attentamente valutata.

Una soluzione, in assenza di un auspicabile accordo tra le parti, potrebbe essere quella di chiedere un sequestro giudiziario ex art. 670 del c.p.c. sui beni oggetto di giudizio, rimedio cautelare volto ad evitare il pericolo che i beni di cui è controversa la proprietà subiscano deterioramenti, sottrazioni o alterazioni nel corso dello svolgimento del processo. Affinché si possa chiedere un sequestro giudiziario, è necessario che sussista il fumus boni iuris (cioè che chi chiede il sequestro abbia probabilità di successo nella causa in cui sostiene di essere proprietario del bene) e il periculum in mora (cioè il pericolo che il bene non possa essere poi rilasciato integro a colui che risulterà vittorioso in appello). Naturalmente, tali requisiti - ora solo brevemente richiamati - devono essere supportati da prove e solo un legale potrà fornire adeguata assistenza, dopo aver esaminato in maniera esaustiva i fatti e i documenti.

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