In testa a tutte viene l'obbligazione del donatario.
Costituisce questa una decisa innovazione sul regime del codice del 1865; non già tanto per ciò che riguarda l'esistenza stessa dell'obbligazione, che una parte autorevole della dottrina già ammetteva, quanto per ciò che concerne la struttura e i limiti dell'obbligazione alimentare del donante, la quale si presenta ora con un'ampiezza ed una autonomia prima sconosciute. Anzitutto, deve rilevarsi che si tratta di una obbligazione vera e propria, con azione e sanzione dirette come in ogni altra obbligazione alimentare; mentre nel regime precedente interveniva, se mai, una sanzione indiretta consistente nella possibilità di revoca per ingratitudine. Del tutto innovando su i criteri prima correnti, l'art. 437 pone l'obbligazione alimentare del donatario in testa a tutte le altre, non essendo ragionevole, secondo la Relazione della Commissione reale, che il donatario "trattenga l'emolumento e si arricchisca, mentre la famiglia del donante, che pur ha risentito gli effetti sfavorevoli della donazione, debba provvedere al suo mantenimento".
Non si è ritenuto necessario stabilire che debba trattarsi di una donazione considerevole. Il giudice, i cui poteri sono in materia assai vasti, stabilirà se sussista o meno l'obbligo. Deve anche osservarsi che il donatario non è tenuto oltre il valore della donazione tuttora esistente nel suo patrimonio. Ma qui può sorgere il dubbio se debba trattarsi di valore fruttifero, oppure anche di semplice valore capitale. Il Progetto preliminare fissava la regola che "gli alimenti sono somministrati tenuto conto della natura e della entità della donazione, dell'arricchimento del donatario e di ogni altra circostanza".
In forza di varie considerazioni, nel Progetto definitivo questa specificazione fu tolta, nonostante che la Commissione parlamentare avesse insistito affinché venisse ripristinata, con speciale riguardo a doni consistenti in cose che non hanno utilità economica. Nella Relazione finale al Re, il Guardasigilli obbiettò che non può dirsi "che le cose donate possono non avere alcuna utilità economica, poiché, anche se si tratti, ad esempio, di biblioteche, castelli o altri beni non redditizi, si ha pur sempre un valore capitale innegabile". Ma il problema rimane.
A parte tali esempi di donazioni eccezionali, possono darsi molteplici casi di donazioni di oggetti di qualche valore, ma del tutto non redditizi (es. una spilla, un orologio donato per ricordo). Il donatario può avere, per altro lato, fonti di lauto reddito; ma può anche non averne. Deve egli essere costretto ad alienare l'oggetto onde procurarsi i mezzi per provvedere agli alimenti del donante? In alcuni casi certo sì. Non potrebbe ammettersi una regola secondo cui solo le donazioni di oggetti fruttiferi siano presupposto di obbligazioni alimentari (avuto riguardo alla possibilità di provvedere con i frutti alle somministrazioni senza intaccare il capitale). Ma in parecchi casi, che il giudice dovrà apprezzare equitativamente, quella soluzione sarà da respingere. Così, dovranno escludersi le donazioni di piccola entità (siano esse di oggetti fruttiferi o meno); ciò non significa che debbano venire in considerazione solo quelle assai notevoli.