Il principio che ad una donazione può essere apposto un
modus trova nell’art.
793 la sua espressa sanzione legislativa, che mancava nel vecchio codice del 1865, il quale, tuttavia, lo considerava pur sotto diversa terminologia.
Il modus come elemento accidentale, proprio del negozio di liberalità, può inerire alla donazione in differenti forme, che variano secondo lo scopo al quale il donante dispone che tutta o parte della liberalità venga devoluta. Così l’onere può consistere in una prestazione a favore del donante o di un terzo, ma può altresì avvenire che il donante si limiti ad imporre al donatario una destinazione della cosa donata ad un uso determinato, a favore suo proprio oppure a vantaggio del donatario o di un terzo o nell’interesse sia pubblico che privato.
Quanto al contenuto del modus, non è sempre necessario che esso consista in un'erogazione patrimoniale da farsi con i beni donati o con quelli del donatario; il Progetto preliminare enunciava espressamente il principio che la donazione potesse essere gravata di un onere non avente contenuto patrimoniale; la sua soppressione in quello definitivo, dovuta, come si legge nella Relazione, al fatto che non esiste nella legge una norma che esiga la patrimonialità della prestazione nelle obbligazioni, non induce l’interprete a disconoscerne l’efficacia.
Spesso avviene che, sebbene l’espressione usata indichi un atto come donazione e la clausola accessoria come modus, tuttavia è dubbio che di vera donazione si tratti, poiché la figura del negozio è proprio quella di un contratto innominato do ut facias, il quale ex liberalitate originem trahit. La giurisprudenza ha avuto ripetute occasioni di escludere il carattere di donazioni ad offerte per opere di beneficenza, di assistenza sociale, ad assegni per matrimonio, a premi per esposizioni, gare ecc. Non si esclude che, in questi casi, sottostante al rapporto vi sia un intento di beneficenza o di liberalità (così nei riguardi dei ricoverati di un ospizio alla cui costruzione sono destinate le somme raccolte), ma tale intento liberale resta nell’ombra e quasi oscurato dall’onerosità del rapporto che intercorre tra gli offerenti e l’accipiente, il quale resta vincolato ad un facere: chi ha dato la somma l’ha infatti data propter aliam causavi quam ut liberalitatem exerceat: da parte del beneficato si ha l’obbligo ad una controprestazione: si ha, insomma, una liberalità che non è donazione.
Se, invero, ogni donazione è atto di liberalità, non ogni atto di liberalità è donazione; basta porre mente ai seguenti più comuni contratti che, senza dubbio, hanno un contenuto di liberalità e, pur tuttavia, non sono donazioni: il prestito, il deposito, il mandato gratuiti.
Il donatario dovrebbe adempiere l’onere anche oltre l’eccedenza della donazione; a questo principio, però, la norma deroga il codice precedente con una disposizione nuova, stabilendo che il donatario è obbligato ad eseguire l’onere solo entro i limiti del valore della cosa donata; si tratta di una deroga opportuna, perché la donazione, che è un atto di liberalità e, quindi, vantaggioso per il donatario, non deve risolversi per costui in un pregiudizio. L’onere, perciò, si riduce fino a concorrenza del valore della cosa donata.
Ma può avvenire che l’onere sia costituito da una prestazione per natura sua indivisibile: in tal caso il decidere se la donazione debba caducarsi oppure restar ferma ma del tutto libera da pesi, è una quaestio facti per la cui soluzione dovrà valutarsi la rilevanza che l’onere ha avuto per il donante quando questi si è determinato a compiere la donazione.
Sorge a questo punto la questione se la donazione conservi questo carattere anche quando il modus assorba il valore della cosa donata: la questione, già controversa sotto la vigenza del vecchio codice del 1865, continua ancor oggi ad esserlo, nonostante l’art. 793, obbligando il donatario all’adempimento dell’onere, possa dar argomento a ritenere che il legislatore abbia voluto risolvere la controversia.
La soluzione si dovrebbe trovare in questa distinzione: se è la liberalità che prevale come motivo della donazione e l’onere, pur destinato ad assorbire l’intero valore della cosa, è da ritenersi un accessorio di essa, non può disconoscersi che la donazione resta tale (donazione modale): se, invece, è l’onere che prevale nell’intenzione del disponente, tale da costituire il movente principale, può darsi che l’onere assorba l’intero valore dei beni donati e, in tal caso, si tratta di donatio ob causam o ob rem futuram o ne assorbe solo una sola parte, e in tal caso si ha un negotium mixtum cum donatione.
Essendo il
modus una volontà che esige rispetto e, quindi, dovendo esso trovare esecuzione, sia pure
intra vires donationis, si giustifica la norma del terzo comma dell’art.
793, che riconosce la
legitimatio a chiederne l’adempimento, oltre che al donante, a qualsiasi interessato anche durante la vita del donante; dopo la morte del donante potranno agire per l’adempimento i suoi eredi o l’esecutore testamentario, se ancora in tal momento è eseguibile l’onere.
La legitimatio ad agire per l’adempimento del modus è da negarsi al donante ove il modus debba ridondare a beneficio del donatario (ad es.: ti dono cento perché tu con tale somma acquisti dei libri o dei titoli del consolidato)? Anche in questo caso è da ritenere che l’azione spetti al donante: non può negarsi in lui un interesse ad agire, del resto il terzo comma dell’articolo in esame usa una formula che non ammette limitazioni od esclusioni.
L’inadempimento dell’onere può determinare la risoluzione della donazione; l’art. #1080# del codice precedente, invece, considerava la condizione risolutiva per causa di inadempimento di pesi come causa di revoca della donazione, il che era inesatto sotto un duplice profilo:
a) perché considerava la causa della revoca quale condizione risolutiva, ancorché poi si fosse qualificata espressa o tacita, laddove è indubbio che non si trattava di una vera e propria condizione, innanzitutto perché la condizione tacita non è una condizione, non essendo una dichiarazione di volontà apposta al contratto ma una conseguenza ex lege, ossia un effetto dell'inadempienza; inoltre perché, mentre, verificatasi la condizione, la sua efficacia retroattiva distrugge tutti gli atti, quindi anche i diritti dei terzi costituitisi medio tempore, la risoluzione per inadempimento del modus, invece, fa salvi i diritti acquistati dai terzi prima della trascrizione della domanda di risoluzione; in terzo luogo - e ciò è decisivo - perché la condizione risolutiva opera ipso iure ipsoque facto, mentre la risoluzione per inadempimento deve, invece, essere pronunciata dal giudice;
b) perché rendeva sempre ammissibile l’azione risolutiva per inadempimento dell’onere, il che era, senza dubbio, incongruo specie quando l’onere doveva adempiersi dal donatario a vantaggio di un terzo il quale, come estraneo al contratto, non doveva risentire pregiudizio da un’azione di risoluzione.
Il codice attuale ha corretto queste inesattezze; infatti correttamente parla di risoluzione per inadempimento dell’onere e subordina l’azione relativa solo all'ipotesi che essa sia stata prevista nell’atto di donazione; con che si conferma implicitamente come la risoluzione non operi ipso iure, ma a seguito di sentenza del giudice, il quale dovrà constatare non solo la proponibilità dell’azione, ma anche la mancanza dell’adempimento e valutare le cause che l’hanno determinato.
Pronunciata la risoluzione della donazione per inadempimento del modus, quali ne sono gli effetti? Per ben determinarli è necessario distinguere i rapporti tra donante e donatario ed i rapporti coi terzi. Sotto il primo aspetto, il donatario deve restituire o in natura i beni donati o, se non li possiede più per averli alienati, il loro valore, che sarà quello accertato al tempo della domanda giudiziale; nonché, nell’un caso e nell’altro, i frutti dal giorno della stessa domanda.
Oltre i beni e il loro valore, può il donante pretendere anche il risarcimento dei danni? La questione era stata posta sotto il vecchio codice del 1865 e da taluni risolta facendo ricorso all’art. #1165#; ma erroneamente, perché questo articolo torna applicabile solo ai contratti bilaterali laddove la donazione, ancorché modale, non cessa di essere un contratto unilaterale: l’esercizio dell’azione fa ritornare nel patrimonio del donante i beni e ciò compensa la perdita per l'inadempimento dell’onere.
Per l’efficacia del modus è necessario che esso non sia né illecito, né impossibile; avverandosi tali ipotesi, la donazione se ne considera liberata. Questo nel caso in cui il modus sia impossibile o illecito sin da principio, e la norma si spiega considerando il principio generale per cui la nullità di una clausola accessoria (e tale è il modus) non produce la nullità del negozio principale.
Ma ciò come regola, perché può avvenire che l’onere si riveli quale motivo unico che ha indotto il donante all’atto di liberalità; in tal caso, non potendosi più il modus considerare come un elemento accessorio in quanto esso appare quasi la causa della donazione, è ovvio che anche questa debba cadere. In quale modo poi si possa accertare tale efficienza causale del modus la legge non dice; nel suo silenzio è da ritenere che quella prova possa essere desunta anche solo implicitamente dal contenuto della donazione, in analogia, del resto, alle norme che disciplinano l’identica ipotesi per l’onere apposto ad una disposizione testamentaria e per il motivo illecito nella donazione.
Quanto precede riflette l’illiceità (in cui senza dubbio va fatto rientrare anche il modus contrario alla legge) e l’impossibilità dell’onere, che sussistono sin dal momento in cui è compiuta la donazione; ma se il modus diventi impossibile o illecito successivamente all'acquisto da parte dell’onerato dei beni donati (ad esempio per effetto di una legge sopravvenuta) come dovrà essere disciplinata tale ipotesi?
Nel silenzio della legge, si ritiene che nei riguardi dell'impossibilità siano da applicarsi i principi che regolano l'adempimento delle obbligazioni, distinguendo, cioè, tra caso fortuito e colpa. Se il modus è diventato impossibile per caso fortuito, il donatario viene ad essere liberato, ossia non è tenuto ad alcuna restituzione e ritiene la donazione come se fosse pura e semplice. Se, invece, il modus è reso impossibile per sua colpa, allora il donante può ottenere la risoluzione della donazione. Per l’illiceità sopraggiunta non v’è alcuna deroga ai principi generali.
Pur gravata di onere, la donazione non cessa però di essere un contratto unilaterale, un contratto, cioè, per il quale una sola parte risulta obbligata; infatti, l’adempimento dell’onere non si pone per il donatario come una controprestazione della donazione. Il modus importa l'adempimento di una attività non meno cogente della controprestazione nel contratto a titolo oneroso, ma non è, al pari di questa, presupposto essenziale della prestazione dovuta dall’altra parte.
Si differenzia, infine, il modus dal mero precetto, che non importa alcuna coercizione all’osservanza, mentre il modus è una determinazione della volontà che esige rispetto e quindi attuazione.