Il concetto di essenzialità dell’errore come risultante dei due concetti del carattere determinante dell’errore e dell’incidenza dell’errore sugli elementi costitutivi del contratto
Il codice non determina, con una formula generale, il concetto di errore essenziale, limitandosi ad elencarne varie specie. Da questa elencazione si desume tuttavia chiaramente che il requisito dell'essenzialità dell'errore spontaneo risulta, nell'attuale ordinamento, dalla combinazione di due distinti requisiti, concernenti rispettivamente l'oggetto dell'errore e l'influenza dell'errore sulla determinazione volitiva del contraente.
L'errore per essere rilevante deve innanzitutto cadere sugli elementi costitutivi della fattispecie contrattuale o, come suol dirsi, sull'oggetto in senso ampio del contratto. Resta esclusa pertanto, a differenza di quanto avviene in materia testamentaria (art. 624, 2° comma cod. civ.), la rilevanza dell'errore nel motivo, anche espresso (falsa causa non nocet). Non costituisce, a differenza di quanto si afferma comunemente, un'eccezione a questa regola l'invalidità del negozio in cui la corrispondenza alla realtà della rappresentazione psicologica per cui il soggetto conclude il contratto è stata posta come condizione del medesimo (ad esempio, affitto un appartamento in un'altra località perché mi è giunta notizia ufficiosa della emanazione di un provvedimento che mi trasferisce in quella località; non essendo certo se tale notizia corrisponde a verità, subordino la validità del contratto di locazione alla veridicità di tale notizia, che poi risulta falsa), giacché in tale ipotesi non si tratta di rilevanza dell'errore nel motivo, ma di rilevanza del non verificarsi della condizione.
In secondo luogo l'errore deve essere determinante, cioè deve essere tale che senza di esso il contratto non sarebbe stato concluso, per lo meno con quel contenuto e con quelle modalità. Questo requisito, che è implicito nella nozione stessa di errore-vizio e che si può denominare, usando l'espressione nel suo significato tecnico e lessicale «essenzialità dell'errore», è richiamato espressamente nei nn. 3 e 4 dell'articolo in esame e nell'articolo successivo; se il legislatore non ne fa cenno nei confronti di talune specie di errore (nn. 1 e 2, prima parte), ciò avviene perché in tali ipotesi il carattere essenziale dell'errore è implicito nell'oggetto stesso su cui cadono tali specie di errore.
Il nesso di causalità tra l'errore e la determinazione volitiva del contraente, che viene preso in considerazione come presupposto essenziale ed indefettibile di ogni errore, qualunque ne sia l'oggetto, e il nesso in concreto. L'assolutezza di questo principio non è toccata dalla disposizione di cui al n. 3 dell'art. 1429 cod. civ., la quale subordina la rilevanza dell'errore su di una qualità dell'oggetto della prestazione al fatto che detta qualità, secondo il comune apprezzamento od in relazione alle circostanze, debba ritenersi determinante del consenso. Il requisito del nesso di causalità in abstracto richiesto da questa norma non esclude, ma si aggiunge al requisito del nesso di causalità in concreto generalmente richiesto. A sostegno di questa soluzione sta sia la ratio della norma, che è quella di realizzare una maggior tutela del destinatario della dichiarazione sia l'analogia con quanto è stabilito in tema di violenza, dove non è dubbio che la valutazione astratta del nesso di causalità tra la minaccia e la determinazione volitiva del contraente non esclude la valutazione concreta di tale nesso. Pertanto tutte le volte che, trattandosi di errore sulle qualità dell'oggetto della prestazione, risulta che tale errore, per quanto idoneo a determinare la volontà di un contraente normale, non è stato nel caso concreto determinante del consenso, come avviene per esempio nell'ipotesi di chi acquista uno strumento musicale guasto per fingere solo di suonarlo, il contratto non è annullabile.
La valutazione astratta del nesso di causalità come elemento che si aggiunge alla valutazione concreta è richiesta dalla norma in esame solo nei confronti dell'errore su di una qualità dell'oggetto della prestazione. E’ stato tuttavia autorevolmente sostenuto che il principio va riferito anche alle altre specie di errore. Questa interpretazione anti-letterale dell'art. 1429 cod. civ. non sembra accettabile, in quanto la norma del n. 3 dell'articolo in esame fu dettata esclusivamente allo scopo di risolvere la dibattuta questione del concetto di qualità essenziali o sostanziali della cosa, nei confronti delle quali una parte della dottrina aveva già proposto una formula analoga.
L'influenza dell'errore sulla determinazione del contraente può esplicarsi o nella forma dell'errore determinante o nella forma dell'errore incidentale (v. retro pag. 705).
Si prospetta il dubbio se anche in questa seconda ipotesi il contratto sia annullabile o non debba invece ritenersi valido, in armonia con quanto è espressamente stabilito per il dolo incidentale (art. 1440). Mentre la lettera della legge, che negli articoli 1429, n. 2 e n. 3 e 1430 cod. civ. richiede che l'errore «sia stato determinante del consenso» e nell'art. 1440 cod. civ. chiama il dolo incidente «raggiro che non è stato tale da determinare il consenso», sembra suffragare la seconda tesi, la norma dell'art. 1432, la quale presuppone un contratto annullabile per errore incidentale, fa propendere con sicurezza per la tesi dell' annullabilità.
Indipendenza dei due concetti
Il carattere determinante dell'errore e la sua incidenza sull'oggetto in senso ampio del contratto stanno ad indicare due distinti requisiti della fattispecie dell'errore. La esattezza di questa affermazione è chiaramente provata dal fatto che, come può aversi un errore che cade sull'oggetto in senso ampio del contratto e che tuttavia non ha carattere determinante della volizione, così può aversi un errore determinante, ma che non cade sull'oggetto in senso ampio del contratto, trattandosi di errore nel motivo.
Pertanto in una sistemazione più rigorosa i due requisiti suesposti avrebbero dovuto essere trattati distintamente; la commistione operata dal nostro legislatore, il quale fonde i due requisiti nell'unico requisito dell'errore, può tuttavia spiegarsi per considerazioni pratiche di semplificazione del dettato.
Le varie specie di errore essenziale elencate nell’articolo: a) l’errore sulla natura o sull’oggetto del contratto
L'art. 1429 cod. civ. contiene una elencazione di varie specie di errore vizio con riferimento all'oggetto dell'errore. Tale elencazione — come è detto nella Relazione del Guardasigilli (n. 174) — riguarda solo casi tipici e non ipotesi tassative; dottrina e giurisprudenza possono pertanto individuare altre specie di errore essenziale che non rientrano in quelle espressamente considerate.
Tale può essere, ad esempio, il caso dell'errore sulla quantità, sempre che non si risolva in un mero errore di calcolo, e dell'errore sul valore.
Le specie di errore previste nell'articolo in esame sono quattro e precisamente:
a) l'errore sulla natura o sull'oggetto del contratto. L'elencazione di queste due ipotesi di errore è presentata nei lavori preparatori (R. R. n. 174) come una opportuna e felice innovazione rispetto al codice abrogato e all'insegnamento della dominante dottrina, in quanto l'errore sulla natura del contratto, che la dottrina configura esclusivamente sub specie dell'errore ostativo, viene configurato anche come errore vizio, e in quanto da esso e dall'errore sull'oggetto della prestazione viene tenuta distinta l'ipotesi dell'errore sull'oggetto del contratto. E’ lecito tuttavia esprimere i più gravi dubbi sull'esattezza di queste affermazioni e sul fondamento della relative innovazioni.
La figura dell'errore sulla natura giuridica del negozio (error in negotio o circa indolent negotii), che viene talora suddistinto in errore sul genere ed errore sulla specie del negozio, e l'errore che cade sull'identità del negozio. Il caso praticamente più frequente, è l'unico considerato dalla tradizionale dottrina, e quello in cui si scambia un contratto nominato con un altro contratto nominato, ma si possono anche prospettare le ipotesi, in realtà più teoriche che pratiche, in cui si scambi un contratto nominato con un contratto innominato o un contratto innominato con altro contratto innominato.
La menzione dell'errore sulla natura tra le specie di errore vizio costituisce la manifestazione più saliente e criticabile della tendenza del nuovo legislatore di creare delle figure perfettamente parallele di errore ostativo e di errore vizio. Questo atteggiamento, che si riscontra già in una parte della dottrina del codice abrogato, non presenta più oggi, data l’identità del regolamento delle due specie di errore, i pericoli a cui poteva dar luogo per la passata legislazione rimane tuttavia l'improprietà, da un punto di vista dogmatico, di creare delle confusioni tra le due fattispecie di errore, configurando sotto il profilo dell'errore vizio delle ipotesi di errore, come l'errore sulla natura del contratto, che sono prospettabili solo sotto il profilo dell'errore ostativo. Se, per un errore nella terminologia, dichiaro di concedere in enfiteusi mentre voglio dare in locazione, l'errore non incide sulla volontà del risultato, ma produce una divergenza tra detta volizione e la dichiarazione. Né si può addurre in difesa della sistemazione legislativa il caso dell'errore sulle conseguenze giuridiche del negozio, giacché tale errore, nei limiti in cui può essergli riconosciuta rilevanza, non può esser configurato come un errore vizio. Se per ignoranza del diritto credo che l'enfiteusi produca le conseguenze della locazione o che la locazione importi il trasferimento di una proprietà temporanea, non si può dire che in tanto si è formata la mia volontà di ottenere quel certo risultato in quanta ignoravo che le conseguenze ricollegate dalla legge al tipo di negozio che io ritenevo idoneo a raggiungere quel risultato sono diverse da quelle che io pensavo vi fossero collegate, ma si deve invece dire che una cosa è quella che io ho voluto e un'altra quella che io ho dichiarato di volere.
Accanto all'errore sulla natura del contratto, il codice ricorda l'ipotesi dell'errore sull'oggetto del contratto. Non è facile determinare con precisione la realtà concreta a cui ha inteso riferirsi con questa. espressione il legislatore.
Premesso che non può essere accolta l'opinione che ravvisa nell'errore sull'oggetto del contratto l'error in corpore, cioè l'errore che cade sull'identità della cosa che forma punto di riferimento della prestazione, in quanto questa specie di errore è senza dubbio quella prevista nel numero seguente, due sono le vie che può seguire l'interprete, a seconda che ritenga di stare alla lettera della legge o voglia prescinderne. Nel primo caso, dato il significato attribuito dagli articoli 1346, 1347, 1349 cod. civ. alla parola «oggetto di contratto», per cui tale oggetto coincide con la prestazione in senso ampio, cioè con il contenuto della volizione contrattuale, la formula in esame si palesa del tutto inutile, in quanto coincide con quella dell'errore sulla natura. Se invece si vuol mantenere in piedi la disposizione in esame, intendendola in un senso meno letterale, si può sostenere che la formula «errore sulla natura» va interpretata restrittivamente, limitandola all'ipotesi di scambio di un negozio nominato con altro e diverso contratto nominato, mentre la formula errore sull'oggetto del contratto va riferita alle ipotesi in cui la divergenza tra il contratto dichiarato ed il contratto effettivamente voluto non è tale che si possa parlare di due tipi diversi di contratto (es.: voglio donare cum onere o sotto condizione e dico semplicemente donare). E’ evidente che, anche intesa in questo senso la formula «errore sull'oggetto del contratto», la distinzione di questo tipo di errore e l'errore sulla natura del contratto non si presenta così netta da giustificare la separata menzione che ne fa il codice.
b) L’errore sull’identità dell’oggetto della prestazione o su di una qualità dell’oggetto
b) L'errore sull'identità dell'oggetto della prestazione o sopra una qualità dell' oggetto che,secondo il comune apprezzamento o in relazione alle circostanze, deve ritenersi determinante del consenso.
La prima ipotesi è quella tradizionale dell'error in corpore, che si ha quando il contraente scambia una cosa con un'altra. E’ appena necessario rilevare che questo tipo di errore non può ricorrere nell'ipotesi, più che altro accademica, in cui la volontà del contraente è diretta a cosa la cui individualità è indifferente, come avviene ad esempio nel caso che Tizio voglia donare a Caio un suo oggetto qualsiasi, purché non superi un certo valore.
L'error in corpore viene configurato dalla migliore dottrina come una specie di errore ostativo. Non costituisce un'eccezione a questa regola l'ipotesi in cui il soggetto si riferisce nella dichiarazione a una cosa da lui attualmente percepita, in quanto egli ritiene che questa cosa sia la medesima che egli ha precedentemente percepito (ad esempio, dichiaro di comprare il cavallo X che mi sta di fronte in quanto credo che sia il vincitore di una certa corsa a cui ho assistito). Qui sorge la delicatissima questione, sollevata dallo Zitelmann è ampiamente esaminata e risolta in vario senso dalla dottrina, se detto errore si debba qualificare come errore vizio o come errore ostativo. Senza indugiare su questo punto, il quale ha perduto nell'attuale codice ogni rilevanza pratica, qui interessa solo porre in luce che, anche se si propende per la tesi dell'errore vizio, non si può tuttavia parlare di un errore vizio sull'identità, ma bensì di un errore vizio sulle qualità della cosa, in quanto il soggetto attribuisce alla cosa una qualità, un pregio, che in realtà sono propri di un'altra.
Se la menzione, in tema di errore vizio, dell'errore sulla natura del contratto e sull'identità della cosa, da luogo, come si è visto, a fondate critiche, non può tuttavia disconoscersi al nuovo legislatore il merito di aver chiarito il dibattutissimo concetto di errore sulle qualità sostanziali o essenziali, il quale costituisce, secondo la migliore dottrina, un'ipotesi esclusiva di errore motivante.
Sono note le gravi difficoltà di interpretazione a cui aveva dato luogo la formula «errore sulla sostanza», adottata, sull'esempio del codice francese, dal codice abrogato (art. 1110), intendendosi da alcuni, sulle tracce del Pothier, per errore sulla sostanza l'errore sulle qualità in vista delle quali il soggetto si è determinato a contrattare (teoria soggettiva) e da altri, sulle tracce del Savigny, l'errore su quelle qualità della cosa nella cui assenza la cosa non corrisponde alla sua qualificazione (es. l'errore per cui si crede vino ciò che è aceto, oro ciò che è metallo dorato, etc....), secondo — si precisava da alcuni — le idee dominanti nella vita pratica (teoria oggettiva).
Eliminata la formula «errore sulla sostanza» il nuovo legislatore ha adottato nei confronti della questione in esame una posizione eclettica: fermo restando il requisito, richiesto nei confronti di tutte le specie di errore, del carattere in concreto determinante dell'errore (v. retro, pag. 711), si richiede per la rilevanza dell'errore sulle qualità anche il fatto che il medesimo sia, secondo il comune apprezzamento e le circostanze, idoneo astrattamente a determinare la volizione. La formula usata dal nuovo legislatore è, per questo lato, preferibile a quella avanzata dalla teoria oggettiva, nei confronti della quale erano state giustamente poste in luce l'imprecisione e la relatività del concetto di specie su cui si fondava, potendosi far rientrare la stessa cosa in una specie od in un'altra, a seconda della ampia o ristretta determinazione della specie medesima.
c) L’errore sull’identità o sulle qualità della persona dell’altro contraente
L'errore sull'identità della persona dell'altro contraente (error in persona) può essere o un errore sulla individualità specifica (ad esempio voglio trattare l'esecuzione di un'opera con un determinato pittore e, senza saperlo, mi trovo dinanzi un altro pittore al quale commissiono l'opera) o un errore sull'identità generica (ad esempio voglio commettere l'esecuzione di un'opera ad un artista che appartenga ad una determinata scuola e, senza saperlo, mi rivolgo o scrivo ad un artista che appartiene ad un'altra scuola).
In entrambe le ipotesi si tratta, come per l'error in corpore, di una specie di errore ostativo; qualora poi un soggetto, avendo in precedenza individuato una persona, rivolge la dichiarazione ad una persona attualmente percepita in quanto ritiene che sia la stessa percepita prima, anche qui si prospetta il dubbio circa la qualifica dell'errore e valgono le stesse considerazioni svolte in precedenza.
L'errore sulle qualità della persona dell'altro contraente, designate, anch'esso nelle fonti romane come error in persona, è invece un vero errore vizio: il soggetto si rivolge ad una persona rappresentata nella sua individualità, a cui attribuisce delle qualità che essa non ha in effetti (ad esempio dichiaro di assumere al mio servizio Tizio, che ritengo un abile tornitore, mentre in realtà egli non è tale).
Si insegna comunemente che questo tipo di errore può assumere rilevanza solo nei contratti che vengono conclusi intuitu personae. Dato che la norma dell'art. 1429, n. 2 cod. civ. non può essere interpretata estensivamente (v. retro), questa affermazione può valere solo come un criterio empirico e non assoluto; se iò contratto concluso è di quelli che normalmente vengono stipulati intuitu personae, questo è un elemento che può far presumere il carattere determinante dell'errore sulle qualità dell'altro contraente, ma non è un elemento di per sè decisivo, potendo darsi tanto il caso che in concreto al soggetto siano indifferenti le qualità della persona con cui il contratto viene stipulato (ad esempio assumo Tizio, che credevo un meccanico, nel mio stabilimento tanto per tenerlo occupato e lo avrei assunto ugualmente anche se avessi saputo che invece che un meccanico è un chimico), quanto il caso che per il soggetto siano rilevanti talune qualità della persona con cui ha concluso un contratto, che non è di quelli che vengono considerati conclusi intuitu personae.
d) Il problema dell’interpretazione della formula «ragione unica o principale del contratto»
d) L'errore di diritto, quando è stato la ragione unica o principale del contratto.
Prima di venire ad un rapido esame delle gravi questioni a cui da luogo questo numero, è opportuno chiarire la nozione di errore di diritto. La distinzione tra errore di fatto ed errore di diritto deve essere prospettata attraverso una definizione positiva dell'errore di diritto ed una negativa dell'errore di fatto. E’ errore di diritto l'errore che consiste nella ignoranza o in una falsa rappresentazione di una norma giuridica. Questa formula sintetica è sufficiente a comprendere tutte le possibili ipotesi concrete di errore di diritto, in quanto in essa rientra tanto il caso che si supponga esistente una norma che non esiste quanto il caso dell'errore nell'interpretazione di una norma giuridica, il quale non è altro che una falsa rappresentazione del contenuto di una norma giuridica. Tutti gli altri errori sono errori di fatto. E’ vecchia questione se l'erronea applicazione di una norma giuridica dia luogo ad errore di fatto o ad errore di diritto. Siccome applicare una norma significa far rientrare un caso particolare in una norma, che per sua natura è generale ed astratta, l'errore nell'applicazione di una norma può consistere o in un errore nell'accertamento del contenuto, cioè nell’interpretazione della norma o in un errore nell'accertamento del caso concreto. Nel primo caso l'errore è certo, nonostante la contraria opinione del Savigny, un errore di diritto. Ciò si verifica ad esempio nel caso che il legatario concluda un accordo con gli eredi testamentari aventi diritto alla quota di riserva nell'erroneo presupposto che i legittimari non siano tenuti al pagamento dei legati. Nel secondo caso invece l'errore è un errore di fatto.
L'errore su di un diritto soggettivo o su di una qualificazione giuridica di una cosa, ad esempio l'errore sulla titolarità di un rapporto, rientra di conseguenza nel primo o nel secondo caso a seconda che l'errore dipenda da una falsa rappresentazione di una norma giuridica o da una falsa rappresentazione di un fatto concreto.
Il n. 4 dell'art. 1429 cod. civ., che disciplina la figura dell'errore di diritto, rappresenta una delle disposizioni più infelici della materia dei vizi della volontà, sia per la sua collocazione che per il modo con cui è formulata.
Non è esatto elencare l'errore di diritto come se fosse una delle specie di errore considerate nei numeri precedenti dello stesso articolo, e cioè l'errore sulla natura o sull'oggetto del contratto, o sulle qualità dell'oggetto della prestazione e sulla identità o sulle qualità della persona dell'altro contraente. L'errore di diritto non può essere collocato sullo stesso piano di queste ipotesi di errore, giacché non si tratta di una specie di errore individuata, come le altre ipotesi in base all'oggetto su cui cade l'errore, ma in base ad un elemento diverso. Dal punto di vista dell'oggetto su cui può cadere, l'errore di diritto non si differenzia infatti dall'errore di fatto, potendo essere anch'esso un errore sulla natura del contratto, sull'oggetto della prestazione, sulla persona dell'altro contraente o infine un errore nel motivo. In contrario è stato sostenuto che l’errore di diritto non può mai cadere sulla cosa che forma oggetto della prestazione o sulla persona dell'altro contraente. Si può errare — si è detto — sull'applicabilità di una regola di diritto obiettivo ad una data persona o cosa, per esempio circa la qualità di cittadino o meno di una persona e in tal caso l’errore è di fatto, perché ciò che si ignora o si conosce male non è la regola di diritto obiettivo, ma la condizione di fatto della persona o della cosa, o si erra o meno sull'esistenza di una data regola ed allora l'errore, abbia esso attinenza con la sostanza della cosa o con elementi puramente accidentali, entra in considerazione soltanto in quanto è il movente del negozio giuridico. Queste asserzioni sono solo in parte esatte. Se è vero che nella maggior parte dei casi l'errore di diritto è un errore nel motivo, e tale è innegabilmente nel caso ricordato dall'autore della compera di un quadro per venderlo all'estero, può anche darsi che l'errore cada sull'oggetto in senso ampio del contratto. Basterà ricordare in proposito il caso, tipico in tutta la letteratura francese e più volte ammesso anche da quella giurisprudenza, del contratto di divisione ereditaria nella successione legittima concluso con una persona che non ha diritto a legittima, ma che è ritenuta tale per errore della norma sulla cessione stessa. Qui non si ha un errore nel motivo o, come dice l'Ascoli — con espressione che sostanzialmente, nel significato che egli le attribuisce, sembra equivalente - un errore sulla causa del contratto: la rappresentazione erronea della qualità di successibile ex lege non costituisce infatti il motivo, la forza propulsiva della volizione del contraente (il quale motivo sarà dato da una delle tante rappresentazioni delle possibili utilizzazioni dei beni che per effetto della divisione perverranno al soggetto in dominio esclusivo), ma è solo un impedimento al sorgere della controrappresentazione che avrebbe paralizzato la forza del vero motivo. Il soggetto certo non avrebbe concluso il contratto se avesse conosciuto il difetto, nell'altro contraente, della qualità di successore ex lege, esattamente come nel caso di errore di fatto su di una qualità della persona dell'altro contraente non avrebbe concluso il contratto senza l'errore, ma non si può dire che abbia concluso il contratto perché ignorava tale qualità. S tratta quindi non di un errore nel motivo in senso tecnico, ma di un errore sulle qualità, in senso ampio, dell'altro contraente.
Un secondo difetto della disposizione in esame è dato dalla enunciazione generica dell'errore di diritto. A differenza di quanto avviene per l'errore di fatto, iò codice non precisa le varie specie di errore di diritto con riguardo all'oggetto su cui può cadere questo errore; siccome nei numeri precedenti si ricordano varie specie di errore di fatto sull'oggetto in senso ampio del contratto, escluso quindi l'errore nel motivo, questa enunciazione generica dell'errore di fatto è pericolosa, perché fornisce un argomento a favore della teoria, che non può essere accolta, secondo cui l’errore di diritto è rilevante anche quando è un errore nel motivo.
Il n. 3 dell'art. 1429 subordina la rilevanza dell'errore di diritto al fatto che tale errore sia stato la ragione unica o principale del contratto. Questa formula, diversa da quella con cui negli altri numeri viene espresso il requisito dell'influenza dell'errore sulla determinazione volitiva del contraente, dà luogo a gravi dubbi e difficoltà.
Si presenta in sostanza al riguardo la stessa questione a cui aveva dato luogo la formula, pressoché identica, dell'art. #1109# del codice civile abrogato, che parlava di «causa unica o principale del contratto». In proposito la dottrina e la giurisprudenza avevano prospettato quattro soluzioni : a) alcuni intendevano la parola causa in senso tecnico; b) altri si richiamavano pure al concetto di causa, ma solo nei negozi astratti; c) altri ancora intendevano la parola causa nel senso di motivo, ritenendo annullabile il contratto per errore di diritto quando il soggetto l'avesse concluso nella falsa credenza di esservi obbligato; secondo un'ultima tesi poi l'art. 1109 non conteneva che l'espressione di un requisito generale di ogni specie di errore, e cioè il carattere determinante dell'errore stesso. Date queste controversie, era logico aspettarsi che il nuovo legislatore risolvesse il problema; invece egli non ha fatto altro che cambiare la parola «causa» con la parola «ragione», scartando così le due tesi meno convincenti, ma lasciando l’interprete nelle stesse gravi difficoltà in cui si trovava prima circa la tesi del motivo e la tesi del carattere determinante.
A favore della prima tesi stanno due argomenti di carattere letterale, e cioè la genericità, della enunciazione e l'aggiunta «unica o principale », la quale ha un significato solo intendendo ragione nel senso di motivo. Anche l'origine storica della norma sembra favorevole alla tesi del motivo. Per tacere della questione dell'errore di diritto nel diritto romano e nel diritto comune, alla vigilia della codificazione francese si trovano in Francia due formule circa la rilevanza dell'errore di diritto, la prima dovuta al Domat, per cui l'errore di diritto è rilevante quando è la causa unica del contratto, l'altra al Pothier, per cui l'errore di diritto nuoce nel caso di lucro e non nuoce nel caso di perdita. La formula del Pothier passò nel codice Parmense (art. 1085); quella del Domat, non riprodotta nel codice Napoleone, ove non si distingue (articoli 1109-1110) tra errore di fatto ed errore di diritto, si ritrova invece nel codice civile italiano del 1865. Ora dalla lettura delle pagine del Domat risulta, senza possibilità di dubbio, che questo autore parlava di causa nel senso di motivo.
Questi argomenti non sembrano tuttavia decisivi. Il fatto che il nuovo legislatore, mentre nell'art. 624 ha sostituito la parola causa usata dal corrispondente art. #828# del codice abrogato con quella di motivo, aderendo alla migliore interpretazione che di quell'articolo aveva fatto la dottrina, non ha corretto nello stesso senso la formula dell'art. #1109# del codice abrogato, è un argomento letterale a sfavore della tesi del motivo. Per quanto riguarda poi l'argomento storico, esso perde di valore ove si ritenga che il legislatore italiano del 1865 con la formula suesposta non intese far altro che sancire il carattere determinante dell'errore di diritto, che nell'art. 1110 esprime con la parola «causa», e che, trovandosi di fronte alla formula del Domat, la usò, senza pensare che in questo autore la parola causa stava ad indicare il motivo. La miglior prova, del resto, che «causa» nell'art. 1109 non sta ad indicare il motivo, è data dal fatto che nell'art. 1110 la stessa parola è adoperata non nel senso di motivo, ma per indicare l'errore senza il quale il contratto non sarebbe stato concluso, cioè l'errore determinante la volizione.
Militano poi a favore della tesi opposta gli argomenti già addotti dalla migliore dottrina sotto l'impero del codice abrogato nei confronti della irrilevanza dell'errore anche di diritto nel motivo, tra i quali fondamentale è la considerazione che non vi è alcuna ragione di fare un trattamento diverso all'errore di diritto nei confronti dell'errore di fatto, al quale si applica la regola dell'irrilevanza dell'errore nel motivo.
Si aggiunga infine che, mentre l'enunciazione generica dell'errore di diritto porterebbe ad attribuire rilevanza all'errore di diritto tanto sull’oggetto in senso ampio del contratto quanto nel motivo, la formula «ragione unica o principale» porterebbe addirittura ad attribuire rilevanza solo all'errore di diritto nel motivo. Infatti, anche ammesso che si possa stabilire una gradazione di intensità tra le vane rappresentazioni psicologiche che hanno spinto iò contraente a contrattare e si possa quindi parlare di motivi principali e di motivi secondari, non sembra che lo stesso possa farsi nei confronti di quelle rappresentazioni (errori sull'oggetto in senso ampio del contratto) senza le quali il contraente non avrebbe concluso il contratto, ma che tuttavia non costituiscono il motivo in senso tecnico della volizione. Ora questa conclusione, a cui porterebbe la tesi del motivo in relazione alla formulazione dell'art. 1429 cod. civ. «quando, trattandosi di errore di diritto, è stata la ragione unica o principale del contratto» deve essere interpretata nel senso di «quando, trattandosi di errore di diritto, è stato determinante del consenso». Sarebbe stato pertanto preferibile che il nuovo legislatore avesse formulato in una maniera più sintetica e precisa l’art. 1429 cod. civ., stabilendo innanzitutto il principio generale che è rilevante l’errore, sia di fatto che di diritto, che cade sull’oggetto in senso ampio del contratto, e procedendo poi all’elencazione delle principali specie di errore con riferimento allo specifico oggetto su cui l’errore cade.