Cass. civ. n. 3543/2021
La violazione del dovere di fedeltà sancito dall'art. 2105 c.c. riguarda la concorrenza che il prestatore possa svolgere non già, dopo la cessazione del rapporto, nei confronti del precedente datore di lavoro, ma quella che egli abbia svolto illecitamente nel corso del rapporto di lavoro, incluso il periodo di preavviso, al tal fine assumendo rilievo anche il principio di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto, che impone a ciascuna delle parti il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge.
Cass. civ. n. 24619/2019
In tema di licenziamento disciplinare, ai fini della valutazione di proporzionalità della sanzione rispetto all'infrazione contestata, il giudice di merito deve esaminare la condotta del lavoratore, in riferimento agli obblighi di diligenza e fedeltà, anche alla luce del "disvalore ambientale" che la stessa assume quando, in virtù della posizione professionale rivestita, può assurgere, per gli altri dipendenti dell'impresa, a modello diseducativo e disincentivante dal rispetto di detti obblighi.
Cass. civ. n. 10239/2019
Va sanzionata con il licenziamento, in quanto confliggente con l'obbligo di fedeltà ex art. 2105 c.c., la condotta del dipendente, il quale abbia taciuto di aver costituito una società potenzialmente concorrente con l'attività svolta dal suo datore di lavoro.
Cass. civ. n. 26496/2018
Lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente, durante lo stato di malattia, configura la violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà nonché dei doveri generali di correttezza e buona fede, oltre che nell'ipotesi in cui tale attività esterna sia, di per sé, sufficiente a far presumere l'inesistenza della malattia, anche nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio "ex ante" in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio.
Cass. civ. n. 19092/2018
L'esercizio del diritto di critica da parte del lavoratore nei confronti del datore di lavoro deve avvenire nel rispetto dei limiti di continenza formale, il cui superamento integra comportamento idoneo a ledere definitivamente la fiducia che è alla base del rapporto di lavoro e può costituire giusta causa di licenziamento. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di appello che aveva ritenuto legittimo il licenziamento disciplinare intimato dall'impresa al proprio dipendente per avere proferito a voce alta, alla presenza del direttore generale e di un lavoratore, frasi ingiuriose all'indirizzo del primo, percepite anche da altri dipendenti e da due ospiti esterni).
Cass. civ. n. 14527/2018
L'esercizio del diritto di critica da parte del lavoratore nei confronti del datore di lavoro può essere considerato comportamento idoneo a ledere definitivamente la fiducia che è alla base del rapporto di lavoro, e costituire giusta causa di licenziamento, quando avvenga con modalità tali che, superando i limiti della continenza formale, si traduca in una condotta gravemente lesiva della reputazione, con violazione dei doveri fondamentali alla base dell'ordinaria convivenza civile.
Cass. civ. n. 9590/2018
La previa contestazione dell'addebito, necessaria nei licenziamenti qualificabili come disciplinari, ha lo scopo di consentire al lavoratore l'immediata difesa e deve conseguentemente rivestire il carattere della specificità, che è integrato quando sono fornite le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari o comunque comportamenti in violazione dei doveri di cui agli artt. 2104 e 2105 c.c.; per ritenere integrata la violazione del principio di specificità è necessario che si sia verificata una concreta lesione del diritto di difesa del lavoratore e la difesa esercitata in sede di giustificazioni è un elemento concretamente valutabile per ritenere provata la non genericità della contestazione.
Cass. civ. n. 25654/2017
Il dovere di fedeltà del lavoratore nei confronti del datore di lavoro permane sia durante il processo sia dopo la sentenza di reintegra, e anche durante le ferie del lavoratore, poiché il licenziamento dichiarato illegittimo incide solo sulla continuità di fatto delle prestazioni lavorative, non essendo idoneo ad interrompere il rapporto, tutte le volte in cui sia disposta la reintegrazione nel posto di lavoro, con il ripristino della situazione precedente, ai sensi dell'art. 18 st. lav.
Cass. civ. n. 16629/2016
In caso di impossessamento di documenti aziendali da parte del lavoratore, al fine di esercitare il diritto di difesa in giudizio, cui va in ogni caso riconosciuta prevalenza rispetto alle eventuali esigenze di segretezza dell'azienda, occorre valutare la legittimità delle modalità di apprensione ed impossessamento, posto che le stesse potrebbero di per sé concretare ipotesi delittuose o, comunque, integrare giusta causa di licenziamento per violazione dell'art. 2105 c.c., ove in contrasto con i criteri comportamentali imposti dal dovere di fedeltà e dai canoni di correttezza e buona fede, sì da ledere irrimediabilmente il rapporto fiduciario. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di appello che aveva ritenuto idonee a legittimare il licenziamento le modalità di apprensione della documentazione, consistenti nella registrazione di una conversazione tra presenti all'insaputa dei partecipanti e nell'impossessamento di una e-mail non destinata alla visione del lavoratore).
Cass. civ. n. 25682/2014
Il lavoratore che produca in una controversia di lavoro copia di atti aziendali riguardanti direttamente la propria posizione lavorativa non viene meno ai doveri di fedeltà di cui all'art. 2105 cod. civ., anche ove i documenti prodotti non abbiano avuto influenza decisiva sull'esito del giudizio, operando, in ogni caso, la scriminante dell'esercizio del diritto di cui all'art. 51 cod. pen., che ha valenza generale nell'ordinamento, senza essere limitata al mero ambito penalistico.
Cass. civ. n. 18459/2014
La violazione del divieto di concorrenza posto a carico del lavoratore subordinato dall'art. 2105 cod. civ., riguarda non già la concorrenza che il prestatore, dopo la cessazione del rapporto, può svolgere nei confronti del precedente datore di lavoro, ma quella svolta illecitamente nel corso del rapporto di lavoro, attraverso lo sfruttamento di conoscenze tecniche e commerciali acquisite per effetto del rapporto stesso.
Cass. civ. n. 3822/2011
In tema di licenziamento per violazione dell'obbligo di fedeltà, il principio secondo cui il carattere extralavorativo di un comportamento non ne preclude la sanzionabilità in sede disciplinare, quando la natura della prestazione dovuta dal lavoratore richieda un ampio margine di fiducia esteso ai comportamenti privati non trova applicazione, ove il comportamento del prestatore si estrinsechi in comportamenti che siano espressione della libertà di pensiero, in quanto la tutela di valori tutelati costituzionalmente (art. 21 Cost.) non può essere recessiva rispetto ai diritti-doveri connaturali al rapporto di lavoro. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso l'illegittimità del licenziamento irrogato, per violazione dell'obbligo di fedeltà, ad un direttore esecutivo di testata giornalistica che aveva pubblicato presso altre case editrice un volume relativo ad argomenti trattati anche dalla rivista della quale era dipendente).
Cass. civ. n. 14176/2009
L'obbligo di fedeltà a carico del lavoratore subordinato ha un contenuto più ampio di quello risultante dall'art. 2105 c.c., dovendo integrarsi con gli arti. 1175 e 1375 c.c., che impongono correttezza e buona fede anche nei comportamenti extralavorativi, necessariamente tali da non danneggiare il datore di lavoro. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso l'illegittimità del licenziamento irrogato, per violazione dell'obbligo di fedeltà, ad un lavoratore che aveva svolto la pratica legale curando, in sede giudiziaria o extragiudiziaria, interessi di terzi in conflitto con quelli del datore di lavoro, ritenendo irrilevante la scarsa complessità dell'attività o il ridotto impegno richiesto dalla stessa).
Cass. civ. n. 2474/2008
Ai fini della configurabilità di una violazione dell'obbligo di fedeltà previsto dall'art. 2105 c.c., che si specifica nel divieto di concorrenza nei confronti del prestatore di lavoro subordinato — divieto che riguarda non già la concorrenza che il prestatore, dopo la cessazione del rapporto, può svolgere nei confronti del precedente datore di lavoro, ma quella svolta illecitamente nel corso del rapporto di lavoro, attraverso lo sfruttamento di conoscenze tecniche e commerciali acquisite per effetto del rapporto stesso — non sono sufficienti gli atti che esprimano il semplice proposito del lavoratore di intraprendere un'attività economica concorrente con quella del datore di lavoro, essendo invece necessario che almeno una parte dell'attività concorrenziale sia stata compiuta, così che il pericolo per il datore di lavoro sia divenuto concreto durante la pendenza del rapporto.
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In tema di licenziamento per violazione dell'obbligo di fedeltà, il lavoratore deve astenersi dal porre in essere non solo i comportamenti espressamente vietati dall'art. 2105 c.c. ma anche qualsiasi altra condotta che, per la natura e per le possibili conseguenze, risulti in contrasto con i dovere connessi a) suo inserimento nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa, ivi compresa la mera preordinazione di attività contraria agli interessi del datore di lavoro potenzialmente produttiva di danno; tale contrarietà, peraltro, nel caso di dipendente di società, va necessariamente rapportata agli interessi del soggetto giuridico società e non agli interessi di un singolo socio o di un gruppo, anche se di maggioranza (nella specie, la S.C., nel confermare la sentenza impugnata, ha ritenuto che la condotta del dipendente di acquisto di quote azionarie e di successiva vendita delle stesse al maggior concorrente della società datrice di lavoro — attività in sé legittima sul piano del diritto societario ancorché suscettibile di autonoma valutazione nell'ambito del rapporto di lavoro — non integrasse gli estremi della giusta causa di licenziamento, tant'è che il Consiglio di amministrazione della società aveva escluso che fosse suo compito intervenire sui diritti dei soci al trasferimento delle azioni, restando privo di rilevanza che la suddetta operazione avesse sconvolto l'assetto societario a danno del socio di maggioranza).
Cass. civ. n. 16377/2006
Integra violazione del dovere di fedeltà di cui all'art. 2105 c.c., ed è potenzialmente produttiva di danno, la costituzione, da parte di un lavoratore dipendente, di una società per lo svolgimento della medesima attività economica svolta dal datore di lavoro. (Fattispecie in cui il dipendente, ricorrente, aveva costituito con altri una cooperativa di produzione e lavoro, all'interno della quale si era impegnato a svolgere la stessa attività che svolgeva per il proprio datore di lavoro, facendo diretta concorrenza a questi).
Cass. civ. n. 9056/2006
Il dovere di fedeltà, sancito dall'art. 2105 c.c., si sostanzia nell'obbligo del lavoratore di tenere un comportamento leale verso il datore di lavoro e di tutelarne in ogni modo gli interessi; pertanto, rientra nella sfera di tale dovere il divieto di trattare affari per conto proprio o di terzi in concorrenza con l'imprenditore-datore di lavoro nel medesimo settore produttivo o commerciale, senza che sia necessaria, allo scopo, la configurazione di una vera e propria condotta di concorrenza sleale, in una delle forme stabilite dall'art. 2598 c.c. Nell'ipotesi di impugnativa del licenziamento disciplinare intimato al lavoratore per assunta violazione del suddetto dovere di fedeltà, incombe al datore di lavoro l'onere di riscontrare rigorosamente i comportamenti attraverso i quali si sarebbe realizzata l'infedeltà del dipendente e, pertanto, la gravità della condotta di inaffidabilità tale da legittimare la sanzione del licenziamento. (Nella specie, la S.C., sulla scorta dell'enunciato principio, ha rigettato il ricorso e confermato la sentenza impugnata, con la quale era stata accolta l'impugnativa del licenziamento disciplinare irrogato nei confronti di un medico dipendente di una struttura sanitaria privata, sul presupposto del sistematico sviamento della clientela della struttura medesima presso altri laboratori per indagini soprattutto sugli allergeni, senza che, però, fosse emersa un'idonea prova, incombente sulla datrice di lavoro, sui singoli casi comportanti la violazione ripetuta dell'obbligo di fedeltà, anche in considerazione della circostanza che l'avviamento di pazienti presso altri istituti privati poteva essere in ipotesi giustificato dalla inidoneità del laboratorio appartenente all'azienda da cui dipendeva il lavoratore ad effettuare particolari complessi tipi di analisi e dalla necessità di osservare tempi più brevi per lo sviluppo di altre indagini).
Cass. civ. n. 13394/2004
Ai fini della configurabilità di una violazione dell'obbligo di fedeltà previsto dall'art. 2105 c.c., che si specifica nel divieto di concorrenza nei confronti del prestatore di lavoro subordinato — divieto che riguarda non già la concorrenza che il prestatore, dopo la cessazione del rapporto, può svolgere nei confronti del precedente datore di lavoro, ma quella svolta illecitamente nel corso del rapporto di lavoro, attraverso lo sfruttamento di conoscenze tecniche e commerciali acquisite per effetto del rapporto stesso — non sono sufficienti gli atti che esprimano il semplice proposito del lavoratore di intraprendere un'attività economica concorrente con quella del datore di lavoro, essendo invece necessario che almeno una parte dell'attività concorrenziale sia stata compiuta, così che il pericolo per il datore di lavoro sia divenuto concreto durante la pendenza del rapporto.
Cass. civ. n. 19132/2003
Ai fini della configurabilità di una violazione del divieto di concorrenza previsto, nei confronti del prestatore di lavoro subordinato, dall'art. 2105 c.c. divieto che riguarda non già la concorrenza che il prestatore, dopo la cessazione del rapporto, può svolgere nei confronti del precedente datore di lavoro, bensì quella illecitamente svolta nel corso del rapporto di lavoro non sono sufficienti gli atti preparatori di una attività economica concorrente, salvo che essa si concreti, durante la pendenza del rapporto, in atti sia pure iniziali di gestione.
Cass. civ. n. 12489/2003
L'obbligo di fedeltà a carico del lavoratore subordinato va collegato ai principi generali di correttezza e buona fede
ex artt. 1175 e 1375 c.c., e, pertanto, impone al lavoratore di tenere un comportamento leale nei confronti del proprio datore di lavoro, astenendosi da qualsiasi atto idoneo a nuocergli anche potenzialmente, per cui, ai fini della violazione dell'obbligo di fedeltà incombente sul lavoratore
ex art. 2105 c.c., è sufficiente la mera preordinazione di una attività contraria agli interessi del datore di lavoro anche solo potenzialmente produttiva di danno. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto costituire violazione dell'obbligo di fedeltà l'attività del dipendente volta alla costituzione di una società, o anche di una impresa individuale, avente ad oggetto la medesima attività economica-commerciale svolta dal datore di lavoro.).
Cass. civ. n. 13329/2001
Lo svolgimento di attività lavorativa alle dipendenze di un'impresa in concorrenza con il datore di lavoro può configurare la violazione del divieto di cui all'art. 2105 c.c., sotto il profilo della «trattazione di affari per conto terzi in concorrenza con l'imprenditore», solo ove tale concorrenza consista in atti rientranti in prestazioni di carattere intellettuale di notevole autonomia e discrezionalità, dato che proprio coloro che fanno parte del personale impiegatizio più altamente qualificato sono in grado — al di fuori dell'ipotesi di divulgazione di notizie riservate o di metodi di lavoro peculiari — di porre in essere quella concorrenza più intensa che il legislatore ha inteso reprimere.
Cass. civ. n. 13188/2001
La sottrazione di documenti aziendali costituisce per il lavoratore violazione dei doveri di lealtà e correttezza imposti dall'articolo 2105 c.c., senza che rilevi in contrario l'intento dello stesso lavoratore di fare della documentazione un uso meramente processuale, atteso che il contrasto fra il diritto del dipendente alla tutela giurisdizionale (esercitato con la produzione di quei documenti) e il diritto del datore di lavoro alla riservatezza non può essere risolto unilateralmente dal lavoratore, ma deve essere valutato nella sede giudiziaria, nella quale il datore di lavoro, a fronte dell'eventuale ordine d'ispezione o di esibizione, può resistere a tale comando rimanendo esposto alle conseguenze che il giudice può trarre da tale suo comportamento.
Cass. civ. n. 519/2001
L'obbligo di fedeltà di cui all'art. 2105 c.c. e quelli, ad esso collegati, di correttezza e buona fede, cui è tenuto il dipendente nell'esecuzione del contratto di lavoro devono essere riferiti esclusivamente ad attività «lecite» dell'imprenditore, non potendosi certo richiedere al lavoratore la osservanza di detti obblighi, nell'ambito del dovere di collaborazione con l'imprenditore, anche quando quest'ultimo intenda perseguire interessi che non siano leciti. (Nella specie la sentenza impugnata, confermata sul punto dalla Suprema Corte, aveva escluso che costituisse inadempimento ai suddetti obblighi il comportamento di un lavoratore consistito nell'aver fotocopiato la distinta di spedizione di merce venduta a terzi dalla società datrice di lavoro senza la relativa documentazione fiscale e nell'aver poi trasmesso la suddetta fotocopia alla Guardia di finanza, la quale aveva avviato un accertamento fiscale nei confronti dell'azienda).
Cass. civ. n. 10287/2000
Incorre nella violazione del dovere di fedeltà, di cui all'art. 2105 c.c., il dipendente di un'azienda commerciale che, avvalendosi di un'associazione di dipendenti da lui stesso costituita e presieduta, svolga attività concorrente con quella della datrice di lavoro, acquistando prodotti da quest'ultima, al prezzo scontato praticato ai dipendenti, e rivendendoli a terzi a prezzo maggiore, seppure scontato rispetto al prezzo praticato dall'azienda nei confronti della clientela.
Cass. civ. n. 5629/2000
La prestazione d'opera da parte del lavoratore subordinato a favore di terzi concorrenti costituisce una violazione dell'obbligo di fedeltà che, se è irrilevante sotto il profilo penale qualora compiuta fuori del normale orario di lavoro, integra il reato di truffa se svolta nell'orario normale, da parte di soggetto che lucra la retribuzione, fingendo di svolgere il lavoro che gli è stato affidato, mentre svolge altra attività. Ne consegue che, ove sorga il giustificato dubbio che un dipendente incaricato di mansioni da espletare al di fuori dei locali dell'azienda in realtà si renda responsabile di un comportamento illecito di tale genere, è giustificato il ricorso alla collaborazione di investigatori privati per verifiche al riguardo, né sono ravvisabili profili di illiceità a norma dell'art. 2, secondo comma, della legge n. 300 del 1970, il quale, prevedendo il divieto per il datore di lavoro di adibire le guardie particolari giurate alla vigilanza dell'attività lavorativa e il divieto per queste ultime di accedere nei locali dove tale attività è in corso, nulla dispone riguardo alla verifica dell'attività lavorativa svolta al di fuori dei locali aziendali da parte di soggetti non inseriti nel normale ciclo produttivo. (Omissis).
Cass. civ. n. 2949/1997
I comportamenti posti in essere dal lavoratore licenziato (il quale richieda la reintegrazione nel posto di lavoro) nel periodo intermedio tra il licenziamento e l'ordine di reintegrazione possono avere rilievo sotto il profilo dell'eventuale violazione dell'obbligo di fedeltà (art. 2105 c.c.), che permane anche nel periodo suddetto, e possono anche giustificare un nuovo licenziamento, tenendo conto però che dalla violazione di tale obbligo (violazione nella specie consistente nello svolgimento di attività lavorativa alle dipendenze di altro datore di lavoro, operante in concorrenza con il datore di lavoro originario) non consegue automaticamente una facoltà per quest'ultimo di procedere ad un nuovo licenziamento, dovendo in ogni caso valutarsi la gravità in concreto della condotta inadempiente del lavoratore e la sussistenza della proporzionalità tra tale condotta e l'estremo rimedio costituito dalla risoluzione del rapporto.
Cass. civ. n. 512/1997
Nell'ipotesi in cui la giusta causa del licenziamento consista nella violazione dell'obbligo di fedeltà incombente sul lavoratore, ai sensi dell'art. 2105 c.c. (violazione per la cui sussistenza basta anche la mera preordinazione di una attività contraria agli interessi del datore di lavoro, potenzialmente produttiva di danno, quale, nella specie, la costituzione di una società diretta a far concorrenza al datore di lavoro) trattandosi di obbligo imposto direttamente dalla legge, non ne è necessaria la previsione in un codice disciplinare affisso in luogo accessibile a tutti i lavoratori, a norma dell'art. 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300, né rileva l'accertamento dell'intensità dell'elemento psicologico della mancanza.
Cass. civ. n. 11437/1995
Il carattere extralavorativo di un comportamento non ne preclude la sanzionabilità in sede disciplinare, quando la natura della prestazione dovuta dal lavoratore subordinato richieda un ampio margine di fiducia esteso ai comportamenti privati. Infatti gli artt. 2104 e 2105 c.c., richiamati dalla disposizione dell'art. 2106 relativa alle sanzioni disciplinari, non vanno interpretati restrittivamente e non escludono che il dovere di diligenza del lavoratore subordinato si riferisca anche ai vari doveri strumentali e complementari che concorrono a qualificare il rapporto obbligatorio di durata avente ad oggetto un
facere, e che l'obbligo di fedeltà vada inteso in senso ampio e si estenda a comportamenti che per la loro natura e le loro conseguenze appaiono in contrasto con i doveri connessi all'inserimento del lavoratore nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa o creino situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi dell'impresa. (Nella fattispecie, il giudice di merito, con sentenza annullata dalla Suprema Corte, aveva dichiarato l'illegittimità della sanzione disciplinare irrogata al funzionario di una cassa di risparmio che aveva emesso, sul suo conto corrente presso la medesima cassa, assegni privi di copertura per oltre 9 milioni di lire).