L'inosservanza delle disposizioni contenute nei due articoli precedenti può dar luogo all'applicazione di sanzioni disciplinari(1), secondo la gravità dell'infrazione [e in conformità delle norme corporative](2).
L'inosservanza delle disposizioni contenute nei due articoli precedenti può dar luogo all'applicazione di sanzioni disciplinari(1), secondo la gravità dell'infrazione [e in conformità delle norme corporative](2).
Cass. civ. n. 6823/2994
In tema di licenziamento individuale per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, il giudizio sulla proporzionalità o adeguatezza tra fatto addebitato e sanzione è rimesso al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata motivazione. (Nella specie, la S.C. ha confermato sul punto la decisione di merito che aveva ritenuto legittimo il licenziamento di un avvocato interno all'ufficio legale di un'azienda al quale era stato addebitato di aver trattenuto, oltre all'importo delle proprie competenze, la somma capitale di £ 722.000, rimessagli nel giugno 1986 dal legale di un debitore dell'azienda).Cass. civ. n. 11540/2020
In tema di licenziamento disciplinare, il principio di immutabilità della contestazione attiene al complesso degli elementi materiali connessi all'azione del dipendente e può dirsi violato solo ove venga adottato un provvedimento sanzionatorio che presupponga circostanze di fatto nuove o diverse rispetto a quelle contestate, così da determinare una concreta menomazione del diritto di difesa dell'incolpato, e non quando il datore di lavoro proceda a un diverso apprezzamento o a una diversa qualificazione del medesimo fatto, come accade nell'ipotesi di modifica dell'elemento soggettivo dell'illecito. (Rigetta, CORTE D'APPELLO ROMA, 27/04/2018).Cass. civ. n. 10688/2017
In tema di licenziamenti per motivi disciplinari, non lede il principio di immediatezza, di cui all'art. 7 della l. n. 300 del 1970, il datore di lavoro che, prima di procedere alla contestazione disciplinare nei confronti del lavoratore disponga indagini ispettive per meglio approfondire le responsabilità di quest'ultimo, quando ne abbia, quali elementi conoscitivi, soltanto la confessione, essendo la stessa potenzialmente revocabile ex art. 2732 c.c. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO REGGIO CALABRIA, 05/11/2013).Cass. civ. n. 15986/2016
In caso di licenziamento disciplinare, il datore di lavoro non è obbligato ad indicare i motivi di cui all'art. 2 della l. n. 604 del 1966, "ratione temporis" vigente, ove i fatti siano stati già portati a conoscenza del dipendente in occasione della contestazione disciplinare determinante la risoluzione del rapporto, fermo restando che qualora il lavoratore reputi tale indicazione insufficiente, un dovere di ulteriore specificazione è ipotizzabile solo all'interno del procedimento che si apre con la contestazione. (Rigetta, App. Brescia, 25/06/2013).Cass. civ. n. 11868/2016
In tema di licenziamento disciplinare, il principio della immutabilità della contestazione non impedisce al datore di lavoro, nei casi di sospensione del procedimento disciplinare per la contestuale pendenza del processo penale relativo ai medesimi fatti, di utilizzare, all'atto della riattivazione del procedimento, gli accertamenti compiuti in sede penale per circoscrivere meglio l'addebito, sempre nell'ambito di quello originario, e purché al lavoratore, nel rispetto del diritto di difesa, sia consentito di replicare alle accuse così precisate. (Cassa con rinvio, App. Roma, 17/12/2014).Cass. civ. n. 23140/2015
Il termine di cinque giorni dalla contestazione dell'addebito di cui all'art. 7, comma 5, st.lav., non ha per il lavoratore natura decadenziale della facoltà di richiedere l'audizione a difesa, sicché è illegittima la sanzione disciplinare che sia stata comminata ignorando la richiesta presentata oltre detto termine ma prima dell'adozione del provvedimento disciplinare. (Rigetta, App. Firenze, 26/05/2009).Cass. civ. n. 26741/2014
La previsione da parte della contrattazione collettiva della recidiva, in relazione a precedenti mancanze, come ipotesi di licenziamento non esclude il potere-dovere del giudice di valutare la gravità dell'addebito ai fini della proporzionalità della sanzione espulsiva, ai sensi degli artt. 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, 2119 cod. civ. e 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300. (Rigetta, App. Milano, 20/09/2011).Cass. civ. n. 15444/2014
Gli effetti della sospensione cautelare dal servizio permangono fino all'esito del procedimento penale o disciplinare, il cui esito favorevole condiziona il diritto del lavoratore alla percezione delle retribuzioni non corrisposte. Ne consegue che, qualora il rapporto di lavoro sia risolto per dimissioni del lavoratore, intervenute prima della conclusione in senso a lui favorevole del procedimento penale e senza che sia mai stato instaurato il procedimento disciplinare, al lavoratore competono tutte le retribuzioni per il periodo di sospensione cautelare, dovendosi ritenere la misura, avente carattere provvisorio, caducata e non potendo, per contro, un atto volontario del prestatore di lavoro, di carattere non disciplinare, assumere valenza retroattiva ai fini dell'interruzione del rapporto.Cass. civ. n. 6501/2013
In materia disciplinare, poiché gli artt. 240 e 333 cod. proc. pen. riguardano esclusivamente la materia penale, nessuna norma di legge vieta che l'esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro possa essere sollecitato a seguito di scritti anonimi, restando escluso solo che questi possano essere lo strumento di prova dell'illecito, né un simile divieto può desumersi dal generale principio di correttezza e buona fede, che costituisce un metro di valutazione dell'adempimento degli obblighi contrattuali e non anche una loro autonoma fonte. (Cassa con rinvio, App. Napoli, 29/12/2008).Cass. civ. n. 10547/2007
Nel caso di irrogazione di licenziamento per giusta causa conseguente all'espletamento di procedimento disciplinare, ai fini della valutazione della tempestività della sanzione espulsiva, deve distinguersi tra la contestazione disciplinare, che deve avvenire a ridosso dell'infrazione o del momento in cui il datore ne abbia notizia, e l'irrogazione della sanzione disciplinare, che può avvenire anche a distanza di tempo, ma pur sempre nel rispetto del principio della buona fede, che è matrice fondativa dei doveri sanciti dall'articolo 7 dello statuto dei lavoratori e dall'art. 2106 del codice civile in materia di esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro (Nel caso di specie la Corte ha rigettato il ricorso, proposto per violazione del principio dell'immediatezza della sanzione irrogata rispetto al comportamento censurato, contro una sentenza di merito che aveva ritenuto tempestivo il licenziamento disciplinare di un medico da parte di un'Azienda Ospedaliera dopo il lasso di tempo occorso per acquisire il parere del Comitato dei garanti, atteso che il parere stesso era imposto da una specifica norma della contrattazione collettiva e che l'adempimento a tale disposizione era prova dell'osservanza da parte del datore del principio della buona fede contrattuale).Cass. civ. n. 19169/2006
La sospensione cautelare dal servizio del lavoratore sottoposto a procedimento penale non ha natura disciplinare ma cautelare, essendo una misura provvisoria finalizzata ad impedire che, in pendenza di procedimento penale, la permanenza in servizio del dipendente inquisito possa tradursi in un pregiudizio dell'immagine e del prestigio dell'amministrazione di appartenenza. Pertanto nel caso in cui il procedimento penale instaurato nei confronti del pubblico dipendente si concluda con formula non assolutoria e la sanzione disciplinare non assorba il periodo di sospensione cautelare patita, all'impiegato spetta la "restitutio in integrum" per il periodo di sospensione cautelare sofferta in eccedenza, con deduzione dei periodi di tempo corrispondenti all'irrogata pena detentiva inflitta. (Nella specie, relativa a dipendente ex AIMA sospesa cautelarmente dal servizio per cinque anni e raggiunta, dopo aver patteggiato la condanna ad un anno e quattro mesi di reclusione, dalla sanzione disciplinare definitiva della sospensione dal servizio per mesi sei, la S.C. ha cassato per vizi di motivazione la sentenza di merito che aveva ordinato la corresponsione delle retribuzioni non versate anche per il periodo corrispondente alla sospensione disciplinare inflitta dopo la condanna). (Cassa con rinvio, App. Roma, 19 Gennaio 2005).Cass. civ. n. 8679/2006
In tema di sanzioni disciplinari il fondamentale principio di proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità della infrazione deve essere rispettato sia in sede di irrogazione della sanzione da parte del datore di lavoro nell'esercizio del suo potere disciplinare, sia in sede di controllo che, della legittimità e della congruità della sanzione applicata, il giudice sia chiamato a fare. A tal riguardo, ha carattere indispensabile la valutazione, ad opera del giudice del merito, investito del giudizio circa la legittimità di tali provvedimenti, della sussistenza o meno del rapporto di proporzionalità tra l'infrazione del lavoratore e la sanzione irrogatagli. Ai fini di tale valutazione il giudice deve tenere conto non solo delle circostanze oggettive, ma anche delle modalità soggettive della condotta del lavoratore in quanto anche esse incidono sulla determinazione della gravità della trasgressione e, quindi, della legittimità della sanzione stessa. L'apprezzamento di merito della proporzionalità tra infrazione e sanzione sfugge, peraltro, a censure in sede di legittimità se la valutazione del giudice di merito è sorretta da adeguata e logica motivazione. (Rigetta, App. Roma, 26 Novembre 2003).Cass. civ. n. 10201/2004
In tema di sanzioni disciplinari di cui all'art. 7 della legge n. 300 del 1970, deve distinguersi tra illeciti relativi alla violazione di prescrizioni attinenti all'organizzazione aziendale e ai modi di produzione, conoscibili solamente in quanto espressamente previste, ed illeciti concernenti comportamenti manifestamente contrari agli interessi dell'impresa per i quali non è invece richiesta la specifica inclusione nel codice disciplinare, che è pertanto sufficiente sia redatto in forma tale da rendere chiare le ipotesi di infrazione, sia pure dandone una nozione schematica e non dettagliata, e da indicare le correlative previsioni sanzionatorie, anche se in maniera ampia e suscettibile di adattamento secondo le effettive e concrete inadempienze. (Nell'affermare il suindicato principio, la S.C. ha ritenuto infondata la doglianza dei ricorrenti - in ordine al mancato accoglimento, da parte del giudice di merito, dell'impugnazione del provvedimento disciplinare di sospensione, per un giorno, dal lavoro adottato nei loro confronti per avere essi, durante un'agitazione sindacale, attuato un "picchettaggio" all'esterno dell'ufficio impedendo ai colleghi non scioperanti di prendere servizio - basata sul rilievo che il datore di lavoro non aveva nel caso portato a conoscenza dei lavoratori, in luogo accessibile a tutti, le disposizioni concernenti le sanzioni disciplinari e le relative procedure - cosiddette "codice disciplinare" -).Cass. civ. n. 7691/2004
La permanenza presso il proprio domicilio durante le fasce orarie previste per le visite mediche domiciliari di controllo costituisce non già un onere bensì un obbligo per il lavoratore ammalato, in quanto l'assenza, rendendo di fatto impossibile il controllo in ordine alla sussistenza della malattia, integra un inadempimento sia nei confronti dell'istituto previdenziale (sanzionato dalla perdita dell'indennità), sia nei confronti del datore di lavoro, che ha interesse a ricevere regolarmente la prestazione lavorativa e perciò a controllare l'effettiva sussistenza della causa che impedisce tale prestazione. Ne consegue che l'assenza priva di valida giustificazione del lavoratore dal proprio domicilio si configura come l'inadempimento dell'obbligo di collaborazione inteso in senso ampio, per la cui sanzionabilità non è necessaria una specifica previsione nel codice disciplinare, essendo sufficiente il mero riferimento alla violazione - non grave - degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro stabiliti direttamente dalla legge.Cass. civ. n. 7009/2004
Nell'ipotesi di Cassazione della sentenza in tema di licenziamento disciplinare per vizi di motivazione relativi alla valutazione complessiva della proporzionalità tra il licenziamento e la condotta del lavoratore, il giudice del rinvio ha il potere di procedere ad una nuova valutazione complessiva dei fatti già acquisiti per desumerne non solo la loro illiceità in senso oggettivo e generale, non più in discussione, ma anche la intensità dell'elemento psicologico del lavoratore nella sequenza dei singoli comportamenti, onde verificare l'idoneità di questi ultimi a ledere la fiducia riposta nel dipendente dal datore di lavoro in modo così grave da esigere l'applicazione di una sanzione non minore di quella massima. (Nella specie, con riferimento al licenziamento di un funzionario di banca, la S.C. ha confermato la sentenza con la quale il giudice del rinvio era pervenuto ad una valutazione complessiva degli elementi fattuali acquisiti al processo, quali l'incapacità del ravvedimento come elemento prognostico di una tendenza alla reiterazione degli illeciti, l'irrilevanza del consenso del cliente nel compimento di irregolarità della gestione aziendale, la gravità del falso, ancorché innocuo, la disponibilità del lavoratore ad effettuare violazioni, considerandoli comportamenti lesivi di elementari doveri di correttezza e trasparenza, avvertiti dalla coscienza sociale come incompatibili con l'esercizio di funzioni per le quali è richiesta, in considerazione della loro delicatezza e della posizione apicale del dipendente, l'osservanza della stretta legalità).Cass. civ. n. 5013/2004
In tema di licenziamento disposto per motivi disciplinari, l'accertamento dei fatti contestati al lavoratore, il giudizio in ordine alla loro gravità e alla proporzione del licenziamento rispetto ad essi, nonché la riconducibilità di detti fatti alle pattuizioni del C.C.N.L. di diritto comune prevedente le fattispecie che giustificano l'irrogazione della più grave sanzione disciplinare, sono riservati all'apprezzamento del giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione ovvero, in riferimento alle pattuizioni collettive, per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale. (Nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C., aveva ritenuto che la condotta addebitata al lavoratore, addetto alla sorveglianza notturna dello stabilimento e all'apertura mattutina dei cancelli, consistente nell'essersi volontariamente addormentato durante il servizio, non fosse riconducibile alla previsione del contratto collettivo applicabile, secondo il quale la condotta dell'operaio trovato addormentato sul luogo di lavoro era sanzionabile al massimo con la sola sospensione, e che integrasse comunque un grave inadempimento dei doveri nascenti dal rapporto di lavoro, tale da giustificare il recesso del datore di lavoro).
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