(massima n. 2)
In tema di licenziamento per violazione dell'obbligo di fedeltà, il lavoratore deve astenersi dal porre in essere non solo i comportamenti espressamente vietati dall'art. 2105 c.c. ma anche qualsiasi altra condotta che, per la natura e per le possibili conseguenze, risulti in contrasto con i dovere connessi a) suo inserimento nella struttura e nell'organizzazione dell'impresa, ivi compresa la mera preordinazione di attività contraria agli interessi del datore di lavoro potenzialmente produttiva di danno; tale contrarietà, peraltro, nel caso di dipendente di società, va necessariamente rapportata agli interessi del soggetto giuridico società e non agli interessi di un singolo socio o di un gruppo, anche se di maggioranza (nella specie, la S.C., nel confermare la sentenza impugnata, ha ritenuto che la condotta del dipendente di acquisto di quote azionarie e di successiva vendita delle stesse al maggior concorrente della società datrice di lavoro — attività in sé legittima sul piano del diritto societario ancorché suscettibile di autonoma valutazione nell'ambito del rapporto di lavoro — non integrasse gli estremi della giusta causa di licenziamento, tant'è che il Consiglio di amministrazione della società aveva escluso che fosse suo compito intervenire sui diritti dei soci al trasferimento delle azioni, restando privo di rilevanza che la suddetta operazione avesse sconvolto l'assetto societario a danno del socio di maggioranza).