L’articolo contiene varie disposizioni che precisano i poteri del testatore circa la nomina dell’esecutore testamentario.
La prima parte, eccetto l’aggiunta in ordine alla facoltà di sostituzione, riproduce testualmente l’art. #903# del vecchio codice del 1865, identico, a sua volta, agli art. 889 del codice albertino, 980 del codice napoletano e 885 del codice estense, modellati tutti sull’art. 1025 del codice Napoleone.
La disposizione serve a chiarire, anche in relazione al nuovo codice: a) che la designazione dell’esecutore testamentario non può essere fatta che dal testatore; b) che deve essere fatta in un atto contenente disposizioni di ultima volontà.
Circa il primo punto, la norma dava particolare importanza al codice francese, in quanto, col riconoscere la facoltà di nomina soltanto al testatore, si intendeva codificare un principio diverso da quello vigente nel diritto comune, e cioè che l’esecutore testamentario poteva essere anche legittimo o dativo. La disposizione, tuttavia, è stata opportunamente conservata, sia per confermare che si tratta di facoltà esclusiva spettante al testatore, sia per porre in giusto rilievo il carattere particolarmente fiduciario della designazione.
Quanto al secondo punto, esso ha il preciso significato di escludere che la nomina dell’esecutore possa essere fatta validamente in un atto, che non abbia, in senso tecnico, i caratteri del testamento, pur non essendo necessario che la nomina stessa sia contestuale alle disposizioni di ultima volontà che debbono essere attuate. In questo senso si era già generalmente pronunciata la dottrina sotto la vigenza del vecchio codice del 1865, né si è autorizzati a ritenere che alcun mutamento sia stato apportato dal codice attuale.
Logicamente derivante dalla facoltà di nomina è la facoltà di sostituzione, pur concessa dalla prima parte dell’articolo. Facoltà che, nella sua essenza, si ricollega all’autonomia della volontà testamentaria, in base alla quale il disponente può anche sostituire un altro erede al primo designato. La sostituzione di cui si tratta, secondo la chiara espressione della norma, è direttamente disposta dal testatore, in quanto è lui che designa colui, o coloro, che devono prendere il posto del primo, o dei primi, esecutori nominati; con la conseguenza, quindi, che, se il sostituto o i sostituti, a loro volta, non possono o non vogliono accettare, viene meno l’esecuzione testamentaria, come ufficio disciplinato dalle norme particolari, e l’attuazione del testamento resta affidata ai successibili secondo le norme ordinarie. Come emerge anche dalla disposizione, la facoltà di sostituzione è piuttosto ampia, poiché è nel concetto della legge che il testatore, ad un unico esecutore, originariamente designato, ne sostituisca più d’uno, o viceversa.
A questo proposito, è possibile che, nella pratica, la situazione si complichi, quando, ad esempio, si tratta di decidere se, e in quali limiti, si debba far luogo alla sostituzione, qualora, più essendo gli esecutori originariamente designati, uno od alcuni soltanto dichiarino di non potere o di non volere accettare l’ufficio. La soluzione, peraltro, non può essere data in linea di principio, essendo da tener presente soprattutto la volontà del testatore, che, per questa parte, conserva carattere preminente. Secondo la legge, la sostituzione funziona qualora il primo, o i primi designati, non possano o non vogliano accettare. Non soltanto perciò, quando un impedimento oggettivo impedisca l’assunzione dell’ufficio, ma anche nell’ipotesi in cui, per qualsiasi motivo di carattere personale e soggettivo, l’incarico sia stato rifiutato.
Può sorgere dubbio, in ordine ai limiti entro i quali debba essere contenuta la sostituzione, se il testatore abbia indicato una soltanto delle situazioni previste dalla legge. Se, in altri termini, abbia disposto soltanto per il caso in cui il primo o i primi nominati non possano, o soltanto per il caso in cui non vogliano. Il caso è previsto dal secondo comma dell’art.
688 per la sostituzione ereditaria, ed è risolto con una
presunzione iuris tantum che il testatore si sia voluto riferire anche al caso non espresso. Ma sembra che
un analogo principio non possa applicarsi alle sostituzioni di cui ora si tratta. Infatti, le presunzioni di legge, come è noto, hanno carattere eccezionale, e, nel caso della sostituzione ereditaria, la soluzione data dalla legge è giustificata dalla necessità di chiarire rapidamente la situazione. Nel caso in esame, invece, il carattere eminentemente fiduciario dell’incarico impone si debba osservare strettamente la volontà del testatore, quale risulta dall’interpretazione della disposizione.
Ci si può domandare, ancora, sempre in relazione alla prima parte dell’art. 700, se il testatore possa demandare ad un terzo la designazione dell’esecutore testamentario. La questione si è discussa in dottrina anche sotto la vigenza del vecchio codice del 1865 e non è stata risolta concordemente. Ma, in relazione alle norme in vigore, l’opinione affermativa pare preferibile. Essa è giustificata dallo stesso testo della legge, perché, se si ammette espressamente che il testatore possa autorizzare l’esecutore testamentario a sostituire altri a sé stesso, si deve pure ammettere che lo stesso testatore affidi ad un terzo la designazione della persona più idonea per dare esecuzione alle disposizioni di ultima volontà. Nell'un caso e nell’altro è sempre la volontà del testatore che investe altri di un incarico fiduciario; e non vi è, quindi, ragione perché non debba essere rispettata. Tanto più se si pensa che la designazione dell’esecutore, da parte di un terzo, può essere resa necessaria dall’indole dell’esecuzione, in quanto, ad esempio, può riguardare raccolte che interessano la letteratura, la storia, l’arte, o indagini di carattere scientifico.
Torna opportuno ricordare che, nel sistema del codice, il testatore gode di ampia autonomia circa il contenuto delle disposizioni di ultima volontà, perché queste possono non riguardare affatto entità o situazioni patrimoniali in senso stretto. È certo, peraltro, che, dato il
carattere essenzialmente fiduciario, l’indicazione da parte del testatore di un terzo per designare la persona idonea all’esecuzione del testamento è di indole
personalissima. Di conseguenza, qualora il terzo non sia in grado o non intenda accettare tale incarico, questo viene meno, senza possibilità di sostituzione; e viene meno, di conseguenza, anche l’esecuzione del testamento come ufficio particolare. E se, inoltre, il terzo è perfettamente libero nella scelta della persona, o delle persone, che possano o vogliano accettare l’esecuzione del testamento, queste, a designazione avvenuta, restano soggette alle disposizioni dell’art.
710 e possono essere quindi esonerate su istanza di ogni interessato.
È da notare, infine, che, al primo comma dell’articolo in commento, è collegato sistematicamente il secondo dell’art.
710, che pure riguarda la nomina dell’esecutore.
Nel secondo comma dell’articolo è previsto il caso in cui siano stati nominati più esecutori testamentari e la regola è che, in tale ipotesi, essi devono agire congiuntamente. Si fanno poi due eccezioni: la prima dipendente dalla volontà del testatore, la quale, anche per questa parte, può esplicarsi con piena autonomia, assegnando ai vari esecutori incarichi diversi; la seconda è posta dalla legge per evidenti ragioni di opportunità.
Il principio enunciato come regola rappresenta un’innovazione rispetto al vecchio codice del 1865 (art. #910#) e rispetto a quelli che lo hanno preceduto, nei quali vigeva invece il principio opposto, per cui, nel caso di più esecutori, uno solo poteva agire in mancanza degli altri. Nella relazione della Commissione reale si legge che l’innovazione è giustificata
“dalla necessità di disciplinare meglio le attribuzioni degli esecutori, e soprattutto per regolare l’esercizio dell’ufficio, in modo da eliminare ogni contrasto di atti nel medesimo incarico”. Giustificazione alla quale nulla vi è da aggiungere, restando solo da notare che la norma ha indubbiamente carattere
cogente, come si desume dalla formulazione letterale, e che, nell’attuazione pratica, dà luogo, nella sostanza, ad
atti complessi, poiché non raggiungono perfezione giuridica se non col concorso della volontà di tutti i designati. È da notare, ancora, che la disposizione ha pure
riflessi di carattere processuale, per quanto attiene alla legittimazione attiva e passiva nel processo.
È previsto però, opportunamente, il caso in cui tra gli esecutori testamentari, che devono operare congiuntamente, possano sorgere
divergenze circa qualche atto del loro ufficio; e, per tale ipotesi, l’art.
708 dispone che provvede l’autorità giudiziaria, sentiti, ove occorra, gli eredi.
Se, poi, qualcuno dei nominati o non accetti, o cessi dall'ufficio, in relazione alle legislazioni precedenti, era opinione generalmente accolta che l’ufficio stesso rimaneva affidato a quelli che restavano. Opinione che non vi è ragione di non confermare in base alle attuali disposizioni, salva naturalmente una diversa volontà del testatore e salvo che vi sia stata distribuzione di mansioni e che sia venuta a mancare la presenza nell’ufficio di colui al quale era stato affidato in esclusiva uno degli incarichi.
Circa le due eccezioni stabilite dalla disposizione in commento, è pure da rilevare che esse si giustificano pienamente, l’una col rispetto, per quanto possibile, della volontà del testatore, l’altra con la necessità di salvaguardare, in ogni caso, l’integrità dei diritti ereditari, la cui tutela, anche in relazione agli accresciuti poteri degli esecutori testamentari, è sempre presente al legislatore.
Occorre, in proposito, osservare che l’eccezione consente agli esecutori di agire separatamente quando si verifichino due condizioni: 1) che si tratti di provvedimento urgente; 2) che riguardi la conservazione di un bene o di un diritto ereditario: vi sono, quindi, compresi certamente i provvedimenti cautelativi (sequestro, atti interruttivi della prescrizione ecc.), ma, data la formulazione piuttosto larga usata dal legislatore, è da ritenere che non vi siano compresi solamente questi provvedimenti, bensì tutti quelli che rispondono alle due condizioni tassativamente richieste, per evitare, come è stato detto nella relazione della Commissione reale, che un bene ereditario possa andare irrimediabilmente perduto, o quanto meno danneggiato, nell’attesa del simultaneo concorso di tutti gli esecutori testamentari.
Un'innovazione di grande importanza è quella contenuta nell'ultimo comma dell’art. 700, concernente la facoltà dell’esecutore di sostituire altri a sé nell’esercizio dell’ufficio. La dottrina precedente, dal carattere strettamente fiduciario dell'incarico desumeva logicamente che l’esecutore designato non potesse trasmettere ad altri il proprio ufficio, salva la facoltà di giovarsi dell’opera di un terzo, che, però, restava del tutto estraneo al rapporto di esecuzione testamentaria. L’attuale codice, invece, ha seguito il principio, già accolto dal codice tedesco, limitandolo, però, al caso in cui l’esecutore non possa continuare nel suo ufficio. Dal punto di vista dogmatico, il principio si inquadra logicamente nel sistema, in quanto, dovendo la sostituzione essere autorizzata dal testatore, si ricollega alla volontà del medesimo, il quale, perciò, mentre, in base al primo comma, provvede direttamente alla nomina di un sostituto, in base all’ultimo comma provvede invece indirettamente, deferendo la nomina all’esecutore.
Dalla relazione al progetto della Commissione reale, si apprende che, all’ammissione limitata del principio, si pervenne per il dubbio che una facoltà più ampia potesse trasformare l’istituto in una vera e propria professione, e si potesse persino giungere a contraddire la volontà del testatore. Alla Commissione delle Assemblee legislative, poi, la facoltà, pur così limitata, sembrò ancora pericolosa, tanto che si propose (ma la proposta non ebbe seguito) di aggiungere che la nomina del sostituto dovesse essere approvata dall’autorità giudiziaria.
Questi rilievi, in relazione alla nuova concezione dell'istituto come ufficio, chiariscono che la disposizione deve essere considerata come eccezionale e che va quindi intesa in senso restrittivo. Dunque si deve escludere che, anche con l’autorizzazione del testatore, l’esecutore, finché esercita l’ufficio, possa nominare coesecutori, e che la sostituzione sia autorizzata per il caso in cui l’esecutore non intenda continuare nell’ufficio; ipotesi entrambe consentite dalla larga formulazione usata dal codice tedesco. La sostituzione, invece, deve essere limitata al caso in cui circostanze oggettive, come la morte o altro impedimento, rendano impossibile, o almeno seriamente difficile, continuare nell'incarico ricevuto.
Entro questi limiti, non si pone contro né la lettera, né lo spirito della disposizione, che il testatore autorizzi l’esecutore a sostituire a sé una o più persone, o che, in caso di designazione di più esecutori, la sostituzione riguardi soltanto alcuno, o alcuni, fra i nominati.
Non sembra, poi, dubitabile che l'esecutore, nell’eseguire l’incarico, possa avvalersi, sotto la sua responsabilità, dell’opera di terzi, specialmente esperti nella materia a cui si riferisce l’attuazione della volontà del defunto.
Ci si può domandare, infine, quale situazione venga a delinearsi qualora l’esecutore, indicato come sostituto, sia inidoneo all’ufficio. Non pare dubbio che trovi applicazione l’art. 700; ma sembra pure che l’esecutore che lo ha designato, se è ancora in vita, non possa provvedere ad altra designazione, sia perché ha esaurito la facoltà concessagli, sia perché ha dimostrato di non meritare la fiducia in lui riposta dal testatore col nominare persona non adatta alla delicatezza dell’incarico.