La norma è posta a tutela dell'interesse individuale alla salvaguardia dei rapporti intimi professionali e dell'interesse pubblico a che il
professionista tuteli la segretezza sui fatti di cui viene a conoscenza in ragione della propria attività professionale.
L'articolo non descrive compiutamente i soggetti attivi del reato, ma rimanda a criteri generali relativi allo stato, alla
professione, all'
ufficio o all'
arte.
Viene presupposto lo svolgimento continuato dell'attività, non risultando per contro necessario che l'attività sia svolta a fini lucrativi.
Si richiede altresì un
nesso di causalità tra l'
esercizio della professione ed il venire a conoscenza dei fatti coperti dal
segreto professionale.
La
punibilità è legata alla possibilità del verificarsi di un
nocumento, anche se non è necessario un suo effettivo verificarsi.
La
giusta causa può consistere nel consenso o nella
ratifica da parte del titolare del diritto al segreto.
Il reato si consuma nel momento e nel luogo in cui si verifica il pericolo di nocumento e richiede il
dolo generico, ovvero la volontà di rivelare o utilizzare il segreto per un proprio od altrui
profitto, unitamente alla coscienza del fatto che si agisce in assenza di una giusta causa di rivelazione.
///SPIEGAZIONE ESTESA
La norma in esame punisce chi, essendo venuto a
conoscenza, in ragione del proprio
stato,
ufficio,
professione o
arte, di un
segreto, e sapendo di agire
illegittimamente, lo
riveli ad altri, oppure lo
impieghi a proprio o ad altrui
profitto, con il
pericolo che da ciò possa derivare un
danno.
È un
reato proprio, per cui soggetto attivo può essere soltanto chi è titolare di un
obbligo di
fede, il quale può derivare: dal suo
stato, ossia dalla propria situazione personale derivante dall’esercizio permanente di una certa attività, quale, ad esempio, lo stato sacerdotale; dal suo
ufficio, da intendersi come esercizio di determinate funzioni di natura sociale, come nel caso del tutore; o, infine, dalla sua
professione o
arte, cioè dalla sua attività continuativa, volta ad offrire servizi personali o prestazioni reali svolte con un fine di guadagno, come nel caso degli avvocati o dei medici. Si tratta, in tutti i casi, di situazioni in cui un soggetto, in ragione della propria professione, del proprio stato o del proprio ufficio, riceve le
confidenze altrui e conosce gli altrui
segreti, essendo, quindi, gravato da un obbligo di fede che il giudice dovrà accertare di volta in volta.
La
condotta tipica può consistere, alternativamente, nel
comunicare ad altri,
senza giusta
causa, una
notizia non rivelabile, oppure nel
tollerare, attraverso un comportamento omissivo, che un’
altra persona ne prenda
cognizione, o ancora, nell’
impiegare il
segreto a proprio o ad altrui
profitto. Con l’espressione “senza giusta causa” il
legislatore ha inteso far riferimento al fatto che la
rivelazione, per integrare il delitto in esame,
non deve essere
giustificata da una norma di
legge, come può venire, ad esempio, nel caso in cui sussista il consenso dell’
avente diritto, la cui previsione
ex lege permette al depositario del segreto di renderlo noto.
Ai fini dell’integrazione del reato
ex art. 622 del c.p., è, poi, necessario che la
notizia non rivelabile riguardi la
sfera personale di un soggetto, sotto l’aspetto
fisico o
morale, oppure la sfera all’interno della quale esso
estrinsechi immediatamente la sua
attività, dovendo, altresì, essere
oggetto di un suo
interesse giuridicamente rilevante, in modo tale da
legittimare la
conservazione del
segreto. Occorre, inoltre, che la
notizia sia espressa dall’agente in ragione del proprio stato, ufficio, professione o arte, nonché che la stessa
non abbia
già avuto, di per sé,
diffusione.
L’
evento tipico può consistere, alternativamente, nella
rivelazione della notizia segreta o nella
manifestazione esteriore del suo
impiego al fine di trarne
profitto, ma, in ogni caso, deve sussistere il
pericolo che dalla rivelazione o dall’impiego del segreto possa derivare un
danno. Il reato si considera, perciò,
consumato soltanto nel momento in cui si verifica detta situazione di
pericolo.
Il
tentativo non è
ammissibile, in quanto, qualora si verifichi il pericolo di danno, il reato è già consumato e, nel caso in cui, invece, esso non si verifichi, il fatto non è punibile.
Qualora il segreto, oltre che ad essere
rivelato, venga anche
utilizzato, il reato si considera comunque
unico se c’è contesto di azione.
Ai fini dell’integrazione del delitto in esame, è sufficiente che sussista, in capo all'agente, il
dolo generico, quale coscienza e volontà di rivelare, senza giusta causa, un altrui segreto, oppure di impiegarlo a proprio o ad altrui profitto.
Ai sensi del secondo comma, il
delitto ex art. 622 del c.p. risulta
aggravato qualora sia commesso da amministratori,
direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili di
società, sindaci o
liquidatori, oppure nel caso in cui sia commesso da una persona che svolge la revisione contabile di una società.
///FINE SPIEGAZIONE ESTESA