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Articolo 2301 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Divieto di concorrenza

Dispositivo dell'art. 2301 Codice Civile

Il socio non può, senza il consenso degli altri soci, esercitare per conto proprio o altrui un'attività concorrente [2595] con quella della società, né partecipare come socio illimitatamente responsabile ad altra società concorrente [2291, 2318, 2462](1).

Il consenso si presume [2727], se l'esercizio dell'attività o la partecipazione ad altra società preesisteva al contratto sociale, e gli altri soci ne erano a conoscenza.

In caso d'inosservanza delle disposizioni del primo comma la società ha diritto al risarcimento del danno, salva l'applicazione dell'articolo 2286 [2390](2).

Note

(1) Il divieto di concorrenza è operante finchè una persona riveste la qualità di socio, salvo le parti non pattuiscano di estendere il divieto anche dopo il recesso del socio dalla società.

(2) La violazione del divieto può comportare l'esclusione del socio ai sensi dell'art. 2286.

Ratio Legis

La ratio del divieto di concorrenza risiede da una parte nell'esigenza di evitare che un socio sfrutti le conoscenze derivanti dalla propria posizione partecipativa per esercitare attività concorrenti e potenzialmente pregiudizievoli per la società, dall'altra nella necessità di assicurare che egli non si disinteressi dell'attività svolta dalla società.

Spiegazione dell'art. 2301 Codice Civile

L’obbligo di non concorrenza è posto principalmente a salvaguardia dell’attività sociale rispetto ai danni che potrebbe arrecare un’attività concorrente cui partecipi un soggetto già in possesso di conoscenze fondamentali circa il mercato di riferimento, acquisite in virtù della partecipazione alla società. In secondo luogo, il divieto tende anche ad impedire che il socio trascuri eccessivamente l'attività sociale per dedicarsi ad altre iniziative imprenditoriali.

Nello specifico, la norma dispone che il socio non può, senza il consenso degli altri soci, esercitare per conto proprio o altrui un'attività concorrente con quella della società, né partecipare, come socio illimitatamente responsabile, ad altra società concorrente. Per qualificare un’attività come “concorrente” non si dovranno considerare unicamente le attività rientranti formalmente nell'oggetto sociale, dovendosi guardare piuttosto all’attività effettivamente svolta e alle circostanze del caso concreto.

La legge ammette la possibilità di derogare al divieto nel caso in cui i soci vi acconsentano (all’unanimità o a maggioranza), fermo restando che il consenso dei soci deve presumersi qualora il socio esercitasse tale attività prima di entrare in società.
In generale, i soci possono dunque limitare, ampliare o modulare il divieto mediante previsione approvata secondo le forme e le maggioranze previste per la modifica dell’atto costitutivo. Per esempio, il contratto sociale potrebbe disporre un’estensione dell’efficacia del divieto oltre il momento della perdita della qualità di socio (in caso di recesso o di esclusione).

L'inosservanza di tale divieto comporta in capo al socio l’obbligo di risarcire il danno eventualmente cagionato alla società, ma può anche giustificare la decisione di esclusione del socio (art. 2286) e/o, qualora si tratti di socio-amministratore, la revoca della facoltà di amministrare (art. 2259).

Massime relative all'art. 2301 Codice Civile

Cass. civ. n. 3865/2020

Per la configurabilità di atti di concorrenza sleale contrari ai principi della correttezza professionale, commessi per mezzo dello storno di dipendenti e/o collaboratori, è necessario che l'attività distrattiva delle risorse di personale dell'imprenditore sia stata posta in essere dal concorrente con modalità tali da non potersi giustificare, in rapporto ai principi di correttezza professionale, se non supponendo nell'autore l'intento di recare pregiudizio all'organizzazione ed alla struttura produttiva del concorrente, disgregando in modo traumatico l'efficienza dell'organizzazione aziendale del competitore e procurandosi un vantaggio competitivo indebito; a tal fine assumono rilievo innanzitutto le modalità del passaggio dei dipendenti e collaboratori dall'una all'altra impresa, che non può che essere diretto, ancorché eventualmente dissimulato, per potersi configurare un'attività di storno, la quantità e la qualità del personale stornato, la sua posizione nell'ambito dell'organigramma dell'impresa concorrente, le difficoltà ricollegabili alla sua sostituzione e i metodi adottati per indurre i dipendenti e/o collaboratori a passare all'impresa concorrente.

Cass. civ. n. 10715/2016

Il divieto di concorrenza, previsto dall'art. 2301 c.c. con riguardo ai soci di società in nome collettivo, è applicabile nei confronti dei soli soci accomandatari di società in accomandita semplice, che, per il combinato disposto degli artt. 2315 e 2318 c.c., hanno i diritti e gli obblighi dei soci della società in nome collettivo, e non anche per i soci accomandanti, salvo che per questi ultimi non sia pattiziamente previsto con una disposizione contenuta nel contratto sociale.

Cass. civ. n. 1301/1990

Il consenso degli altri soci all'attività concorrenziale del singolo socio, ai sensi ed agli effetti dell'art. 2301 c.c., integrando rinuncia ad un diritto disponibile, opera a prescindere dalle ragioni che lo abbiano determinato, resta fermo nonostante eventuali ripensamenti successivi e può essere espresso anche tacitamente, per facta concludentia. (Nella specie, collaborazione professionale prestata per il buon esito dell'iniziativa imprenditoriale del socio).

Cass. civ. n. 2176/1977

Qualora il socio di una società in nome collettivo incorra in violazione del divieto di concorrenza, previsto dall'art. 2301 primo comma c.c., la legittimazione ad agire per il risarcimento dei danni, ai sensi del terzo comma della norma medesima, spetta esclusivamente alla società, e non, quindi, al singolo socio. Questo principio opera anche nel caso di società formata da due soli soci, ovvero di società messa in liquidazione, in quanto pure in tali ipotesi non viene meno l'autonomia della società stessa, quale entità distinta dai soci, con un proprio patrimonio e con una propria capacità di agire a tutela del medesimo, a mezzo dei legali rappresentanti (nel caso di liquidazione, a mezzo dei liquidatori ai sensi dell'art. 2310 c.c.).

Cass. civ. n. 1977/1973

L'attività concorrenziale del socio di una società in nome collettivo può costituire violazione del divieto di concorrenza di cui all'art. 2301 c.c. anche quando si concreta nella costituzione, da parte del socio stesso, di una società a responsabilità limitata con identico oggetto, della quale egli assuma la titolarità esclusiva del capitale e la qualità di amministratore.

Cass. civ. n. 3869/1968

Legittimata a proporre l'azione prevista dall'art. 2301 c.c. (risarcimento di danni per illecita concorrenza) è unicamente la società.

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