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Articolo 2094 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Prestatore di lavoro subordinato

Dispositivo dell'art. 2094 Codice Civile

È prestatore di lavoro subordinato(1) chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore [3, 2086, 2095, 2104, 2238, 2239; 36, 46 Cost.].

Note

(1) Tratto tipico della subordinazione è l'assoggettamento del lavoratore alle altrui direttive, con obbligo per il lavoratore di eseguire personalmente la prestazione che si presume effettuata a titolo oneroso.

Brocardi

Faciendi necessitas

Massime relative all'art. 2094 Codice Civile

Cass. civ. n. 29973/2022

Ai fini della qualificazione in termini di autonomia o di subordinazione dell'ulteriore rapporto di lavoro che il socio lavoratore di una società cooperativa stabilisca con la propria adesione o successivamente, il "nomen iuris" attribuito in linea generale ed astratta nel regolamento di organizzazione e la peculiarità del rapporto mutualistico connesso a quello di lavoro, pur configurandosi quali elementi necessari di valutazione, non rivestono portata dirimente, dovendosi piuttosto dare prevalenza alle concrete modalità di svolgimento del rapporto di lavoro; al riguardo, quando la prestazione lavorativa sia estremamente elementare e ripetitiva, così che l'assoggettamento del prestatore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare non risulti, in quel contesto, significativo, è possibile dare rilievo ad elementi sussidiari (ad es. modalità di erogazione del compenso, orario di lavoro, presenza di una sia pure minima organizzazione e l'assunzione di un rischio di impresa), da valutarsi nella loro vicendevole interazione.

Cass. civ. n. 22846/2022

La valutazione circa la sussistenza degli elementi dai quali inferire l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato costituisce un accertamento di fatto, rispetto al quale il sindacato della Corte di cassazione è equiparabile al più generale sindacato sul ricorso al ragionamento presuntivo da parte del giudice di merito; pertanto, il giudizio relativo alla qualificazione di uno specifico rapporto come subordinato o autonomo è censurabile ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. solo per ciò che riguarda l'individuazione dei caratteri identificativi del lavoro subordinato, per come tipizzati dall'art. 2094 c.c., mentre è sindacabile nei limiti ammessi dall'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. allorché si proponga di criticare il ragionamento (necessariamente presuntivo) concernente la scelta e la ponderazione degli elementi di fatto, altrimenti denominati indici o criteri sussidiari di subordinazione, che hanno indotto il giudice del merito ad includere il rapporto controverso nell'uno o nell'altro schema contrattuale.

Cass. civ. n. 35687/2021

Ai fini della qualificazione del contratto di lavoro come autonomo o subordinato, il "nomen iuris" attribuito dalle parti al rapporto, pur non rivestendo valore assorbente, assume particolare rilievo in tutte quelle fattispecie in cui i caratteri differenziali tra due o più figure negoziali appaiono non agevolmente tracciabili, non potendosi negare che, quando la volontà negoziale si è espressa in modo libero (in ragione della situazione in cui versano le parti al momento della dichiarazione), nonché in forma articolata, sì da concretizzarsi in un documento, ricco di clausole aventi ad oggetto le modalità dei rispettivi diritti ed obblighi, il giudice deve accertare in maniera rigorosa se tutto quanto dichiarato nel documento si sia tradotto nella realtà fattuale attraverso un coerente comportamento delle parti stesse.

Cass. civ. n. 19144/2021

In tema di onere della prova relativo al rapporto di lavoro subordinato, ove la presunzione di gratuità delle prestazioni lavorative fra persone legate da vincoli di parentela o affinità debba essere esclusa per l'accertato difetto della convivenza degli interessati, non opera "ipso iure" una presunzione di contrario contenuto, indicativa dell'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato; ne consegue che la parte che faccia valere diritti derivanti da tale rapporto ha comunque l'obbligo di dimostrarne, con prova precisa e rigorosa, tutti gli elementi costitutivi e, in particolare, i requisiti indefettibili della onerosità e della subordinazione.

Cass. civ. n. 29646/2018

Ai fini della distinzione tra rapporto di lavoro subordinato e rapporto di lavoro autonomo, occorre avere riguardo al concreto atteggiarsi del potere direttivo del datore di lavoro, il quale, affinché assurga ad indice rivelatore della subordinazione, non può manifestarsi in direttive di carattere generale - le quali sono compatibili con il semplice coordinamento sussistente anche nel rapporto libero professionale –, ma deve esplicarsi in ordini specifici, reiterati ed intrinsecamente inerenti alla prestazione lavorativa, stabilmente inserita nell'organizzazione aziendale.

Cass. civ. n. 19596/2016

Le qualità di amministratore e di lavoratore subordinato di una stessa società di capitali sono cumulabili purché si accerti l'attribuzione di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale ed è altresì necessario che colui che intenda far valere il rapporto di lavoro subordinato fornisca la prova del vincolo di subordinazione e cioè dell'assoggettamento, nonostante la carica sociale rivestita, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell'organo di amministrazione della società.

Cass. civ. n. 9463/2016

Ai fini della qualificazione come lavoro subordinato del rapporto di lavoro del dirigente, quando questi sia titolare di cariche sociali che ne fanno un "alter ego" dell'imprenditore (preposto alla direzione dell'intera organizzazione aziendale o di una branca o settore autonomo di essa), è necessario - ove non sussista alcuna formalizzazione di un contratto di lavoro subordinato di dirigente - verificare se il lavoro dallo stesso svolto possa comunque essere inquadrato all'interno della specifica organizzazione aziendale, individuando la caratterizzazione delle mansioni svolte, e se possa ritenersi assoggettato, anche in forma lieve o attenuata, alle direttive, agli ordini ed ai controlli del datore di lavoro (e, in particolare, dell'organo di amministrazione della società nel suo complesso), nonché al coordinamento dell'attività lavorativa in funzione dell'assetto organizzativo aziendale.

Cass. civ. n. 7024/2015

La qualificazione del rapporto di lavoro, operata dalle parti, come contratto di collaborazione coordinata e continuativa non assume rilievo dirimente in presenza di elementi fattuali - quali la previsione di un compenso fisso, di un orario di lavoro stabile e continuativo, il carattere delle mansioni, nonché il collegamento tecnico organizzativo e produttivo tra la prestazione svolta e le esigenze aziendali - che costituiscono indici rivelatori della natura subordinata del rapporto stesso, anche se svolto per un arco temporale esiguo. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito, affermando la natura subordinata del rapporto di lavoro di un pizzaiolo, il cui obbligo di lavoro sebbene per un breve periodo di tempo, si articolava su sei giorni alla settimana e per sei ore al giorno, ancorché il "nomen iuris" del contratto sottoscritto tra le parti fosse riferito ad una collaborazione autonoma).

Cass. civ. n. 19199/2013

Ai fini dell'individuazione della natura autonoma o subordinata di un rapporto di lavoro, la formale qualificazione operata dalle parti in sede di conclusione del contratto individuale, seppure rilevante, non è determinante, posto che le parti, pur volendo attuare un rapporto di lavoro subordinato, potrebbero aver simulatamente dichiarato di volere un rapporto autonomo al fine di eludere la disciplina legale in materia. Tale principio non vale invece nell'ipotesi inversa in cui, rispetto ad una situazione lavorativa ritenuta priva dei connotati della subordinazione, le parti stipulino un contratto che, invece, riconosca, a partire da una certa data, la sussistenza di un contratto di lavoro subordinato, dovendosi ritenere, in tal caso, che la volontà delle parti sia da considerare conforme al concreto assetto del rapporto, non essendovi motivo per ritenere che le parti abbiano adottato un tipo contrattuale che impegni in modo più consistente anche il datore rispetto ad oneri collegati all'anzianità di servizio, al trattamento da riconoscersi al lavoratore in ipotesi di risoluzione del rapporto, al trattamento previdenziale e contributivo, senza che la veste formale corrisponda al contenuto della prestazione.

Cass. civ. n. 10396/2013

Non è configurabile un rapporto di lavoro subordinato del componente del consiglio di amministrazione di una società a responsabilità limitata quando - secondo l'accertamento del giudice di merito, insindacabile in cassazione se sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici - non sia provato che egli sia assoggettato al potere direttivo, di controllo e disciplinare da parte dell'organo di amministrazione della società.

Cass. civ. n. 5886/2012

In caso di prestazioni che, per la loro natura intellettuale, mal si adattano ad essere eseguite sotto la direzione del datore di lavoro e con una continuità regolare, anche negli orari, ai fini della qualificazione del rapporto come subordinato oppure autonomo, sia pure con collaborazione coordinata e continuativa, il primario parametro distintivo della subordinazione, intesa come assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo del datore di lavoro, deve essere necessariamente accertato o escluso mediante il ricorso ad elementi sussidiari, che il giudice deve individuare in concreto — con accertamento di fatto incensurabile in cassazione, se immune da vizi giuridici e adeguatamente motivato — accordando prevalenza ai dati fattuali emergenti dal concreto svolgimento del rapporto. (In applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha respinto il ricorso proposto dal datore di lavoro avverso la decisione di merito che aveva correttamente riconosciuto la subordinazione cosiddetta attenuata per le prestazioni di un operatore grafico).

Cass. civ. n. 23129/2010

Nelle società di persone è configurabile un rapporto di lavoro subordinato tra la società e uno dei soci purché ricorrano due condizioni: a) che la prestazione non integri un conferimento previsto dal contratto sociale; b) che il socio presti la sua attività lavorativa sotto il controllo gerarchico di un altro, socio munito di poteri di supremazia. Il compimento di atti di gestione o la partecipazione alle scelte più o meno importanti per la vita della società non sono, in linea di principio, incompatibili con la suddetta configurabilità, sicché anche quando esse ricorrano è comunque necessario verificare la sussistenza delle suddette due condizioni. (In applicazione dell'anzidetto principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso poiché il socio si era limitato a dedurre la sua partecipazione ai dividendi e alla gestione della società, circostanza in sé non decisiva, nonché la mancata corresponsione della retribuzione, così richiedendo alla Corte la diretta valutazione dei fatti).

Cass. civ. n. 9252/2010

Ai fini della distinzione tra lavoro autonomo e subordinato, quando l'elemento dell'assoggettamento del lavoratore alle direttive altrui non sia agevolmente apprezzabile a causa della peculiarità delle mansioni (e, in particolare, della loro natura intellettuale o professionale) e del relativo atteggiarsi del rapporto, occorre fare riferimento a criteri complementari e sussidiari, come quelli della collaborazione, della continuità delle prestazioni, dell'osservanza di un orario determinato, del versamento a cadenze fisse di una retribuzione prestabilita, del coordinamento dell'attività lavorativa all'assetto organizzativo, dato dal datore di lavoro, dell'assenza in capo al lavoratore di una sia pur minima struttura imprenditoriale, elementi che, privi ciascuno di valore decisivo, possono essere valutati globalmente con indizi probatori della subordinazione. (Nel caso di specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva qualificato come di lavoro subordinato il rapporto intercorso tra una insegnante di scuola privata e l'istituto ove essa insegnava, attraverso l'individuazione di rilevanti indici sintomatici, quali l'assoggettamento del lavoratore al potere di coordinamento e disciplinare del datore di lavoro, il suo inserimento nell'organizzazione aziendale, la fissazione dell'orario di lavoro e degli orari delle attività ausiliarie da parte del datore di lavoro, l'obbligo del rispetto dei programmi di insegnamento ministeriali, e la svalutazione, invece, dell'importanza della espressione formale della volontà contrattuale, riportata nella sottoscrizione di un modulo a stampa ove il rapporto veniva definito come autonomo).

Cass. civ. n. 8346/2010

In tema di cooperative di produzione e lavoro, anche nel regime previgente alla legge 3 aprile 2001, n. 142, spetta al giudice di merito
verificare se, accanto al rapporto associativo, sussista un distinto rapporto di lavoro, autonomo o subordinato, dovendo questo escludersi ove i soci si limitino ad espletare prestazioni ed a svolgere attività secondo le prescrizioni del contratto sociale. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato tra la cooperativa ed il socio, valorizzando la domanda di adesione del socio alla cooperativa, la sua partecipazione al capitale sociale ed all'attività sociale, nonché la rispondenza dell'attività lavorativa all'oggetto sociale).

Cass. civ. n. 2728/2010

Costituisce requisito fondamentale del rapporto di lavoro subordinato - ai fini della sua distinzione dal rapporto di lavoro autonomo - il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, il quale discende dall'emanazione di ordini specifici, oltre che dall'esercizio di una assidua attività di vigilanza e controllo dell'esecuzione delle prestazioni lavorative. L'esistenza di tale vincolo va concretamente apprezzata con riguardo alla specificità dell'incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione, fermo restando che ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato sia di rapporto di lavoro autonomo. In sede di legittimità è censurabile solo la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto - incensurabile in tale sede, se sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi logici e giuridici - la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice ad includere il rapporto controverso nell'uno o nell'altro schema contrattuale.

Cass. civ. n. 26986/2009

In tema di distinzione tra rapporto di lavoro subordinato ed autonomo, l'organizzazione del lavoro attraverso disposizioni o direttive - ove le stesse non siano assolutamente pregnanti ed assidue, traducendosi in un'attività di direzione costante e cogente atta a privare il lavoratore di qualsiasi autonomia - costituisce una modalità di coordinamento e di eterodirezione propria di qualsiasi organizzazione aziendale e si configura quale semplice potere di sovraordinazione e di coordinamento, di per sé compatibile con altri tipi di rapporto, e non già quale potere direttivo e disciplinare, dovendosi ritenere che quest'ultimo debba manifestarsi con ordini specifici, reiterati ed intrinsecamente inerenti alla prestazione lavorativa e non in mere direttive di carattere generale, mentre, a sua volta, la potestà organizzativa deve concretizzarsi in un effettivo inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale e non in un mero coordinamento della sua attività.

Cass. civ. n. 14868/2009

Il lavoro subordinato è caratterizzato dall'obbligo del lavoratore di eseguire personalmente la prestazione e soltanto in via eccezionale, per la natura della prestazione stessa e con il consenso del datore di lavoro, è possibile che il lavoratore medesimo si faccia sostituire in caso di assenza. Ne consegue la legittimità della decisione di merito che ravvisi, in tale possibilità, uno degli elementi del lavoro autonomo, unitamente all'assenza di un orario di lavoro predeterminato, all'inesistenza del diritto alle ferie, alla previsione di un compenso non fisso ma a percentuale ed all'uso di un veicolo proprio.

Cass. civ. n. 11207/2009

Ai fini della distinzione tra lavoro autonomo e subordinato, quando l'elemento dell'assoggettamento del lavoratore alle direttive altrui non sia agevolmente apprezzabile a causa della peculiare struttura organizzativa del datore di lavoro e del relativo atteggiarsi del rapporto (prestato, nella specie, a favore di gruppi parlamentari della Camera dei deputati), occorre fare completo riferimento a criteri sintomatici e sussidiari - quali la qualificazione della ricorrente come dipendente del gruppo parlamentare, il pagamento con cadenza mensile di un corrispettivo, la corresponsione della tredicesima mensilità e del compenso per le ferie non godute, l'inserimento della stessa nell'organizzazione del gruppo parlamentare al fine di assicurare la presenza di un addetto alla segreteria anche in giorni festivi, la qualificazione della cessazione del rapporto come licenziamento, la costituzione di una posizione assicurativa-previdenziale quale impiegata, nonché, ove il rapporto nel suo concreto esplicarsi presenti elementi tali da essere compatibile sia con l'autonomia che con la subordinazione del lavoratore, la volontà delle parti come espressasi sia nel momento genetico che, eventualmente, nei momenti successivi - che, privi ciascuno di valore decisivo, possono essere valutati globalmente come indizi probatori della subordinazione, assumendo il giudizio relativo alla qualificazione del rapporto carattere sintetico in relazione all'insieme degli indici significativi e alle specificità del caso concreto.

Cass. civ. n. 10240/2009

In materia di società cooperative di lavoro, l'art. 1 della legge 3 aprile 2001, n. 142, entrato in vigore in data 8 maggio 2001, nel prevedere espressamente la possibilità per il socio lavoratore di instaurare, a fianco del rapporto associativo, un ulteriore e diverso rapporto di lavoro, in forma autonoma o subordinata, con cui contribuire al raggiungimento degli scopi sociali, ha fatto venire meno la ritenuta incompatibilità tra la qualità (reale e non simulata) di socio di una cooperativa di produzione lavoro e quella di lavoratore subordinato ovvero autonomo con vincolo di parasubordinazione. Ove, peraltro, il socio deduca l'instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato, incombe sul medesimo l'onere di provare l'esistenza della sottoposizione al potere direttivo, gerarchico e disciplinare del datore di lavoro, non potendosi considerare sufficiente, a tale scopo, la mera indicazione dei fatti contenuta nella parte espositiva del ricorso introduttivo, occorrendo, invece, la specifica richiesta di esperimento probatorio sulle singole circostanze, con formulazione dei capitoli di prova ed indicazione dei testi da escutere.

Cass. civ. n. 4415/2009

Nel regime anteriore a quello dettato dalla legge 3 aprile 2001, n. 142, i soci lavoratori di cooperative di produzione e lavoro possono prestare la loro opera nell'ambito della cooperativa sia come lavoratori autonomi, sia come lavoratori subordinati e, in quest'ultimo caso, non è dagli elementi caratteristici della subordinazione in senso materiale che può dedursi la costituzione di un rapporto di siffatto tipo occorrendo, a tal fine, che lo statuto della società contempli, o comunque non escluda, la possibilità di costituire con i soci distinti rapporti lavorativi inerenti all'oggetto sociale; ne consegue che, solo ove sia provato un distinto rapporto di lavoro subordinato a lato del rapporto societario, potrà trovare applicazione la disciplina di garanzia recata dall'art. 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300.

Cass. civ. n. 4261/2009

Il rapporto tra l'amministratore di una società di capitali e la società medesima va ricondotto - in ragione della natura continuativa, coordinata e prevalentemente personale della prestazione resa - nell'ambito del rapporto di lavoro parasubordinato, senza che l'immedesimazione organica tra società di capitali ed amministratore giustifichi l'esclusione del compenso a favore di quest'ultimo, dovendo accertarsi, a tal fine, la sussistenza di una rinunzia espressa o tacita. (Nella specie, la S.C., nel rigettare il ricorso, ha rilevato che la Corte territoriale aveva correttamente ritenuto la gratuità dell'incarico, attesa l'assenza di ogni richiesta di compenso per oltre un decennio, quale circostanza peraltro formalizzata nel verbale dell'assemblea generale ordinaria che, per la prima volta, aveva attribuito un corrispettivo per l'attività futura).

Cass. civ. n. 1536/2009

Nel caso in cui la prestazione dedotta in contratto sia estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione e, allo scopo della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, il criterio rappresentato dall'assoggettamento del prestatore all'esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare non risulti, in quel particolare contesto, significativo, occorre, a detti fini, far ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell'orario di lavoro, la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale (anche con riferimento al soggetto tenuto alla fornitura degli strumenti occorrenti) e la sussistenza di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore, desunto anche dalla eventuale concomitanza di altri rapporti di lavoro. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione della corte territoriale che aveva escluso l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato in relazione all'attività di sorveglianza, custodia e pulizia delle scuole elementari svolta in esecuzione di un contratto di appalto stipulato tra la lavoratrice ed il Comune apprezzando esclusivamente, ai fini della qualificazione del rapporto, l'esercizio del potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro e trascurando, nel contenuto e nelle sue specifiche previsioni, la qualifica di "appalto" data dalle parti al contratto).

Cass. civ. n. 29000/2008

Un rapporto di lavoro subordinato può essere sostituito da uno di lavoro autonomo, ma a tal fine è necessario che all'univoca volontà delle parti di mutare il regime giuridico del rapporto si accompagni un effettivo mutamento delle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, pur potendo restare immutato il contenuto della stessa, quale conseguenza del venir meno del vincolo di assoggettamento del lavoratore al datore di lavoro, dovendosi altrimenti presumere, con presunzione semplice, che il rapporto sia proseguito col regime precedente.

Cass. civ. n. 23557/2008

Il rapporto di immedesimazione organica fra l'amministratore ed una società di capitali esclude che le funzioni connesse alla carica, siano riconducibili ad un rapporto di lavoro subordinato ovvero di collaborazione coordinata e continuativa; ne consegue che in caso di revoca senza giusta causa, per la liquidazione dei relativi danni, deve procedersi secondo i criteri generali di cui agli artt. 1223 e 2697 c.c., trattandosi di vicenda non equiparabile alla risoluzione di un contratto di lavoro subordinato.

Cass. civ. n. 21380/2008

Ai fini dell'individuazione delle caratteristiche strutturali del rapporto di lavoro subordinato è necessario che il giudice di merito accerti che siano a carico del datore di lavoro il rischio economico, l'onere dell'acquisto dei materiali necessari al lavoratore nonché l'instaurazione e la gestione del rapporto con gli utenti. In tale contesto l'obbligo di giustificare le assenze da parte del lavoratore è in genere indice di subordinazione solo se soggetto ad una verifica in concreto e conduca, in caso di accertamento dell'assenza ingiustificata, a conseguenze disciplinari ascrivibili al lavoratore. (Nella specie, la S.C. ha accolto il ricorso del lavoratore, autista di ambulanze che instava per l'accertamento della subordinazione, sostenendo che la corte di merito, nell'escludere il rapporto subordinato, non avesse sufficientemente verificato chi avesse la proprietà delle autovetture, chi fosse il soggetto onerato alle spese di gestione, se l'autista prendesse o meno contatto diretto con gli utenti e se avesse o meno l'obbligo di giustificare le assenze).

Cass. civ. n. 4500/2007

Elemento indefettibile del rapporto di lavoro subordinato — e criterio discretivo, nel contempo, rispetto a quello di lavoro autonomo — è la subordinazione, intesa come vincolo di soggezione personale del prestatore al potere direttivo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative e non già soltanto al loro risultato, mentre hanno carattere sussidiario e funzione meramente indiziaria altri elementi del rapporto di lavoro (quali, ad esempio, la collaborazione, l'osservanza di un determinato orario, la continuità della prestazione lavorativa, l'inserimento della prestazione medesima nell'organizzazione aziendale e il coordinamento con l'attività imprenditoriale, l'assenza di rischio per il lavoratore e la forma della retribuzione), i quali — lungi dal surrogare la subordinazione o, comunque, dall'assumere valore decisivo ai fini della prospettata qualificazione del rapporto — possono, tuttavia, essere valutati globalmente, appunto, come indizi della subordinazione stessa, tutte le volte che non ne sia agevole l'apprezzamento diretto a causa di peculiarità delle mansioni, che incidano sull'atteggiarsi del rapporto. Inoltre, non è idoneo a surrogare il criterio della subordinazione nei precisati termini neanche il nomen iuris che al rapporto di lavoro sia dato dalle sue stesse parti (cosiddetta «autoqualificazione»), il quale, pur costituendo un elemento dal quale non si può in generale prescindere, assume rilievo decisivo ove l'autoqualificazione non risulti in contrasto con le concrete modalità di svolgimento del rapporto medesimo.

L'assoggettamento del lavoratore alle altrui direttive — che costituisce il tratto tipico della subordinazione — è riscontrabile anche quando il potere direttivo del datore di lavoro viene esercitato de die in diem consistendo, in tal caso, il vincolo della subordinazione nell'accettazione —vuoi espressa (mediante la formale accettazione del rapporto di lavoro subordinato), vuoi per fatti concludenti — dell'esercizio del suddetto potere direttivo di ripetuta specificazione della prestazione lavorativa richiesta in adempimento delle obbligazioni assunte dal prestatore stesso. (In base all'enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva qualificato come subordinato il rapporto di lavoro di una fisioterapista le cui prestazioni — rese in un contesto e con le modalità tipiche del lavoro subordinato, quali l'osservanza di un orario di lavoro, la continuità e regolarità della prestazione, lo svolgimento della stessa nei locali aziendali e con l'utilizzazione delle strutture dell'impresa — venivano, di giorno in giorno, specificate dal datore di lavoro mediante la consegna di schede di lavoro recanti l'indicazione del paziente e del tipo di prestazione da eseguire).

Cass. civ. n. 13935/2006

L'elemento della subordinazione (che si connota, soprattutto, per l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro), che consente di distinguere il rapporto di lavoro di cui all'art. 2094 c.c. dal lavoro autonomo, non costituisce un dato di fatto elementare, quanto piuttosto una modalità di essere del rapporto, potenzialmente desumibile da un complesso di circostanze, richiedenti una complessiva valutazione (e ciò, in particolare, nei rapporti di lavoro, come quello giornalistico, aventi natura professionale ed intellettuale) che è rimessa al giudice del merito, il quale, perciò, a tal fine, non può esimersi, nella qualificazione del rapporto di lavoro, da un concreto riferimento alle sue modalità di espletamento ed ai principi di diritto ispiratori della valutazione compiuta allo scopo della sussunzione della fattispecie nell'ambito di una specifica tipologia contrattuale. Pertanto, se tale apprezzamento di fatto non è immune da vizi giuridici e non è supportato da un'adeguata motivazione, non si sottrae al sindacato di legittimità. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito impugnata che, in tema di opposizione avverso un'ordinanza-ingiunzione emessa dall'I.N.P.G.I. per l'irrogazione di sanzioni in materia contributiva, aveva rilevato l'insussistenza del rapporto di lavoro subordinato con riguardo ad alcuni giornalisti sul presupposto del mero richiamo delle risultane emergenti dal verbale ispettivo, sicché la relativa motivazione appariva del tutto apodittica e, quindi, inidonea a sorreggere la predetta conclusione).

Cass. civ. n. 7966/2006

La subordinazione o meno del rapporto prescinde, di norma, dalla natura dell'attività lavorativa, attenendo, piuttosto, specificamente alla soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo, di controllo e disciplinare del datore di lavoro.

Cass. civ. n. 21759/2004

In tema di rapporto di lavoro alle dipendenze di una società di capitali, come non sussiste alcuna incompatibilità di principio tra la qualità di componente (non unico) dell'organo di gestione e quella di lavoratore subordinato alle dipendenze della società, allo stesso modo non vi sono ostacoli alla configurabilità di un siffatto rapporto fra la società e il socio titolare della maggioranza del capitale sociale, neppure quando la percentuale del capitale detenuto corrisponda a quella minima prevista per la validità delle deliberazioni dell'assemblea, attesa la sostanziale estraneità dell'organo assembleare all'esercizio del potere gestorio e non essendo ragionevole considerare di per sè irrilevante, al fine di escludere il rapporto di subordinazione, la partecipazione diretta del lavoratore all'organo investito di un siffatto potere e ritenere invece ostativa la partecipazione indiretta e mediata alle scelte societarie attraverso il potere di nominare i soggetti che hanno il compito di effettuarle, ferma restando, comunque, la non configurabilità di un rapporto di lavoro con la società quando il socio (a prescindere dalla percentuale di capitale posseduto e dalla formale investitura a componente dell'organo amministrativo) abbia di fatto assunto, nell'ambito della società, l'effettiva ed esclusiva titolarità dei poteri di gestione.

Cass. civ. n. 20669/2004

Ai fini della configurabilità del lavoro subordinato e la distinzione da quello autonomo, sono decisivi l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro con la conseguente limitazione della sua autonomia e il suo inserimento nell'organizzazione aziendale, mentre la qualificazione del rapporto compiuta dalle parti nella iniziale stipulazione del contratto non è determinante, stante la idoneità, nei rapporti di durata, del comportamento delle parti ad esprimere sia una diversa effettiva volontà contrattuale, sia una nuova diversa volontà. Invece, elementi quali l'assenza del rischio, l'osservanza di un orario e la cadenza e la misura fissa della retribuzione assumono natura meramente sussidiaria e non decisiva, fermo restando che l'apprezzamento in concreto circa la riconducibilità di determinate prestazioni ad un rapporto di lavoro subordinato o autonomo si risolve in un accertamento di fatto che, ove adeguatamente e correttamente motivato, è incensurabile in tassazione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva riconosciuto i caratteri della subordinazione nell'attività resa da un architetto, addetto all'ufficio edilizia e urbanistica di un comune, assunto con contratto definito di collaborazione autonoma, che aveva svolto la tipica attività istruttoria delle pratiche del suo settore, rispettando il normale orario di servizio, rispondendo al dirigente dell'ufficio tecnico, il quale effettuava un accertamento circa l'andamento dell'ufficio).

Cass. civ. n. 13884/2004

Ai fini della distinzione tra lavoro autonomo e subordinato (per quest'ultimo il fondamentale requisito della subordinazione configurandosi come vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, estrinsecantesi nell'emanazione di ordini specifici, oltre che nell'esercizio di un'assidua attività di vigilanza e controllo nell'esecuzione delle prestazioni lavorative, da apprezzarsi concretamente con riguardo alla specificità dell'incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione) non deve prescindersi dalla volontà delle parti contraenti e, sotto questo profilo, va tenuto presente il nomen juris utilizzato, il quale però non ha un rilievo assorbente, poiché deve tenersi altresì conto, sul piano della interpretazione della volontà delle stesse parti, del comportamento complessivo delle medesime, anche posteriore alla conclusione del contratto, ai sensi dell'art. 1362, secondo comma, c.c., e, in caso di contrasto fra dati formali e dati fattuali relativi alle caratteristiche e modalità della prestazione, è necessario dare prevalente rilievo ai secondi. Tuttavia, quando sia proprio la conformazione fattuale del rapporto ad apparire dubbia, non ben definita o non decisiva, l'indagine deve essere svolta in modo tanto più accurato sulla volontà espressa in sede di costituzione del rapporto. (Nell'affermare il suindicato principio la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva qualificato un rapporto come subordinato sulla base del mero e «sintetico» rilievo che «le direttive datoriali dovevano essere considerate puntuali e vincolanti compatibilmente con il carattere creativo dell'attività di una art director», senza essersi peraltro dato carico di esaminare le pattuizioni in forma scritta che qualificavano il rapporto come autonomo).

Cass. civ. n. 5508/2004

Ai fini della distinzione tra lavoro autonomo e subordinato, quando l'elemento dell'assoggettamento del lavoratore alle direttive altrui non sia agevolmente apprezzabile a causa della peculiarità delle mansioni (e, in particolare, della loro natura intellettuale o professionale) e del relativo atteggiarsi del rapporto, occorre fare riferimento a criteri complementari e sussidiari — come quelli della collaborazione, della continuità delle prestazioni, dell'osservanza di un orario determinato, del versamento a cadenze fisse di una retribuzione prestabilita, del coordinamento dell'attività lavorativa all'assetto organizzativo dato dal datore di lavoro, dell'assenza in capo al lavoratore di una sia pur minima struttura imprenditoriale — che, privi ciascuno di valore decisivo, possono essere valutati globalmente come indizi probatori della subordinazione. L'apprezzamento in concreto circa la riconducibilità di determinate prestazioni all'uno o all'altro tipo di rapporto costituisce accertamento di merito devoluto al giudice del merito, come tale incensurabile in sede di legittimità, se adeguatamente e correttamente motivato. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto il carattere subordinato del rapporto dedotto in giudizio, avente ad oggetto prestazioni didattiche presso un istituto professionale parificato, desumendolo da una serie di indici sintomatici, quali: l'assoggettamento del lavoratore, al potere di coordinamento e disciplinare del datore di lavoro, il suo inserimento nella organizzazione aziendale, lo svolgimento di controlli da parte del datore di lavoro, funzionali all'esercizio del potere direttivo, del sistema retributivo, commisurato alle ore di insegnamento effettivamente svolte, l'assoggettamento all'orario delle cosiddette attività ausiliarie, come i colloqui con le famiglie, la partecipazione a riunioni con gli altri docenti, gli scrutini, nonché l'inserimento funzionale dell'insegnante nell'impresa scolastica dove il rischio della gestione gravava esclusivamente sul titolare, che aveva messo a disposizione i mezzi strumentali, didattici e non, necessari all'espletamento dell'attività del docente, senza alcuna conseguente assunzione di rischio da parte di quest'ultimo e senza la benché minima partecipazione del predetto all'acquisto di tali mezzi).

Cass. civ. n. 2622/2004

Ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato sia di rapporto di lavoro autonomo, a seconda delle modalità del suo svolgimento. L'elemento tipico che contraddistingue il primo dei suddetti tipi di rapporto è costituito dalla subordinazione, intesa quale disponibilità del prestatore nei confronti del datore di lavoro con assoggettamento alle direttive da questo impartite circa le modalità di esecuzione dell'attività lavorativa; altri elementi - come l'osservanza di un orario, l'assenza di rischio economico, la forma di retribuzione e la stessa collaborazione - possono avere, invece, valore indicativo, ma mai determinante. L'esistenza del suddetto vincolo va concretamente apprezzata dal giudice di merito con riguardo alla specificità dell'incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione, fermo restando che, in sede di legittimità, è censurabile soltanto la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto - come tale incensurabile in tale sede se sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi logici e giuridici - la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice di merito ad includere il rapporto controverso nell'uno o nell'altro schema contrattuale. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso il carattere subordinato di un rapporto di lavoro di guardia medica presso una casa di cura).

Cass. civ. n. 19352/2003

Anche ai lavoratori autonomi, ai soci di fatto o agli associati in partecipazione possono essere impartite (dai datori di lavoro o dai consociati) direttive o indicazioni in ordine allo svolgimento del lavoro (specie se sia necessario sopperire a una minore esperienza di costoro o comunque sia stato concordato, ovvero risulti opportuno o necessario un coordinamento delle attività), senza che, per ciò solo, possa ritenersi inequivocabilmente provata l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, caratterizzato invece da un più pregnante vincolo di natura personale, che impone al dipendente di assoggettarsi al potere organizzativo, gerarchico e disciplinare del datore di lavoro, ponendo a disposizione di questi le proprie energie lavorative, adeguandosi ai suoi ordini e sottoponendosi al suo controllo nello svolgimento della prestazione.

Cass. civ. n. 17549/2003

Il carattere distintivo essenziale del rapporto di lavoro subordinato da quello autonomo è la subordinazione intesa come vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo (organizzativo e disciplinare) del datore di lavoro, che deve estrinsecarsi nell'emanazione di ordini specifici, oltre che nell'esercizio di un'attività di vigilanza e controllo nell'esecuzione delle prestazioni lavorative, sia pure diversamente atteggiata in relazione alle peculiarità di queste ultime, non prescindendo, altresì, dalla preventiva ricerca della volontà delle parti per accertare, anche attraverso il nomen iuris attribuito al rapporto, come le stesse abbiano inteso qualificare detto rapporto, senza, peraltro, che tale accertamento sia disgiunto da una verifica dei risultati con riguardo alle caratteristiche e modalità concretamente assunte dalla prestazione stessa nel corso del suo svolgimento. (Nella specie, relativa a lavoratore con mansioni di «capo del settore ingegneria civile», la S.C. ha cassato per vizi di motivazione la sentenza di merito che, nel ravvisare gli estremi della subordinazione, aveva trascurato del tutto la regolamentazione contrattuale con cui le parti nel disciplinare i loro reciproci interessi, avevano inteso rifarsi ad «incarichi professionali» di natura autonoma, e aveva qualificato il rapporto sulla base di circostanze non decisive quali la corresponsione mensile del compenso, lo svolgimento dell'attività nei locali aziendali con uso di attrezzatura della società, l'espletamento della prestazione durante l'orario di lavoro praticato in azienda e la sospensione della stessa durante le ferie annuali aziendali).

Cass. civ. n. 15750/2003

Nel regime anteriore a quello introdotto dalla legge 3 aprile 2001, n. 142, il cui art. 1, comma 3, dispone che i soci lavoratori debbono stipulare un distinto contratto di lavoro, autonomo o subordinato, i soci di cooperative di produzione e lavoro non possono essere considerati dipendenti delle medesime per le prestazioni rivolte a consentire ad essa il conseguimento dei fini istituzionali e rese secondo le prescrizioni del contratto sociale; in particolare, non rileva, ai fini della riconducibilità dell'attività del socio ad un rapporto di lavoro subordinato, la circostanza che i soci siano tenuti all'osservanza di orari predeterminati, percepiscano compensi commisurati alle giornate di lavoro e debbano osservare direttive, né che nei loro confronti sia applicata, quanto all'esercizio del potere disciplinare o ad altri aspetti, una normativa collettiva, sempre che non sia accertata l'utilizzazione simulata o fraudolenta dello schema cooperativistico.

Cass. civ. n. 13375/2003

Ai fini della qualificazione di un rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, deve attribuirsi maggiore rilevanza alle effettive modalità di svolgimento del rapporto, da cui è ricavabile l'effettiva volontà delle parti (iniziale o sopravvenuta) rispetto alla qualificazione attribuita
dalle parti stesse al rapporto, tenendo conto dei parametri normativi desumibili dall'art. 2094 c.c., quali l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, con la conseguente limitazione della sua autonomia e il suo inserimento nella organizzazione aziendale del datore di lavoro; tali elementi devono essere valutati avendo riguardo alla specificità dell'incarico conferito al lavoratore il che impone, in caso di attività dirigenziale, intellettuale e professionale di procedere ad una valutazione globale dell'atteggiarsi del rapporto, tenendo conto anche dei criteri cosiddetti complementari e sussidiari, come quelli della continuità delle prestazioni, dell'osservanza di un orario determinato, della periodicità e predeterminazione della retribuzione.

Cass. civ. n. 13009/2003

La qualifica di amministratore unico di una società non è compatibile con la condizione di lavoratore subordinato alle dipendenze della stessa società, non potendo ricorrere in tal caso l'effettivo assoggettamento al potere direttivo, di controllo e disciplinare di altri, che si configura come requisito tipico della subordinazione. Tuttavia, nel caso in cui l'Ente previdenziale richieda i contributi per l'amministratore unico, è necessario accertare, in ragione del principio di effettività che regola il rapporto contributivo, che colui che formalmente figura come amministratore unico eserciti di fatto i relativi poteri e non sia invece, in concreto, soggetto alle determinazioni altrui, di talché non si possa escludere il vincolo della subordinazione. (Nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C., aveva ritenuto che l'amministratore unico di una società non aveva esplicato alcun potere decisionale e di controllo, essendo tali poteri riservati ad altro soggetto, procuratore della società e presidente di altra società proprietaria delle quote della prima).

Cass. civ. n. 9000/2003

I soci di una cooperativa di produzione e lavoro non possono considerarsi dipendenti della medesima per le prestazioni rivolte a consentire ad essa il conseguimento dei suoi fini istituzionali ed in particolare non rileva, ai fini della riconducibilità dell'attività del socio ad un rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato, la circostanza che i soci siano tenuti all'osservanza di orari predeterminati, percepiscano compensi commisurati alle giornate di lavoro e debbano osservare direttive, né che nei loro confronti sia applicata, quanto all'esercizio del potere disciplinare o ad altri aspetti, una normativa collettiva; rimane salva, tuttavia, l'ipotesi in cui — in considerazione della effettiva volontà delle parti o delle circostanze in cui il rapporto si è in concreto sviluppato — sia accertata l'utilizzazione simulata o fraudolenta dello schema cooperativistico, la quale però, ai sensi dell'art. 437 c.p.c., non può essere dedotta, con relativo capitolato di prova, per la prima volta in appello.

Cass. civ. n. 17534/2002

La previsione di un rigido orario per la prestazione lavorativa costituisce sicura estrinsecazione del potere direttivo del creditore del servizio (e quindi della natura subordinata del rapporto di lavoro) solo quando sia espressione dell'autonomia decisionale nell'organizzazione aziendale e non quando inerisca alla prestazione richiesta, tale da dover essere espletata, per sua natura, in tempi non modificabili, che anche il lavoratore autonomo, debitore del risultato, sia tenuto a rispettare.

Cass. civ. n. 5366/2002

Con riferimento alle prestazioni di contenuto intellettuale, che non richiedono alcuna organizzazione imprenditoriale né postulano un'assunzione di rischio a carico del lavoratore, il criterio fondamentale per l'accertamento della natura (autonoma o subordinata) del rapporto di lavoro è costituito dall'esistenza di un potere direttivo del datore di lavoro che, pur nei limiti imposti dalla connotazione della prestazione lavorativa, abbia un'ampiezza di estrinsecazione tale da consentirgli di disporre, in maniera piena, della stessa nell'ambito delle esigenze proprie della sua organizzazione produttiva.

Cass. civ. n. 4889/2002

Ai fini della distinzione del rapporto di lavoro subordinato da quello autonomo, elementi rilevanti sono l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo (da esplicarsi con ordini specifici e non con semplici direttive di carattere generale), organizzativo e disciplinare del datore di lavoro e il suo inserimento nell'organizzazione aziendale, da valutarsi con riferimento alla specificità dell'incarico conferitogli e alle modalità della sua attuazione. Lo svolgimento di controlli da parte del datore di lavoro è invece compatibile con ambedue le forme di rapporti, sicché assume rilievo ai fini della qualificazione del rapporto come subordinato solo quando per oggetto e per modalità i controlli siano finalizzati all'esercizio del potere direttivo e, eventualmente, di quello disciplinare; altri elementi, quali l'assenza di rischio, la continuità della prestazione, l'osservanza di un orario, la localizzazione della prestazione e la cadenza e la misura fissa della retribuzione assumono natura meramente sussidiaria e non decisiva, mentre la qualificazione del rapporto compiuta dalle parti al momento della stipulazione del contratto può essere rilevante, ma certamente non è determinante. L'apprezzamento in concreto circa la riconducibilità di determinate prestazioni all'uno o all'altro tipo di rapporto costituisce un accertamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente e correttamente motivato in riferimento ad un esatto parametro normativo. (Nella specie, relativa ad attività di insegnamento, la S.C. ha cassato con rinvio per vizio di motivazione la sentenza di merito che aveva ritenuto la natura subordinata del rapporto in contestazione).

Cass. civ. n. 2861/2002

In tema di società cooperativa a responsabilità limitata, il rapporto che lega l'amministratore, cui è affidata la gestione sociale, alla società è un rapporto di immedesimazione organica, che non può essere qualificato né rapporto di lavoro subordinato, né di collaborazione continuata e coordinata, orientando le prestazioni dell'amministratore piuttosto nell'area del lavoro professionale autonomo. Ne consegue che il disposto dell'art. 36, primo comma, Cost., relativo al diritto ad una retribuzione proporzionata e sufficiente, ancorché norma immediatamente precettiva e non programmatica, non è applicabile al rapporto di cui si tratta. È, pertanto, legittima la previsione statutaria di gratuità delle predette funzioni.

Cass. civ. n. 2842/2002

Ai fini della distinzione fra rapporto di lavoro subordinato e rapporto di lavoro autonomo, assume comunque valore determinante — anche a voler accedere ad una nozione più ampia della subordinazione, con riferimento a sistemi di organizzazione del lavoro improntati alla «esteriorizzazione» di interi cicli del settore produttivo — l'accertamento della avvenuta assunzione, da parte del lavoratore, dell'obbligo contrattuale di porre a disposizione del datore di lavoro le proprie energie lavorative e di impiegarle con continuità, fedeltà e diligenza, secondo le direttive di ordine generale impartite dal datore di lavoro e in funzione dei programmi cui è destinata la produzione, per il perseguimento dei fini propri dell'impresa datrice di lavoro (nella specie, la sentenza di merito, confermata dalla S.C., aveva escluso la subordinazione in relazione ad una lavoratrice che, facendo parte di un gruppo di giovani che prestavano di sera la propria attività di camerieri presso un ristorante, veniva indirizzata presso l'esercizio secondo turni giornalieri e settimanali organizzati dalla stessa lavoratrice secondo accordi con il suo gruppo, a seconda delle proprie esigenze, senza obbligatorietà della prestazione).

Cass. civ. n. 13018/2001

Non sono configurabili gli elementi costitutivi del rapporto di lavoro subordinato nel caso in cui le prestazioni necessarie ai fini del perseguimento dei fini aziendali siano organizzate in maniera tale da non richiedere l'applicazione da parte del datore di lavoro di un potere gerarchico concretizzantesi in ordini e direttive e nell'esercizio del potere disciplinare. (Nella specie, relativa al servizio prestato da un medico presso un centro di prestazioni sanitarie convenzionato con le unità sanitarie locali, la sentenza di merito, confermata dalla Suprema Corte, aveva dato rilievo alla facoltà del medico di concordare con i colleghi i turni di lavoro e di farsi sostituire da altro sanitario in caso di impedimento, nonché alle modalità di pagamento dei compensi e al regime fiscale cui era assoggettato lo stesso professionista).

Cass. civ. n. 9167/2001

Ai fini della distinzione tra rapporto di lavoro subordinato e rapporto di lavoro autonomo il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo del datore di lavoro inteso come sottoposizione ad ordini specifici e al diretto e costante controllo datoriale delle diverse fasi di esecuzione delle prestazioni lavorative — diviene, con l'evolversi dei sistemi di organizzazione del lavoro nella direzione di una sempre più diffusa esteriorizzazione di interi settori del ciclo produttivo o di una serie di professionalità specifiche, sempre meno significativo della subordinazione, mentre, in riferimento a tali nuove realtà, assume valore di indice determinante della subordinazione l'assunzione per contratto dell'obbligazione di porre a disposizione del datore di lavoro le proprie energie lavorative e di impiegarle, con continuità, fedeltà e diligenza, secondo le direttive di ordine generale impartite dal datore di lavoro e in funzione dei programmi cui è destinata la prestazione per il perseguimento dei fini propri dell'impresa datrice di lavoro. (In base al suddetto principio la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che aveva escluso il carattere subordinato di un rapporto di una propagandista di prodotti farmaceutici la cui prestazione lavorativa doveva svolgersi, sia pure con margini di discrezionalità, secondo le direttive di ordine generale impartite dalla casa farmaceutica che immetteva sul mercato i prodotti e per le finalità proprie dell'impresa stessa).

Cass. civ. n. 9152/2001

La presenza dei caratteri della subordinazione nel rapporto di lavoro, quali la predeterminazione del contenuto delle prestazioni e l'organizzazione degli strumenti produttivi da parte del datore, nonché la prestazione dell'attività lavorativa nei locali di quest'ultimo e l'assenza di rischio economico del lavoratore, non perde il suo valore indicativo per il solo fatto che il lavoro venga reso soltanto per poche ore durante la giornata, dato che il rapporto di lavoro subordinato ben può coesistere con altre attività, di lavoro o di studio.

Cass. civ. n. 5665/2001

Ai fini della distinzione tra lavoro autonomo e subordinato non deve prescindersi dalla volontà delle parti contraenti e, sotto questo profilo, va tenuto presente il nomen juris utilizzato, il quale però non ha un rilievo assorbente, poiché deve tenersi conto altresì, sul piano della interpretazione della volontà delle stesse parti, del comportamento complessivo delle medesime, anche posteriore alla conclusione del contratto, ai sensi dell'art. 1362, secondo comma, c.c., e, in caso di contrasto fra dati formali e dati fattuali relativi alle caratteristiche e modalità della prestazione, è necessario dare prevalente rilievo ai secondi, dato che la tutela relativa al lavoro subordinato, per il suo rilievo pubblicistico e costituzionale, non può essere elusa per mezzo di una configurazione formale non rispondente alle concrete modalità di esecuzione del contratto (nella specie — relativa al servizio svolto da un assistente sociale presso un'amministrazione comunale — la Suprema Corte ha annullato la sentenza di merito, che aveva ritenuto la natura autonoma del rapporto sulla sola base del riferimento, contenuto nella convenzione regolatrice del rapporto, all'art. 2222 c.c.).

Cass. civ. n. 224/2001

Per la qualificazione del contratto di lavoro come autonomo o subordinato — ai fini della quale il nomen iuris attribuito dalle parti al rapporto può rilevare solo in concorso con altri validi elementi differenziali o in caso di non concludenza degli altri elementi di valutazione — occorre accertare se ricorra o no il requisito tipico della subordinazione, intesa come prestazione dell'attività lavorativa alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore e perciò con l'inserimento nell'organizzazione di questo, mentre gli altri caratteri dell'attività lavorativa, come la continuità, la rispondenza dei suoi contenuti ai fini propri dell'impresa e le modalità di erogazione della retribuzione non assumono rilievo determinante, essendo compatibili sia con il rapporto di lavoro subordinato, sia con quelli di lavoro autonomo parasubordinato. Sn relazione alla qualificazione del rapporto compiuta dal giudice di merito, è censurabile in sede di legittimità soltanto la determinazione dei criteri astratti e generali applicati, mentre costituisce apprezzamento di fatto, insindacabili in cassazione se sorretto da motivazione adeguata ed esente da vizi logici e giuridici, la valutazione delle circostanze ritenute in concreto idonee a far rientrare il rapporto nell'uno o nell'altro schema. (Nella specie il giudice di merito, con la sentenza confermata dalla Suprema Corte, aveva ritenuto la qualificabilità nell'ambito del lavoro subordinato del rapporto intrattenuto, con un'agenzia generale gestita direttamente dall'Istituto Nazionale delle Assicurazioni, da un lavoratore, formalmente qualificato come produttore, completamente inserito nell'organizzazione aziendale e assoggettato alle direttive dei superiori, con obbligo di presenza giornaliera in ufficio e di rispetto degli orari, con predeterminazione dei clienti da visitare, redazione di rapportini giornalieri sull'attività svolta, ecc.).

Cass. civ. n. 13737/2000

La qualità di socio di una cooperativa non esclude la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato tra la cooperativa e il socio, a condizione che la prestazione lavorativa non sia conferita alla società per patto contrattuale e che a tale conferimento non sia connessa una pattuizione di partecipazione agli utili. Ai fini del relativo accertamento — riservato al giudice del merito e censurabile in sede di legittimità solo se non sorretto da congrua motivazione ed affetto da vizi logici — assumono valore decisivo l'inserimento del lavoratore nell'organizzazione dell'impresa in modo continuativo e sistematico e l'esercizio di una costante vigilanza del datore di lavoro sull'operato del lavoratore, atteso che tali elementi rappresentano i connotati esclusivi e peculiari della subordinazione.

Cass. civ. n. 9294/2000

I soci lavoratori di una società cooperativa di produzione e lavoro possono prestare la propria opera sia in condizioni di subordinazione che di autonomia; tuttavia, al fine di accertare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra il socio lavoratore e la società, non è sufficiente il riscontro degli elementi caratterizzanti la subordinazione in senso materiale (obbligo di osservare orari predeterminati, retribuzione fissa, applicazione di norme collettive, assoggettamento a poteri direttivi e disciplinari), giacché tutti tali elementi caratterizzano anche la posizione del socio lavoratore assunta in virtù del rapporto societario.

Cass. civ. n. 9292/2000

Ai fini dell'accertamento della natura subordinata di un rapporto di lavoro, alla stregua di un criterio di effettività, devono ritenersi prevalenti, sull'assetto formale del rapporto contrattuale, le modalità di esecuzione dello stesso, quale indice dell'inserimento della prestazione lavorativa nella organizzazione di impresa; è possibile allora, nel caso concreto, anche l'apposizione al contratto di lavoro della clausola di rendimento minimo, che rappresenta un elemento accessorio del contratto stesso ed è ininfluente ai fini della qualificazione giuridica del rapporto, ma potendo escludersi un'obbligazione di risultato ove questo sia da conseguire con le modalità tipiche del lavoro subordinato.

Cass. civ. n. 6819/2000

La qualifica di amministratore di una società commerciale non è di per sè incompatibile con la condizione di lavoratore subordinato alle dipendenze della stessa società, ma perché sia configurabile un rapporto di lavoro subordinato è necessario che colui che intende farlo valere non sia amministratore unico della società e provi in modo certo il requisito della subordinazione elemento tipico qualificante del rapporto che deve consistere nell'effettivo assoggettamento nonostante la carica di amministratore rivestita al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell'organo di amministrazione della società nel suo complesso. Il relativo accertamento, istituzionalmente demandato al giudice di merito, è censurabile in sede di legittimità esclusivamente sotto il profilo del vizio di motivazione.

Nell'ipotesi di modalità esecutive del rapporto di lavoro non incompatibili con l'espletamento della prestazione lavorativa in forma autonoma la volontà delle parti, quale risulta sia dal nomen iuris concordemente adoperato in sede di conclusione dell'accordo sia dal contesto delle espressioni usate, assume carattere fondamentale e prioritario ai fini della qualificazione del rapporto medesimo. (In base al suddetto principio la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso che il rapporto di lavoro del ricorrente amministratore di una Srl fosse qualificabile come subordinato).

Cass. civ. n. 1791/2000

È configurabile un rapporto di lavoro subordinato dell'amministratore di una società di capitali allorché secondo l'accertamento del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici risulti provato che egli sia assoggettato al potere direttivo e disciplinare da parte di altri organi della società e sia privo di autonomi poteri decisionali. (Nella specie, la sentenza di merito, confermata dalla S.C., aveva ritenuto sussistente un rapporto di lavoro subordinato in relazione all'amministratore di una società a responsabilità limitata preposto al settore commerciale, la cui attività era risultata soggetta alle precise direttive impartite da altro amministratore ed esercitata in assenza di autonomi poteri decisionali).

Cass. civ. n. 1490/2000

La qualifica di amministratore di una società commerciale non è di per sé incompatibile con la condizione di lavoratore subordinato alle dipendenze della società stessa purché colui che intende far valere il rapporto di lavoro subordinato provi in modo certo l'elemento tipico qualificante di tale rapporto e, cioè, il requisito della subordinazione e purché egli non sia amministratore unico (situazione, quest'ultima, che esclude la possibilità di ricollegare ad una volontà «sociale» distinta da quella dell'unico amministratore la costituzione e la gestione del rapporto di lavoro). Inoltre, nell'ipotesi in cui la pretesa sussistenza del rapporto di lavoro riguardi un amministratore di una società facente parte di un gruppo controllato da una società madre è necessario che la società con la quale si assume esservi stato il rapporto di lavoro abbia una propria soggettività giuridica. (Nel caso di specie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso la sussistenza di un rapporto di lavoro tra l'amministratore unico di una società facente parte di un gruppo che era risultata essere un ente privo di struttura di impresa e dunque non reale centro di imputazione di rapporti giuridici, essendo ogni sua attività e bene strumentale da riferire alla società madre del gruppo stesso).

Cass. civ. n. 381/2000

La qualità di amministratore di una società di capitali è cumulabile con quella di lavoratore dipendente della medesima società, allorquando
sia individuabile — mediante una valutazione delle risultane istruttorie riservata al giudice di merito e incensurabile in cassazione — la formazione di una volontà imprenditoriale distinta, tale da determinare la soggezione del dipendente-amministratore ad un potere disciplinare e direttivo esterno, sì che la qualifica di amministratore costituisca uno «schermo» per coprire un'attività costituente, in realtà, un normale lavoro subordinato.

Cass. civ. n. 304/2000

L'art. 24 della legge n. 196 del 1997 che contiene norme tendenti all'equiparazione dei soci delle cooperative di lavoro ai lavoratori subordinati per quanto riguarda l'assicurazione obbligatoria per la disoccupazione involontaria, le indennità di mobilità e la tutela previdenziale dei crediti di lavoro e per trattamento di fine rapporto a norma degli artt. 1 e 2 D.L.vo n. 80 del 1992 e art. 2 legge n. 297 del 1982, a tali fini equiparando al licenziamento o alle dimissioni la perdita dello stato di socio ad iniziativa, rispettivamente, della cooperativa o del socio ha efficacia retroattiva, come chiaramente desumibile dalle disposizioni che, in relazione ai vari tipi di prestazioni, precisano che i contributi versati anteriormente all'entrata in vigore della legge restano salvi e conservano la loro efficacia anche ai fini della concessione delle prestazioni. (Nella specie, la S.C., facendo applicazione dello ius superveniens, ha confermato la sentenza impugnata, con cui era stato riconosciuto il diritto alla liquidazione del trattamento di fine rapporto a carico del Fondo di garanzia a favore di lavoratori i cui rapporti erano cessati a causa della liquidazione coatta amministrativa di società cooperative che così come appare pacifico aveva versato i relativi contributi previdenziali).

Cass. civ. n. 7559/1998

L'attività lavorativa del socio in favore della società cooperativa, ove consistente in prestazioni comprese tra quelle previste nel patto sociale e dirette al perseguimento dei fini istituzionali della società, costituisce adempimento del contratto di società e pertanto, in relazione a tale attività lavorativa, non è configurabile la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato (o autonomo) tra il socio e la società; non può tuttavia escludersi che le parti, nell'esercizio della propria autonomia negoziale, abbiano inteso dare vita a diversi e distinti contratti (sia nel senso di volere soltanto l'effetto tipico dei singoli negozi posti in essere, sia nel senso di volere anche il coordinamento e il collegamento tra gli stessi per il raggiungimento di un fine ulteriore) ed è pertanto ammissibile la sussistenza (accanto o in collegamento col rapporto societario) di un distinto rapporto di lavoro che formi oggetto di una specifica pattuizione, da individuarsi dal giudice di merito investito della questione.

Cass. civ. n. 4532/1998

Il socio di una società di capitali che partecipi al capitale sociale in una misura capace di assicurargli, da sola, la maggioranza richiesta per la validità delle deliberazioni assembleari (in sede ordinaria e straordinaria) sicché, in concreto, dalla sua volontà finiscono per dipendere la nomina e la revoca degli amministratori, l'irrogazione delle sanzioni disciplinari, l'assunzione di lavoratori e il loro licenziamento, l'esercizio del potere direttivo e di controllo sul personale, si presenta come l'effettivo e solo titolare del potere gestionale sì da risultare vero e proprio «sovrano» della società stessa, onde non può assumere la figura di lavoratore subordinato di quest'ultima.

Cass. civ. n. 3527/1998

È configurabile un rapporto di lavoro tra l'amministratore delegato e la società quando il primo sia soggetto ad un organo, a lui esterno, esprimente la volontà della società, che in concreto eserciti i poteri di controllo, comando o disciplina, tipici del datore di lavoro.

Cass. civ. n. 2315/1998

Al fine di stabilire se lo svolgimento di prestazioni lavorative sia da ricondurre ad un rapporto di lavoro subordinato o invece ad un rapporto associativo occorre accertare se il corrispettivo dell'attività lavorativa escluda o meno un apprezzabile rischio, se colui che la esplica sia assoggettato al potere disciplinare e gerarchico della persona o dell'organo che assume le scelte di fondo nell'organizzazione delle persone o dei beni e, ancora, se il prestatore abbia un potere di controllo sulla gestione economica dell'impresa.

Cass. civ. n. 4928/1997

È configurabile un rapporto di parasubordinazione, con la conseguente competenza del giudice del lavoro per le controversie ad esso relative, anche nel caso di attività fornita nell'ambito di una gestione societaria, a mezzo di società di fatto o di persone, anche irregolari, ove risulti che la suddetta attività venga in concreto prestata con modalità tali che sussista quello stato di dipendenza socio-economica che costituisce l'elemento essenziale della parasubordinazione e di cui l'attività prevalentemente personale è l'indice rivelatore tipico, ben potendo il profilo societario limitarsi ad un semplice patto fra i soci avente ad oggetto la distribuzione del lavoro e dei ricavi, con sintomatica attenuazione, pertanto, dell'elemento costituito dall'esercizio in comune di una attività economica, previsto dall'art. 2247 c.c., come pure di quello, di cui all'art. 2082 dello stesso codice, dell'organizzazione al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi.

Cass. civ. n. 10383/1996

Il rapporto fra una società in nome collettivo ed i soci della stessa che si occupano dell'amministrazione dell'azienda, non può essere considerato di per sé come rapporto di lavoro subordinato, atteso che l'attività da essi svolta è connaturale all'esercizio dell'impresa ed al rapporto che lega i soci alla società, per cui non è possibile ravvisare l'esistenza di due distinti e contrapposti centri di interesse fra i soci e la società, requisito, quest'ultimo, necessario per la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato; ne consegue che, ove venga dedotta la sussistenza di un tale rapporto parallelo e distinto da quello sociale, è necessario procedere all'accertamento in concreto della sussistenza dei relativi presupposti.

Cass. civ. n. 1793/1996

Il rapporto organico che lega l'amministratore ad una società di capitali, non esclude la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato, a contenuto dirigenziale, fra il primo e la seconda (salvo il caso dell'amministratore unico della società, attesa l'incompatibilità fra l'autonomia che lo caratterizza e la subordinazione) considerata la natura parzialmente imprenditoriale dell'attività del normale dirigente, quale alter ego dell'imprenditore, e l'irrilevanza della eventuale mancanza di una posizione di debolezza contrattuale nei confronti della società, requisito non necessario per la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato. La sussistenza di tale rapporto in concreto va stabilita dal giudice di merito, accertando l'oggettivo svolgimento di attività estranee alle funzioni inerenti il rapporto organico, in posizione di subordinazione, sia pure nelle forme peculiari compatibili con la natura dirigenziale delle mansioni esercitate, restando comunque escluso che alla riconoscibilità di un rapporto di lavoro subordinato sia d'ostacolo la mera qualità di legale rappresentante della società, come presidente della stessa.

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Consulenze legali
relative all'articolo 2094 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Anonimo chiede
mercoledì 02/10/2024
“Ho 67 anni, compiuti lo scorso 16 agosto. Sono un lavoratore dipendente dal 12 maggio 1979, con un'interruzione a tutt'oggi (02/10/2024) di sole 2 (due) settimane (21/05/1980 - 31/05/1980), a seguito di un passaggio da un'azienda ad un'altra che si è concretizzato non in via continuativa. Ho provveduto, anche, al ricongiungimento del servizio militare, per il quale mi sono state riconosciute altre 51 settimane (14/12/1977 - 06/12/1978). Oggi la mia Azienda sarebbe disponibile, evidentemente per sue esigenze e senza alcun accordo formale, a trattenermi per tutto l'anno in corso e, anche, per qualche mese successivo. Ho letto il Vs. articolo pubblicato su "BROCARDI.IT" il 16/05/2024, dal titolo "Pensione 2024, ecco perché ti conviene andare subito in pensione: previsto un taglio nel 2025-2026 per la legge Fornero" e seguo gli sviluppi della Legge di stabilità del 2025, sui possibili scenari che potrebbero prospettarsi per la materia. La mia domanda è la seguente: <<Se dovessi rimanere in servizio fino alla fine del corrente anno e cioè fino a tutto il 31/12/2024 e indicare la decorrenza del mio assegno di pensione a partire dal 1° gennaio 2025, il calcolo si baserà sui coefficienti di trasformazione del biennio 2023-2024, oppure su quelli del biennio 2025-2026?>>.
Consulenza legale i 07/10/2024
Attualmente, la legge principale che regola i requisiti per la pensione di vecchiaia, è la Legge n. 214/2011, la cosiddetta Legge Fornero, che fissa l’età pensionabile in 67 anni e, almeno, 20 anni di contributi (requisiti da lei ampiamente soddisfatti).

Dalla riforma Fornero ad oggi i coefficienti di trasformazione per il calcolo della pensione sono stati rivisti più volte (nel 2013, 2016, 2019, 2021 e nel 2023); Ebbene, in tutti i casi, c’è stato un abbassamento degli stessi, stante il rialzo delle aspettative di vita.

L’unica eccezione è stata rappresentata dal biennio 2023-2024, a causa dell’effetto della pandemia, che, comportando un crollo delle aspettative di vita, ne ha determinato un rialzo.

Se dovesse rimanere in servizio fino al 31 dicembre 2024, il calcolo del suo assegno di pensione sarà fatto utilizzando i coefficienti di trasformazione del biennio 2025-2026, perché il calcolo della pensione si basa su coefficienti di trasformazione in vigore al momento della decorrenza della pensione. Questi verranno pubblicati ufficialmente verso la fine del 2024.

Se essi saranno o meno più favorevoli rispetto a quelli del biennio precedente, non è dato saperlo, fermo restando che le previsioni non lasciano ben sperare.

Rimanere ancora in azienda potrebbe portare dei vantaggi economici marginali.

A lei la scelta.





G. G. chiede
mercoledì 31/01/2024
“Ho adottato (adozione tra maggiorenni) come figlia (cittadina albanese con permesso di soggiorno), con sentenza passata in giudicato e con l'acquisizione del mio cognome, la Signora che svolgeva presso di me, prima dell'adozione, l'attività di collaboratrice familiare, regolarmente iscritta all'INPS e da me regolarmente retribuita (senza sostituto d'imposta).
La domanda è questa: "La Signora ora diventata mia figlia adottiva, può continuare a svolgere la stessa attività presso di me e alle stesse condizioni?" Oltre alla risposta secca sì o no, desidererei ricevere qualche ulteriore spiegazione.

In attesa, porgo distinti saluti


Consulenza legale i 09/02/2024
Il figlio adottivo può essere assunto in alcuni casi dai propri genitori ma è necessario fare attenzione. Infatti, l’INPS con il Messaggio numero 2819 del 14-07-2022 ha ribadito che “nell’ipotesi di prestazioni di lavoro tra parenti e affini conviventi, in virtù del vincolo che lega i soggetti coinvolti e della relativa comunione di interessi, la prestazione lavorativa si presume a titolo gratuito ed è, pertanto, necessario verificare l’eventuale sussistenza dei requisiti della subordinazione”.

L’INPS ha preso come riferimento gli elementi della subordinazione di cui a Cass., Sez. Lav., 27 febbraio 2018, n. 4535. Con tale Ordinanza la Corte di Cassazione ha ribadito gli elementi utili o indici oggettivi che consentono di riconoscere l’effettivo inserimento organizzativo e gerarchico del parente/affine nella organizzazione aziendale, qualificando il rapporto come subordinato: l’onerosità della prestazione; la presenza costante presso il luogo di lavoro previsto dal contratto; l’osservanza di un orario coincidente con quello dell’attività economica; il programmatico valersi da parte del titolare della prestazione lavorativa del familiare; la corresponsione di un compenso a cadenze fisse.

La domanda di assunzione della figlia adottiva dovrà, quindi, essere vagliata dall’INPS. L’istituto accoglie queste richieste, a patto che si tratti di lavoro regolarmente retribuito e con regolare busta paga e contribuzione versata.

Per quanto riguarda il lavoro di collaboratrice domestica, l’INPS pone spesso dei problemi poichè l’assistenza al genitore dovrebbe essere prestata a titolo gratuito. Ma se la persona da assistere è non autosufficiente ed avrebbe, in ogni caso, necessità di assumere una badante, l’assunzione di un figlio può essere accettata.

In ogni caso dovrà avvenire con regolare contratto, con busta paga e con il versamento degli stipendi e dei contributi.


M. G. chiede
martedì 19/09/2023
“Buongiorno,

ho necessità di un consulto legale in tema di diritto societario. Siamo due amministratori di una srl con firma disgiunta, abbiamo entrambi gli stessi poteri. Le nostre mogli sono socie della srl con una quota del 20% ciascuna, entrambe sono insegnanti quindi dipendenti pubblici, figurano solo come socie ma non lavorano in azienda. Il nostro commercialista, nel 2021, ci ha proposto una modifica dello statuto al fine di poter essere anche dipendenti della nostra azienda, conservando comunque anche la carica di amministratori. In questo modo avremmo diritto a più tutela e ad una pensione più corposa. Abbiamo formalizzato il tutto con un atto notarile di variazione statuto, in cui però si evidenzia: "qualora un amministratore venga assunto quale dipendente della società, la decisione circa l'assunzione, nonché la gestione del rapporto di lavoro, saranno esclusivamente delegati all'altro o agli altri amministratori NON dipendenti, in maniera da non far venire meno il rapporto di subordinazione". In realtà, poi, il consulente ci assume entrambi come dipendenti giustificando questa manovra come "un amministratore assume l'altro e fa' capo all'altro che diventa datore di lavoro, avendo entrambi funzioni aziendali diverse (io sono ingenere, l'altro elettricista specializzato)". Il nostro consulente del lavoro ci avvisa che quest'azione non è fattibile in quanto viene meno il rapporto di subordinazione e che l'inps potrà quindi non riconoscerci i contributi versati in età pensionabile o non considerare eventuali malattie o altro. Ci chiediamo quindi se ha ragione il nostro commercialista o il nostro consulente del lavoro, così da sistemare la questione e garantirci una pensione evitando delle contestazioni future.

Allego la variazione di statuto, con evidenziata la parte interessata, ed una visura camerale.

Cordiali saluti.


Consulenza legale i 27/09/2023
In giurisprudenza si è da tempo consolidato un orientamento giurisprudenziale secondo il quale “la qualità di socio ed amministratore di una società di capitali composta da due soli soci, entrambi amministratori, è compatibile con la qualifica di lavoratore subordinato, anche a livello dirigenziale, ove il vincolo della subordinazione risulti da un concreto assoggettamento del socio – dirigente alle direttive ed al controllo dell’organo collegiale amministrativo formato dai medesimi due soci (Cass., sez. L, 21 maggio 2002, n. 7465; Cass., 21 gennaio 1993, n. 706; Cass., sez. L, 25 maggio 1991, n. 5944; Cass., sez. L, 13 novembre 1989, n. 4781).

La qualità di amministratore di una società di capitali è, dunque, compatibile con la qualifica di lavoratore subordinato della stessa, ove sia accertato in concreto lo svolgimento di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale rivestita, con l’assoggettamento ad effettivo potere di supremazia gerarchica e disciplinare (Cass., sez. L, 26 ottobre 1996, n. 9368; Cass., 25 maggio 1991, n. 5944; Cass., sez. L, 11 novembre 1993, n. 11119; anche Cass., sez. 5, 28 aprile 2021, n. 11161). Pertanto, potendo in astratto coesistere nella stessa persona la posizione di socio di una società e quella di lavoratore subordinato della medesima, pure un socio, componente del consiglio di amministrazione di una società, può essere legato a quest’ultima da un rapporto di lavoro subordinato, purché appunto risulti in concreto assoggettato ad un potere disciplinare e di controllo esercitato dagli altri componenti dell’organo cui egli appartiene; mentre, in mancanza di siffatto assoggettamento, l’osservanza di un determinato orario di lavoro e la percezione di una regolare retribuzione non sono sufficienti da sole a far ritenere la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato (Cass., sez.L, 15 febbraio 1985, n. 1316).

Solo, quindi, nel caso di amministratore unico di società di capitali datrice di lavoro non è configurabile il vincolo di subordinazione perché mancherebbe la soggezione del prestatore ad un potere sovraordinato di controllo e disciplina, escluso dalla immedesimazione in unico soggetto della veste di esecutore della volontà sociale e di quella di unico organo competente ad esprimerla (Cass., sez. L, 29 maggio 1998, n. 5352; Cass., sez. L, 5 aprile 1990, n. 2823; anche Cass., sez. 5, 28 aprile 2021, n. 11161).

Si deve, peraltro, distinguere tra prestazione di lavoro ed attività di amministratore, anche quando la prima attività si esplichi al livello più elevato dell’organizzazione e della direzione. Si tratta di due attività che rimangono su piani giuridici differenti, dal momento che l’attività di amministratore si basa su una relazione di immedesimazione organica o al limite di mandato ex art. 2260 c.c.; sicché comporta, a seconda della concreta delega, la partecipazione ad un’attività di gestione, l’espletamento di un’attività di impulso e di rappresentanza che è rivolta ad eseguire il contratto di società assicurando il funzionamento dell’organismo sociale e, sotto certi aspetti, sua stessa esistenza. L’attività lavorativa, invece, è rivolta alla concreta realizzazione dello scopo sociale, al suo raggiungimento operativo, attraverso il concorso dell’opera prestata a favore della società dai soci e dagli altri lavoratori subordinati o autonomi.

La Corte di Cassazione con la sentenza del 23 novembre 2021, n. 36362 ha ribadito i citati arresti giurisprudenziali. In applicazione di questi principi, nel caso dei due soci amministratori di una società, da un lato, ha escluso la possibilità di svolgere un’attività di lavoro subordinato per il socio con la carica di presidente del consiglio di amministrazione. Dall’altro, con riferimento all’altro socio, componente del consiglio di amministrazione, la Cassazione ha ribadito che la qualità di amministratore di una società di capitali è compatibile con la qualifica di lavoratore subordinato della medesima solo ove sia accertata l’attribuzione di mansioni diverse dalle funzioni proprie della carica sociale rivestita. Nell’ipotesi in cui la suddetta diversità non sussista e si verifichi l’attribuzione soltanto delle funzioni proprie del rapporto organico la nullità del rapporto di lavoro avente ad oggetto tali funzioni non esclude il diritto al compenso eventualmente pattuito in favore degli amministratori della società (Cass., sez. L, 12 gennaio 2002, n. 329), con la ulteriore precisazione che, in caso di svolgimento di mansioni identiche, quindi quelle proprie della carica di amministratore, non vi è alcuna possibilità di deducibilità dei costi da attività di lavoro subordinato (Cass., 11 novembre 1993, n. 11119).

La Cassazione ha quindi rinviato alla Commissione tributaria, perché si adeguasse al seguente principio: “In tema di imposte sui redditi sussiste l’assoluta incompatibilità tra la qualità di lavoratore dipendente di una società di capitali e la carica di presidenza del consiglio di amministrazione o di amministratore unico della stessa, in quanto il cumulo nella stessa persona dei poteri di rappresentanza dell’ente sociale, di direzione, di controllo e di disciplina rende impossibile quella diversificazione delle parti del rapporto di lavoro e delle relative distinte attribuzioni che è necessaria perché sia riscontrabile l’essenziale ed indefettibile elemento della subordinazione, con conseguente indeducibilità dal reddito della società del relativo costo da lavoro dipendente. La compatibilità della qualità di socio amministratore, membro del consiglio di amministrazione di una società di capitali, con quella di lavoratore dipendente della stessa società, ai fini della deducibilità del relativo costo dal reddito di impresa, non deve essere verificata solo in via formale, con riferimento esclusivo allo statuto e alle delibere societarie, occorrendo invece accertare in concreto la sussistenza o meno del vincolo di subordinazione gerarchica, del potere direttivo e di quello disciplinare e, in particolare, lo svolgimento di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale rivestita“.

Anche l’Inps si è espressa sulla questione. In particolare, con il Messaggio INPS n. 3359 del 17/09/2019, l’Istituto ha dato le seguenti indicazioni:
“la valutazione della compatibilità dello status di amministratore di società di capitali (il riferimento è alle sole tipologie di cariche ritenute in astratto ammissibili) con lo svolgimento di attività di lavoro subordinato presuppone l’accertamento in concreto, caso per caso, della sussistenza delle seguenti condizioni:
  • che il potere deliberativo (come regolato dall’atto costitutivo e dallo statuto), diretto a formare la volontà dell’ente, sia affidato all’organo (collegiale) di amministrazione della società nel suo complesso e/o ad un altro organo sociale espressione della volontà imprenditoriale il quale esplichi un potere esterno;
  • che sia fornita la rigorosa prova della sussistenza del vincolo della subordinazione (anche, eventualmente, nella forma attenuata del lavoro dirigenziale) e cioè dell’assoggettamento del lavoratore interessato, nonostante la carica sociale, all’effettivo potere di supremazia gerarchica (potere direttivo, organizzativo, disciplinare, di vigilanza e di controllo) di un altro soggetto ovvero degli altri componenti dell’organismo sociale a cui appartiene;
  • il soggetto svolga, in concreto, mansioni estranee al rapporto organico con la società; in particolare, deve trattarsi di attività che esulino e che pertanto non siano ricomprese nei poteri di gestione che discendono dalla carica ricoperta o dalle deleghe che gli siano state conferite.
Alla luce degli orientamenti giurisprudenziali richiamati e del messaggio INPS pocanzi illustrato, si può concludere che il rapporto di subordinazione sia difendibile ogni volta che possa essere documentato e dimostrato con assoluta certezza ed in concreto un assoggettamento del co – amministratore al potere direttivo e disciplinare da parte di un organo superiore. Nel caso di specie, pertanto, in caso di controllo, si dovrebbe disporre, per esempio, di tutte le disposizioni che sono via via state impartite all’amministratore-dipendente, oppure degli eventuali procedimenti o provvedimenti disciplinari.
È chiaro, quindi, che l’onere probatorio sarebbe abbastanza gravoso, considerando i rapporti che di solito intercorrono tra i due amministratori.
Se, in caso di accertamento, uno degli enti preposti alla vigilanza dovesse orientarsi per l’assenza di subordinazione, tutte le prestazioni economiche a titolo di retribuzione sarebbero censurate ed assoggettata ad un diverso regime assicurativo e previdenziale.


ANDREA . . . . F. chiede
venerdì 05/08/2022 - Puglia
“Da circa un anno abbiamo una badante italiana che si occupa dell'assistenza ai miei suoceri dei quali uno è autosufficiente in tutto, invece l'altra è allettata con halzheimer.
la badante è assunta in nero, percepisce una retribuzione di € 850,00 mensili e svolge la propria attivita' lavorativa in via continuativa ovvero tutti i giorni compreso domeniche e festivi
con orario 08.00/14,00. Da circa un mese è deceduta mia suocera e la badante continua il suo lavoro relativamente a mio suocero che come detto è autosufficiente in tutto. Considerato che la mole di lavoro è molto meno impegnativa e pesante (rispetto a quando era in vita mia suocera considerato il suo stato di salute), da circa un mese la badante percipisce una retribuzione pari a € 650,00 mensili sempre in nero.
considerato che ad oggi non possiamo più economicamente sostenere tale spesa, abbiamo chiesto alla badante di interrompere il rapporto di lavoro. lei è daccordo però pretende la corresponsione di tutti i suoi diritti maturati nel corso di questo anno di lavoro. vorrei porre alcune domande:
1) che cosa e se dobbiamo corrispondere?
2) è possibile quantificare eventualmente anche la spesa?
3) nel caso decidessimo eventualmente di continuare il rapporto di lavoro sempre in nero, quali precauzioni legali dovremmo attuare per tutelarci un domani quando cesserà il rapporto di lavoro?
in attesa di riscontro stesso mezzo, anticipatamente ringrazio per la
gentile collaborazione.”
Consulenza legale i 22/08/2022
L’assunzione in nero di una badante, oltre ad essere illegale, comporta rischi sia dal punto di vista civile che amministrativo.

Da un lato, si rischia un’azione civile del lavoratore perché venga regolarizzato il contratto, con eventuali sanzioni, dall’altro, delle sanzioni da parte della pubblica amministrazione, d’ufficio o su segnalazione dei dipendenti.

Per un datore di lavoro che assume irregolarmente una badante in nero per più di 60 giorni effettivi di lavoro nero la sanzione minima è di 7.200 euro e la massima 43.200 euro.

Non meno gravi sono i rischi che si corrono nei confronti della lavoratrice.

Quest’ultima, infatti, potrebbe avviare una causa di lavoro e chiedere:

1) tutti gli stipendi maturati durante il rapporto di lavoro, il cui pagamento il datore non è in grado di dimostrare con modalità tracciabili. Il che significa che se la bandate è stata sempre pagata in contanti, quest’ultima potrà chiedere tutte le mensilità dal primo giorno di assunzione fino all’ultimo, fingendo di non aver ricevuto nulla. È possibile far valere tale diritto fino a cinque anni dopo la cessazione del rapporto di lavoro.
2) le differenze retributive: ciò succede quando il datore di lavoro è in grado di dimostrare l’avvenuto pagamento delle mensilità ma queste sono di importo inferiore rispetto a quanto stabilito dal contratto collettivo nazionale. Anche in questo caso, il termine di prescrizione è di cinque anni decorrenti dalla cessazione del rapporto lavorativo;
3) i contributi previdenziali: per ogni mese di retribuzione, sono dovuti anche i contributi previdenziali non versati dal datore di lavoro all’Inps;
4) il Tfr ossia il trattamento di fine rapporto che spetta nella misura di una mensilità di stipendio per ogni anno lavorato;
5) le ferie e i permessi non goduti;
6) l’indennità di preavviso per la cessazione in tronco del rapporto di lavoro.

Il calcolo preciso di quanto dovuto è di competenza di un consulente del lavoro e non può essere fatto in questa sede. Ad ogni modo, il costo di una badante part time in regola dovrebbe aggirarsi approssimativamente intorno ai 1000 euro al mese. Approssimativamente, pertanto, spetterebbero ulteriori 400 euro per ogni mese di lavoro.

Pur accordandosi con la lavoratrice per limitare tali richieste all’ultimo anno di lavoro, il rischio è che la stessa si rivolga comunque al giudice per ottenere quanto spettante nei 5 anni precedenti.

Infatti, l’accordo risulterebbe fondato su un contratto irregolare e pertanto non avrebbe alcun valore.

Per le medesime ragioni, non vi sono precauzioni legali da attuare, nel caso di proseguimento del rapporto sempre in nero. Si tratta di condotte illegali che in quanto tali non possono essere “tutelate” dalla legge.

Si consiglia di regolarizzare la badante per il futuro, per evitare sanzioni e cause da parte della lavoratrice.

FERRIERI S. chiede
giovedì 08/07/2021 - Campania
“Sono Amministratore Unico di una SRL, prima del mio incarico recente, il socio unico è stato assunto come dipendente dal precedente amministratore con la qualifica di impiegato direttivo di 1°liv. con mansioni di direttore amministrativo.
Ritengo che l'assunzione sia incompatibile con il ruolo di socio unico e perdi più addetto alla contabilità e Amministrazione.
Vorrei un parere legale prima di operare alcune decisioni che evidentemente si rifletteranno anche sulla mia diretta responsabilità nella mia qualità di Amministratore unico nominato dal Socio unico dipendente.
Grazie”
Consulenza legale i 12/07/2021
L’assunzione con un contratto di lavoro subordinato di un socio di una s.r.l. da parte di quest’ultima è teoricamente possibile, purché il socio non sia titolare di una partecipazione che gli permetta di esprimere la maggioranza in sede assembleare.

Ciò si spiega alla luce del fatto che l’art. 2094 c.c., che individua i presupposti di un rapporto di lavoro subordinato, stabilisce che si sia in presenza di un simile rapporto in tutti quei casi in cui il lavoratore è assoggettato alle direttive di un altro soggetto (datore di lavoro).

È evidente che la qualifica di socio unico, ovvero di una struttura societaria in cui un solo soggetto è in grado di esprimere la volontà della società, esclude alla radice la sussistenza degli indici di subordinazione richiesti dall’art. 2094 c.c., in quanto non vi può essere subordinazione verso se stessi.

Pertanto, nel caso di specie, l’attività svolta dal socio unico non può considerarsi relativa ad un rapporto di lavoro subordinato, dovendosi considerare nulla l’assunzione posta in essere dall’amministratore unico a suo tempo.

Ciò comporta inevitabilmente anche la possibile insorgenza di specifiche responsabilità in capo all’amministratore per aver gravato la società di costi di lavoro inesistenti, atteso che non era possibile inquadrare l’attività svolta dal socio unico nell’alveo del rapporto di lavoro subordinato.

David B. chiede
lunedì 05/03/2018 - Lazio
“Buongiorno vorrei avere una risposta se possibile e per questo ringrazio in anticipo.
Sono un docente di scuola superiore che il sabato e la domenica svolge un lavoro con partita iva come attività di collaborazione amministrativa in un centro privato. Ci lavoro da più di 11 anni e pur avendo la partita iva non mi hanno mai firmato un contratto. Domanda: nel mio caso la struttura può mandarmi via quando vuole oppure vige la regola che un contratto a tempo determinato non concluso in forma scritta si considera un rapporto a tempo indeterminato? Grazie”
Consulenza legale i 09/03/2018
Il personale docente, educativo e ATA della Scuola, in quanto personale rientrante nella categoria di pubblici dipendenti, è soggetto a divieti relativi all’esercizio di altre attività lavorative.
Ai sensi del disposto di cui all’articolo 508, comma 10 del D.L.vo n. 297/94 (Testo Unico), il personale docente non può esercitare attività commerciale, industriale o professionale, né può accettare o mantenere impieghi alle dipendenze di privati (art. 2094 c.c.) o accettare cariche in società costituite a fini di lucro, tranne che si tratti di cariche in società od enti per i quali la nomina è riservata allo Stato.
Tale divieto non si applica nel caso di personale nei cui confronti sia stata disposta la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale, con una prestazione lavorativa non superiore al 50 per cento di quella a tempo pieno.
Tale personale è tuttavia tenuto a comunicare lo svolgimento dell’attività aggiuntiva, a pena di decadenza dall’impiego, secondo quanto previsto dall’articolo 1, comma 61, della legge n. 662 del 23.12.1996 (finanziaria 1997).
Ai sensi del disposto di cui all’articolo 508, comma 15 del D.L.vo n. 297/94 (Testo Unico), al personale docente è consentito, previa autorizzazione del direttore didattico o del preside, l'esercizio di libere professioni che non siano di pregiudizio all'assolvimento di tutte le attività inerenti alla funzione docente e siano compatibili con l'orario di insegnamento e di servizio.
Orbene, anche se dal 2015 ha aperto la partita IVA per regolare fiscalmente il pagamento del corrispettivo percepito, l’attività da lei prestata durante il fine settimana potrebbe non essere riconducibile all’esercizio di libera professione, consentito, in ogni caso a pena di decadenza dall’impiego, previa autorizzazione del dirigente scolastico, ai sensi del disposto di cui all’articolo 508, comma 15 del D.L.vo n. 297/94.
In effetti, da quanto riferisce nel quesito, la prestazione lavorativa da Lei svolta al di fuori del rapporto di pubblico impiego, sembrerebbe invece essere caratterizzata da rilevanti elementi di subordinazione e dipendenza nei confronti del datore di lavoro e, pertanto, ricadrebbe nel divieto di cui all’art. 508, comma 10 del D.L.vo 297/94.
Alla luce di quanto sopra, per ottenere le tutele che l’ordinamento giuridico assicura al lavoratore dipendente (subordinato), se il rapporto di lavoro non è regolarizzato, bisogna preliminarmente richiedere l’accertamento giudiziale del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e, successivamente richiedere l’applicazione delle tutele riconosciute dallo Statuto dei Lavoratori (art. 18 della Legge 300/1970) e/o dalla Legge 604/1966.
Ad ogni buon conto, bisogna evidenziare che il caso di specie, presenta elementi di elevato rischio in relazione al concomitante rapporto di pubblico impiego regolato in generale dalla Legge 165/2001.


Vincenzo S. chiede
giovedì 05/01/2017 - Campania
“Gent.le Brocardi.
La mia domanda credo faccia parte di quello che riguarda la previdenza sociale.
Ho 47 anni e, dopo 20 anni passati a lavorare, mi trovo tragicamente disoccupato.
Sono circa 4 anni che cerco lavoro invano, e, data la situazione, ho bisogno di qualche delucidazione.
Mi sono informato, e, ai fini previdenziali a tutt'oggi la legge italiana non prevede nessuna reversibilità di pensione per i figli maggiorenni abili al lavoro.
Mia madre è molto anziana, e io sono molto preoccupato, perché come potete immaginare se venisse tragicamente a mancare io andrei a vivere sotto a un ponte non avendo nessun sostentamento economico.
Cosa mi consigliate di fare, o meglio da un punto di vista legale, posso fare qualcosa per evitare l'inevitabile?
Considerate che io ho versato a questo "magnifico" stato 20 anni di contributi, e vorrei sapere che fine faranno.
In attesa di vostra risposta distintamente saluto”
Consulenza legale i 22/01/2017
Purtroppo la pensione di reversibilità in favore dei figli spetta solo per quei figli che – benché maggiorenni – siano studenti universitari e a carico del dante causa (il genitore) al momento della scomparsa. In ogni caso, la pensione cesserà automaticamente non appena il figlio compia 26 anni di età, a prescindere dal raggiungimento della laurea o della indipendenza economica (ciò ai sensi dell’art. 22 della legge n. 903/1965).

Inoltre, essendo Lei disoccupato da circa quattro anni, non percepisce nemmeno più la c.d. Aspi (Assicurazione sociale per l’impiego) né la nuova Naspi (Nuova assicurazione sociale per l’impiego), in vigore proprio dal 2016.
La nuova legge di bilancio ha previsto la c.d. Ape social (la pensione anticipata) che però – tra gli altri requisiti – prevede che la richiesta possa essere presentata solo da chi ha compiuto 63 anni di età. Lo stesso vale per la c.d. pensione anticipata contributiva: sono invero sufficienti 20 anni di contributi (e 7 mesi, dato l’adeguamento alla speranza di vita) ma si necessita pur sempre di 63 anni di età compiuti.

Non è chiaro se al momento Lei beneficia ancora della vecchia mobilità (che altro non è che un beneficio previsto favore di chi la assume): in tal caso, Le occorrerebbe recarsi al Centro per l’Impiego competente per territorio e farlo presente, anche al fine di una occupazione a tempo determinato ovvero nei c.d. “cantieri lavoro” (si informi presso il Suo comune: sono veri e proprio contratti a tempo determinato posti in essere dal Comune con lavoratori disoccupati).

Dal punto di vista pratico, ciò che possiamo consigliarle di fare è chiedere a Sua madre la stipula di un’assicurazione sulla propria vita (prevista dall’art. 1919 c.c.) che preveda Lei quale beneficiario, magari con l’ulteriore previsione di una rendita vitalizia in luogo della riscossione dell’eventuale intero premio.

Inoltre, si rivolga ad un CAF (Centro di Assistenza Fiscale) presente in ogni Comune d’Italia, al fine di fare chiarezza sulla Sua situazione contributiva ai fini pensionistici. Le ricordiamo che è possibile richiedere i bonus gas e luce per ottenere uno sconto sulle bollette di energia elettrica e gas solo presentando il modello ISEE (rectius, DSU) al Suo comune.

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