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Articolo 1667 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Difformità e vizi dell'opera

Dispositivo dell'art. 1667 Codice Civile

L'appaltatore è tenuto alla garanzia per le difformità e i vizi dell'opera. La garanzia non è dovuta se il committente ha accettato l'opera [1665] e le difformità o i vizi erano da lui conosciuti o erano riconoscibili(1), purché in questo caso, non siano stati in malafede(2) taciuti dall'appaltatore(3).

Il committente deve, a pena di decadenza, denunziare all'appaltatore le difformità o i vizi entro sessanta giorni dalla scoperta. La denunzia non è necessaria se l'appaltatore ha riconosciuto le difformità o i vizi o se li ha occultati [1670].

L'azione contro l'appaltatore si prescrive in due anni dal giorno della consegna dell'opera. Il committente convenuto per il pagamento può sempre far valere la garanzia, purché le difformità o i vizi siano stati denunciati entro sessanta giorni dalla scoperta e prima che siano decorsi i due anni dalla consegna [181 disp. att.; 240, 855 c. nav.].

Note

(1) Riconoscibili con la diligenza dell'uomo comune (v. 1176 c.c.).
(2) La malafede, che non riceve mai protezione dall'ordinamento, è integrata dal semplice silenzio dell'appaltatore.
(3) Le tesi più recenti ritengono che si tratti di una responsabilità contrattuale (1218 c.c.) che sorge se l'opera è difforme dalle pattuizioni contrattuali o dalle regole dell'arte.

Ratio Legis

La norma si spiega considerando che il committente ha diritto alla consegna di un'opera immune da vizi: pertanto, l'appaltatore risponde della loro presenza. Tuttavia, la certezza dei rapporti giuridici impone precisi termini di prescrizione e decadenza per far valere tali vizi.
Infine, la norma stabilisce l'imprescrittibilità della eccezione per far valere i vizi dell'opera, in quanto, altrimenti, l'appaltatore potrebbe attendere fino allo scadere del termine ed agire per ottenere il prezzo ed il committente non potrebbe opporsi.

Spiegazione dell'art. 1667 Codice Civile

Il risultato dell'opera

L'appaltatore, come suo obbligo fondamentale, è tenuto ad eseguire bene l'opera affidatagli, con materiali idonei e a perfetta regola d'arte. L'inosservanza di queste regole essenziali nella condotta degli appalti porta ad affermare che l'assuntore è tenuto a garantire il risultato tecnico dell'opera dedotta in contrario.

La legge circoscrive i limiti di questa responsabilità, e bene a ragione, perché l'imprenditore non è tenuto a garantire altro risultato che quello tecnico. Egli non è obbligato a conoscere se il complesso dell'opera compiuta sia conforme alle previsioni che se ne era formato il committente, e quando ha bene assolto il compito essenzialmente tecnico dell'appalto non deve rispondere d'altro. Per chiarire con un esempio il nostro pensiero diremo che l'appaltatore di un palazzo non è tenuto a rispondere se, ad opera finita, il palazzo risulta brutto o antiestetico e se, per tale motivo, ha minor pregio o minore valore commerciale di quanto sperava il committente.

Vi sono tuttavia dei casi nei quali la riuscita dell'opera è dedotta in contratto e forma anzi lo scopo principale dell'appalto. Così chi as­sume di costruire un ascensore deve garantire il funzionamento dell'ascensore stesso e non basta quindi che abbia fornito e messo in opera la cabina, i motori ecc., ma deve sistemare le varie parti in modo che l'ascensore funzioni bene e senza pericolo per le persone che debbono manovrarlo.
Questi casi tuttavia, mentre possono considerarsi eccezionali, hanno nella pratica una loro particolare regolamentazione e quindi l'osservanza delle clausole contrattuali stabilisce il limite di responsabilità dell'assuntore, confermando la norma fondamentale, sancita dal codice, che cioè l'assuntore risponde solo dei risultati tecnici dell'opera.


Difetti nella costruzione

Il codice, dunque, comincia col comminare la responsabilità dell'assuntore chiamandolo tenuto alla garanzia per le difformità ed i vizi dell'opera.

La prescrizione della legge si scinde, come si vede, in due ipotesi e cioè le difformità, vale a dire la non corrispondenza dell'opera eseguita alle previsioni del contratto, ed i vizi di costruzione. La prima ipotesi può, all'atto pratico non avere soverchia importanza, ma l'apprezzamento soggettivo del committente — a meno che non si possa dimostrare uno spirito volutamente litigioso — ha importanza maggiore che non nell'accertamento oggettivo della esistenza dei vizi. Infatti l'assuntore, mentre può bene far constare che i pretesi vizi non esistono, non può imporre al committente di accettare un'opera difforme da quella ordinatagli. Anche qui sarà questione di grado e di misura, ma il principio fondamentale rimane quello accennato.

Più grave — come rileviamo — è la questione dei vizi di costruzione, e la riteniamo più grave perché mentre la constatazione obiettiva sopra accennata potrà chiarire, all'atto pratico, l'importanza dei denunziati vizi, viceversa la soluzione riparatrice è meno agevole che nel caso precedente. Perché la difformità del progetto può bene risolversi o in una accettazione con diminuzione di prezzo o nel caso di rifiuto in una vendita dell'opera compiuta ad un eventuale acquirente; mentre la riparazione dei vizi può importare nuova esecuzione dei lavori eseguiti. Vero è che qualche autore avvertendo che la demolizione e la ricostruzione sono il « summum ius » della materia, suggerisce di non ordinarle se non quando i lavori mal fatti a nessun prezzo possono conservarsi; ma è da osservare in contrario che alle volte, una tolleranza mal posta può portare col tempo a gravi conseguenze e non sempre la responsabilità decennale dell'appaltatore basta a coprire danni che potevano evitarsi o attenuarsi con un rifacimento ordinato ed eseguito tempestivamente.

Ad ogni modo il codice tempera il rigore della prima proposizione perché avverte che la garanzia non è dovuta se il committente ha accettato l'opera e le difformità o i vizi erano da lui conosciuti o riconoscibili, purché, in questo caso, non siano stati in malafede taciuti dall'appaltatore. Tolto il caso della malafede, il punto essenziale di queste prescrizioni è quello di conoscere in che modo si possa ritenere che i vizi erano riconoscibili. Una soluzione teorica o d'ordine generale non è possibile e la soluzione va quindi cercata nella doppia relazione tra l'entità dei vizi e l'entità dell'opera eseguita, e, in dannata ipotesi, sarà danno per il committente se, sfornito di cognizioni tecniche o adeguate allo scopo, accettò un'opera senza il sussidio di persona competente che poteva agevolmente scoprire i vizi costruttivi.


La denuncia dei difetti e l'azione giudiziale

Le disposizioni del codice proseguono col diffidare il committente di denunciare all'appaltatore i vizi o le difformità entro sessanta giorni dalla scoperta, e ciò a pena di decadenza. Aggiunge lo stesso comma che la denuncia non è necessaria se l'appaltatore ha riconosciuto la difformità o il vizio o se li ha occultati.

La denuncia all'appaltatore è scevra di formalità: comunque il committente in casi dubbi, avrà cura di cautelarsi intimando una denunzia della quale potrà avere tanto la prova di averla eseguita quanto quella che sia effettivamente e tempestivamente giunta all'appaltatore. La cautela tanto più si impone, in quanto il codice commina la decadenza nel caso che la denuncia segua dopo sessanta giorni dalla scoperta delle difformità o dei vizi.
La denuncia non occorre se l'appaltatore ha riconosciuto i vizi o li ha occultati: ora, mentre nessuna difficoltà vi è nel primo punto perché il riconoscimento toglie materia ad ogni discussione sull' an debeatur qualche difficoltà può sorgere sull'occultamento e la prova che dovrà fornire il committente non sarà in pratica sempre agevole. Ad ogni modo si tratterà sempre di questione di prove, ma non di semplici presunzioni.
L'azione giudiziale, come espressamente è stabilito dal codice, si prescrive in due anni dal giorno della consegna dell'opera, e pertanto la scoperta di vizi occulti posteriori a tale termine ricade a carico del committente, a meno che i vizi non siano tali da influire sulla stabilità dell'opera e coinvolgere la responsabilità decennale dell'appaltatore nei limiti e con le modalità indicate dall'art. 1669. Del resto è da notare che un periodo di due anni è più che sufficiente per scoprire eventuali vizi occulti, mentre la difformità tra l'opera appaltata e quella eseguita non è elemento tale da avere bisogno di un lungo lasso di tempo per il suo esame. Il termine accordato dal codice risulta pertanto abbastanza equo per tutelare gli interessi di entrambe le parti: quello del committente perché in due anni l'assetto dell'opera compiuta permette di saggiarne la bontà più che non si possa fare col collaudo e quello del costruttore che non è tenuto ad attendere un tempo eccessivo per essere definitivamente liberato dalle sue obbligazioni.

II codice aggiunge che il committente, convenuto per il pagamento, può sempre far valere la garanzia, purché entro l'anno abbia denunciato tempestivamente la difformità o il vizio. La disposizione a piana e non ha bisogno di commento.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

478 Ho leggermente modificato la disposizione dell'articolo 511 del progetto concernente la responsabilità per difformità o per vizi dell'opera, allo scopo di accentuare il parallelismo innegabile fra siffatta responsabilità e quella del venditore per i vizi della cosa (articolo 542).
Così ho disposto che la denuncia del vizio, che di regola deve essere fatta a pena di decadenza, non è necessaria quando l'appaltatore lo abbia riconosciuto o quando lo abbia fraudolentemente dissimulato; ho trasformato il termine di decadenza dell'azione in un termine di prescrizione portandolo da 6 mesi a un anno, e facendolo decorrere dalla consegna anziché dall'accettazione; ho infine esteso a questa ipotesi la regola posta per la vendita, che il committente, se entro l'anno ha scoperto e tempestivamente denunciato il vizio, può sempre far valere in via di eccezione la responsabilità dell'appaltatore.

Massime relative all'art. 1667 Codice Civile

Cass. civ. n. 7267/2023

In tema di garanzia per difformità e vizi nell'appalto, una volta che l'opera sia stata accettata senza riserve dal committente, anche "per facta concludentia", spetta a quest'ultimo, che ne ha la disponibilità fisica e giuridica, dimostrare l'esistenza dei vizi e delle conseguenze dannose lamentate e, qualora essi risultino provati, si presume la colpa dell'appaltatore, al quale spetta, in base alle regole generali sulla responsabilità del debitore, non solo dimostrare di avere adoperato la diligenza e la perizia tecnica dovute, ma anche il fatto specifico, a lui non imputabile, che abbia causato il difetto

Cass. civ. n. 7041/2023

In tema di inadempimento del contratto d'appalto, laddove l'opera risulti ultimata, il committente, convenuto per il pagamento, può opporre all'appaltatore le difformità ed i vizi dell'opera, in virtù del principio "inadimpleti non est adimplendum" al quale si ricollega la più specifica disposizione dettata dal secondo periodo dell'ultimo comma dell'art. 1667 c.c., analoga a quella di portata generale di cui all'art. 1460 c.c. in materia di contratti a prestazioni corrispettive, anche quando la domanda di garanzia sarebbe prescritta ed, indipendentemente, dalla contestuale proposizione, in via riconvenzionale, di detta domanda, che può anche mancare, senza pregiudizio alcuno per la proponibilità dell'eccezione in esame.

Cass. civ. n. 19343/2022

Il semplice riconoscimento dei vizi e delle difformità dell'opera da parte dell'appaltatore implica la superfluità della tempestiva denuncia da parte del committente, ma da esso non deriva automaticamente, in mancanza di un impegno in tal senso, l'assunzione in capo all'appaltatore dell'obbligo di emendare l'opera, che, ove configurabile, è una nuova e distinta obbligazione soggetta al termine di prescrizione decennale; ne consegue che il predetto riconoscimento non impedisce il decorso dei termini brevi della prescrizione previsti in tema di appalto.

In tema di appalto, per la piena e completa conoscenza dei vizi e delle loro cause non è necessario che, ai fini della denuncia, sia previamente espletato un accertamento peritale, qualora i vizi medesimi, anche in assenza o prima di esso, presentino caratteri tali da poter essere individuati nella loro esistenza ed eziologia. La valutazione della sussistenza di tali profili compete al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, ove adeguatamente motivata.

Cass. civ. n. 11606/2022

In tema di responsabilità dell'appaltatore per difetti di costruzione di un immobile condominiale, ai sensi degli artt. 1667 e 1668 c.c., la relativa azione, di natura contrattuale, spetta soltanto al committente, ossia ai singoli condòmini, nei cui confronti l'appaltatore si è obbligato, con esclusione della solidarietà attiva, sicché, se ad agire in giudizio è il singolo condòmino, egli, in difetto di un idoneo titolo negoziale preesistente legittimante la rappresentanza comune, può ottenere, con riferimento ai danni delle parti comuni, il risarcimento corrispondente alla sua quota parte sull'intero, spettando invece ai singoli proprietari la legittimazione ad agire per il risarcimento dei danni provocati agli immobili di proprietà esclusiva, con esclusione del litisconsorzio necessario.

Cass. civ. n. 5434/2021

La riunione di cause connesse lascia inalterata l'autonomia dei giudizi per tutto quanto concerne la posizione assunta dalle parti in ciascuno di essi, con la conseguenza che le statuizioni e gli atti riferiti ad un processo non si ripercuotono sull'altro processo sol perché questo è stato riunito al primo. (La S.C. ha confermato il principio in giudizio relativo a cause connesse e riunite, in una sola delle quali la convenuta aveva proposto, ai sensi dell'art. 1667, comma 2, c.c., l'eccezione di decadenza del committente dalla possibilità di far valere i vizi o le difformità dell'opera).

Cass. civ. n. 22093/2019

In materia di appalto avente ad oggetto la costruzione di edifici o di altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, l'indagine volta a stabilire se i difetti costruttivi ricadano nella disciplina dell'art. 1669 c.c., che comporta la responsabilità extracontrattuale dell'appaltatore, ovvero in quella posta dagli artt. 1667 e 1668 c.c. in tema di garanzia per le difformità e i vizi dell'opera, rientra nei compiti propri del giudice del merito, coinvolgendo l'accertamento e la valutazione degli elementi di fatto del caso concreto. Al giudice di merito spetta altresì stabilire - con accertamento sottratto al sindacato di legittimità, ove adeguatamente motivato - se le acquisizioni processuali sono sufficienti a formulare compiutamente il giudizio finale sulle caratteristiche dei difetti, dovendo egli, al riguardo, accertare se essi, pur afferendo ad elementi secondari ed accessori, siano tali da incidere negativamente, pregiudicandoli in modo considerevole nel tempo, sulla funzionalità e sul godimento dell'immobile.

Cass. civ. n. 20184/2019

In tema di appalto sussiste la concorrenza delle garanzie previste dagli artt. 1667 e 1669 c.c., in vista del rafforzamento della tutela del committente; ne consegue che, ove a fondamento della domanda siano dedotti difetti della costruzione così gravi da incidere sugli elementi essenziali dell'opera stessa, influendo sulla sua durata e compromettendone la conservazione, il giudice è sempre tenuto, ove le circostanze lo richiedano, a qualificare la domanda, in termini di risarcimento per responsabilità extracontrattuale (art. 1669 c.c.), ovvero contrattuale di adempimento o riduzione del prezzo e risoluzione (art. 1667 c.c.). (Nella specie la S.C., in riforma della pronuncia di merito, ha affermato l'obbligo per il giudice, di fronte a denuncia tardiva ex art. 1667 c.c. di verificare la riconducibilità della domanda nell'ambito della garanzia per responsabilità ex art. 1669 c.c.).

Cass. civ. n. 12803/2019

In tema di appalto, le domande di risoluzione del contratto e quelle di riduzione del prezzo o di eliminazione dei vizi non sono tra loro incompatibili, con la conseguenza che ne è ammesso il cumulo in un unico giudizio, non ostandovi il disposto dell'art. 1453, comma 2, c.c., che, per i contratti con prestazioni corrispettive, impedisce di chiedere l'adempimento dopo che sia stata domandata la risoluzione del contratto.

Cass. civ. n. 10501/2019

I termini di decadenza e prescrizione per l'esperimento dell'azione di garanzia di cui all'art. 1667 c.c., nei confronti dell'appaltatore di opera pubblica, iniziano a decorrere dall'approvazione del collaudo riguardo ai vizi e ai difetti rivelatisi precedentemente o contemporaneamente al suo esperimento, poiché è solo con il collaudo che l'opera può dirsi formalmente accettata dalla P.A., sempre che esso sia avvenuto nel rispetto dei termini previsti dalla legge; in mancanza di collaudo, decorrono dalla scadenza del termine previsto per lo stesso, tranne che il committente dimostri che questo non sia avvenuto per fatto imputabile all'impresa.

Cass. civ. n. 4511/2019

La speciale disposizione di cui all'art. 1669 c.c. integra - senza escluderne l'applicazione - la disciplina generale in materia di inadempimento delle obbligazioni con la conseguenza che, in caso di opera non ultimata, restando l'appaltatore inadempiente all'obbligazione contrattuale assunta, si applicano le norme generali in tema di risoluzione per inadempimento ex artt. 1453 e ss. c.c., mentre la speciale garanzia prevista dagli artt. 1667 e 1668 c.c. trova applicazione nella diversa ipotesi in cui l'opera sia stata portata a termine.

Cass. civ. n. 98/2019

In tema di inadempimento del contratto di appalto, spetta all'appaltatore, che agisca in giudizio per ottenere il pagamento del corrispettivo, di provare l'esatto adempimento della propria obbligazione, ove il committente ne eccepisca l'inadempimento.

Cass. civ. n. 11/2019

In tema di contratto di appalto, la consegna dell'opera e la sua accettazione (anche se presunta ai sensi dell'art. 1665, comma 3, c.c.) liberano l'appaltatore esclusivamente dalla responsabilità per vizi palesi e riconoscibili dal committente ex art. 1667 c.c., i quali devono necessariamente essere fatti valere in sede di verifica o collaudo.

Cass. civ. n. 21327/2018

La responsabilità dell'appaltatore nei confronti del committente per i difetti dell'opera a norma degli artt. 1667 e 1668 c.c. non ammette esclusioni (salvo quelle dipendenti dall'accettazione senza riserve dell'opera e del venir meno della garanzia per effetto di decadenza) e neppure limitazioni, dato che l'art. 1668, comma 1, c.c. pone a carico dell'appaltatore tutte le conseguenze dell'inesatto adempimento, obbligandolo a sopportare, a seconda della scelta operata dal committente, l'onere integrale dell'eliminazione dei vizi, o la riduzione del prezzo, salvo il risarcimento del danno, senza alcun riguardo alla consistenza e al costo dei lavori di riparazione o alla misura massima della diminuzione del corrispettivo dell'appalto.

Cass. civ. n. 16830/2018

L'azione di rivalsa del committente nei confronti dell'appaltatore per le somme erogate a terzi a titolo di risarcimento dei danni prodotti dall'esecuzione dell'opera appaltata è soggetta all'ordinario termine di prescrizione, e non al regime di decadenza e prescrizione breve di cui all'art. 1667 c.c., atteso che in tale ipotesi non viene azionata la speciale garanzia di cui agli artt. 1667 e 1668 c.c., bensì una ordinaria azione di risarcimento danni da inadempimento contrattuale o da illecito extracontrattuale.

Cass. civ. n. 14815/2018

L'impegno dell'appaltatore ad eliminare i vizi denunciati dal committente costituisce tacito riconoscimento degli stessi e, senza novare l'originaria obbligazione gravante sull'appaltatore, ha l'effetto di svincolare il diritto alla garanzia del committente dai termini di decadenza e prescrizione di cui all'art. 1667 c.c., costituendo fonte di un'autonoma obbligazione di "facere" che si affianca a quella preesistente legale di garanzia. Tale nuova obbligazione, però, poiché non estingue quella originaria, può concernere i soli difetti contestati dal committente, non potendosi estendere ad ogni problematica che sia sorta successivamente con riferimento all'oggetto dell'appalto. (In applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha escluso che l'impegno dell'appaltatore a rimuovere i difetti della "res" assunto prima dell'ultimazione dell'incarico potesse riferirsi a vizi che il committente aveva scoperto dopo la fine dei lavori).

Cass. civ. n. 18285/2016

Il direttore dei lavori per conto del committente esercita i medesimi poteri di controllo sull'attuazione dell'appalto che questi ritiene di non poter svolgere di persona, sicché ha il dovere, attesa la connotazione tecnica della sua obbligazione, di vigilare affinché l'opera sia eseguita in maniera conforme al progetto, al capitolato e alle regole della buona tecnica, senza che da tale attività derivi la sua corresponsabilità con l'appaltatore per i difetti dell'opera derivanti da vizi progettuali, salvo egli sia stato espressamente incaricato dal committente di svolgere anche l'attività, aggiuntiva rispetto a quella oggetto della sua normale prestazione, di verificare la fattibilità e l'esattezza tecnica del progetto.

Cass. civ. n. 8700/2016

In materia di appalto, il principio dell'esclusione di responsabilità per danni in caso di soggetto ridotto a mero esecutore di ordini ("nudus minister") non si applica al direttore dei lavori che, per le sue peculiari capacità tecniche, assume nei confronti del committente precisi doveri di vigilanza, correlati alla particolare diligenza richiestagli, gravando su di lui l'obbligazione di accertare la conformità sia della progressiva realizzazione dell'opera appaltata al progetto sia delle modalità dell'esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica, sicché non è esclusa la sua responsabilità nel caso ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo nonché di controllarne l'ottemperanza da parte dell'appaltatore e, in difetto, di riferirne al committente.

Cass. civ. n. 7370/2015

In tema di appalto, il direttore dei lavori, quale rappresentante del committente, deve avere le competenze necessarie a controllare la corretta esecuzione delle opere da parte dell'appaltatore e dei suoi ausiliari, essendo altrimenti tenuto ad astenersi dall'accettare l'incarico o a delimitare, sin dall'origine, le prestazioni promesse, sicché è responsabile nei confronti del committente se non rileva in corso d'opera l'inadeguatezza delle opere strutturali, sebbene affidate ad altro professionista, salvo che dimostri che i vizi potevano essere verificati solo a costruzione ultimata.

Cass. civ. n. 20557/2014

In tema di appalto, il direttore dei lavori ha la funzione di tutelare la posizione del committente nei confronti dell'appaltatore, vigilando che l'esecuzione dei lavori abbia luogo in conformità con quanto stabilito dal capitolato di appalto, senza che da ciò derivi a suo carico una responsabilità per la cattiva esecuzione dei lavori, che resta imputabile alla libera iniziativa dell'appaltatore, ovvero per l'omessa costante vigilanza in relazione a profili marginali dell'esecuzione dell'opera. (Omissis).

Cass. civ. n. 2733/2013

In tema di appalto, il riconoscimento da parte dell'appaltatore dei vizi e delle difformità dell'opera, agli effetti dell'art. 1667, secondo comma, c.c., non richiede la confessione giudiziale o stragiudiziale della sua responsabilità, né formule sacramentali e può, pertanto, manifestarsi per fatti concludenti, essendo sufficiente, affinché l'eccezione di decadenza del committente dalla garanzia per vizi possa ritenersi rinunciata e preclusa, che l'appaltatore abbia tenuto, nel corso del giudizio di primo grado, un comportamento incompatibile con la volontà di avvalersi di detta decadenza.

Cass. civ. n. 8016/2012

L'appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale "nudus minister", per le insistenze del committente ed a rischio di quest'ultimo. Pertanto, in mancanza di tale prova, l'appaltatore è tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all'intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell'opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, né l'efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori.

Cass. civ. n. 6263/2012

L'appaltatore, attivandosi per rimuovere i vizi denunciati dal committente, tiene una condotta che costituisce tacito riconoscimento di quei vizi, e che - senza novare l'originaria obbligazione gravante sull'appaltatore - ha l'effetto di svincolare il diritto alla garanzia del committente dai termini di decadenza e prescrizione di cui all'art. 1667 c.c.

Cass. civ. n. 4454/2012

Nell'appalto privato per la costruzione di un immobile, la vigilanza sulla regolare realizzazione dell'opera, che compete al direttore dei lavori nominato dal committente, non comprende il controllo della qualità dei materiali utilizzati dall'appaltatore.

Cass. civ. n. 4446/2012

In tema di inadempimento del contratto di appalto, le disposizioni speciali di cui agli artt. 1667, 1668 e 1669 c.c. integrano — senza escluderne l'applicazione - i principi generali in materia di inadempimento delle obbligazioni, con la conseguenza che, nel caso in cui l'opera sia stata realizzata in violazione delle prescrizioni pattuite o delle regole tecniche, il committente, convenuto per il pagamento del prezzo, può — al fine di paralizzare la pretesa avversaria — opporre le difformità e i vizi dell'opera, in virtù del principio "inadimplenti non est adimplendum", richiamato dal secondo periodo dell'ultimo comma dell'art. 1667 c.c., anche quando non abbia proposto, in via riconvenzionale, la domanda di garanzia o la stessa sia prescritta.

Cass. civ. n. 11520/2011

In tema di appalto, ai fini di cui all'art. 1667 c.c., non è necessaria una denuncia specifica ed analitica delle difformità e dei vizi dell'opera, tale da consentire l'individuazione di ogni anomalia di quest'ultima, essendo, per converso, sufficiente ad impedire la decadenza del committente dalla garanzia cui è tenuto l'appaltatore una pur sintetica indicazione delle difformità suscettibile di conservare l'azione di garanzia anche con riferimento a quei difetti accertabili, nella loro reale sussistenza, solo in un momento successivo. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto eccessivamente generica la denuncia di "carenze nel fabbricato", in quanto non idonea a consentire di avere cognizione, sia pure in modo conciso, dei vizi riscontrati). 

Cass. civ. n. 10927/2011

In tema di contratto di appalto, la responsabilità dell'appaltatore per i vizi dell'opera sussiste ancorché essi siano riconducibili ad una condizione posta in essere da un terzo (nella specie la diversa impresa esecutrice dei lavori di sottofondo del pavimento poi completato dall'appaltatore), essendo invero questi tenuto verso il committente, per aver assunto un'obbligazione di risultato e non di mezzi, a realizzare l'opera a regola d'arte e rispondendo anche per le condizioni imputabili allo stesso committente o a terzi se, conoscendole o potendole conoscere con l'ordinaria diligenza, non le abbia segnalate all'altra parte, né abbia adottato gli accorgimenti opportuni per far conseguire il risultato utile, salvo che, in relazione a tale situazione, ottenga un espresso esonero di responsabilità.

Cass. civ. n. 470/2010

L'appaltatore risponde dei difetti dell'opera quando accetti senza riserve i materiali fornitigli dal committente, sebbene questi presentino vizi o difformità riconoscibili da un tecnico dell'arte o non siano adatti all'opera da eseguire ed i difetti denunziati dal committente derivino da quei vizi o da quella inidoneità.

Cass. civ. n. 22344/2009

In tema di appalto, ai fini della garanzia per le difformità e i vizi dell'opera, il riconoscimento del vizio proveniente non dall'appaltatore ma da
un subappaltatore, che non abbia operato in rappresentanza o su indicazione dell'appaltatore, non esime il committente dalla denunzia del vizio nel termine di decadenza, stante la reciproca indipendenza del subappalto e dell'appalto, i quali restano distinti e autonomi, nonostante il nesso di derivazione dell'uno dall'altro, sicché nessuna diretta relazione si instaura tra il committente e il subappaltatore. Ne consegue che l'eventuale ammissione da parte del subappaltatore dell'esistenza di difformità o vizi dell'opera non può ritenersi equipollente al loro riconoscimento, il quale deve provenire dall'appaltatore ex art. 1667 c.c., per poter costituire ragione di esonero dalla denunzia che la stessa norma impone al committente di rivolgere, ugualmente all'appaltatore, entro un certo termine, a pena di decadenza dalla garanzia. 

Cass. civ. n. 20853/2009

In tema di appalto, l'esecuzione da parte dell'appaltatore di riparazioni a seguito di denuncia dei vizi dell'opera da parte del committente deve intendersi come riconoscimento dei vizi stessi e, pertanto, il termine decennale di prescrizione di cui all'art. 1669 c.c. comincia a decorrere ex novo dal momento in cui il committente consegua un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti. Ne consegue che, nel caso in cui la sufficiente conoscenza dei difetti sia raggiunta solo dopo l'esecuzione delle riparazioni e in conseguenza dell'inefficacia di queste, il termine prescrizionale deve farsi decorrere da questo successivo momento e non dall'esecuzione delle riparazioni. 

Cass. civ. n. 18402/2009

In tema di appalto, la piena consapevolezza da parte dell'appaltatore dell'esistenza di vizi nell'opera appaltata e del loro carattere occulto agli occhi del committente, unitamente ad un comportamento reticente e di mala fede nei confronti di quest'ultimo, è da ritenersi equivalente al doloso occultamento, quale circostanza idonea ad esonerare il committente medesimo dall'obbligo della denuncia dei vizi, ai sensi dell'art. 1667, secondo comma, c.c.

In tema di appalto, qualora l'opera appaltata sia affetta da vizi occulti o non conoscibili, perché non apparenti all'esterno, il termine di prescrizione dell'azione di garanzia, ai sensi dell'art. 1667, terzo comma, c.c., decorre dalla scoperta dei vizi, la quale è da ritenersi acquisita dal giorno in cui il committente abbia avuto conoscenza degli stessi, essendo onere dell'appaltatore, se mai, dimostrare che il committente ne fosse a conoscenza in data anteriore. (Nella fattispecie, relativa alla costruzione di un immobile, la S.C. in accoglimento del ricorso, ha ritenuto che, trattandosi di vizi consistenti nell'imperfetta esecuzione delle fondamenta, il termine di prescrizione dovesse farsi decorrere non dalla consegna dell'opera, bensì da quando - successivamente - venne depositata nella procedura di accertamento tecnico preventivo la relazione del consulente di ufficio, essendo in tal modo i committenti venuti a conoscenza dell'esistenza dei vizi).

Cass. civ. n. 2562/2009

In materia di contratto di appalto, in presenza di vizi e difformità, i termini di prescrizione e di decadenza previsti dall'art. 1667 c.c. assumono rilevanza ai fini delle azioni previste dal primo comma dell'art. 1668 c.c.; viceversa, nel caso in cui le difformità o i vizi dell'opera siano tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione (art. 1668, secondo comma, c.c.), poiché è fatta valere non tanto la garanzia della perfetta esecuzione, quanto il difetto funzionale della causa, l'azione non può subire limitazioni connesse al decorso del tempo diverse da quelle dell'ordinaria prescrizione, neppure quando la domanda sia stata volontariamente limitata alla diminuzione del prezzo. 

Cass. civ. n. 27948/2008

In tema di appalto, il riconoscimento dell'appaltatore di vizi e difformità dell'opera, perché sia valido agli effetti dell'articolo 1667, secondo comma, seconda parte, cod. civ., non deve accompagnarsi alla confessione stragiudiziale della sua responsabilità. Pertanto, la denuncia del committente prescritta a pena di decadenza è superflua anche quando l'appaltatore, riconoscendo l'esistenza di vizi o difformità, contesti o neghi - come nel caso di specie, avendo egli imputato al fornitore la consegna di merce difettosa - di doverne rispondere.

Cass. civ. n. 13431/2007

Nel caso in cui contro l'appaltatore non venga azionata la speciale garanzia prevista dagli artt. 1667 e 1668 c.c., per l'ipotesi in cui l'opera eseguita presenti vizi, difformità o difetti, ma venga formulata una richiesta di pagamento, basata su un'autonoma previsione del capitolato generale dell'appalto lavori, per la riparazione di danni arrecati dai suoi dipendenti, trattandosi di un'ordinaria azione di risarcimento danni resta applicabile la disciplina dettata dagli artt. 1453 e 1455 c.c., con il conseguente assoggettamento agli ordinari termini di prescrizione e non al regime di decadenza e prescrizione breve di cui all'art. 1667 c.c.

Cass. civ. n. 3752/2007

In materia di appalto, la responsabilità dell'appaltatore per difformità e vizi dell'opera non può essere esclusa per il fatto che il medesimo abbia accettato le direttive dei tecnici della stazione appaltante, perché, nel contratto di appalto, non solo l'esecuzione dell'opera deve avvenire con l'osservanza della perizia necessaria per i lavori da eseguirsi, ma anche l'impostazione dell'opera deve corrispondere ad una funzionalità ed utilizzabilità tali da renderla accettabile, a meno che lo stesso appaltatore non dimostri di aver agito come nudus minister del committente.

Cass. civ. n. 12995/2006

In tema di contratto di appalto, l'appaltatore è tenuto a realizzare l'opera a regola d'arte, osservando, nell'esecuzione della prestazione, la diligenza qualificata ai sensi dell'art. 1176, secondo comma, c.c. quale modello astratto di condotta, che si estrinseca (sia egli professionista o imprenditore) nell'adeguato sforzo tecnico, con impiego delle energie e dei mezzi normalmente ed obiettivamente necessari od utili in relazione alla natura dell'attività esercitata, volto all'adempimento della prestazione dovuta ed al soddisfacimento dell'interesse creditorio, nonché ad evitare possibili eventi dannosi. Anche laddove egli si attenga alle previsioni del progetto altrui, come nel caso in cui il committente predispone il progetto e fornisce indicazioni sulla relativa realizzazione, l'appaltatore può comunque essere ritenuto responsabile per i vizi dell'opera se, nel fedelmente eseguire il progetto e le indicazioni ricevute, non segnala eventuali carenze ed errori, giacché la prestazione da lui dovuta implica anche il controllo e la correzione degli eventuali errori del progetto, mentre va esente da responsabilità laddove il committente, pur reso edotto delle carenze e degli errori, gli richieda di dare egualmente esecuzione al progetto o gli ribadisca le indicazioni, in tale ipotesi risultando l'appaltatore stesso ridotto a mero nudus minister, cioè passivo strumento nelle mani del primo, direttamente e totalmente condizionato dalle istruzioni ricevute senza possibilità di iniziativa o vaglio critico.

Cass. civ. n. 8103/2006

La comune responsabilità dell'appaltatore, ai sensi degli artt. 1453 e 1455 c.c., non è esclusa dalle speciali disposizioni contenute negli artt. 1667 e 1668 c.c., e non è da queste ultime disciplinata, perché esse integrano (senza escluderla) l'applicazione dei principi generali in materia di inadempimento contrattuale, che rimangono perciò applicabili nei casi in cui l'opera non sia stata eseguita o non sia stata completata o quando l'appaltatore ha realizzato l'opera con ritardo o, pur avendo eseguito l'opera, si rifiuti di consegnarla. Pertanto, alla stregua di tale principio, diventa applicabile, per il diritto al risarcimento dei danni fondato sulla generale responsabilità dell'appaltatore per inadempimento, il termine di prescrizione in generale previsto per l'esercizio di questo diritto, piuttosto che il termine di due anni risultante dall'art. 1667 c.c.

Cass. civ. n. 5678/2006

In tema di contratto d'appalto, il «riconoscimento di responsabilità» proveniente dal committente non costituisce autonoma fonte di obbligazione in ordine alla produzione di danni a terzi o alla loro ritardata riparazione, atteso che esso non costituisce, in sé, una delle fonti delle obbligazioni di cui all'art. 1173 c.c.; né rileva che si tratti di appalto di opere e servizi pubblici, che non comporta necessariamente una limitazione assoluta dell'autonomia dell'appaltatore nell'esecuzione dell'opera. (Fattispecie relativa ad allagamento provocato dalla rottura di una conduttura idrica durante lavori di scavo per l'installazione di cavi telefonici).

Cass. civ. n. 4925/2006

La disciplina che, con riguardo all'appalto, l'articolo 1667 c.c. detta in tema di garanzia per i vizi, e secondo cui, in particolare, la denuncia per i vizi non è necessaria se l'appaltatore ha riconosciuto i vizi o li ha occultati, è applicabile anche al contratto d'opera. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto fondata la domanda riconvenzionale di danni del committente di lavori di falegnameria citato in giudizio per il corrispettivo, a causa dei vizi dell'opera; la predetta sentenza era stata censurata per avere ritenuto superata la questione di decadenza del committente dalla garanzia per i vizi a seguito del riconoscimento degli stessi da parte del prestatore d'opera, sostenendo, tra l'altro, che l'articolo 1667 c.c. non è applicabile al contratto d'opera).

Cass. civ. n. 4366/2006

In tema di responsabilità conseguente a vizi o difformità dell'opera appaltata, l'attività del direttore dei lavori per conto del committente si concreta nell'alta sorveglianza delle opere, che, pur non richiedendo la presenza continua e giornaliera sul cantiere né il compimento di operazioni di natura elementare, comporta il controllo della realizzazione dell'opera nelle sua varie fasi e pertanto l'obbligo del professionista di verificare, attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell'impresa, da attuarsi in relazione a ciascuna di tali fasi, se sono state osservate le regole dell'arte e la corrispondenza dei materiali impiegati. (Nella specie, relativa a infiltrazioni d'acqua risalenti per capillarità dal sottosuolo, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva riconosciuto la responsabilità del professionista, essendo risultato che il fenomeno derivava da cattiva qualità dei materiali e omessa posa in opera di prodotti impermeabilizzanti, nonostante le previsioni contrattuali).

Cass. civ. n. 28417/2005

In tema di appalto, l'art.1668 c.c., nell'enunciare il contenuto della garanzia prevista dall'art.1667 c.c., attribuisce al committente, oltre all'azione per l'eliminazione dei vizi dell'opera a spese dell'appaltatore o di riduzione del prezzo, anche quella di risarcimento dei danni derivanti dalle difformità o dai vizi nel caso di colpa dell'appaltatore(nella specie danni arrecati ad altri beni dell'appaltante), sicché, trattandosi di azioni comunque riferibili alla responsabilità connessa alla garanzia per vizi o difformità dell'opera e destinate — seppure con carattere di autonomia e non surrogabili — ad integrarne il contenuto, i termini di prescrizione e di decadenza di cui al citato art. 1667 c.c. si applicano anche all'azione risarcitoria, atteso che il legislatore ha inteso contemperare l'esigenza della tutela del committente a conseguire un'opera immune da difformità e vizi con l'interesse dell'appaltatore ad un accertamento sollecito delle eventuali contestazioni in ordine a un suo inadempimento nell'esecuzione della prestazione.

Cass. civ. n. 15283/2005

Ai fini della decorrenza dei termini di prescrizione previsti dall'art. 1667 c.c., l'invio di una lettera da parte di uno solo dei coniugi comproprietari dell'appartamento adibito ad abitazione comune, contenente una denuncia di vizi nell'esecuzione di lavori, in difetto della prova del dissenso da parte dell'altro coniuge, è idoneo a far presumere che l'esistenza dei vizi fosse a conoscenza di entrambi.

Cass. civ. n. 2752/2005

Nel cosiddetto appalto a regia il controllo esercitato dal committente sull'esecuzione dei lavori esula dai normali poteri di verifica ed è così penetrante da privare l'appaltatore di ogni margine di autonomia, riducendolo a strumento passivo dell'iniziativa del committente, sì da giustificarne l'esonero da responsabilità per difetti dell'opera, una volta provato che abbia assunto il ruolo di nudus minister del committente. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto configurabile l'appalto a regia sulla base delle clausole contrattuali, che prevedevano l'obbligo dell'appaltante di fornire tutte le attrezzature e i materiali d'uso, l'esecuzione sotto la direzione esclusiva dell'impresa appaltante e del personale da essa incaricato, la previsione, quale oggetto del contratto, soltanto di prestazioni di manodopera, con contabilizzazione a parte dei lavori a giornata, sfiorando la fattispecie delittuosa di cui alla legge n. 1369/60 sul divieto di intermediazione ed interposizione di lavoro). 

Cass. civ. n. 14584/2004

Con riguardo ai vizi dell'opera conosciuti o riconoscibili, il committente, che non abbia accettato l'opera medesima, non è tenuto ad alcun adempimento, a pena di decadenza, per far valere la garanzia dell'appaltatore, poiché, ai sensi dell'art. 1667, primo comma, c.c., solo tale accettazione comporta liberazione da quella garanzia. Pertanto, prima dell'accettazione e consegna dell'opera non vengono in rilievo problemi di denuncia e di prescrizione per i vizi comunque rilevabili, i quali, se non fatti valere in corso d'opera, possono essere dedotti alla consegna: ma prima dell'accettazione non vi è onere di denuncia, e prima della consegna non decorrono i termini di prescrizione.

Cass. civ. n. 271/2004

In tema di appalto di opere pubbliche, il dies a quo di decorrenza del termine biennale di prescrizione dell'azione di garanzia per vizi — termine stabilito dall'art. 1667, terzo comma, c.c., non derogato da alcuna norma della disciplina sugli appalti di opere pubbliche — deve essere individuato (così come nell'appalto tra privati) con riferimento alla consegna definitiva dell'opera, che sia, cioè, successiva (o contestuale) alla verifica ed all'accettazione dell'opera stessa, e non già con riguardo ad una eventuale consegna anticipata, con riserva di verifica; ciò tanto più che, nell'appalto di opera pubblica, il soggetto committente ha non solo il diritto di verificare l'opera prima della consegna — come nella disciplina privatistica, ex art. 1665, primo comma, c.c. — ma anche il dovere ineludibile di procedere ad una siffatta verifica attraverso il collaudo (il quale costituisce un atto, oltre che necessario ed obbligatorio, anche formale, nel senso che la volontà di accettare l'opera — a differenza che nell'appalto tra privati, in cui l'accettazione pub essere anche implicita, ex art. 1665, quarto comma, c.c. — deve sempre essere espressa, subordinata com'è ad una particolare procedura).

Cass. civ. n. 11149/2003

La responsabilità dell'appaltatore per i vizi e le difformità dell'opera deve essere esclusa qualora il committente si sia ingerito nell'esecuzione dell'opera, riducendo il primo a nudus minister, ovvero abbia incaricato di detta esecuzione una impresa che sapeva essere priva delle capacità tecniche ed organizzative necessarie per la realizzazione dell'opera affidatale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva escluso la responsabilità di una società alla quale era stata appaltata l'estrazione di olio da mandorle, in quanto la committente si era dimostrata a conoscenza dell'inesperienza dell'appaltatrice ed aveva collaborato alla risoluzione dei problemi tecnici esercitando un continuo controllo preventivo nel corso della lavorazione).

Cass. civ. n. 6754/2003

In tema di appalto la circostanza che l'appaltatore esegua l'opera su progetto del committente o fornito dal committente non lo degrada, per ciò solo, al rango di nudus minister poiché la fase progettuale non interferisce nel contratto e non ne compone la struttura sinallagmatica, esulando dagli obblighi delle rispettive parti. Ne consegue che l'appaltatore è tenuto non solo ad eseguire a regola d'arte il progetto, ma anche a controllare, con la diligenza richiesta dal caso concreto e nei limiti delle cognizioni tecniche da lui esigibili, la congruità e la completezza del progetto stesso e della direzione dei lavori, segnalando al committente, anche nel caso di ingerenza di costui, gli eventuali errori riscontrati, quando l'errore progettuale consiste nella mancata previsione di accorgimenti e componenti necessari per rendere il prodotto tecnicamente valido e idoneo a soddisfare le esigenze del committente. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva affermato la responsabilità esclusiva dell'appaltatore per l'applicazione difettosa di numerose valvole per impianti di riscaldamento, prive dei necessari supporti di raccordo tra paretine e traversino, raccomandati e suggeriti dalla migliore tecnica costruttiva).

Cass. civ. n. 6774/2001

Il committente ha l'onere di provare di aver denunciato all'appaltatore i vizi dell'opera, non facilmente riconoscibili al momento della consegna, entro sessanta giorni dalla scoperta, costituendo tale denuncia una condizione dell'azione di garanzia, essendo quegli assolto da tale onere solo per i vizi dolosamente occultati dall'appaltatore, a meno che il predetto committente non provi che per patto intervenuto con l'appaltatore costui si è obbligato ad eliminarli, con l'effetto di novare la sua obbligazione di garanzia ex lege.

Cass. civ. n. 1320/2001

L'impegno dell'appaltatore di eliminare i vizi dell'opera oggetto del contratto di appalto comporta l'assunzione di una nuova obbligazione, sempre di garanzia, diversa ed autonoma rispetto a quella originaria, svincolata dai termini di decadenza e prescrizione di cui all'art. 1667 c.c. e soggetta all'ordinario termine prescrizionale di dieci anni. L'impegno dell'appaltatore di provvedere alla eliminazione dei vizi dell'opera si configura come un implicito unilaterale riconoscimento dell'esistenza di tali vizi e comporta, pertanto, la superfluità di una tempestiva denuncia da parte del committente. Se poi il riconoscimento dei vizi è esplicito ricorre una rinunzia a far valere la inoperatività della garanzia prevista dall'art. 1667 c.c. per inosservanza dei termini di decadenza e di prescrizione ivi previsti.

Cass. civ. n. 14598/2000

L'appaltatore, essendo tenuto alla realizzazione di un'opera tecnicamente idonea a soddisfare le esigenze del committente risultanti dal contratto, ha il conseguente dovere di rendere edotto il committente medesimo di eventuali obiettive situazioni o carenze del progetto, rilevate o rilevabili con la normale diligenza, ostative all'utilizzazione dell'opera ai fini pattuiti. (Nella specie la responsabilità dell'appaltatore era stata fondata sul rilievo che essendo egli tenuto a fornire un'opera eseguita a regola d'arte, non già ad eseguire supinamente le istruzioni del committente, era tenuto ad avvertire quest'ultimo della inidoneità dello spessore di calcestruzzo, scelto dal committente medesimo, con il quale si doveva effettuare la pavimentazione di un immobile).

Cass. civ. n. 11854/2000

L'accertamento dei vizi di un'opera appaltata da parte del direttore dei lavori nominato dal committente fa decorrere il termine perla denunzia da parte di questi all'appaltatore, il cui onere non è assolto se la contestazione è effettuata da detto direttore, che non ha il potere di compiere atti giuridici per conto del committente.

Cass. civ. n. 11783/2000

L'indagine sulla natura e consistenza del suolo sul quale deve essere realizzato un fabbricato non rientra nell'attività di direzione dei lavori, che consiste nella verifica — concretantesi in un'attività intellettuale esplicata mediante visite periodiche e contatti diretti con gli organi tecnici dell'impresa e nella emanazione delle disposizioni necessarie alla esecuzione dell'opera — della conformità dell'opera stessa al progetto e alle indicazioni del committente. La predetta indagine, implicante una specifica attività conoscitiva da svolgersi con l'uso di particolari mezzi tecnici, spetta all'appaltatore, quale soggetto obbligato a realizzare l'opera commessagli mettendo a disposizione la propria organizzazione, e che, pertanto, risponde dei vizi della costruzione dipendenti dal cedimento delle fondazioni dovuto alle caratteristiche geologiche del suolo. In solido con l'appaltatore risponderà, ove risulti che i predetti vizi dipendano da una progettazione inadeguata alle predette condizioni geologiche del terreno, anche il progettista. 

Cass. civ. n. 11359/2000

Costituisce obbligazione del direttore dei lavori, l'accertamento della conformità sia della progressiva realizzazione dell'opera al progetto, sia delle modalità dell'esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica, e pertanto egli non si sottrae a responsabilità ove emetta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo, nonché di controllarne l'ottemperanza da parte dell'appaltatore ed, in difetto, di riferirne al committente.

Cass. civ. n. 7180/2000

L'obbligazione del direttore dei lavori è un obbligazione di mezzi, tuttavia ciò non significa che il suo incarico debba ritenersi limitato al riscontro della conformità dell'opera al progetto, giacché il direttore dei lavori, come l'appaltatore (e a maggior titolo, attesa la sua preparazione tecnica), è tenuto all'individuazione e alla correzione di eventuali carenze progettuali che impediscono quella «buona riuscita» del lavoro per la quale egli è tenuto ad adoperarsi. (Nella specie, la Suprema Corte ha confermato, sul punto, la sentenza di merito che aveva ritenuto la responsabilità del direttore dei lavori per la mancata coibentazione dei pilastri di un edificio, con conseguente condensazione di umidità, all'interno degli appartamenti, benché tale accorgimento, non fosse previsto dal progetto).

Cass. civ. n. 6682/2000

In tema di riconoscimento dei vizi dell'opera da parte dell'appaltatore, l'art. 1667 c.c. (applicabile, in parte qua, anche nel caso dei gravi difetti di cui all'art. 1669 c.c.), equipara, alla denuncia, il riconoscimento del vizio, pur se successivo al termine di decadenza stabilito per la denuncia stessa da parte dell'appaltante, con la conseguenza che quest'ultimo non perde il diritto alla garanzia, non essendo normativamente prescritto che l'uno debba avvenire entro il termine stabilito per l'altra. 

Cass. civ. n. 6088/2000

In tema di appalto gli errori del progetto fornito dal committente ricadono su quest'ultimo ed escludono la responsabilità dell'appaltatore solo quando questi si ponga, rispetto a quello, per espressa previsione contrattuale, come nudus minister, come passivo strumento nelle mani del committente, direttamente e totalmente condizionato dalle istruzioni ricevute senza nessuna possibilità di iniziativa e vaglio critico, laddove in ogni altro caso la prestazione dovuta dall'appaltatore implica anche il controllo e la correzione degli eventuali errori del progetto fornitogli.

Cass. civ. n. 1965/2000

L'appaltatore, anche quando realizzi un progetto altrui sotto il controllo e la vigilanza di un tecnico incaricato dal committente ma conservando una propria autonomia, ha l'obbligo di controllare e correggere gli eventuali errori di progetto in quanto è tenuto ad eseguire l'opera secondo le regole dell'arte e ad assicurare un risultato tecnico conforme alle esigenze del committente; conseguentemente è responsabile per i vizi imputabili al progetto fornito dal committente salvo che abbia operato come nudus minister, in condizione di completa subordinazione alle direttive da quello impartite anche a mezzo del direttore dei lavori.

Cass. civ. n. 1608/2000

La responsabilità extracontrattuale dell'appaltatore per gravi difetti riscontrati nell'opera, ancorché possa concorrere con quella di altri soggetti (nella specie opere di pavimentazione e impiantistica effettuate da ditte scelte dal committente) si estende a quanto costituisce il risultato finale dell'opera stessa, quando i difetti denunciati ne compromettano il godimento e la funzione. 

Cass. civ. n. 972/2000

Qualora il danno risentito dal committente di un contratto di appalto sia ascrivibile alle condotte concorrenti dell'appaltatore e del direttore dei lavori, entrambi sono solidalmente responsabili del danno, a nulla rilevando la diversità dei titoli cui si ricollega la responsabilità.

Cass. civ. n. 14284/1999

In tema di contratto di appalto, la domanda risarcitoria del committente volta a far valere nei confronti dell'appaltatore la garanzia per le difformità e i vizi dell'opera, è soggetta alla prescrizione biennale di cui all'art. 1667 terzo comma c.c., non applicandosi alla stessa il principio quae temporalia ad agendum, perpetua ad excipiendum, che opera invece con riguardo alla mera eccezione di garanzia volta a paralizzare la domanda di pagamento dell'appaltatore ai sensi dell'ultimo comma del citato art. 1667 c.c.

Cass. civ. n. 14239/1999

In tema di appalto la prescrizione biennale di cui all'art. 1667 comma terzo, c.c. opera per tutte le azioni di cui all'art. 1668 c.c., ma non per le comuni azioni contrattuali e per l'eventuale connessa azione di risarcimento dei danni. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto assoggettata alla prescrizione ordinaria l'azione di rivalsa del committente contro l'appaltatore per le somme erogate a terzi per il risarcimento dei danni prodotti dall'esecuzione dell'opera appaltata). 

Cass. civ. n. 8075/1999

L'appaltatore, anche quando è chiamato a realizzare un progetto altrui, è sempre tenuto a rispettare le regole dell'arte ed è soggetto a responsabilità anche in caso di ingerenza del committente; tale responsabilità con il conseguente obbligo risarcitorio, non viene meno neppure in caso di vizi imputabili ad errori di progettazione o direzione dei lavori se l'appaltatore, accortosi del vizio, non lo abbia denunziato tempestivamente al committente manifestando formalmente il proprio dissenso, ovvero non abbia rilevato i vizi pur potendo e dovendo riconoscerli in relazione alla perizia ed alla capacità tecnica da lui esigibili nel caso concreto; in tale ipotesi la responsabilità dell'appaltatore può concorrere, laddove gli errori di progettazione e direzione gli siano imputabili e si tratti di vizi facilmente riconoscibili anche da un profano, ed è esclusiva qualora la sua ingerenza o quella del direttore dei lavori abbiano, per previsione contrattuale, escluso ogni potere di iniziativa e valutazione critica dell'appaltatore relegandolo nella posizione di nudus minister. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva affermato la responsabilità esclusiva dell'appaltatore per il cedimento della copertura di un edificio realizzata, in assenza di divieti contrattuali di iniziativa, nonostante l'inidoneità delle strutture d'appoggio e la mancata esecuzione a cura del committente di opere ritenute necessarie ed espressamente richieste dall'appaltatore medesimo).

Cass. civ. n. 664/1999

In tema di contratto d'appalto, il riconoscimento dei difetti dell'opera e la loro eliminazione da parte dell'appaltatore non comporta il riconoscimento della responsabilità per eventuali danni derivanti al committente dai vizi dell'opera e l'assunzione della correlativa obbligazione, distinta da quella adempiuta di garanzia, di risarcire il danno, con conseguente rinuncia a far valere la prescrizione dell'azione relativa.

Cass. civ. n. 644/1999

In tema di appalto, ai fini di cui all'art. 1667 c.c. non è necessaria una denuncia specifica ed analitica delle difformità e dei vizi dell'opera, tale, cioè, da consentire l'individuazione di ogni anomalia di quest'ultima, essendo, per converso, sufficiente ad impedire la decadenza del committente dalla garanzia cui è tenuto l'appaltatore una pur sintetica indicazione delle difformità (nella specie, attraverso la spedizione di un telegramma), suscettibile di conservare l'azione di garanzia anche con riferimento a quei difetti accertabili, nella loro reale sussistenza, solo in un momento successivo.

Cass. civ. n. 7891/1998

Ove sia prescritta la relativa azione per il decorso di due anni dalla consegna dell'opera, il diritto del committente alla garanzia per le difformità ed i vizi dell'opera ex art. 1667 c.c. rimane tutelato solo nei limiti dell'ultimo comma della predetta norma, quando l'appaltatore abbia — in via principale o riconvenzionale — richiesto il pagamento del prezzo o di un residuo. Conseguentemente il committente può far valere la predetta garanzia, sempre che la difformità ed i vizi siano stati denunziati entro sessanta giorni dalla scoperta e prima che siano decorsi i due anni dalla consegna, ma al solo scopo di paralizzare la pretesa dell'appaltatore, non anche per ottenere l'attuazione della garanzia attraverso la condanna di quest'ultimo ad eliminare i vizi e le difformità ed a risarcire i danni arrecati.

Cass. civ. n. 7449/1997

In tema di garanzia per difformità e vizi dell'opera nel contratto di appalto, il termine di decadenza di cui all'art. 1667, secondo comma comincia a decorrere dalla percezione del nesso causale tra segno esteriore del vizio ed opera dell'appaltatore.

Cass. civ. n. 3520/1997

Il principio, secondo cui l'appaltatore, anche quando sia chiamato a realizzare un progetto altrui sotto il controllo e la vigilanza di un tecnico designato dal committente (e salvo il caso eccezionale di esclusione contrattuale di ogni suo potere di iniziativa e valutazione critica), è tenuto non solo ad eseguire a regola d'arte il progetto a cui è chiamato a dare esecuzione, ma anche a controllare, con la diligenza richiesta dal caso concreto e nei limiti delle cognizioni tecniche da lui esigibili, la congruità e completezza dello stesso, segnalando al committente gli eventuali errori riscontrati, trova applicazione anche quando l'errore progettuale consiste nella mancata previsione di accorgimenti o manufatti necessari per rendere le opere appaltate tecnicamente valide e funzionali rispetto alle esigenze del committente. (Nella specie la S.C. ha annullato la sentenza impugnata che aveva escluso la responsabilità dell'appaltatore per la realizzazione di locali destinati a magazzino per i quali era stata omessa la necessaria impermeabilizzazione del pavimento e delle pareti laterali, poggianti contro il terreno).

Cass. civ. n. 8567/1996

Il committente convenuto per il pagamento può opporre all'appaltatore le difformità ed i vizi dell'opera da lui tempestivamente denunciati, avvalendosi del principio inadimplenti non est adimplendum al quale si ricollega la più specifica disposizione dell'art. 1667 comma secondo ultima parte del codice civile, anche quando la domanda di garanzia sarebbe prescritta ed indipendentemente, quindi, dalla contestuale proposizione, in via riconvenzionale, di questa domanda, che può anche mancare senza pregiudizio alcuno per la proponibilità della eccezione.

Cass. civ. n. 4619/1996

Nel contratto di appalto il termine per la denuncia dei vizi e delle difformità dell'opera ai sensi dell'art. 1667 c.c., nel caso in cui il committente sia un condominio, decorre dal momento in cui l'amministratore abbia acquisito un apprezzabile grado di conoscenza obiettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dalla imperfetta esecuzione dell'opera e non dal giorno in cui l'amministratore ne renda edotti i condomini in sede assembleare, posto che rientra fra i poteri dell'amministratore il compimento degli atti conservativi di diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio, per cui è da tale momento che il condominio in persona dell'amministratore che lo rappresenta è posto in grado di agire per far valere la garanzia.

Cass. civ. n. 169/1996

In materia di appalto il potere di controllo e di vigilanza del direttore dei lavori preposto dal committente non annullano l'autonomia dell'appaltatore che, salvo patto contrario, rimane conseguentemente tenuto a rispettare, nella esecuzione dell'appalto, le regole dell'arte, al fine di assicurare un risultato tecnico conforme alle esigenze del committente, e, perciò, a controllare, tra l'altro, la qualità del materiale impiegato rispondendo dei vizi di tale materiale anche quando questo è fornito dal committente o da produttore da questo indicato, a meno che non provi che il controllo richieda cognizioni tecniche che eccedevano i limiti della diligenza dovuta o che ha dato pronto avviso al committente della inadeguata qualità del materiale ricevuto.

La responsabilità del costruttore per i vizi della cosa, siano questi riconducibili alla fattispecie regolata dall'art. 1669 c.c. o a quella dell'art. 1667 dello stesso codice, non può essere esclusa dall'errata esecuzione di interventi riparatori del committente o dei suoi aventi causa, tenuti a non aggravare le conseguenze del vizio e non a ripararlo.

Cass. civ. n. 5099/1995

L'appaltatore che debba eseguire un progetto fornitogli dal committente è responsabile verso quest'ultimo per i vizi dell'opera derivanti da errori dello stesso progetto, sia nel caso in cui pur essendosi accorto di tali errori non li abbia tempestivamente denunziati al committente, sia se non li abbia rilevati, ma avrebbe potuto e dovuto riconoscerli con la normale diligenza nei limiti delle sue cognizioni tecniche. L'appaltatore è invece esentato da responsabilità se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguire il progetto come nudus minister per le insistenze del committente ed a rischio del medesimo.

Cass. civ. n. 5981/1994

Il principio in base al quale l'autonomia e la responsabilità dell'appaltatore nell'esecuzione dell'opera non vengono meno per il fatto che egli abbia ottemperato a specifiche richieste o direttive del committente opera a tutela dei diritti assoluti dei terzi che possono subire lesioni per effetto della supina esecuzione da parte dell'appaltatore di dette direttive, ma non anche nei rapporti interni tra appaltatore (o prestatore d'opera) e committente, nei quali obbligo del primo è solo quello di prospettare al secondo gli inconvenienti tecnici ed eventualmente i pericoli derivanti dall'esecuzione dell'opera secondo le sue direttive e richieste, ma non quello di rifiutare il compimento dell'opera stessa. (Nella specie, il prestatore d'opera aveva prospettato l'inadeguatezza degli interventi di riparazione parziale del motore di un autoveicolo che il committente aveva egualmente voluti).

Cass. civ. n. 9001/1992

La responsabilità dell'appaltatore per le difformità ed i vizi dell'opera appaltata, specificamente regolata dall'art. 1668 c.c. senza escludere l'applicazione dei principi generali in materia di inadempimento contrattuale, deve estendersi anche alla mancanza di qualità (essenziali o pattuite), non essendo ipotizzabile una diversità di disciplina tra le predette ipotesi, che in egual modo concretano forme di inadempimento contrattuale dell'appaltatore.

Cass. civ. n. 2110/1991

Qualora, nel giudizio promosso dal committente nei confronti dell'appaltatore, con azione di garanzia ai sensi degli artt. 1667 e 1668 c.c., venga disposta consulenza tecnica, su istanza anche del convenuto, o comunque con la sua adesione o partecipazione, al fine di accertare difformità o vizi occulti dell'opera, si deve escludere che l'attore, in relazione ai difetti riscontrati da tale consulenza, sia tenuto, a pena di decadenza, alla denuncia contemplata dal secondo comma del cit. art. 1667, dato che la controparte già conosce od è in grado di conoscere l'esito dell'indagine peritale.

Cass. civ. n. 6970/1982

In tema di appalto, ai fini della decadenza dal diritto di far valere la garanzia per i vizi dell'opera, il dies a quo del relativo termine coincide, ai sensi dell'art. 1667, secondo comma, c.c., con il giorno della scoperta dei vizi, che presuppone la consegna dell'opera.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1667 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

G. G. chiede
venerdì 22/07/2022 - Veneto
“Buongiorno, ho fatto ristrutturare un appartamento con sconto in fattura 50% .
Da contratto avevo la consegna il 31 Dicembre 2021 al netto di cause forza maggiore ed eventi atmosferici .
Oggi 22 Luglio 2022 ancora l'appartamento non è terminato.
Domande:
- posso rivalermi per questo ritardo considerando che è un appartamento al mare e che ho perso la possibilità di utilizzarlo e di affittarlo per alcuni mesi estivi ?
- devo avere i documenti di conformità dell impianto elettrico ed idraulico. Devo pagare il saldo per avere questi documenti o l'azienda che ha eseguito i lavori è tenuta da darmi le conformità (cosi da permettermi di avere l'agibilità ) prima di ricevere il saldo ?
- tutti i prezzi sono stati gonfiati esageratamente. Posso riferirmi al prezziamo del Veneto per verificare la congruità dei prezzi applicati ?
- la qualità dei lavori non è buona (dopo due mesi ci sono macchie di muffa, crepe, intonaci che si staccano) , che tipo di garanzie ho sui lavori effettuati ?
Grazie”
Consulenza legale i 26/08/2022
Per quanto attiene, innanzitutto, alla richiesta di ristoro per il mancato utilizzo dell’immobile e per l’impossibilità di concedere lo stesso in locazione durante alcuni mesi estivi, è bene operare alcune considerazioni.
Stando alla normativa generale contenuta nell’art. 1218 del c.c., e riferibile in generale a tutti i contratti, compreso il contratto di appalto, il debitore che esegue in ritardo la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento dei danni patiti dal creditore (appaltante).
Ai sensi del successivo art. 1223 del c.c., poi, si ricava come il pregiudizio risarcibile possa essere costituito sia dal danno emergente (perdita diretta al patrimonio del creditore) che dal lucro cessante (mancate occasioni di guadagno cagionate della condotta inadempiente del debitore-appaltatore), in quando tali danni siano “conseguenza diretta ed immediata” dell’inadempimento.
In altre parole, l’appaltatore potrebbe ottenere il risarcimento del danno qualora riuscisse a provare i costi e le spese vive sopportate per l'inutile e dispendiosa prosecuzione dei lavori (danno emergente). Inoltre, potrebbe fornire la prova, anche in via presuntiva (per esempio indicando come l’immobile si trovi in una zona marittima molto frequentata durante l’estate, o dando la dimostrazione dei contratti di locazione stipulati relativamente all’immobile nelle estati precedenti) della mancata possibilità di guadagno derivante dall’eventuale locazione dell’immobile nei mesi estivi (lucro cessante).
L’art. 4 del contratto di appalto sottoscritto, che richiama l’1218, prevede però, a favore del debitore-appaltatore, una cosiddetta “prova liberatoria”, per il caso in cui l’inadempimento, o il ritardo nell’adempimento, siano stati cagionati da “cause di forza maggiore e/o imprevedibili al momento della sottoscrizione del presente accordo e/o difficoltà di esecuzione derivanti da cause metereologiche, climatiche, e simili”. In tali casi straordinari, la clausola contrattuale, conforme alla generale disciplina civilistica, prevede che l’impresa appaltatrice vada esente da ogni tipo di responsabilità, compreso il pagamento di penali di sorta.
Tuttavia, è bene considerare che l’onere della prova rispetto all’esistenza di condizioni metereologiche avverse o, comunque, di altre cause di forza maggiore, spetta solo ed esclusivamente alla ditta appaltatrice. Ben potrà, nel frattempo, l’appaltante, contestare le ritardate tempistiche di esecuzione dei lavori. Sarà poi, semmai, onere dell’appaltatore dimostrare che l’inadempimento è stato cagionato da cause esterne e non imputabili alla ditta.
Certo è che se la ditta dovesse riuscire a fornire prova di tali eventi fortuiti e imprevedibili, andrà effettivamente esente da responsabilità.

In secondo luogo, per quanto riguarda la consegna dei certificati di conformità dell’impianto elettrico e idraulico, il D.M. n. 37/2008, all’art. 7, stabilisce che la dichiarazione di conformità degli impianti installati va rilasciata al termine dei lavori di installazione “previa effettuazione delle verifiche previste dalla normativa vigente, comprese quelle di funzionalità dell'impianto", e non al momento del saldo della fattura. Tali certificati, in altre parole, devono essere consegnati al committente contestualmente al termine dei lavori di installazione dell’impianto elettrico e idraulico e non alla fine di tutti i lavori di ristrutturazione. Di conseguenza, l’appaltante non è tenuto ad attendere il momento finale del pagamento dei lavori di ristrutturazione per vedersi consegnare le dichiarazioni di conformità degli impianti.
Inoltre, l’art. 15 del medesimo decreto prevede addirittura una sanzione per l’installatore che consegni con ritardo tali certificati (art. 15 del D.M. n. 37/2008: “Alle violazioni degli obblighi derivanti dall'articolo 7 del presente decreto si applicano le sanzioni amministrative da euro 100,00 ad euro 1.000,00 con riferimento all'entità e complessità dell'impianto, al grado di pericolosità ed alle altre circostanze obiettive e soggettive della violazione”).

Per quanto attiene, poi, alla circostanza per cui pare che i prezzi siano stati “gonfiati” dalla ditta appaltatrice, ed in merito alla possibilità di effettuare una verifica di congruità con il prezzario della Regione Veneto, è necessario tenere in considerazione la sottoscrizione del contratto di appalto. Al momento della conclusione dello stesso, infatti, il committente ha espressamente accettato i prezzi ivi concordati dalle parti. Risulta difficile, quindi, contestarli poi, in un secondo momento, una volta che i lavori sono già iniziati. Il contratto, infatti, ai sensi dell’art. 1372 del c.c., fa “legge” tra le parti, e il suo contenuto economico non può più essere messo in discussione dal giudice, a meno che non si riesca a dimostrare una vera e propria nullità del contratto, per vizi radicali della causa o dell’oggetto dello stesso, che ne rendano del tutto sproporzionato il contenuto.
L’art. 7 del contratto di appalto in oggetto, poi, intitolato “revisione prezzi”, prevede una vera e propria clausola di adeguamento prezzi per i casi di 1) aumento dei prezzi d’acquisto delle materie prime o del costo della manodopera e 2) difficoltà di esecuzione non previste dalle parti, che rendano più onerosa la prestazione dell’appaltatore. Nel primo caso, l’appaltatore avrà diritto ad una revisione del corrispettivo; nel secondo, ad un equo compenso.
Difficilmente, quindi, si potrà contestare il preventivo accettato con la sottoscrizione del contratto di appalto, a meno che tale aumento sia completamente esorbitante rispetto a quanto pattuito e alle oggettive difficoltà riscontrate durante l’esecuzione dei lavori. In tale ultimo caso, ma solo in questo, sarà possibile contestare alla parte una mancanza di diligenza e di buona fede nell’esecuzione del contratto, obbligo a cui le parti sono espressamente tenute, in via generale, in virtù dell’art. 1375cc.

Inoltre, in relazione agli appalti privati, anche il Codice Civile prevede espressamente che, qualora nell'esecuzione del contratto si siano verificate circostanze imprevedibili che abbiano determinato un incremento (o diminuzione) dei costi della manodopera e/o dei materiali, l'appaltatore o il committente possano richiedere la revisione dei prezzi.
Più in dettaglio, l'art. 1664 del c.c., co. 1, prevede il diritto alla revisione dei prezzi degli appalti privati qualora per "effetto di circostanze imprevedibili" si siano verificati aumenti o diminuzioni del costo dei materiali o della manodopera che hanno determinato un aumento o una diminuzione superiore al decimo del prezzo complessivo convenuto. Secondo la normativa generale, la revisione può essere ottenuta limitatamente alla differenza che eccede il decimo del prezzo (che eccede, quindi, l'ordinaria alea contrattuale fissata dalla norma in misura pari al 10% dell'importo originariamente convenuto).
È bene poi osservare, in chiusura rispetto a quanto già osservato, che a pagina 7 del contratto di appalto sottoscritto vi è un "nota bene" in cui viene esplicitamente indicato che “l'offerta è da intendersi indicativa”.

Per quanto attiene, infine, all’ultimo quesito, giova evidenziare che - in materia di appalto - opera la garanzia per vizi, regolata dagli articoli 1667 e 1668 del Codice Civile, che disciplinano i termini di decadenza e prescrizione entro i quali è possibile rivalersi verso l’appaltatore, indicando cosa l’appaltante può fare e in che termini. Logicamente, sarà necessario che l’appaltante dimostri con delle prove tangibili l’esistenza dei vizi (in questo caso: muffa, crepe, intonaci distaccati, ecc.).
Ai sensi della disciplina contenuta nel Codice Civile, l’appaltatore è sempre tenuto a garantire l’appaltante dalla presenza di vizi dell'opera, a meno che l’appaltatore non l’abbia accettata o abbia riconosciuto i vizi fin dall’inizio. Tuttavia, il menzionato art. 1667 del c.c. prevede che: “il committente deve, a pena di decadenza, denunziare all'appaltatore le difformità o i vizi entro sessanta giorni dalla scoperta”. Esiste quindi un onere di denuncia in capo al committente, pari a sessanta giorni dalla scoperta dei vizi. In ogni caso, "la denuncia non è necessaria se l’appaltatore ha riconosciuto le difformità o i vizi o se li ha occultati".
L'azione contro l'appaltatore si prescrive in due anni dal giorno della consegna dell'opera.
Il successivo 1668 prevede che "Il committente può chiedere che le difformità o i vizi siano eliminati a spese dell'appaltatore, oppure che il prezzo sia proporzionalmente diminuito, salvo il risarcimento del danno nel caso di colpa dell'appaltatore".

Sergio B. chiede
martedì 20/10/2020 - Lombardia
“Buongiorno, sono già vs. cliente soddisfatto delle vs. consulenze.
Ecco il quesito.
in data 02/10/2017 ricevo fattura da F.P.F. Clima di €.10.437,30 a saldo lavori sostituzione caldaia, condizionatore. e 5 fancoil con adeguamento impianto.
Il totale lavori è €.13.437,00. avendo dato acconto di €.3.000,00 come fattura data 29/09/2017.
Purtroppo malgrado il materiale di qualità (tutto Daikin) l'impiantistica ha gravissime carenze (leggi mancanza pressione quindi caloriferi freddi , scarico condense otturate con perdite d'acqua, acqua calda che arriva dopo minuti e senza pressione, tubazione non termicamente isolate quindi condensa e gocciolamento insomma gravi e molteplici disagi)
Inutile dire delle telefonate con solo un promesse di soluzione.
Chiedo pertanto se sussiste ancora la garanzia (24 mesi + 2?) e se, nel caso, vorrei sapere come intervenire o se possibile un vs. intervento per congelare la situazione per poi richiedere una sistemazione (anche se ho poca fiducia nell'impresa) o un vs. suggerimento.
Cordiali Saluti.
Sergio B.”
Consulenza legale i 02/11/2020
Da quanto riferito nel quesito, il tipo di rapporto intercorso tra le parti andrebbe inquadrato nell’appalto (artt. 1655 e ss. c.c.) o, forse più correttamente, nel contratto d’opera (artt. 2222 e ss. c.c.), più che nella semplice vendita (artt. 1470 e ss. c.c.).
Ora, la distinzione tra appalto e contratto d’opera si basa essenzialmente sulle caratteristiche (a livello sia di dimensione che di organizzazione) di chi deve eseguire il lavoro: “il contratto d'appalto ed il contratto d'opera si differenziano per il fatto che nel primo l'esecuzione dell'opera commissionata avviene mediante una organizzazione di media o grande impresa cui l'obbligato è preposto, mentre nel secondo con il prevalente lavoro di quest'ultimo, pur se coadiuvato da componenti della sua famiglia o da qualche collaboratore, secondo il modulo organizzativo della piccola impresa” (Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 12519/2010).
Poiché nel nostro caso risultano presenti anche elementi della vendita, che è caratterizzata da un “dare” piuttosto che da un “fare”, occorrerà verificare quale sia l’attività preponderante. Così, ad esempio, secondo Cass. Civ., Sez. II, n. 11602/2002, “ai fini della differenziazione tra i contratti di appalto e vendita, quando alla prestazione di fare caratterizzante l'appalto, si affianchi anche a quella di dare, caratterizzante la vendita (come nella ipotesi in cui i materiali siano forniti dallo stesso appaltatore), si deve avere riguardo alla prevalenza o meno del lavoro sulla materia, da considerarsi, però, non in senso oggettivo, ma in relazione alla volontà dei contraenti, al fine di accertare, nei singoli casi, se la somministrazione della materia sia un semplice mezzo per la produzione dell'opera ed il lavoro lo scopo del negozio (appalto) oppure se il lavoro sia il mezzo per la trasformazione della materia ed il conseguimento della cosa si configuri invece come l'effettiva finalità del negozio medesimo (vendita)”.
Ora, dalle informazioni fornite nel quesito sembrerebbe prevalente l’aspetto del “fare” caratterizzante sia il contratto d’opera che quello di appalto, rispetto al “dare” proprio della vendita.
Inoltre dal quesito si evince che i problemi riscontrati sarebbero da ricollegarsi ai lavori sugli impianti, mentre non si riscontrerebbero difetti nei beni forniti (si parla anzi di materiale di qualità).
Ora, sia in tema di appalto che di contratto d’opera il codice civile prevede termini abbastanza stretti per la denuncia dei vizi e per l’esercizio delle relative azioni; in entrambi i casi, si tratta di un sistema basato su un doppio termine: di decadenza per la denuncia dei vizi e di prescrizione per l’esercizio dell’azione.
Più precisamente, per l’appalto l’art. 1667 c.c. stabilisce che il committente deve, a pena di decadenza, denunziare all'appaltatore le difformità o i vizi entro sessanta giorni dalla scoperta; la denunzia però non è necessaria se l'appaltatore ha riconosciuto le difformità o i vizi o se li ha occultati. Inoltre l'azione contro l'appaltatore si prescrive in due anni dal giorno della consegna dell'opera.
Tempi ancora più ridotti sono previsti dall’art. 2226 c.c. in riferimento al contratto d’opera: denuncia dei vizi a pena di decadenza entro otto giorni dalla scoperta, e prescrizione dell’azione entro un anno dalla consegna.
Non sembra, invece, potersi applicare il diverso termine indicato nel quesito.
Innanzitutto, va premesso che si tratta di un termine eventualmente applicabile solo laddove il committente abbia agito in qualità di consumatore, e cioè al di fuori dell’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta (art. 3 Codice del Consumo).
Inoltre, il Codice del Consumo (D. Lgs. n. 206/2005) prevede, all’art. 130, la garanzia per i difetti di conformità del bene. Quanto ai termini, l’art. 132 stabilisce che: 1) il venditore è responsabile quando il difetto di conformità si manifesta entro il termine di due anni dalla consegna del bene; 2) il consumatore decade dalla garanzia se non denuncia al venditore il difetto di conformità entro il termine di due mesi dalla scoperta del difetto, ma la denuncia non è necessaria se il venditore ha riconosciuto l'esistenza del difetto o lo ha occultato; 3) salvo prova contraria, si presume che i difetti di conformità che si manifestano entro sei mesi dalla consegna del bene esistessero già a tale data, a meno che tale ipotesi sia incompatibile con la natura del bene o con la natura del difetto di conformità; 4) l'azione (salvo che il venditore abbia dolosamente occultato i difetti) si prescrive nel termine di ventisei mesi dalla consegna del bene.
Tuttavia, come abbiamo visto, nel quesito non si fa menzione di difetti dei beni venduti, quanto piuttosto di carenze nell’esecuzione dei lavori. In proposito, è vero che l’art. 128 del Codice del Consumo equipara ai contratti di vendita “i contratti di permuta e di somministrazione nonché quelli di appalto, di opera”, ma deve trattarsi di “contratti comunque finalizzati alla fornitura di beni di consumo da fabbricare o produrre”, e non è questo il nostro caso (qui il prestatore d’opera non ha fabbricato né prodotto i beni, li ha forniti unitamente ai lavori sull’impianto).
Per individuare la disciplina applicabile occorrerà pertanto fare riferimento alle norme del codice civile sopra menzionate. In particolare, preliminarmente sarà necessario stabilire se si tratti di appalto o di contratto d’opera, sulla base dei criteri dimensionali e organizzativi sopra specificati; successivamente, si dovrà verificare la tempestività della denuncia dei vizi (che può essere anche orale, ma va provata dal committente). Purtroppo, però, sembra che, non risultando idonei atti interruttivi, l’azione sia comunque prescritta (sia in caso di appalto che di contratto d’opera), essendo decorsi oltre tre anni dalla consegna dell’opera.

Nicola A. chiede
domenica 18/10/2020 - Lombardia
“Buongiorno
a gennaio ho eseguito un lavoro di tinteggiature presso un'abitazione privata, il lavoro è stato visibilmente apprezzato dal cliente, il quale dopo circa 40 giorni mi richiama per dirmi che il lavoro non va bene perché mancano due pareti da sistemare.
il punto è che si trattava del ripristino di lavori malfatti precedentemente da altri imbianchini, ed ero stato chiaro con il cliente: "mi dica quali sono le pareti sulle quali vuole che lavori".
Questo cliente non ha fatto altro che aggiungere altre due pareti e farle sembrare come una mia mancanza, ma in realtà si trattava di una sua dimenticanza.
All'ora mi offro per sistemare anche queste e quando gli telefono, circa una o due settimane prima della quarantena, mi risponde di no perché ha chiuso il cantiere per via del Covid.
Era evidente, almeno per me, una scusa per posticipare il più possibile il pagamento, perché finite le due pareti avrebbe dovuto pagare.
Durante la quarantena emetto fattura per il lavoro fino ad all'ora eseguito, consapevole che le altre due pareti avrei potuto inserirle in un secondo consuntivo visto che il cliente mi aveva già promesso altro lavoro presso questa abitazione.
Ma la fattura è stata mal digerita, difatti il cliente mi telefona minacciandomi di contestarmi il lavoro per la mancanza di queste due pareti.
Mi offro nuovamente per lavorare su queste due pareti alla fine della quarantena, e così la settimana prima del 4 maggio gli invio un messaggio per poter finire il lavoro il lunedì, ma non ottengo risposta.
Riprovo a luglio a contattarlo ma non ottengo risposta.
Finora non ho più riprovato per lasciargli tempo, ma adesso vorrei ritentare.
L'importo del lavoro è di 1500,00 € circa, però vorrei sapere le alternative legali in caso di un nuovo rifiuto da parte del cliente, il quale comunque non mi ha presentato nessuna contestazione scritta.
Grazie
Cordiali saluti

Consulenza legale i 22/10/2020
Nel caso di specie, va premesso che le contestazioni preannunciate dal committente non paiono presentare particolari elementi di “pericolosità” ai fini che qui interessano.

Infatti, nei contratti di appalto le norme che disciplinano le garanzie per i vizi e le difformità dell’opera sono sostanzialmente due:
- l’art. 1667 c.c., che trova applicazione in caso di difetti non incidenti negativamente sugli elementi strutturali essenziali dell'eseguita opera o quando le opere non corrispondano alle caratteristiche del progetto o siano state realizzate senza l'osservanza delle regole della tecnica.
- l'art. 1669 c.c., che riguarda, invece, i vizi costruttivi che incidono in maniera grave sugli elementi strutturali ed essenziali dell'opera, quali la solidità, l'efficienza e la durata.

È pur vero che la garanzia prevista dall’art. 1669 c.c. può riguardare anche elementi secondari e accessori dell’immobile idonei a pregiudicarne in modo considerevole nel tempo la funzionalità e il godimento (Cassazione civile, sez. II, 09 gennaio 2020, n. 187), ma nel caso specifico, trattandosi di tinteggiatura di pareti interne, pare doversi fare riferimento solo all’art. 1667 c.c..
Tale norma prevede, anzitutto, che la garanzia non sia dovuta se il committente ha accettato l'opera e le difformità o i vizi erano da lui conosciuti o erano riconoscibili.
Inoltre, per far valere la garanzia il committente è tenuto, a pena di decadenza, a denunciare all'appaltatore le difformità o i vizi entro sessanta giorni dalla scoperta.
Nel nostro caso, si nota che il termine suddetto pare essere ormai scaduto senza che sia stata inviata alcuna comunicazione scritta e che vi è stato solo un annuncio orale di una eventuale futura contestazione, che però mai si è concretizzata.

Quanto alle alternative per recuperare il credito, lo strumento giudiziale che solitamente si utilizza in casi simili a quello di specie è il ricorso per decreto ingiuntivo disciplinato dagli artt. 633 e ss. c.p.c..
Si tratta di una procedura abbastanza snella, che può essere avviata sulla base della fattura già emessa e che consente di ottenere un titolo esecutivo per il recupero coattivo delle somme dovute.
Tuttavia, si nota che tale procedura, oltre a comportare la necessità di rivolgersi a un legale, in caso di opposizione del debitore può dare luogo a un giudizio ordinario, con tutto ciò che ne consegue in termini di spese e di lungaggini processuali.
Pertanto, vista anche la crisi causata dall’emergenza sanitaria anche nel settore della giustizia, che ha accentuato il problema della durata eccessiva delle cause, è opportuno considerare un eventuale giudizio come una extrema ratio, da utilizzare solo in caso di fallimento di tutte le altre soluzioni stragiudiziali.

È per ora consigliabile, quindi, inviare un sollecito scritto di pagamento mediante raccomandata A/R in relazione ai lavori già eseguiti ed alla relativa fattura, senza fare riferimento alla questione delle due pareti che sarebbero asseritamente mancanti.
Nell’ipotesi di eventuali contestazioni scritte del committente in merito a tale particolare aspetto, si potrà opporre l’impossibilità di invocare la garanzia prevista dall’art. 1667 c.c., sia perché il committente aveva a suo tempo accettato l’opera e sia per avvenuta scadenza del termine di sessanta giorni previsto a pena di decadenza per la denuncia dei vizi.

Infine, si segnala anche la possibilità (che in questa fase appare però prematura) di avviare una mediazione presso un organismo abilitato, ossia di un procedimento che si svolge davanti ad un terzo imparziale (spesso un Avvocato) e che è finalizzato a trovare un accordo amichevole tra le parti per la composizione di una controversia in corso.

Gianluca B. chiede
giovedì 21/11/2019 - Toscana
“Preg.mo Avv.,
la presente per richiedere un parere giuridico preliminare.
Le spiego la mia vicenda: attualmente vivo nell'appartamento in cui abitavano i miei nonni in condominio (piano terra di tre piani), per il quale ne sono intestatari mia mamma, zia e nonna.
Il giorno 16/11 accesi la caldaia verso le ore 21:00 e uscii di casa. Feci rientro in tarda serata, aprii la porta di ingresso e avvertii un odore particolare come di mancanza di ossigeno...
A tal punto contattai la centrale dei Vigili del fuoco la quale ha fece intervenire tempestivamente una squadra.
In seguito il Ministero dell’ Interno Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di ........ redasse un verbale che inviò:
- Al comune di ......... SINDACO - al Comune di ............ PROTEZIONE CIVILE - Alla Centrale operativa della Polizia Municipale - all'amministratore Condominiale e per conoscenza alla Prefettura di ........
-------------------------------------------------------
IL TESTO: Si comunica che una squadra di questo comando è intervenuta alle ore 00:07 del giorno 16-11-2019 su richiesta del signor ............. in ........... via .......... n. ... a seguito di fuga di gas presso l'abitazione dello stesso. All'interno dell'appartamento il personale dei vigili del fuoco riscontrava la carenza di ossigeno ed altra concentrazione di monossido di carbonio rilevata dallo strumento in dotazione proveniente dalla caldaia posta nella veranda della cucina e provvedeva alla reazione dei locali. É stata intercettata l'alimentazione del gas alla caldaia e diffidato sig. ............ all'utilizzo della stessa fino all'avvenuto ripristino delle condizioni di corretto funzionamento e sicurezza da parte di personale tecnico qualificato. Quanto sopra per i provvedimenti di competenza salvaguardia dell'incolumità delle persone e per la preservazione dei beni.
--------------------------------------------------------
In pratica il caldaista che installò la caldaia a tiraggio naturale il 27/01/2012 e per la quale ogni anno effettuava la revisione, aveva allacciato lo scarico della caldaia nel tubo dei fumi di cucina non eseguendo i lavori come richiede la normativa UNI 7129.
Come riferitomi dai Vigili del Fuoco se fossi andato a dormire avrei rischiato di non svegliarmi più la mattina successiva ma fortunatamente mi sono accorto prima che qualcosa che andava.
Ho fatto effettuare un sopralluogo da altro tecnico il quale farà un preventivo e una dichiarazione dello stato attuale per la messa a norma della caldaia, comunque dovrà esserne installata una nuova a condensazione e calare un tubo dal tetto (3° piano) che verrà inserito nello scarico della caldaia in base alla normativa - quello che non fece il precedente idraulico.
Domanda:
1) che cosa ha violato la ditta installatrice e i tecnici che ogni hanno effettuavano la revisione?
2) come dobbiamo procedere legalmente nei riguardi della ditta istallatrice?
3) Abbiamo diritto ad un risarcimento e di che tipo?
Posso fornire delle immagini e tutta la documentazione comprovante quanto sopra.
Ringrazio e attendo un Vs parere.
Cordiali saluti

Consulenza legale i 02/12/2019
Il tema della responsabilità dell’installatore, che è quello che qui si richiede di affrontare, trova la sua disciplina sia nel codice civile che nella legislazione specifica di settore.
Sotto il profilo civilistico, occorre innanzitutto procedere ad un esatto inquadramento del rapporto giuridico che generalmente intercorre tra cliente ed impiantista, il quale può ricondursi nell’ambito del contratto di appalto, definito dall’art. 1655 del c.c. come quel contratto con il quale una parte si obbliga, con organizzazione di mezzi propri ed a proprio rischio, a compiere un’opera o un servizio verso un corrispettivo in denaro.
Con l’appalto, l’imprenditore assume su di se l’obbligo dell’organizzazione per il compimento dell’opera o del servizio, ed è tenuto a garantire che l’opera o il servizio concordato con il committente sia scevro da difformità e vizi.

Ciò comporta che, quando sorge un problema che genera patologie, tali sono la difformità o vizi dell’opera ovvero il mal funzionamento dell’impianto dopo il rilascio della dichiarazione di conformità, ne scaturisce una responsabilità per l’impiantista appaltatore, il quale non può esimersi da tale responsabilità adducendo di aver prestato la propria opera come nudus minister, ossia come mero esecutore di ordini e direttive impostegli dal committente.
Incombe sull’impiantista, dunque, in conformità a quanto disposto dall’art. 1667 c.c., l’obbligo non solo di eseguire i lavori a regola d’arte, ma anche di assicurare che, una volta realizzato l’impianto, questo possa essere idoneo a dare il risultato voluto, secondo la funzione propria del contratto, quale delineata nel citato art. 1655 c.c.

E’ stato prima detto che, in questa materia, la normativa civilistica deve anche raccordarsi con quella specifica di settore, ed infatti, quando si dice che l’impiantista appaltatore, nel prestare la propria opera, è tenuto ad eseguire un impianto a regola d’arte, si intende fare proprio riferimento ad un impianto che rispetti l’insieme delle singole norme tecniche obbligatorie, relative sia alla realizzazione vera e propria del sistema sia ai prodotti utilizzati.
In particolare, la definizione di impianto a regola d’arte la si ricava:
  1. dall’art. 5 del Decreto ministeriale 22 gennaio 2008 n. 37 (modificato dal Decreto 19.05.2010), in base al quale sono costruiti a regola d’arte i progetti elaborati in conformità alla normativa vigente, alle norme dell’UNI, del CEI, ecc.;
  2. dall’art. 81 del D.lgs. n. 81/2008 (c.d. Testo unico sulla sicurezza), secondo cui sono redatti secondo le regole dell’arte gli impianti costruiti secondo le norme della buona tecnica.

E’ proprio il DM 37/2008, a prevedere che al termine dei lavori, l’impresa installatrice debba effettuare le verifiche previste dalla normativa vigente e rilasciare al committente la dichiarazione di conformità degli impianti, il quale costituisce un documento obbligatorio.
E’ più che evidente che il rilascio di una dichiarazione di conformità non veritiera, come sembra essere accaduto nel caso di specie, integra il compimento di un atto avente rilevanza penale, in quanto diverse sono le norme del codice penale che vengono ad essere violate, quali l’art. 481 del c.p. (relativo alla falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità), l’art. 515 del c.p. (attinente al reato di frode nell’esercizio del commercio, nel caso in cui la falsità riguardi i materiali impiegati), l’art. 483 del c.p. (relativo al reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico se la pubblica amministrazione deve emettere un atto pubblico basandosi su quella falsa dichiarazione, quale può essere il rilascio del certificato di agibilità dell’edificio).

Tralasciando gli aspetti penali della vicenda, che qui sembrano non interessare in maniera precipua chi pone il quesito, sotto il profilo civilistico deve osservarsi che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, quando il legislatore si riferisce alla prestazione resa “a regola d’arte”, tale espressione deve intendersi nel senso che l’opera posta in essere dal prestatore (l’impiantista) deve essere eseguita nel rispetto di quanto statuito dal secondo comma dell’art. 1176 del c.c., norma che individua lo standard di diligenza con cui va misurata la qualità della prestazione, prescrivendo al professionista (ossia a colui il quale presta la propria opera professionalmente) l’impiego, nell’esecuzione dell’incarico, di un livello di diligenza e di impegno superiore a quello del pater familias e commisurato alla particolare natura dell’attività svolta.

Nel momento in cui, pertanto, la prestazione non dovesse essere eseguita nel modo dovuto, si genera indubbiamente un danno nei confronti dell’altra parte contrattuale, facendo scaturire in capo a quest’ultima il diritto ad avvalersi della garanzia che gli artt. 1667 e 1668 c.c. apprestano in favore del committente per difformità e vizi dell’opera realizzata.
I vizi e le difformità previsti da tali norme sono ipotizzabili soltanto nel momento in cui l’opera sia stata integralmente portata a termine, dovendosi diversamente fare riferimento alle regole generali sull’inadempimento contenute negli artt. 1453 e ss. c.c.

In particolare, fondamentale è la distinzione tra difformità e vizi conosciuti o riconoscibili (c.d. apparenti) e non riconoscibili (c.d. occulti).
Per i primi l’accettazione dell’opera senza riserve costituisce fatto impeditivo del sorgere della responsabilità ex art. 1667 c.c.; per i vizi occulti, invece, vale l’obbligo di denuncia che il secondo comma dell’art. 1667 c.c. pone a carico del committente ed a cui occorre adempiere entro il termine di 60 giorni, decorrente dalla percezione del nesso causale tra il segno esteriore del vizio e l’opera (cfr. Cass. 7449/1997).

Nel caso di specie l’installatore potrebbe contestare la non apparenza del vizio, considerato che poteva risultare abbastanza palese agli occhi di chiunque (e del committente in particolare) che lo scarico della caldaia non avveniva in una canna fumaria autonoma, ma sfruttava il tubo dei fumi di cucina, il che potrebbe lasciar intendere che si fosse trattato di una precisa scelta e richiesta del committente di allora.
In contrario, a questo punto, potrebbe agevolmente richiamarsi in proprio favore quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui i vizi riconoscibili , ma taciuti in mala fede dall’appaltatore (e, dunque, da lui dolosamente occultati e sottaciuti) vanno in ogni assimilati ai vizi occulti (così Cass. N. 960/1966), spettando a questo punto all’appaltatore provare, per vincere la conseguente presunzione di mala fede, di averli taciuti per dimenticanza o perché convinto del suo trascurabile rilievo.
Nel caso di specie è difficile che l’impiantista possa riuscire a provare ciò, considerato che il difetto di cui solo adesso si è venuti a conoscenza si pone in contrasto con delle norme tecniche ben precise e che la sua presenza non gli avrebbe potuto consentire non solo di rilasciare la certificazione iniziale di conformità, ma anche di certificare la corretta revisione e manutenzione annuale della caldaia.
Inoltre, nessuna valenza può assumere in favore di chi svolge professionalmente tale attività la circostanza che l’impiantista possa essersi attenuto alle previsioni di un progetto altrui, come nel caso in cui sia lo stesso committente a predisporre il progetto e fornire indicazioni sulla relativa realizzazione, in quanto l'appaltatore sarà comunque da ritenere responsabile per i vizi dell'opera se, nel fedelmente eseguire il progetto e le indicazioni ricevute, non segnali eventuali carenze ed errori, giacché la prestazione da lui dovuta implica anche il controllo e la correzione degli eventuali errori del progetto.

Chiarito quanto sopra in ordine alla sussistenza di una palese responsabilità dell’impiantista che ha eseguito la posa in opera della caldaia, occorre a questo punto fare i conti con i termini di prescrizione che la legge prevede per far valere in qualche modo tale responsabilità.
L’art. 1667 c.c., infatti, dispone al terzo comma che l’azione contro l’appaltatore per far valere la garanzia per vizi e difformità dell’opera si prescrive in due anni dalla consegna dell’opera; la previsione di un termine così breve risponde all’intento del legislatore di contemperare l’esigenza della tutela del committente a conseguire un’opera immune da vizi e difformità con l’interesse dell’appaltatore ad un accertamento sollecito delle eventuali contestazioni in ordine ad un suo inadempimento nell’esecuzione della prestazione (così Cass. N. 28417/2005; Cass. N. 23075/2009; Cass. N. 3199/2016).

La giurisprudenza, tuttavia, ha chiarito che tale prescrizione opera per le azioni di cui al successivo art. 1668 del c.c., ossia per agire in giudizio al fine di far valere il proprio diritto a che venga accertata l’inadempienza contrattuale dell’impiantista e la sua condanna all’esecuzione dei lavori necessari per rendere l’impianto conforme alla normativa specifica; non opera, invece, per esercitare nei suoi confronti un’azione di rivalsa per le somme che si può essere costretti ad erogare a terzi a titolo di risarcimento dei danni prodotti dall’esecuzione dell’opera appaltata, azione che è soggetta all’ordinario termine di prescrizione da illecito extracontrattuale (cinque anni).

Quest’ultimo termine, a sua volta, non può farsi decorrere dal momento in cui è stata posta in essere la condotta che ha determinato l’evento dannoso (ossia l’installazione della caldaia), bensì dal diverso momento in cui la produzione del danno si manifesta all’esterno, divenendo oggettivamente percepibile e conoscibile da chi ha interesse a farlo valere (è l’oggettiva impercettibilità e irriconoscibilità del danno, e dunque la sua mancata esteriorizzazione, ad impedire il decorso della prescrizione).

Nessuna azione di rivalsa, però, si ritiene che possa essere esercitata in questo caso, non essendosi verificato alcun danno che abbia costretto il proprietario dell’immobile ove è stata collocata la caldaia a risarcire eventuali terzi danneggiati (ci si è trovati “soltanto” coinvolti in un pericolo di danno).
Le uniche conseguenze negative della posa in opera della caldaia in maniera non conforme alle prescrizioni di legge (e, dunque, non a regola d’arte) si riducono alla necessità attuale di dover creare ex novo una canna fumaria nella quale condurre gli scarichi della caldaia, il che costituisce l’oggetto di quella garanzia specifica a cui può essere chiamato a rispondere l’appaltatore, ma entro il termine di due anni dalla consegna dell’opera (avvenuta nel 2012).

Stando così le cose, ciò che può suggerirsi è di notiziare l’impiantista di quanto accaduto, addossando apertamente sullo stesso la responsabilità del cattivo funzionamento della caldaia e ponendo in rilievo la circostanza che il suo comportamento sarebbe passibile di sanzioni penali, pur a distanza di un così lungo arco temporale.
Infatti, ad aggravare la sua posizione, sotto il profilo penale, ed a mantenere la sua condotta contra legem, si pone il fatto che allo stesso era stato anche affidato l’appalto di eseguire la manutenzione annuale della caldaia e che, malgrado tale sua successiva attività, non si era preoccupato di rimuovere la situazione di pericolo derivante dalle condizioni dell’impianto e che rendevano lo stesso non a norma, continuando malgrado ciò a rilasciare false certificazioni, attestanti il regolare funzionamento di quella caldaia.

Probabilmente il timore di andare incontro a responsabilità di natura penale, potrà indurre lo stesso a porre rimedio alla sua condotta omissiva, provvedendo personalmente e senza richiedere alcun compenso ad installare quella canna fumaria che servirebbe a rendere l’impianto conforme, per come è stato finora falsamente attestato.

In ogni caso deve precisarsi che qualunque tipo di azione dovrà essere esperita da coloro i quali risultano legittimi proprietari dell'immobile, ossia la mamma, la zia e la nonna.


Orsola chiede
lunedì 24/02/2014 - Emilia-Romagna
“Buongiorno, sono titolare di un impianto fotovoltaico di 200Kwp, attivato nel marzo 2012 e collaudato nell'aprile 2012. L'impianto è costituito da pannelli a cella chiusa e larga, per un disguido della ditta installatrice. Con fax del 25.02.13 ho lamentato a quest'ultima GENERICAMENTE la presenza di vizi e la mancata esecuzione a regola d'arte dei lavori. In particolare, nel marzo 2013 a seguito di un sopralluogo di tecnici specializzati Enel si è rilevato quanto segue: 1. la cabina dei quadri elettrici di bassa tensione dell'impianto presente estese macchie di umidità e l'eventuale formazione di gocce d'acqua potrebbero compromettere il funzionamento dell'impianto stesso nel caso in cui queste cadano sui quadri elettrici; 2. presenza di acqua, in quantitativi abbondanti, all'interno delle vasche presenti al di sotto per il passaggio di cavi elettrici di bassa e media tensione, con rischio di compromettere la sicurezza dell'impianto, con conseguente modifica dei valori di isolamento dell'impianto e i valori di dispersione verso terra; 3. presenza di acqua all'interno dei pozzetti di ispezione per l'impianto di messa a terra della cabina, con pericolo alla sicurezza a causa di variazione dell'isolamento di dispersione verso terra; 4. mancata installazione di un termometro di sicurezza in dotazione al trasformatore, il cui vano di alloggio ha un'areazione molto scarsa; 5. non sono state installate né la centralina né le sonde di temperatura per il controllo del trasformatore. Per l'esecuzione dei lavori d'intervento occorrerà spegnere l'impianto con conseguente perdita di produttività dell'energia. Chiedo se per i vizi descritti posso agire con accertamento tecnico preventivo ART. 1669 C.C. e se questa azione non è prescritta (tali danni sono stati altresì lamentati in altro giudizio pendente a titolo di compensazione per fatture non ancora saldate alla ditta installatrice, relative ad altri due impianti). E se posso chiedere i danni derivati (mancato guadagno energia) anche per il fatto che l'impianto è costituito in parte da pannelli diversi (cella larga e chiusa) e il marchio non è quello che rientra nel circuito di cui fa parte la ditta installatrice. Grazie. Distinti Saluti”
Consulenza legale i 07/03/2014
L'art. 1669 concerne la responsabilità dell'appaltatore per rovina e difetti di cose immobili. Oggetto della disciplina sono quindi tutti i beni immobili ai sensi dell'art. 812 del c.c., comprese le costruzioni "unite al suolo a scopo transitorio". Quindi, dal punto di vista civilistico (e da recenti circolari dell'Agenzia delle Entrate sembra anche dal punto di vista fiscale) è possibile applicare la disciplina degli immobili anche all'impianto fotovoltaico assicurato in maniera duratura ad un edificio. Ciò significa che potrà trovare applicazione anche l'art. 1669 c.c. (la norma peraltro è spesso richiamata negli stessi contratti di installazione dell'impianto - si suggerisce nello specifico caso in questione di verificare questa circostanza).

L'articolo in commento prevede dei termini di decadenza e prescrizione dell'azione di responsabilità: la denunzia dei vizi/difetti deve essere fatta entro un anno dalla scoperta e l'azione può essere esercitata entro un anno dalla denunzia e comunque non oltre dieci anni dal compimento dell'opera.
Nel caso di specie, è stata inoltrata una denuncia dei vizi via fax che, da un lato, è ben precedente al termine di dieci anni dalla messa in opera dell'impianto (aprile 2012), dall'altro sarebbe altresì tempestiva se la scoperta dei vizi fosse contestuale all'ultimazione dei lavori (nel quesito questa circostanza non è precisata). Si fa rilevare che la "scoperta" va intesa come il momento in cui il committente consegue un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dall'imperfetta esecuzione dell'opera (v. Cass. cv. 28853/2009).
In ogni caso, l'onere di provare che la scoperta del vizio è avvenuta oltre il termine annuale di decadenza spetta all'appaltatore.
Ci si deve poi chiedere se le modalità di denuncia rispettino i presupposti di legge.
Secondo la giurisprudenza, il termine di decadenza può essere interrotto anche da qualsiasi atto stragiudiziale (come una lettera), non essendo necessaria la proposizione di una domanda giudiziale (si veda Cass. civ. n. 1955/2000: "In tema di appalto per la realizzazione di edifici o altri immobili destinati per loro natura a lunga durata, il termine annuale previsto dall'art. 1669, secondo comma, per l'esercizio del diritto del committente ad essere risarcito dei correlativi danni, decorrente dalla denunzia di rovina o di pericolo di rovina, o di gravi difetti dell'immobile, è, per espressa definizione normativa, un termine prescrizionale. Ne consegue che, a norma dell'art. 2943 c.c., il relativo decorso viene interrotto non solo dalla proposizione della domanda giudiziale, ma, altresì, da qualsiasi atto stragiudiziale (nel­la specie, una lettera) che valga a costituire in mora il debitore. Ciò in quanto detto termine si riferisce non già alla sola azione di responsabilità nei confronti dell'appaltatore, ma al diritto di credito del committente, affiancato, come tutti i diritti, dalla facoltà, per il suo titolare, di farlo valere in giudizio, la quale costituisce un modo di esplicazione dello stesso, e non incide sulla sua disciplina sostanziale, ivi compresa la regolamen­tazione della prescrizione e delle relative cause di interruzione").

Si ritiene, pertanto, che l'azione ex art. 1669 c.c. non sia prescritta e che possa essere richiesto un accertamento tecnico preventivo sull'impianto ai sensi dell'art. 696 c.p.c. o anche 696 bis c.p.c., quest'ultimo teso a trovare una soluzione conciliativa davanti al consulente tecnico.
Peraltro, è bene sottolineare che secondo parte della giurisprudenza, se vi è necessità dell'espletamento di indagini tecniche, il termine di prescrizione annuale per agire contro il costruttore responsabile dei difetti dell’opera decorrerebbe dalla data della perizia stragiudiziale, e non dalla lettera di denuncia dei vizi (v. Cass. 567/2005).

Nel quesito si precisa che i danni sono stati altresì lamentati (e quindi dedotti) in un giudizio pendente relativo a fatture non ancora saldate alla ditta installatrice (si immagina trattarsi di opposizione a decreto ingiuntivo). Se la fase del processo lo consente, ovvero se non sono ancora scaduti i termini per il deposito delle memorie ex art. 183, comma VI, c.p.c., è altresì possibile chiedere che il giudice ammetta una Consulenza Tecnica d'Ufficio volta ad accertare l'esistenza e l'entità dei danni, senza dover ricorrere ad un accertamento tecnico fuori dal processo.

Sulle voci di danno risarcibili, si può in via generale ritenere che qualsiasi pregiudizio potrà essere risarcito, se si dà prova della sua esistenza e della sua connessione con lo svolgimento delle opere da parte dell'appaltatore. Certamente il mancato guadagno derivante dall'obbligo forzato di interrompere il funzionamento dell'impianto rientra a pieno titolo tra i danni risarcibili.
Tuttavia, poiché è già pendente un giudizio che ha ad oggetto la questione, si deve ricordare che il nostro ordinamento non consente di riproporre in altra causa una domanda già proposta, in virtù del c.d. principio del ne bis in idem. Il legale della parte dovrà, quindi, valutare con attenzione il thema decidendum (cioè cosa è stato chiesto nel giudizio già pendente) per non riproporre due volte la stessa richiesta.

RENZO B. chiede
giovedì 24/05/2012 - Marche

“ABITAZIONE ULTIMATA MARZO 2004. PROBLEMA PER UN PAVIMENTO DI WC (le piastrelle si sono scollate). IL DANNO RIENTRA NELLA GARANZIA DECENNALE (GRAVI DANNI STRUTTURALI) O IN QUELLA BIENNALE?. GRAZIE”

Consulenza legale i 25/05/2012

I gravi difetti ed i vizi che rientrano nell'ambito di applicazione dell'art. 1669 del c.c. determinando una responsabilità decennale in capo all'appaltatore si possono così classificare:

  1. vizi o difetti che possono portare alla rovina (parziale o totale) o che costituiscono pericolo di rovina dell’edificio (per difetto e carenze resistive strutturali, per vizio/difetto del suolo o per errato dimensionamento delle fondazioni);
  2. vizi o difetti che rendono in tutto o in parte inidoneo il bene rispetto al suo uso in generale o alla propria specifica destinazione (dipendenti sia dalla costruzione quanto dall’ambiente e/o dalle particolarità geologiche circostanti: edificio realizzato su di una falda che ne provoca spostamenti, movimenti e continue lesioni);
  3. vizi o difetti che pregiudicano le caratteristiche tecniche e prestazionali degli immobili (in materia di contenimento energetico, …)
  4. vizi o difetti che comportano una spesa particolarmente elevata su parti edilizie, impiantistiche e componentistiche del bene e destinati comunque a lunga durata (ad esempio sugli elementi e parti strutturali-decorative in c.a. faccia vista, estesi distacchi di intonaci interni ed esterni, sostituzione di tutte le pavimentazioni esterne per difetto di produzione o di posa);
  5. vizi o difetti impiantistici che possono comportare rischi per la sicurezza e l’incolumità di cose o persone (mancata realizzazione dell’impianto di terra, …);
  6. tutte quelle difformità rispetto al progetto, al capitolato speciale di appalto e/o alle normative speciali in materia urbanistica, edilizia ed impiantistica;
  7. vizi o difetti che riducono in maniera apprezzabile il normale godimento del bene o che impediscano al bene di fornire la normale utilità della propria destinazione.
  8. vizi o difetti che possono portare alla rovina (parziale o totale) o che costituiscono pericolo di rovina dell’edificio (per difetto e carenze resistive strutturali, per vizio/difetto del suolo o per errato dimensionamento delle fondazioni);
  9. vizi o difetti che rendono in tutto o in parte inidoneo il bene rispetto al suo uso in generale o alla propria specifica destinazione (dipendenti sia dalla costruzione quanto dall’ambiente e/o dalle particolarità geologiche circostanti: edificio realizzato su di una falda che ne provoca spostamenti, movimenti e continue lesioni);
  10. vizi o difetti che pregiudicano le caratteristiche tecniche e prestazionali degli immobili (in materia di contenimento energetico.

Nel caso posto all'attenzione, qualora il distacco delle piastrelle sia esteso, implichi una diminuzione del normale utilizzo del bene e possa rappresentare un pericolo di rovina, allora potrà rientrare nell'ipotesi della garanzia decennale descritta dalla predetta norma.


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