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Articolo 1664 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Onerosità o difficoltà dell'esecuzione

Dispositivo dell'art. 1664 Codice Civile

Qualora per effetto di circostanze imprevedibili(1) si siano verificati aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d'opera, tali da determinare un aumento o una diminuzione superiori al decimo del prezzo complessivo convenuto, l'appaltatore o il committente possono chiedere una revisione del prezzo medesimo(2). La revisione può essere accordata solo per quella differenza che eccede il decimo [1647](3).

Se nel corso dell'opera si manifestano difficoltà di esecuzione derivanti da cause geologiche, idriche e simili, non previste dalle parti(4), che rendono notevolmente più onerosa la prestazione dell'appaltatore, questi ha diritto a un equo compenso.

Note

(1) Imprevedibili possono essere le circostanze o la loro misura.
(2) A differenza della previsione dell'art. 1467 c.c., in tal caso è sufficiente che gli eventi siano solo imprevedibili, non anche straordinari. Pertanto, solo al ricorrere di entrambi i presupposti il contraente svantaggiato può valersi della disciplina più favorevole di cui alla norma da ultimo citata.
(3) La variazione inferiore al decimo viene ricondotta dal legislatore alla normale alea contrattuale (1469 c.c.). Ne deriva che la parte che non intende sopportarla (e potrebbe essere una variazione gravosa se il prezzo è molto alto) deve cautelarsi con apposita clausola.
(4) Dalla norma emerge solo che le altre cause cui essa fa riferimento non devono essere state previste dalle parti mentre non è chiaro se debbano anche non essere imputabili all'uomo (atmosferiche, climatiche ecc.) ovvero se possano anche dipendere da fatto umano di un terzo (ad esempio, sciopero prolungato che renda irreperibile un dato bene) o delle stesse parti, purché non imputabile ad esse (ad esempio, infortunio all'appaltatore per incidente stradale nel quale non ha colpa).

Ratio Legis

La norma è volta a garantire l'equilibrio nei contratti commutativi (1469, 1467 c.c.) a fronte degli eventi che possano comprometterlo.

Spiegazione dell'art. 1664 Codice Civile

Disposizioni di ordine generale

L'argomento del quale ci occupiamo è trattato dal codice in doppio modo e cioè come prescrizione generale relativa a tutti i contratti negli articoli 1467 e 1468 e come statuizioni specifiche concernenti l'appalto nel presente articolo.
L'art. 1467 stabilisce che nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, se la prestazione di una delle parti diventa eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari ed imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, ma le conseguenze non si estendono alle prestazioni effettuate e non possono pregiudicare i diritti legalmente acquisiti dai terzi. La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell'alea normale del contratto. La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto.
L'art. 1468 aggiunge che se l'obbligazione è assunta per una sola delle parti, questa può chiedere una riduzione della sua prestazione ovvero una modificazione delle modalità di esecuzione sufficienti per ricondurla ad equità.


Il procedimento revisionistico

Il codice comincia a porre a carico delle parti tutto ciò che deve considerarsi come alea normale del contratto, la quale, per quanto attiene agli appalti, è fissata nella misura del decimo del prezzo complessivo, sia in aumento come in diminuzione.
Inoltre, mentre nell'art. 1467 si parla di avvenimenti straordinari ed imprevedibili, per gli appalti il codice si contenta solo delle circostanze imprevedibili. La differenza di locuzione è agevolmente spiegabile, in quanto nella prima ipotesi si deve giungere ad una conclusione assai grave quale è quella della risoluzione del contratto, mentre nella seconda andiamo alla sola modificazione del prezzo.

È tuttavia da domandarsi, indipendentemente dalla interpretazione letterale, se sia possibile anziché la revisione del prezzo domandare lo scioglimento del contratto. Sembra possibile, ritenendo che le disposizioni degli articoli 1467 e 1468 da un lato e 1664 dall'altro non siano tra loro in contrasto, e possono agire sia simultaneamente, sia separatamente. Certo che se l'assuntore chiede la risoluzione del contratto e questa viene accolta, l'assuntore medesimo deve porre le opere in condizioni tali che non possano arrecare danni sia ai lavori compiuti come ai terzi.

La misura del dieci per cento è stabilita perché la revisione sia operativa tanto nel senso dell'aumento del corrispettivo quanto in quello della diminuzione. Tale limite deve essere superato rispetto al costo complessivo dell'opera e quindi l'indagine non può essere esperita, come per i pubblici appalti, a periodi lavorativi, ma deve contemplare l'opera nel suo complesso. È da domandarsi se questa indagine deve effettuarsi ad opera compiuta, o quanto meno eseguita per tanta parte per cui sia da ritenere già avvenuta la variazione del costo oppure se si possa, in via preventiva, determinare il maggiore o minore costo e sulla base delle risultanze concordare il nuovo prezzo. Presumibilmente, è possibile l'uno e l'altro metodo ma ben si intende che se gli accordi sono preventivi questo concetto non va inteso sino al punto che ancora non siano iniziati i lavori, perché allora ci troveremmo di fronte non al processo della revisione del prezzo, ma a quello della nuova pattuizione con altri aspetti giuridici. Inoltre perché abbia luogo la revisione nel senso dell'aumento occorre che l'assuntore abbia iniziato i lavori, in modo da poter chiedere in corso d'opera il maggiore corrispettivo, determinabile anche, come abbiamo accennato, in via preventiva per la parte ancora da eseguire.


Altri tipi di difficoltà

L'ultimo comma dell'art. 1664 concede un equo compenso all'assuntore se cause naturali, non previste dalle parti, rendano più onerosa la prestazione.

Il principio affermato è giusto: l'applicazione pratica naturalmente porterà ad indagini spesso sottili, che potranno essere complicate dal processo di indagine della volontà delle parti, specie quando vi è un accenno alle condizioni del terreno sul quale si debbono svolgere i lavori e quando, pur senza il caso di frode o di dolosa occultazione di elementi, l'appaltatore come esperto o più esperto dell'arte avesse l'obbligo di essere più preveggente rispetto alle possibili incognite del terreno.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

702 Un'altra importante innovazione, rispondente alle moderne esigenze del contratto di appalto, è quella apportata dall'art. 1664 del c.c., primo comma, che fa una decisa applicazione dall'art. 1467 del c.c. relativo all'eccessiva onerosità della prestazione, accogliendo il principio della revisione dei prezzi dell'appalto, quando, per effetto di circostanze sopravvenute, che le parti non potevano prevedere, si sia verificato un sensibile squilibrio nelle rispettive posizioni contrattuali. Il principio della rivedibilità del prezzo, già attuato nella prassi degli appalti pubblici, si giustifica non solo con evidenti ragioni di giustizia concreta e col principio di solidarietà che deve prevalere sull'esclusiva considerazione degli interessi singoli (n. 558), ma anche col fatto che il valore dell'opera compiuta, entrata nel patrimonio del committente, è normalmente in funzione dal valore dei materiali e della mano d'opera; di guisa che è giusto, in caso di notevoli variazioni di questi elementi che superino l'alea normale del contratto, variare pure il prezzo dell'opera, lasciandosi in ogni caso immutato il margine di guadagno che l'appaltatore si riprometteva al momento della conclusione del contratto. La revisione del prezzo è dunque ammessa, a favore di entrambi le parti, quando l'aumento o la diminuzione del costo dei materiali e della mano d'opera superi quel limite dell'alea normale che qui la legge indica a priori nel decimo del prezzo complessivo convenuto; ed è ammessa solo per quella parte della differenza che eccede tale decimo. Un'ulteriore applicazione del principio è contenuta nel secondo comma dello stesso art. 1664. Nell'ipotesi, piuttosto frequente,in cui, durante i lavori, si manifestino difficoltà di esecuzione derivanti da cause obiettive, sia pure preesistenti al contratto ma ignote alle parti, le quali impongano all'appaltatore di compiere ulteriori lavori o opere supplementari, si riconosce all'appaltatore medesimo il diritto di ottenere un equo compenso.

Massime relative all'art. 1664 Codice Civile

Cass. civ. n. 40049/2021

In tema di redditi di impresa, in caso di opere, forniture e servizi ultrannuali, ai sensi dell'art. 93, comma 2, del d.P.R. n. 917 del 1986 (già art. 60, comma 2, del d.P.R. n. 917 del 1986), costituiscono maggiorazioni di prezzo, assoggettabili a tassazione in misura non inferiore al 50 %, già al momento della richiesta, stante la certezza della pretesa, in quanto sorte dalla legge o dal contratto, i redditi derivanti da proventi accessori al contratto (vendita di materiali non impiegati), i corrispettivi per servizi aggiuntivi e gli aumenti o le diminuzioni del costo dei materiali o della manodopera, tali da determinare un aumento o una diminuzione superiore al decimo del prezzo complessivo convenuto, ex art. 1664 c.c.; non possono essere, invece, assoggettate a tassazione nell'anno della richiesta, in misura non inferiore al 50 %, non rientrando tra le maggiorazioni di prezzo, in assenza del requisito della certezza, le pretese relative alle "riserve di cantiere", sia quelle per maggiori compensi fondate su "varianti" in corso d'opera, che si sostanziano in mere proposte di modifica del negozio, sia quelle di carattere risarcitorio, che mirano unicamente alla reintegrazione del patrimonio dell'appaltatore.

Cass. civ. n. 5144/2020

Nell'appalto, sia pubblico che privato, rientra tra gli obblighi dell'appaltatore, senza necessità di una specifica pattuizione, il controllo della validità tecnica del progetto fornito dal committente, anche in relazione alle caratteristiche del suolo su cui l'opera deve sorgere, posto che dalla corretta progettazione, oltre che dall'esecuzione dell'opera, dipende il risultato promesso, sicché la scoperta in corso d'opera di peculiarità geologiche del terreno tali da impedire l'esecuzione dei lavori, non può essere invocata dall'appaltatore per esimersi dall'obbligo di accertare le caratteristiche idrogeologiche del terreno sul quale l'opera deve essere realizzata e per pretendere una dilazione o un'indennizzo, essendo egli tenuto a sopportare i maggiori oneri derivanti dalla ulteriore durata dei lavori, restando la sua responsabilità esclusa solo se le condizioni geologiche non siano accertabili con l'ausilio di strumenti, conoscenze e procedure normali. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO PALERMO, 14/01/2015).

Cass. civ. n. 5267/2018

La disposizione di cui all'art. 1664 c.c. (relativa alla revisione del prezzo del contratto di appalto), senz'altro applicabile anche agli appalti pubblici, non ha carattere vincolante per le parti, le quali, pertanto, possono legittimamente derogarvi, con la conseguenza che, in caso di contrasto tra esse circa la reale portata delle clausole contrattuali sul punto della applicabilità o meno della norma "de qua", è demandato al giudice di merito, al fine di accertare la reale volontà dei contraenti (se abbiano, cioè, voluto o meno escludere la revisione del prezzo del contratto di appalto), il compito di ricostruirne il comune intento negoziale avvalendosi dei comuni criteri di ermeneutica contrattuale, a partire da quello collegato all'elemento letterale delle clausole negoziali, considerando, all'uopo, che l'intento di derogare alla norma contenuta nell0 art. 1664 c.c. non richiede l'uso di particolari espressioni formali, potendo per converso risultare, oltre che da una clausola espressa, anche dall'intero assetto negoziale nel suo complesso.

Cass. civ. n. 1164/2017

In tema di appalto di opere pubbliche, il diritto dell'appaltatore alla revisione dei prezzi - secondo la disciplina vigente anteriormente all'entrata in vigore del d.l. n. 333 del 1992, conv., con modif., dalla l. n. 359 del 1992, che ha soppresso tale facoltà, sostituita, poi, dal diverso sistema di adeguamento previsto dalla legge quadro in materia di lavori pubblici n. 109 del 1994 - sussiste solo quando derivi da apposita clausola stipulata, in deroga alla regolamentazione legale, anteriormente all'entrata in vigore della l. n. 37 del 1973 (che ha vietato ogni genere di accordo incidente su questo aspetto del rapporto), ovvero quando l'amministrazione abbia già esercitato il potere discrezionale a lei spettante adottando un provvedimento attributivo, o ancora abbia tenuto un comportamento tale da integrare un implicito riconoscimento del diritto alla revisione, così che la controversia riguardi soltanto il "quantum" della stessa, sempre che, in tale ultima ipotesi, si tratti di riconoscimento riferibile all'intera opera, giacché il riconoscimento parziale - limitato, cioè, a particolari lavori o categorie di lavori (con esplicita o implicita esclusione di altri) - circoscrive la sussistenza del diritto alle sole pretese ad esso riconducibili.

Cass. civ. n. 23071/2016

In materia di appalto di opere pubbliche, il diritto dell'appaltatore alla revisione dei prezzi, sia con riguardo al "quantum" della revisione, sia con riguardo alla responsabilità dell'amministrazione per interessi ed eventuale maggior danno sulla somma dovuta, sorge soltanto dal momento del riconoscimento della revisione medesima da parte dell'Amministrazione, per il tramite dell'organo dell'ente pubblico abilitato a manifestare la volontà, con la conseguenza che tale riconoscimento non può mai considerarsi pacifico tra le parti, e perciò non abbisognevole di prova, anche in mancanza di contestazione, atteso che non possono considerarsi pacifici tra le parti i fatti per i quali la legge richieda un atto scritto "ad substantiam" o "ad probationem".

Cass. civ. n. 15029/2016

Il divieto della "revisione dei prezzi" e l'obbligatorietà del "prezzo chiuso", da considerarsi principi regolatori degli appalti pubblici, sono ispirati a parametri di contemperamento tra diritti dell'appaltatore ed esigenze del committente affatto diversi rispetto a quelli della revisione prezzi, atteso che mentre quest'ultimo istituto tende a mantenere fermo l'originario rapporto sinallagmatico tra prestazione dell'appaltatore e controprestazione dell'Amministrazione, adeguando il corrispettivo alle variazioni dei prezzi di mercato, ove questi superino la soglia della normale alea contrattuale, i primi, invece, mirano ad assicurare alla P.A. beni e prestazioni alle migliori condizioni, nonchè a soddisfare l'esigenza della certezza dell'impegno finanziario e di risanamento della finanza pubblica, e ciò mediante un'alea convenzionale forfetizzata per entrambi i contraenti attraverso un sistema di automatico computo degli aumenti sganciato da un preciso collegamento con l'inflazione reale

Cass. civ. n. 17782/2015

In tema di appalto di opere pubbliche, l'equo compenso dovuto all'appaltatore, ai sensi dell'art. 1664, comma 2, c.c., per i maggiori oneri derivanti da difficoltà di esecuzione conseguenti a cause geologiche (cd. sorpresa geologica), rappresenta una forma indennitaria di integrazione del corrispettivo e, pertanto, costituisce un debito di valuta anche se liquidato, secondo equità, prendendo a base i maggiori esborsi dell'appaltatore e adeguandoli agli indici della sopravvenuta svalutazione monetaria. Peraltro, in assenza di un'espressa statuizione al riguardo, l'adeguamento al parametro inflattivo non può ritenersi comprensivo degli interessi, che sono quindi dovuti, con decorrenza dalla intimazione di pagamento ovvero dalla proposizione della domanda da parte dell'appaltatore e non già dalla formulazione di un'eventuale riserva, non implicando quest'ultima la costituzione in mora della stazione appaltante.

Cass. civ. n. 4198/2014

La clausola con la quale si escluda, in deroga all'art. 1664 cod. civ., il diritto dell'appaltatore a ulteriore compenso per le difficoltà impreviste incontrate nell'esecuzione dell'opera (cosiddetto appalto "a forfait") non comporta alcuna alterazione della struttura ovvero della funzione dell'appalto, nel senso di renderlo un contratto aleatorio, ma solo un ulteriore allargamento del rischio, senza che questo, pur cosi ulteriormente allargato, esorbiti dall'alea normale del tipo contrattuale.

Cass. civ. n. 28812/2013

In tema di appalto, la norma di cui all'art. 1664 cod. civ., per le fattispecie da essa contemplate, presenta carattere speciale rispetto alla disposizione di cui all'art. 1467 cod. civ., della quale impedisce l'applicabilità, in quanto non prevede la risoluzione del contratto, ma solo la revisione dei prezzi o, nel caso di cui al secondo comma, il diritto dell'appaltatore ad un equo compenso.

Cass. civ. n. 18559/2011

In tema di appalto di opere pubbliche, il principio secondo cui, per le opere o provviste a corpo, il prezzo convenuto è fisso ed invariabile (ex art. 326 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 all. F), il quale comporta che grava sull'appaltatore il rischio relativo alla maggiore quantità di lavoro resasi necessaria rispetto a quella prevedibile, è applicabile quando siano correttamente rappresentati tutti gli elementi che possono influire sulla previsione di spesa dell'appaltatore, solo in tal caso potendosi ritenere che la maggiore onerosità dell'opera rientri nell'alea normale del contratto, tenuto conto che, a norma dell'art. 1175 c.c., le parti del rapporto obbligatorio devono comportarsi secondo buona fede. (Nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C., aveva accertato che l'Amministrazione committente, per negligenza o imperizia in sede di progettazione, aveva ingenerato nell'appaltatore una erronea rappresentazione in ordine ai costi e alle modalità di realizzazione dell'opera secondo le previsioni progettuali, rendendo imprevedibile la eccessiva onerosità e difficoltà di esecuzione dell'opera, poi verificatesi).

Cass. civ. n. 1494/2011

Nel contratto di appalto stipulato tra privati, quando il corrispettivo sia stato determinato a corpo e non a misura, l'appaltatore non può invocare la revisione dei prezzi, di cui all'art. 1664 c.c., per le variazioni di costo intervenute in corso di esecuzione e dipendenti da fattori che al momento della stipula del contratto potevano essere preveduti; quando, invece, gli aumenti siano dipesi da fattori del tutto imprevedibili al momento della stipula del contratto, la revisione dei prezzi è dovuta anche nell'appalto con corrispettivo a corpo, a meno che le parti, nell'esercizio della loro autonomia, non vi abbiano inequivocabilmente rinunciato

Cass. civ. n. 380/2010

In tema di appalto, l'equo compenso di cui all'art. 1664, comma secondo, c.c., dovuto in dipendenza della c.d. "sorpresa geologica", costituisce un supplemento di natura indennitaria proporzionale al prezzo, assolvente alla funzione di reintegrare l'appaltatore dei maggiori oneri, rispetto al compenso contrattuale, subiti per effetto delle impreviste ed imprevedibili difficoltà incontrate nell'esecuzione della prestazione per ostacoli di natura geologica e simili. Ne consegue che detto compenso non è determinabile da parte del giudice di merito laddove difetti la prova del prezzo originario, posto che è proprio di quest' ultimo che si deve necessariamente tener conto ai fini della determinazione dell'indennizzo.

Cass. civ. n. 6595/2009

In tema di revisione dei prezzi nell'appalto di opere pubbliche, ove la pretesa dell'appaltatore venga espressamente ricondotta alla previsione di una specifica clausola del contratto e si sostanzi nell'affermazione per la quale quella clausola obbligherebbe l'Amministrazione appaltante al riconoscimento della revisione del prezzo, la questione sottoposta all'esame del giudice (a prescindere dalla sua fondatezza nel merito) si traduce in una mera pretesa di adempimento contrattuale e, quindi, comporta l'accertamento dell'esistenza di un diritto soggettivo, che ricade nell'ambito della giurisdizione ordinaria.

Cass. civ. n. 5951/2008

In materia di appalto di opere pubbliche, la revisione legale dei prezzi presuppone la mancanza di colpa da parte dell'Amministrazione, mentre se vi è colpa di quest'ultima e, quindi, risultano ad essa addebitabili fatti per effetto dei quali la ritardata esecuzione dei lavori sia venuta a coincidere con un periodo di prezzi crescenti, gli aumenti subiti dall'appaltatore per fatto della committente restano al di fuori della disciplina della revisione anzidetta e dell'applicazione dello speciale procedimento predisposto per i computi revisionali, onde l'appaltatore stesso ha diritto di venire pienamente reintegrato di tutti i maggiori oneri sopportati (e che non avrebbe sopportato mediante un'esecuzione tempestiva), qualunque possa essere stata l'entità dell'aumento, senza alcuna detrazione di alea e senza alcuna pregiudiziale circa l'entità delle ripercussioni di tali maggiori oneri sul complessivo costo dell'opera.

In materia di appalto, una volta che sia intervenuta la pronuncia di risoluzione del contratto, non è più ravvisabile (neppure astrattamente) la possibilità di dare accoglimento alla domanda di revisione dei prezzi, la quale presuppone la vigenza del rapporto anzidetto e ne costituisce esecuzione, laddove la risoluzione ha effetti restitutori e liberatori, postulando il venir meno del contratto quale causa giustificativa delle prestazioni che già siano state eseguite e di quelle che, a titolo di corrispettivo, debbano ancora essere eseguite, nel cui novero va inclusa la corresponsione dei compensi revisionali.

Cass. civ. n. 3932/2008

In tema di opere pubbliche, la clausola contrattuale con cui, riproducendo il contenuto dell'art. 1 D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, l'impresa dichiara d aver esaminato la situazione dei luoghi e di averne valutato i lessi sull'esecuzione dell'opera, lungi dal costituire una mera clausola di stile o dal risolversi in un riconoscimento della remuneratività dei prezzi dell'appalto, si traduce in un'attestazione della presa di conoscenza delle condizioni locali e di tutte le circostanze che possono influire sull'esecuzione dell'opera; essa, pertanto, pone a carico dell'appaltatore un preciso dovere cognitivo, cui corrisponde una altrettanto precisa responsabilità, determinando un allargamento del rischio, senza però comportare un'alterazione della struttura e della funzione del contratto, nel senso di renderlo un contratto aleatorio.

Cass. civ. n. 8519/2007

In tema di appalti pubblici, per effetto dell'art. 3 del decreto legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, che ha generalizzato l'esclusione, già prevista dall'art. 33, comma terzo, della legge 28 febbraio 1986, n. 41, della facoltà dell'Amministrazione committente di procedere alla revisione dei prezzi, e dell'art. 26, comma terzo, della legge 11 febbraio 1994, n. 109, che ha confermato l'inapplicabilità dell'art. 1664, primo comma, c.c., il divieto della revisione dei prezzi è divenuto un vero e proprio principio regolatore degli appalti pubblici, con la conseguenza che non è più configurabile, al riguardo, una posizione di interesse legittimo dell'appaltatore, ma si pone soltanto un problema di validità delle clausole contrattuali che, nel sopravvenuto regime, abbiano riconosciuto il diritto alla revisione. Spetta pertanto al giudice ordinario la giurisdizione in ordine alla domanda di riconoscimento della revisione dei prezzi proposta dall'appaltatore, non implicando detto accertamento un sindacato in ordine all'esercizio di poteri discrezionali dell'Amministrazione, e non essendo la controversia riconducibile alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo prevista dall'art. 33 del D.L.vo 31 marzo 1998, n. 80, come modificato dall'art. 7 della legge 21 luglio 2000, n. 205, in quanto, indipendentemente dall'attinenza del rapporto ad un pubblico servizio, non è configurabile un ipotesi di concessione.

Cass. civ. n. 4463/2001

La previsione dell'art. 1664 c.c., sulla base della quale l'appaltatore ha diritto ad un equo compenso a ristoro delle difficoltà incontrate nell'esecuzione dell'opera, ha riguardo alle sole ipotesi di difficoltà sopravvenute derivanti da causa geologiche, idriche e simili (vale a dire a cause naturali) e non si estende ad altre e diverse
cause oggettive di difficoltà sopravvenuta quali i fatti umani, sebbene rivelatisi idonee a produrre effetti identici o analoghi alle cause naturali. 

Cass. civ. n. 12989/1999

In tema di appalto, la norma del secondo comma dell'art. 1664 c.c. dev'essere interpretata nel senso che presupposto per il diritto dell'appaltatore all'equo compenso, ivi previsto, sia non solo la mancata previsione nel contratto d'appalto delle difficoltà di esecuzione dell'opera derivanti da cause geologiche, idriche e simili, bensì anche la loro imprevedibilità al momento della sua stipulazione, sulla base della diligenza media richiesta dall'attività esercitata, in quanto la suddetta norma costituisce — non diversamente da quella del primo comma dello stesso art. 1664 — una specificazione del principio generale di cui all'art. 1467 secondo comma c.c., secondo il quale nei contratti a prestazioni corrispettive, ad esecuzione continuata o periodica o differita, ciascuna parte assume su di sé il rischio degli eventi che alterino il valore economico delle rispettive prestazioni, entro i limiti rientranti nell'alea normale del contratto, che, pertanto, dev'essere tenuta presente da ciascun contraente al momento della sua stipulazione e nel cui ambito, con riferimento all'appalto, vanno appunto ricondotti gli eventi indicati dal secondo comma dell'art. 1664, ove non siano stati imprevedibili secondo la cennata diligenza.

Cass. civ. n. 11469/1996

Le parti di un contratto di appalto, nell'esercizio della loro autonomia negoziale, possono derogare alla normativa in tema di revisione del prezzo, lasciando interamente a carico dell'appaltatore, con la pattuizione dell'invariabilità del corrispettivo, l'alea correlata alla sopravvenienza di una maggiorazione dei costi, anche quando ricorra, in astratto, ipotesi di eccessiva onerosità dell'esecuzione dell'opera per sopraggiunti eventi straordinari ed imprevedibili.

Cass. civ. n. 6393/1996

La deroga alla disciplina dell'art. 1664 c.c. (onerosità o difficoltà dell'esecuzione) nel cosiddetto appalto a forfait non comporta alcuna alterazione della struttura o della funzione dell'appalto, nel senso di renderlo un contratto aleatorio, ma solo un ulteriore allargamento del rischio, senza che questo, pur così ulteriormente allargato, esorbiti dall'alea normale di questo tipo contrattuale. Pertanto, il mancato adeguamento del prezzo convenuto per l'appalto al maggior costo non può integrare arricchimento senza causa a favore del committente, non concretandosi l'arricchimento in un accadimento estraneo alla volontà contrattuale ed al consenso prestato alla parte «impoverita».

Cass. civ. n. 9520/1995

Il credito dell'appaltatore per revisione prezzi diviene liquido ed esigibile solo con la sentenza che ne accerta la sussistenza e ne determina l'ammontare, sicché non possono spettare interessi moratori prima della liquidazione, che rende esigibile il pagamento, nemmeno quando il compenso revisionale costituisce parte del prezzo di un contratto di compravendita. 

Cass. civ. n. 9060/1994

L'art. 1664 c.c. costituisce la particolare applicazione al contratto di appalto (che, pur essendo un contratto non aleatorio, comporta particolari tipi di rischio espressamente regolamentati) del principio contenuto nell'art. 1467 c.c.; norma quest'ultima, che può ritenersi applicabile ad un contratto di appalto solo nell'ipotesi in cui l'onerosità sopravvenuta sia da attribuire a cause diverse da quelle previste nell'art. 1664, dovendo altrimenti la norma speciale prevalere sulla norma generale, in quanto disciplina specifica di un contratto commutativo con caratteristiche particolari.

Cass. civ. n. 4959/1993

L'art. 1664 comma secondo c.c. — che è applicabile anche agli appalti di opere pubbliche, non trovando ostacoli nella relativa disciplina normativa — attribuisce all'appaltatore il diritto ad equo compenso in presenza di cause geologiche, idriche e simili determinanti una sopravvenuta onerosità per l'appaltatore medesimo, eccedente i limiti delle prestazioni contrattuali, riconoscendo con l'uso dell'aggettivo «simili» soltanto altre cause che presentino le stesse qualità e caratteristiche di quelle precedenti, esplicitamente menzionate e non anche le sopravvenienze oggettive di tipo diverso dalle cause naturali, quantunque produttive di effetti analoghi o simili, tra le quali il fatto dell'uomo, che non abbiano sostanzialmente mutato il regime geologico o idrico del suolo o del mare.

Cass. civ. n. 12076/1992

Ai fini dell'applicazione dell'art. 1664 c.c., il diritto dell'appaltatore alla revisione dei prezzi è subordinato al duplice accertamento che vi sia stato un aumento, in misura superiore al decimo del prezzo convenuto, del costo dei materiali e della mano d'opera impiegati e che tali aumenti fossero imprevedibili al momento della conclusione del contratto, potendo, peraltro, l' imprevedibilità del mutamento riguardare, in epoca di instabilità monetaria, anche la sola misura del mutamento, quando si verifichi un improvviso salto inflattivo, rispetto all'andamento della svalutazione manifestatosi negli anni precedenti, dovuto a particolari contingenze. 

Cass. civ. n. 4514/1980

L'istituto della revisione del prezzo dell'appalto, disciplinato dall'art. 1664 c.c., si applica integralmente anche agli appalti di servizi, e quindi la revisione deve essere riconosciuta solo nel caso di variazioni dei costi superiori al decimo del prezzo pattuito, e deve essere accordata solo per la differenza che ecceda il decimo. Né a ciò è di ostacolo il riferimento, contenuto nell'art. 1664 citato, alla revisione del «prezzo complessivo», poiché negli appalti dei servizi il diritto alla revisione del compenso matura gradualmente, in concomitanza del corrispondente aumento del costo dei servizi appaltati, e pertanto, proposta la richiesta di revisione, questa vale anche per gli aumenti verificatisi anteriormente a detta richiesta. 

La norma relativa alla revisione del prezzo di appalto non ha carattere vincolante per le parti, le quali, pertanto, possono ad essa derogare fissando convenzionalmente un diverso limite di aumento dei costi, ovvero rimuovendo lo stesso limite legale, o escludendo dalla revisione l'aumento del costo di alcune prestazioni.

Cass. civ. n. 1818/1980

Gli istituti disciplinati dall'art. 1664 c.c., che correggono i rigori dell'alea contrattuale nell'appalto, riversando (anche) sul committente le conseguenze di determinate sopravvenienze, rivestono carattere eccezionale rispetto alla disciplina generale della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta, di cui all'art. 1467 c.c., e sono perciò insuscettibili di applicazione analogica ad eventi sopravvenuti e diversi da quelli considerati dalla norma. È, peraltro, ammissibile l'interpretazione estensiva della norma che, nel secondo comma, prevede il diritto dell'appaltatore ad un equo compenso per le difficoltà di esecuzione sopravvenute, derivanti da cause geologiche, idriche e «simili», che rendano più onerosa la sua prestazione, nel senso che debbono ritenersi comprese nella previsione normativa tutte le difficoltà di esecuzione dipendenti da cause naturali, e cioè tutte quelle che presentino le stesse qualità e caratteristiche intrinseche delle precedenti, esplicitamente menzionate, ma non quelle provocate da sopravvenienze oggettive di tipo diverso che provochino effetti identici o analoghi, come il fatto del terzo e il factum principis, le quali possono rientrare nella disciplina generale dell'art. 1467 c.c.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1664 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

G. P. chiede
giovedì 30/03/2023
“Buongiorno, quella che vado ad esporvi è una problematica nata in seguito alla stipula di un contratto preliminare per l'acquisto di un appartamento, all'interno di un complesso residenziale composto da 3 palazzine.
In data 20 dicembre 2021 io, unitamente alla mia compagna, abbiamo firmato un contratto preliminare nel quale, precisamente all'articolo 9, veniva dichiarato come termine per la stipula del contratto definitivo la data del 30 (trenta) settembre 2023. Detto termine doveva intendersi come termine massimo di esecuzione della costruzione (come si può leggere dall'allegato).
In data odierna, il costruttore, ci ha fatto recapitare una lettera nella quale, il termine di consegna, veniva spostato nel mese di APRILE 2024. Il costruttore elencava come cause del ritardo: la pandemia da COVID-19 e lo scoppio della guerra in Ucraina, che avrebbero determinato obbiettive e significative criticità nell'approvvigionamento delle materie prime per le costruzioni e dei materiali di finitura. Nella lettera veniva anche specificato che: l'aggravio dei costi della manodopera e dei consumi energetici non sarebbero stati riversati, sui promittenti acquirenti, per semplice premura e buona volontà del costruttore.
Tengo a precisare che la data di inizio lavori era stata prefissata per il mese di settembre 2021, ben 7 mesi prima dello scoppio della guerra in Ucraina e che, a mio parere, la maggior parte dei materiali dovevano essere già stati ordinati. Inoltre è conoscenza comune che a gennaio 2022, mese in cui hanno materialmente iniziato a scavare le fondamenta, non vi erano più restrizioni legate al COVID-19.
Nel corso di questi mesi, nessuno aveva mai fatto presagire una simile situazione dato che, il cantiere, presentava uno stato di avanzamento adeguato tanto che in data 13 febbraio 2023, ci siamo recati in cantiere al fine di effettuare i tracciamenti e nessuno del personale rappresentativo del costruttore ha fatto accenno alle difficoltà descritte nella lettera, tanto che ad oggi il cantiere si presenta con il cappotto esterno già in stato di avanzamento, sulla nostra palazzina, e completamente terminato su di una. In data 25 Gennaio 2023, io e la mia compagna, ci siamo recati presso la sede del costruttore al fine di confermare le finiture interne e saldare le spese dell'extra capitolato ed anche in questa occasione non ci è stato fatto riferimento ad una situazione criticità o ritardo.
Preciso che al momento ho un contratto d'affitto e che un ritardo di 7 mesi significherebbe perdere dei soldi nel pagamento dell'affitto.
Ora i miei dubbi sono i seguenti:
- in base a quanto descritto nella lettera, il costruttore, può far ricadere l'aumento dei prezzi sui promissari acquirenti anche se vi è già un preliminare nel quale vi sono già esposte le cifre dovute e concordate?;
- come acquirente posso far inserire delle clausole o delle postille, alla lettera inviata, che mi diano più tutela e quali?
- dovendo pagare un affitto per quei mesi di ritardo, subendo quindi un "danno economico", posso chiedere al costruttore che l'equivalente somma mi venga in qualche modo detratta dal prezzo d'acquisto dell'abitazione o in altre forme?
Allego i documenti che potrebbero essere utili al fine di un chiarimento.

Ringrazio Anticipatamente

Consulenza legale i 07/04/2023
Premesso che la soluzione al caso deve tener conto i diversi fattori sia normativi (disciplina civilistica dell'istituto della “eccessiva onerosità sopravvenuta” e della “onerosità e difficoltà nell’esecuzione”) che fattuali (scoppio della pandemia da COVID-19 e della guerra in Ucraina), i quali rendono il panorama in cui si inserisce il quesito piuttosto complesso, si può innanzitutto evidenziare che la regola generale prevede che il contratto faccia "legge tra le parti" ex art. 1372 del c.c.. A questa regola generale, per cui è possibile sciogliersi da un contratto già stipulato solamente di comune accordo o per motivi eccezionali, si pone tuttavia una deroga - in via generale - per il caso in cui, durante l’esecuzione del contratto, subentrino fattori inaspettati e imprevedibili che alterino l'”equilibrio contrattuale”, rendendo una prestazione significativamente più gravosa rispetto all’altra. Tali avvenimenti devono essere - appunto - inaspettati e imprevedibili. Tra questi, rientrano senza dubbio lo scoppio di una pandemia o di una guerra importante.
Per collocare correttamente nel periodo storico il contratto stipulato (con le conseguenze che ne derivano dal punto di vista giuridico), è bene osservare che nel mese di gennaio 2022 (momento riferito come di effettivo inizio dei lavori) - a ben guardare - era appena entrato in vigore il Decreto Legge 30 dicembre 2021, n. 229, che ancora poneva delle restrizioni a causa della pandemia (che non è possibile in questa sede esaminare nel dettaglio); che l’estate del 2022 si è effettivamente rivelata un momento di grande ri-espansione del contagio del virus (come è possibile ricavare dalla lettura di testate giornalistiche online relative a quel periodo) e che la guerra in Ucraina è scoppiata effettivamente il 24 febbraio 2022, in piena esecuzione dei lavori di costruzione.
La risposta al primo quesito è pertanto affermativa: il costruttore potrebbe astrattamente “far ricadere” i costi sopravvenuti sulla parte acquirente, nel caso in cui tali costi aggiuntivi derivino da una eccessiva onerosità sopravvenuta.
In che modo? In un caso del genere, sarebbe possibile per il costruttore chiedere la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 del c.c..
Nel caso degli appalti privati, peraltro, si applica la disciplina specifica di cui all’art. 1664 del c.c., che prevede una revisione del prezzo nel caso in cui circostanze imprevedibili portino a un aumento o diminuzione superiori al decimo del prezzo complessivo convenuto. In questo caso, la revisione è parziale, e viene concessa solo per la differenza che eccede il decimo del prezzo. La dottrina ritiene che, in mancanza di diverso accordo tra le parti, la revisione negli appalti sia attivabile solo se si riesce a dimostrare che le materie prime, e/o i fattori produttivi necessari per l’esatto adempimento delle obbligazioni, abbiano subito un’imprevedibile variazione di costo (oltre un decimo, di cui sopra). Tale prova può essere fornita con ogni mezzo: presunzioni derivanti dalla “comune esperienza”, consulenze tecniche, prezziari ufficiali, come ad esempio le rilevazioni delle Camere di Commercio o dell’Istat e gli indici delle principali borse merci e materie prime.
La prima cosa da fare - in ogni caso - è analizzare nel dettaglio il testo del contratto preliminare, per verificare se esista una clausola che impone la “rinengoziazione” del prezzo della compravendita per il caso di aumento imprevisto dei costi delle materie prime, di talché sarebbe necessario rifarsi a tale disciplina (la disciplina contrattuale - di regola - prevale sulle disposizioni normative generali).
Se nel contratto nulla è stabilito per il caso di aumento delle materie prime, si applica la disciplina appena vista ex art. 1664 c.c.
Altrimenti, se tale disciplina non dovesse soddisfare, è senz’altro possibile per le parti derogare pattiziamente - secondo buona fede ex art. 1375 del c.c. - alla disciplina legale, decidendo comunque di rinegoziare l’accordo contrattuale, trovando un punto di comune accordo.
La dottrina si è occupata recentemente di casi simili proprio per dare soluzione alle sorti dei contratti di durata conclusi in tempo di pandemia, cercando di trovare una soluzione giuridicamente efficace ed equa, che persegua l’obiettivo di “tenere in vita” il contratto stipulato, nonostante le sopravvenienze.
Per venire ora al secondo quesito posto, è possibile affermare che - più che inserire delle clausole alla lettera ricevuta dal costruttore - sarebbe opportuno redigere una lettera di risposta completa e giuridicamente impeccabile, in modo da dichiarare al costruttore che si è disposti ad accettare l’allungamento delle tempistiche, concordando però le modalità e i costi dello svolgimento dell’ultima parte dei lavori.
Nel caso specifico - e si risponde qui anche al terzo quesito posto - sarebbe necessario far presente al costruttore il danno che si subirebbe dovendo pagare sette mesi di locazione non previsti, considerato che entro il mese di settembre 2023 i lavori avrebbero dovuto essere definitivamente ultimati.
Chiaramente, è probabile che il costruttore farà a quel punto valere la propria posizione di difficoltà dovuta all’aumento dei costi delle materie prime (che ha comunque deciso di non far ricadere sull'acquirente), anche come possibile “arma di trattativa”. Considerato che effettivamente gli eventi di pandemia e guerra hanno inciso a livello globale sugli aumenti dei prezzi delle materie prime per appalti pubblici e privati, non si può non tenere conto di questo aspetto.
Peraltro, all’art. 9 del contratto (cfr. documentazione allegata) si stabilisce effettivamente come termine massimo di esecuzione dei lavori il 30.09.2023. Tuttavia, bisogna osservare che, allo stesso tempo, la medesima clausola fa salvi “i ritardi dovuti a cause di forza maggiore”.
Ciò non toglie che è possibile far presente, nella lettera di risposta, che l’acquirente sta subendo un danno di natura patrimoniale, non solo per il protrarsi dei tempi di esecuzione del contratto, ma anche per l’esborso dovuto per il versamento di canoni di locazione non previsti. Si tratta, in altre parole, di trovare una transazione che possa mettere d’accordo le parti, riconducendo ad equità il contratto.
Si potrebbe pensare, per esempio, di chiedere innanzitutto precisa giustificazione dell’effettivo aumento dei prezzi in capo al costruttore (per i quali, come si è visto, lo stesso avrebbe teoricamente diritto ad ottenere una revisione del prezzo ai sensi dell'art. 1664 c.c.), a fronte del quale trovare una via d’incontro, chiedendo il ristoro di parte del costo supportato per gli ulteriori sette mesi di affitto, pari almeno a quattro mesi, e “cedendo” sugli altri tre.
In linea di massima, quindi, quello che si suggerisce è di stendere una risposta alla lettera dichiarando che: 
  • che, durante gli ultimi sopralluoghi avvenuti nei primi mesi del 2023, nessuna difficoltà di esecuzione era stata comunicata all’acquirente, il quale si trova pertanto spiazzato dalla comunicazione ricevuta dal costruttore solo alla fine del mese di marzo 2023.
  • che - tuttavia - si ritiene equo “rinegoziare” parzialmente i termini dell’accordo, tenendo sì conto degli aumenti nei costi delle materie prime (di cui si chiede però una idonea pezza giustificativa), ma anche del fatto che i mesi di ritardo cagionano all’acquirente un danno di natura patrimoniale, da quantificarsi nel canone mensile di locazione per sette mesi;
  • si è quindi disposti ad accettare la posticipazione della conclusione del contratto definitivo per i motivi dichiarati dal costruttore;

In casi come questi, si suggerisce di rivolgersi ad un legale che conosca la materia e possa gestire al meglio la trattativa, anche confrontandosi con il cliente sulla documentazione e sulla dinamica precisa dei fatti, compiendo le scelte strategiche più opportune e tutelando in maniera ottimale le posizioni dell’acquirente.