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Articolo 1055 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Cessazione dell'interclusione

Dispositivo dell'art. 1055 Codice Civile

Se il passaggio cessa di essere necessario, può essere soppresso in qualunque tempo a istanza del proprietario del fondo dominante o del fondo servente(1). Quest'ultimo deve restituire il compenso ricevuto; ma l'autorità giudiziaria può disporre una riduzione della somma, avuto riguardo alla durata della servitù e al danno sofferto. Se l'indennità fu convenuta in annualità, la prestazione cessa dall'anno successivo.

Note

(1) Se il fondo dominante cessa di essere intercluso venendo, quindi, meno l'indispensabilità del passaggio, la servitù, qualora ne si domandi la soppressione, e solo in questo caso, non si estingue automaticamente.

Spiegazione dell'art. 1055 Codice Civile

Quando deve ammettersi la cessazione dell'interclusione

In generale, le servitù non si estinguono per il venir meno dell'utilità (art. 1074 del c.c.): per la servitù di passaggio coattivo, invece, la cessazione dell'interclusione, che significa cessazione della necessità, dà luogo ad estinzione della servitù. Si richiede soltanto, come chiariremo fra breve, che una delle parti la faccia valere.

L'ampia formulazione della norma contenuta nel nuovo codice taglia la via a qualcuna delle questioni che si sollevavano sotto la vigenza della vecchia legge. Infatti, dicendosi ora che, se il passaggio cessa di essere necessario può essere soppressa la servitù, si vengono a comprendere tutte le ipotesi in cui cessa la necessità, ossia l'interclusione. Nella legge abrogata si enumeravano le cause di cessazione: riunione del fondo circondato ad un altro fondo contiguo alla via pubblica e apertura di nuova strada che riesca al fondo già circondato.

Si sollevarono una serie di questioni: che dire se il fondo che viene unito al circondato non è contiguo alla via pubblica, ma a sua volta vi comunica a mezzo di una servitù volontaria di passaggio su fondi intermedi? Che dire se fondi interclusi e aventi passaggi coattivi distinti vengano ad appartenere allo stesso proprietario? È da distinguere a seconda che il proprietario del fondo intercluso acquisti quello comunicante con la via pubblica oppure il proprietario di questo acquisti il fondo intercluso? Che dire se non si apra una strada nuova, ma si riapra una vecchia? Che pensare, alla fine, se l'interclusione cessi non per riunione del fondo intercluso ad altro contiguo alla via pubblica, né per apertura di nuova strada che riesca al fondo intercluso, ma per il fatto che il proprietario del fondo intercluso acquista una servitù, convenzionale, di passaggio?

A nostro avviso, in base alla norma contenuta nel nuovo codice, deve ammettersi senz' altro la cessazione del passaggio coattivo se il proprietario del fondo intercluso acquisti una servitù convenzionale, se il proprietario del fondo comunicante con la via pubblica acquisti il fondo intercluso o viceversa, se si apra una strada nuova oppure si riapra una vecchia. Invece non si ha cessazione, se il fondo intercluso viene unito ad un fondo che ha una servitù di passaggio sulla via pubblica, salvo che, per il consenso del proprietario del fondo servente, detta servitù non possa estendersi pure a vantaggio del fondo intercluso.

Analoga soluzione si impone nel caso che più fondi interclusi, muniti di passaggio coattivo, si riuniscano nelle mani dello stesso proprietario. Poiché un'automatica estensione del passaggio coattivo, costituito a vantaggio di un fondo, non può aver luogo a vantaggio di un altro: questo, se era intercluso, rimane tale, e rimarrebbe privo dell'uscita sulla pubblica via ove si dovesse ammettere un'estinzione della servitù coattiva a suo favore esistente. Una tale estinzione può ammettersi solo se, per il consenso del proprietario del fondo gravato, la servitù si amplia, in modo da poter giovare anche all'altro fondo, che si è unito a quello a cui favore esisteva la servitù coattiva.


Estinzione della servitù

La cessazione della servitù, per il venir meno della necessità, non ha luogo ipso iure. Finita l'interclusione, sorge il diritto alla cessazione della servitù, così come, verificatasi l'interclusione, sorge solo il diritto alla costituzione della servitù.

Su richiesta di una delle parti, con convenzione, si attua l' estinzione (contratto estintivo). In caso di mancanza di accordo, su domanda di una delle parti, l'autorità giudiziaria con sentenza ne determina l'estinzione. Mentre nel vecchio codice il diritto a chiedere la cessazione sembrava attribuirsi al solo proprietario del fondo servente (art. 596), nel nuovo codice spetta anche al proprietario del fondo dominante.


Inammissibilità di una rinascita della servitù

Si può dubitare se, venuta meno la causa di cessazione della necessità, e quindi riformatasi l'interclusione, risorga la servitù: appare preferibile la soluzione negativa. Infatti la servitù coattiva, per estinguersi, ha bisogno di convenzione o sentenza: l'una e l'altra producono l'effetto definitivo e permanente della morte della servitù.

Questa, per risorgere, non può che fondarsi sulle sole cause capaci di darle vita, e cioè la convenzione o la sentenza. La sola condizione di fatto interclusione — come non può bastare a far sorgere la servitù coattiva la prima volta, così non può bastare a farla rinascere, cioè a farla sorgere una seconda volta. Del resto, l'automatica rinascita comporterebbe difficoltà per l'indennità, intanto restituita, e per altre conseguenze.

Ognuno capisce che una ben diversa questione è invece quella che riguarda l'annullamento della stessa causa giuridica di estinzione, per es. l'annullamento della convenzione con cui le parti d'accordo sono addivenute alla cessazione della servitù. In tal caso la servitù risorge perché, con efficacia retroattiva, viene annullata la sua diretta causa di estinzione, con conseguente abolizione di tutte le conseguenze giuridiche di essa, fra cui la cessazione della servitù, la restituzione dell'indennità, ecc.


Restituzione del compenso

Il proprietario del fondo servente deve restituire il compenso: questa è la norma generale. Essa, però, applicata senza riserve, avrebbe portato a delle iniquità: infatti, può darsi che per lungo tempo il proprietario del fondo servente abbia dovuto subire il fastidio e il danno della servitù, può darsi che un effettivo impoverimento o mancato lucro gli sia venuto dalla servitù (abbattimento di alberi; impossibilità di coltura nella zona di passaggio).

In vista di ciò, il nuovo legislatore, ispirandosi al movimento già determinatosi sotto la vecchia legge, ha statuito che l'autorità giudiziaria possa disporre una riduzione della somma, avuto riguardo alla durata della servitù e al danno sofferto.

Se l'indennità fu convenuta dalle parti volontariamente in annualità, per gli anni decorsi non si avrà mai la restituzione: solamente dalla cessazione della servitù viene meno l'obbligo della prestazione per gli anni successivi.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

500 Nel regolare la cessazione dell'interclusione, ho modificato, in conformità della proposta della Commissione delle Assemblee legislative, la formula dell'art. 596 del codice del 1865, il quale disponeva che il passaggio potesse essere soppresso in qualunque tempo a istanza del proprietario del fondo servente, mediante la restituzione del ricevuto compenso o la cessazione dell'annualità convenuta. L'obbligo di restituire, in ogni caso, per intero, il ricevuto compenso non si adegua a un criterio di equità. E' giusto invece che si tenga conto della durata dell'esercizio della servitù e dei danni che il proprietario del fondo servente può avere sofferti, come nel caso in cui si sia abbattuto un muro o si siano tagliati degli alberi per far luogo al passaggio. L'art. 1055 del c.c. conferisce all'autorità giudiziaria il potere di disporre che il compenso sia dal proprietario del fondo servente restituito soltanto in parte, avuto riguardo alla durata della servitù e ai danni da lui sofferti. Il rigore della norma del codice precedente era, del resto, temperato dalla dottrina prevalente, la quale interpretava la disposizione nel senso che si riferisse a quella parte dell'indennità che fosse da considerarsi quale corrispettivo della servitù che veniva a cessare e non a quella parte che fosse da considerarsi quale compenso dei danni che permanevano non ostante l'estinzione della servitù. Ho poi esteso al proprietario del fondo dominante la facoltà di chiedere la soppressione della servitù, quando il passaggio non sia più necessario, armonizzando così l'articolo 1055 con l'art. 1049 del c.c., che consente a entrambe le parti di chiedere la soppressione della servitù di somministrazione coattiva di acqua a un edificio o a un fondo, qualora si verifichi un mutamento nelle condizioni originarie. Una regola diversa in tema di servitù di paesaggio sarebbe apparsa priva di giustificazione.

Massime relative all'art. 1055 Codice Civile

Cass. civ. n. 24966/2019

Per il disposto dell'art. 1054 c.c., il quale riconosce al proprietario del fondo rimasto intercluso in conseguenza di alienazione a titolo oneroso o di divisione il diritto di ottenere coattivamente dall'altro contraente il passaggio senza corrispondere alcuna indennità, deve presumersi che la servitù di passaggio costituita con atto, anche successivo, preordinato a superare l'interclusione, abbia natura coattiva, con conseguente applicabilità della causa estintiva di cui all'art. 1055 c.c., salvo che dal negozio costitutivo non emerga, in concreto ed inequivocabilmente, l'intento delle parti di applicare il regime delle servitù volontarie. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 15/03/2017).

Cass. civ. n. 13223/2019

La servitù di passaggio costituita per usucapione ha natura di servitù volontaria, sicché, ai fini del relativo acquisto, è irrilevante lo stato di interclusione del fondo, dovendosi prescindere dai requisiti per la costituzione ed il mantenimento della servitù di passaggio coattivo, desumibili dagli artt. 1051, 1052 e 1055 c.c., che regolano detto istituto.

Cass. civ. n. 2922/2014

La servitù coattiva di passaggio si estingue per cessazione dell'interclusione, ai sensi dell'art. 1055 cod. civ., qualora al fondo dominante, già intercluso, sia aggregato in unico lotto, facente capo ad unica proprietà, un altro fondo, con accesso alla pubblica via, in quanto, a norma dell'art. 1051 cod. civ., intercluso è il fondo circondato da fondi altrui e privo di uscita sulla via pubblica.

Cass. civ. n. 5053/2013

La servitù di passaggio costituita per contratto non cessa di essere coattiva, con conseguente operatività della causa di estinzione per cessazione dell'interclusione di cui all'art. 1055 c.c., laddove risultino sussistenti le relative condizioni di legge, pur se non emergenti dall'atto, ma ricavabili "aliunde", senza che rilevi che le parti non abbiano previsto la corresponsione di un'indennità in favore del proprietario del fondo servente, dovendosi presumere il carattere coattivo del vincolo, salvo che non emerga in concreto l'intento inequivoco dei contraenti di assoggettarsi al regime delle servitù volontarie.

Cass. civ. n. 23839/2012

L'art. 1055 c.c. condiziona il diritto all'indennità in favore del proprietario del fondo dominante, che abbia visto estinto il suo diritto di passaggio per effetto della cessata interclusione del proprio fondo, alla circostanza che, in sede di costituzione di servitù, egli avesse corrisposto uno specifico e determinato compenso per il peso imposto sul fondo altrui, obbligando detta disposizione il proprietario del fondo servente a "restituire" quanto ricevuto dal titolare del fondo dominante.

Cass. civ. n. 12037/2010

La causa estintiva della servitù di passaggio, prevista dall'art. 1055 c.c. per il caso di cessazione dell'interclusione del fondo dominante, opera con riguardo ad ogni servitù che si ricolleghi ai presupposti del passaggio coattivo, secondo il disposto dell'art. 1051 c.c., anche se sia stata convenzionalmente costituita.

Cass. civ. n. 11955/2009

Il venir meno della interclusione del fondo dominante, cioè della situazione che aveva determinato la costituzione della servitù coattiva di passaggio, non comporta l'estinzione di questa in modo automatico, neanche nel caso in cui la servitù sia stata costituita convenzionalmente, ma richiede una sentenza costitutiva emessa su domanda del soggetto interessato, i cui effetti si producono ex nunc; sicché, per paralizzare la "actio confessoria" diretta all'accertamento della sussistenza e difesa di una servitù coattiva, non è sufficiente una semplice eccezione, ma occorre un'espressa domanda riconvenzionale, la quale è inammissibile, ai sensi dell'art. 345 c.p.c., ove sia stata proposta per la prima volta in grado di appello.

Cass. civ. n. 10371/2005

La servitù di passaggio costituita in sede di formazione dei lotti e di conseguente vendita all'asta per parti divise dell'immobile unitariamente acquisito all'attivo fallimentare è di natura volontaria e non già coattiva, sicché la cessazione dell'interclusione del fondo non comporta la soppressione della servitù.

Cass. civ. n. 1258/1995

La indagine diretta ad accertare l'interclusione di un fondo, ai fini della costituzione a vantaggio di esso di una servitù di passaggio coattivo ex art. 1051 c.c., va condotta con riguardo al fondo nella sua unitarietà e cioè al fondo nel suo complesso e non già in relazione a singole parti di esso (anche se aventi, per libere scelte e determinazioni del proprietario, destinazione economica eterogenea), per ottenere più passaggi coattivi a favore di singole parti del fondo o un passaggio coattivo a favore di una singola parte di esso, perché un fondo non può essere considerato intercluso, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 1051 c.c., se, comunque, una parte di esso confina con la via pubblica ed ha, quindi, uscita su di essa o può procurarsela senza eccessivo dispendio o disagio. Lo stesso principio vale per il caso, per così dire opposto, e cioè per la indagine diretta a stabilire se la interclusione sia venuta meno per effetto della mutata situazione dei luoghi, ai fini della estinzione della servitù di passaggio coattivo in precedenza ottenuta, ex art. 1055 c.c., o, per contro, del mantenimento e della conservazione di essa.
La causa estintiva della servitù di passaggio, prevista dall'art. 1055 c.c., è costituita dal venir meno di una determinata situazione di fatto che, a suo tempo, ebbe, ai sensi dell'art. 1051 c.c., ad imporre la costituzione di una servitù di passaggio coattivo, situazione che, come si desume dalla norma (art. 1051 c.c.), è caratterizzata dal fatto che un determinato fondo, per lo stato dei luoghi, non abbia alcuna possibilità di uscita sulla via pubblica se non attraverso il fondo o i fondi del vicino che lo circondano (interclusione assoluta) ovvero non possa procurarsela senza eccessivo dispendio o disagio (interclusione relativa).

Cass. civ. n. 9303/1994

La causa estintiva della servitù di passaggio, prevista dall'art. 1055 c.c. per il caso di cessazione dell'interclusione del fondo dominante, opera con riguardo ad ogni servitù che si ricolleghi ai presupposti del passaggio coattivo, secondo il disposto dell'art. 1051 c.c., anche se sia stata convenzionalmente costituita, e, quindi, senza possibilità di distinguere fra costituzione pattuita dopo il pregresso verificarsi di una situazione di interclusione, e costituzione pattuita contestualmente con altro negozio determinativo della situazione stessa, come l'alienazione o la divisione del fondo (art. 1054 c.c.).

Cass. civ. n. 9385/1991

Nel caso in cui, pur ricorrendo i presupposti di legge per la costituzione di una servitù coattiva e questa, anziché coattivamente, cioè per sentenza o per atto dell'autorità amministrativa, sia stata costituita contrattualmente fra i proprietari dei fondi, che ne sono rispettivamente gravati ed avvantaggiati, la servitù così costituita non assume il carattere della coattività e pertanto, allorquando abbia ad oggetto il passaggio a favore di fondo intercluso, ad essa non si applica la regola per cui, alla cessazione della interclusione, segue la soppressione del passaggio ad istanza anche di uno solo dei proprietari dei fondi interessati (art. 1055 c.c.), bensì l'altra regola per cui il venir meno dell'utilità del passaggio non fa estinguere per prescrizione la servitù, se, non è decorso il tempo indicato dalla legge (art. 1074 c.c.).

Cass. civ. n. 6595/1988

La servitù di passaggio costituita con testamento a favore di un fondo lasciato ad un erede e divenuto intercluso a seguito di altre disposizioni dello stesso testamento, è soggetta al regime legale dell'estinzione per cessata interclusione, ai sensi dell'art. 1055 c.c., ove la costituzione della servitù risulti finalizzata ad ovviare a tale situazione.

Cass. civ. n. 151/1985

Il venir meno dell'interclusione del fondo dominante, cioè della situazione che aveva determinato la costituzione della servitù coattiva di passaggio, non comporta l'estinzione di questa in modo automatico, neanche nel caso in cui la servitù sia stata costituita convenzionalmente, ma richiede una sentenza costitutiva emessa su domanda del soggetto interessato: conseguentemente nel giudizio instaurato per la declaratoria di esistenza di servitù coattiva convenzionale, la detta richiesta non si configura come mera eccezione riconvenzionale, bensì come domanda riconvenzionale — inammissibile ove proposta per la prima volta in appello — importando un ampliamento dei limiti oggettivi della controversia.

Cass. civ. n. 5759/1981

La causa estintiva della servitù di passaggio, prevista dall'art. 1055 c.c. per il caso di cessazione dell'interclusione del fondo dominante, opera con riguardo ad ogni servitù che si ricolleghi ai presupposti del passaggio coattivo, secondo il disposto dell'art. 1051 c.c., anche se sia stata convenzionalmente costituita, e, quindi, senza possibilità di distinguere fra costituzione pattuita dopo il pregresso verificarsi di una situazione di interclusione, e costituzione pattuita contestualmente con altro negozio determinativo della situazione stessa, come l'alienazione o la divisione del fondo (art. 1054 c.c.).

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Consulenze legali
relative all'articolo 1055 Codice Civile

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G. L. chiede
martedì 13/08/2024
“Salve, ho un problema riguardante la servitù di passaggio. Cerco di riassumere brevemente: mio padre ha ereditato una porzione di terreno dalla madre, tutto il terreno è stato diviso in quattro parti. L’accesso ricade nel nostro terreno, e i miei parenti che hanno ereditato la parte attaccata alla nostra pretendono da più di 40 anni di accedere alla loro proprietà tramite il mio giardino, anche con trattori e automezzi, nonostante la loro proprietà confini con la strada principale e pertanto basterebbe aprire un varco per accedere alla loro proprietà nella quale esiste solo un rudere di una stanza e accedono una o due vole l’anno per tagliare le erbacce. Non esiste nessun documento che specifichi che sia esistente una servitù di passaggio e negli anni, nonostante le mie proposte, anche a seguito dell’eredità ricevuta da mio padre, di apertura a mie spese di detto varco, loro insistono nell’affermare che sono sempre entrati dal mio cancello e così dovrà continuare ad essere. Questo svaluta la mia casa e il terreno in caso di vendita mentre non cambierebbe nulla per loro accedere dalla strada principale. Tutto quanto sopra solo per avere un parere che andrebbe comunque approfondito.
In attesa ringrazio e invio i migliori saluti.

Consulenza legale i 22/08/2024
La costituzione delle servitù può avvenire in attuazione di un obbligo di legge (c.d. servitù coattive), per usucapione, per destinazione del padre di famiglia e per volontà dell’uomo (c.d. servitù volontarie).
Con particolare riferimento a quest’ultima forma di costituzione, occorre evidenziare che i contratti a mezzo dei quali si costituiscono o modificano le servitù prediali, secondo quanto disposto dal comma 1, n. 4 dell’art. 2643 del c.c., sono soggetti a trascrizione, ovvero quel particolare mezzo di pubblicità relativo agli immobili ed ai mobili registrati, disciplinato dagli artt. 2643 e ss. c.c., volto ad assicurare la conoscibilità, mediante annotazione in appositi pubblici registri, delle vicende relative ai suddetti beni ed a dirimere eventuali contrasti che possano insorgere in ordine alla loro titolarità.
In questi casi si dice che la trascrizione ha efficacia dichiarativa, in quanto consente di rendere opponibili a terzi gli atti trascritti.

Ora, nel caso in esame, stando a quanto viene riferito nel quesito, sembra non esistere alcun documento da cui possa desumersi l’esistenza della servitù di passaggio di cui si discute, ma ciò si ritiene che non possa avere alcuna influenza al fine di poter impedire il passaggio sul proprio fondo dei confinanti, in quanto non si è in presenza di una servitù costituita volontariamente (la quale, come si è poc’anzi accennato, si fonda su un valido titolo negoziale regolarmente trascritto), bensì di una servitù costituita per “destinazione del padre di famiglia”.

Per comprendere bene le modalità con cui opera questo particolare modo di acquisto della servitù occorre tenere presente che se il proprietario di un fondo costruisce sul suo bene opere permanenti (come strade, acquedotti, ponti, ecc.) per effetto delle quali una parte del fondo risulta asservita ad un’altra parte del medesimo fondo, non può sorgere alcuna servitù, per il principio espresso dal brocardo latino nemini res sua servit (ovvero non si può costituire servitù sulla cosa propria).

Tuttavia, se il fondo cessa di appartenere allo stesso proprietario (come accade nel caso di divisione, anche ereditaria, o di vendita parziaria), il legislatore ha ritenuto opportuno (sempre che sussistano i requisiti per l’apparenza di una situazione analoga a quella che darebbe luogo ad una servitù e sempre che nulla in contrario venga stabilito nell’atto da cui origina la separazione dell’unico fondo originario in due o più parti) che quello stato di fatto che consentiva ad una parte del fondo di trarre utilità e vantaggi dall’altra parte del fondo, possa legittimamente continuare.

A tal fine l’art. 1062 del c.c. prevede appunto che si costituisca ex lege, attivamente a favore di uno dei due fondi e passivamente a carico dell’altro, una servitù corrispondente allo stato di fatto preesistente, senza che occorra alcuna manifestazione di volontà in tal senso, a condizione soltanto che nell’atto che provoca la divisione dei fondi non sia inserita una dichiarazione contraria, volta ad escludere la nascita della servitù.
In tal senso può richiamarsi Cass. 1 marzo 2018 n. 4872 e, più di recente, Cass. 30.09.2020 n. 20824, nel corpo della quale si legge quanto segue:
“…La costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, richiede, notoriamente, che i fondi dominante e servente siano originariamente in proprietà di un unico titolare e che questi abbia creato, prima della divisione o della vendita, una relazione oggettiva di asservimento, lasciando poi immutato lo stato di fatto. Il diritto sorge - in tal caso - allorquando i fondi cessano di appartenere ad un unico proprietario, se questi nulla abbia disposto relativamente alla servitù.
Tale contraria manifestazione di volontà può rinvenirsi sia in una clausola (della divisione od ella vendita) che escluda espressamente il sorgere del diritto, sia in qualsiasi altra pattuizione il cui contenuto risulti incompatibile con la volontà di lasciare integra ed immutata la situazione di fatto (cfr. Cass. 4872/2018; Cass. 13534/2011; Cass. 6520/2008).
La sussistenza di un'eventuale disposizione incompatibile è rimessa all'accertamento del giudice di merito ed insindacabile in cassazione, se correttamente motivata…

Le considerazioni sopra svolte consentono, dunque, di poter affermare che nel caso in esame i parenti proprietari del terreno confinante hanno indubbiamente un diritto attuale ad esercitare la servitù di passaggio secondo le stesse modalità con cui veniva esercitata prima che il fondo cessasse di appartenere allo stesso proprietario (ovvero la nonna), non essendo stata manifestata nell’atto di divisione alcuna volontà contraria alla sussistenza di tale servitù.
Tuttavia, ciò non impedisce che si possa agire per far dichiarare l’estinzione della medesima servitù, ai sensi degli artt. 1028 e 1055 c.c.
Più precisamente, dal combinato disposto di tali norme se ne deduce che la servitù non ha ragione di esistere e va dichiarata estinta se viene meno uno dei suoi presupposti essenziali, ovvero quello della sua effettiva utilità, in relazione alla quale l’art. 1028 del c.c. precisa che può consistere anche nella maggiore comodità o amenità del fondo dominante ovvero può essere inerente alla destinazione industriale del fondo stesso.
Da tali indicazioni la giurisprudenza ne ricava che l’utilità non può essere soggettiva, ma che deve essere oggettiva, ovvero riferita al fondo nella sua concreta destinazione e conformazione.
Nel caso specifico della servitù di passaggio, l’utilità deve intendersi venuta meno allorchè cessi l’interclusione del fondo, come dispone espressamente l’art. 1055 c.c., rubricato appunto “Cessazione dell’interclusione”, nella parte in cui è detto che “Se il passaggio cessa di essere necessario, può essere soppresso in qualunque tempo a istanza del proprietario del fondo dominante o del fondo servente…”.

Si legge, infatti, in giurisprudenza che la causa estintiva della servitù di passaggio, a cui si riferisce l'art. 1055 c.c., è costituita dal venir meno di una determinata situazione di fatto che può, ai sensi dell'art. 1051 del c.c., imporre la costituzione di una servitù di passaggio coattivo, situazione che, come si desume dallo stesso art. 1051 c.c. è caratterizzata dal fatto che un determinato fondo, per lo stato dei luoghi, non abbia alcuna possibilità di uscita sulla via pubblica se non attraverso il fondo o i fondi del vicino che lo circondano (interclusione assoluta) ovvero non possa procurarsela senza eccessivo dispendio o disagio (interclusione relativa).

Pertanto, considerato che il fondo che attualmente esercita la servitù può procurarsi un accesso diretto alla pubblica via senza eccessivo dispendio o disagio, ciò che si suggerisce è di diffidare con atto formale gli attuali proprietari dal continuare a servirsi del passaggio esistente sul proprio fondo.
In caso di mancato riscontro alla diffida, non rimane altra soluzione che quella di agire in giudizio per far dichiarare estinta la servitù per assenza di utilità.


M. P. chiede
venerdì 15/12/2023
“Buongiorno, in qualità di tecnico di parte desidero avere il Vs parere in merito alla vicenda di seguito rappresentata.
La mia assistita è proprietaria del lotto, terreno più fabbricato, sito lungo via pubblica ed identificata con la lettera A.
Su tale proprietà esiste una servitù a favore della proprietà interclusa, terreno più fabbricato, del signor Pietro identificata con la lettera B.
Tale servitù della larghezza di m. 4.00 corre lungo il confine tra i lotti A e C (campita con tratteggio).
La proprietà confinate identificata con la lettera C, munita di accesso indipendente da via pubblica, era di una terza persona, Signor Mario.
Ora che il signor Pietro, originariamente proprietario solo del lotto B, ha acquistato anche il lotto C, diventando intestatario di entrambi i lotti B e C, (nel lotto C esiste la possibilità materiale di accedere con ogni mezzo anche a favore del lotto B); ritengo che la mia assistita possa chiedere la cessazione del passaggio coatto in base all’articolo C.C 1055.
Pertanto si chiede:
• Se tale possibilità di cessazione sussiste o se vi sono norme di cui non sono a conoscenza che lo impedisca ?
• Se la comunicazione può essere fatta dalla mia assistita con raccomanda e se la stessa risulterebbe immediatamente efficace nel vincolare eventuali futuri cambiamenti di intestazione in merito agli immobili confinanti B o C? (oppure tale efficacia decorre dal rogito?)
• Se sostanzialmente può andar bene la bozza allegata e/o se ci sono particolari formule da inserire nella comunicazione?

BOZZA DI RICHIESTA DI ESTINZIONE DI SERVITU’ DI PASSAGGIO COATTIVO
Con la presente comunicazione, nell’anno 2023 il giorno ____ del mese di _________________ , il sottoscritto _________ , nato a __________ (__) il __/__/__ , codice fiscale __________, in qualità di proprietario del terreno sito in __________ e identificato catastalmente al ________ ;
Comunica di avvalersi dell’art. 1055 C.C. per la soppressione di servitù di passaggio coattivo, di cui all’atto notarile ________ per cessazione di interclusione, posta a carico del proprio terreno come sopra individuato, a favore della proprietà confinate intestata al signor ____________ , nato a _________ (__) il __/__/__ , codice fiscale ________, e identificato catastalmente al ________.
Per effetto della presente richiesta, si da tempo tre mesi, a partire da oggi, per rogitare con valutazione degli eventuali compensi e danni ed ulteriori tre mesi per la risistemazione dei luoghi all’origine, salvo eventuali necessità da concordare.

Sperando in una chiara e comprensiva esposizione ringrazio e saluto.”
Consulenza legale i 21/12/2023
Il riferimento normativo indicato nel quesito è sicuramente corretto (art. 1055 c.c.), mentre qualche precisazione va fatta per ciò che concerne le modalità di attuazione di tale disposto normativo.
In caso di servitù coattiva, a differenza di quanto previsto dall’art. 1074 del c.c. in tema di servitù volontaria, il venir meno della necessità che aveva condotto all’imposizione dell’obbligo di costituzione della stessa determina la sua estinzione.
Si precisa in giurisprudenza che, una volta verificatosi tale presupposto, si prescinde dal modo di costituzione della servitù coattiva, potendo tale causa estintiva operare sia per le servitù costituite per contratto (cfr. Cass. 2922/2014, Cass. 12037/2010), che a seguito di donazione o per effetto di una disposizione testamentaria.

Per quanto concerne le modalità pratiche per far valere l’estinzione per cessata necessità, va detto che essa, secondo un costante orientamento giurisprudenziale, non opera di diritto, neppure nel caso in cui la servitù sia stata costituita convenzionalmente, ma deve essere fatta valere dinanzi all’autorità giudiziaria.
Ciò significa che nell’ipotesi in cui venga meno, come avvenuto nel caso in esame, l’interclusione del fondo dominante, ossia quella situazione che aveva determinato la costituzione della servitù coattiva di passaggio, non potendo tale evento sopravvenuto determinare l’automatica estinzione della servitù, occorre che ciascuno dei soggetti interessati agisca in giudizio per ottenere una sentenza avente natura costitutiva.
In tal senso si è pronunciata la Corte di Cassazione, Sez. II civile, sent. n. 09.10.2013 n. 22989, così massimata:
Il venir meno dell’interclusione del fondo dominante e cioè della situazione che aveva determinato la costituzione della servitù di passaggio, non comporta l’estinzione di questa in modo automatico, neppure nel caso in cui la servitù sia stata costituita convenzionalmente, ma richiede una domanda del soggetto interessato, non essendo sufficiente una semplice eccezione di estinzione della servitù per paralizzare l’actio confessoria diretta all’accertamento della sussistenza e difesa di una servitù coattiva”.

Per quanto concerne i presupposti oggettivi per potersi avvalere del disposto di cui all’art. 1055 c.c., dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ravvisare la sussistenza di tali presupposti ad esempio nella successiva riunione del fondo intercluso con altro fondo avente accesso alla pubblica via oppure in caso di apertura di una nuova via pubblica che attraversi o costeggi il fondo intercluso medesimo, ovvero, perfino, in caso di mutamento di destinazione del fondo, allorchè la servitù risultasse connaturata alla destinazione precedente.
Sembra più che evidente che nel caso in esame non possa sussistere alcun dubbio circa l’esistenza del presupposto oggettivo che legittima la dichiarazione di estinzione della servitù, considerato che il proprietario del fondo dominante risulta avere riunito il suo fondo con altro, sempre di sua proprietà, avente accesso diretto alla pubblica via.

Sotto il profilo della legittimazione attiva, invece, la richiesta di soppressione della servitù coattiva di passaggio spetta, oltre che al proprietario del fondo servente, anche a quello del fondo dominante, risultando quest’ultimo a sua volta titolare di precisi interessi, come ad esempio quello di conseguire la restituzione dell’indennità a suo tempo versata.
Deve anche evidenziarsi che l’azione diretta a far cessare la servitù è imprescrittibile, il che consente di avvalersi della stessa anche trascorsi dieci anni (termine ordinario di prescrizione) dal giorno in cui si sarebbe potuta richiedere.

Precisato quanto sopra, dunque, può dirsi che la bozza di richiesta di estinzione della servitù, per come è stata formulata nel quesito, può andare sicuramente bene, ma si tratta soltanto di un primo passo per manifestare al proprietario del fondo dominante la propria intenzione di voler far dichiarare l’estinzione della servitù per sopravvenuta mancanza di necessità della stessa.
Sarebbe più opportuno, infatti, dare a tale richiesta la veste di un invito a comparire dinanzi ad un notaio (scelto possibilmente di comune accordo), per procedere alla stipula di un contratto in forza del quale convenire l’estinzione della servitù, contratto che lo stesso notaio avrà cura di trascrivere presso la competente Conservatoria dei Registri immobiliari ex art. 2643 n. 5 c.c.
Si ricorda, infatti, che vertendosi in materia di diritti reali, ogni atto che abbia come effetto quello di costituire, modificare o estinguere un diritto di servitù, è soggetto alla forma scritta ad substantiam ex art. 1350 del c.c. e va trascritto ex art. 2643 c.c.

La comunicazione che si suggerisce di inviare all’altra parte, per manifestare la propria intenzione, dovrebbe avere il seguente contenuto:

Con la presente il sottoscritto _________ , nato a __________ (__) il __/__/__ , codice fiscale __________, in qualità di proprietario del terreno sito in __________ e identificato catastalmente al ________ ;
dichiara
di volersi avvalere del diritto riconosciutogli dall’art. 1055 c.c. onde far dichiarare estinta la servitù di passaggio gravante sul proprio fondo per cessazione di interclusione del fondo dominante.
Invita pertanto il Sig. …., proprietario del fondo dominante, a voler scegliere un notaio presso cui recarsi per redigere un atto di estinzione consensuale di detta servitù.
Si avvisa il Sig……che, trascorso infruttuosamente il termine di dieci giorni dal ricevimento della presente, ci si rivolgerà alla competente Autorità giudiziaria per far valere il disposto di cui alla citata norma.
Luogo, data
Firma


Per quanto concerne il ripristino dello stato dei luoghi, allo stesso non si potrà dar luogo se non dopo la conclusione del contratto o l’ottenimento della sentenza con cui viene dichiarata l’estinzione della servitù, essendo indispensabile munirsi preventivamente di un valido titolo, anche al fine di procedere, se necessario, coattivamente all’esecuzione di dette opere.


L. O. chiede
mercoledì 12/04/2023
“Con riferimento al quesito Q202231587 integro con un nuovo quesito in quanto il proprietario del fondo servente sta agendo per chiudere il transito con portone e demolire la rete di recinzione che proteggeva il suo giardino dal transito. Ignoro se mi darà le chiavi.
Chiedo se il parere da voi datomi richiamando la sentenza 9385/1991 muta leggendo le sentenze 9303/94 e 12037/2010. Queste equiparano la sentenza costituita per contratto alla coattiva se sussistevano i medesimi presupposti e quindi aprono ad una piu semplice cancellazione della servitù almeno per il terreno di L. incluso in un lotto ora aperto sulla pubblica via (B ora unito a C).
Si tenga conto che l accesso dall pubblica via non è possibile a mezzi quali camion a causa delle tettoie della casa costruita facendo affidamento sui due accessi.

Inoltre chiedo di leggere sentenza 7318/2017. Il mio caso è diverso in quanto il fondo dominante ha due proprietari (I. e L.) e il fondo confinante con la pubblica via solo L., nella sentenza è il contrario.
Possiamo essere certi che L. comproprietario del fondo A intercluso e proprietario del B e C non debba concedere il transito ora che B e C danno sulla pubblica via, anche se A è in comproprietà?
Si conferma che la comproprietà regge e non può essere assimilata alla piena proprietà?
Grazie”
Consulenza legale i 18/04/2023
Quando una controversia viene sottoposta al sindacato dell’autorità giudiziaria non si può mai avere certezza di quello che sarà l’esito del giudizio, essendo innumerevoli e sempre diverse le circostanze che caratterizzano le singole fattispecie concrete e sulle quali il giudice concentrerà alla fine le ragioni della sua decisione.
Una prova concreta di quanto appena asserito si ritrova proprio nelle contrastanti decisioni a cui si fa riferimento in questo stesso quesito, alcune delle quali affermano che in caso di servitù costituita volontariamente non può farsi valere la causa di estinzione di cui all’art. 1055 c.c. (proprio perché frutto dell’autonomia negoziale delle parti), altre che, invece, affermano l’esatto contrario.

Ora, è pur vero che le sentenze menzionate nel quesito aderiscono alla tesi secondo cui la causa di estinzione di cui all’art. 1055 c.c. debba trovare applicazione anche nel caso di servitù costituita volontariamente, ma nel caso di specie vi è un elemento essenziale di cui il giudice non può non tener conto, ovvero la circostanza che una porzione del fondo dominante, quella rimasta in comproprietà tra i fratelli, continua a trovarsi nello stato di interclusione e che il modo più agevole per raggiungere la pubblica via rimane pur sempre quello di attraversare l’originario fondo servente.
A ciò si aggiunga un’altra considerazione.
Sempre la stessa Corte di Cassazione, con una sentenza ancora più recente di quelle citate nel quesito, e precisamente Cass. civ. Sez. II n. 2922 del 10.02.2014 (confermata successivamente da Cass. civ. Sez. VI ordinanza n. 24966 del 07.10.2019), afferma quanto segue:
Per il disposto dell’art. 1054 del c.c., il quale riconosce al proprietario del fondo rimasto intercluso in conseguenza di alienazione a titolo oneroso o di divisione il diritto di ottenere coattivamente dall’altro contraente il passaggio senza corrispondere alcuna indennità, deve presumersi che la servitù di passaggio costituita con lo stesso atto di alienazione o di divisione, o anche con atto successivo che all’interclusione sia oggettivamente preordinato, abbia natura coattiva, con conseguente applicabilità alla medesima, in caso di cessazione dell’interclusione, della causa estintiva di cui all’art. 1055 c.c.”.

Le medesime sentenze da ultimo citate, però, contengono un’affermazione che si ritiene estremamente importante per la risoluzione di un’eventuale questione di questo tipo, ovvero la precisazione “salvo che dal negozio costitutivo non emerga, in concreto ed inequivocabilmente, l’intento delle parti di assoggettarsi al regime delle servitù volontarie”.
A questo punto, dunque, dirimente al fine del decidere diventa l’esatta interpretazione del contenuto dell’atto costitutivo di servitù volontaria, potendosi soltanto dal suo esame individuare se la reale ed effettiva intenzione delle parti sia stata esclusivamente quella di ricollegare la costituzione della servitù al presupposto del passaggio coattivo secondo il disposto di cui all’art. 1051 del c.c..

A prescindere da tali considerazioni, comunque, non deve trascurarsi ciò a cui prima si è accennato, ovvero la circostanza che in ogni caso una porzione dell’originario fondo dominante (il fondo A attualmente in comproprietà) continua ad essere intercluso.
Sotto questo profilo vorrebbe addursi, a sostegno della tesi del diritto di continuare a mantenere la servitù sull’attuale fondo servente, quanto affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza indicata nella parte finale del quesito ed in relazione al cui contenuto si chiede conferma.
Ci si riferisce alla sentenza della Corte di Cassazione, Sez. II civ. n. 7318 del 22.03.2017, così massimata:
Ai fini della costituzione della servitù di passaggio ex art. 1051 c.c. il requisito della interclusione deve ritenersi sussistente anche quando il proprietario del fondo sia comproprietario dei fondi interposti tra quello di sua esclusiva proprietà e la via pubblica, in quanto il comunista non può asservire il fondo al proprio”.

Ora, a prescindere dalla considerazione secondo cui la sentenza citata fa in effetti riferimento ad un caso opposto a quello qui in esame (il fondo da asservire in quel caso era quello in comproprietà, mentre in questo caso sarebbe quello in proprietà esclusiva di L., ossia i fondi “B” e “C”), il principio generale a cui in tale sentenza ci si intende richiamare è quello espresso nel brocardo latino “nemini res sua servit”, il quale, tuttavia, secondo quanto statuito dalla medesima Corte di Cassazione, Sez. II civ., con ordinanza n. 21020 del 06.08.2019, può trovare applicazione soltanto nel caso in cui un unico soggetto sia titolare del fondo servente e di quello dominante e non anche quando il proprietario di uno di essi sia anche comproprietario dell’altro, giacchè in tal caso l’intersoggettività del rapporto è data dal concorso di altri titolari del bene comune.

In considerazione di quanto fin qui osservato, dunque, qualora il proprietario dell’attuale fondo servente avesse intenzione di ostruire il passaggio dal proprio fondo e si dovesse giungere ad un giudizio volto alla dichiarazione di estinzione della servitù per cessata interclusione ex art. 1055 c.c., ciò che può consigliarsi è di invocare pur sempre, in via preliminare, la tesi della inapplicabilità al caso di specie dello stesso art. 1055 c.c. per avvenuta costituzione volontaria della servitù, argomentando ove possibile dal contenuto del titolo negoziale, nella speranza che dallo stesso se ne possa desumere che la reale ed effettiva intenzione delle parti non sia stata esclusivamente quella di ricollegare la costituzione della servitù al presupposto del passaggio coattivo secondo il disposto di cui all’art.1051 c.c.

In ogni caso può invocarsi a sostegno della permanenza dell’attuale servitù quanto statuito dall’art. 1052 del c.c., nella parte in cui dispone che quanto statuito all’art. 1051 c.c. debba farsi valere anche in caso di fondo non intercluso, a condizione che l’accesso alla pubblica via risulti inadatto o insufficiente ai bisogni del fondo dominante e non possa essere ampliato.
Nel quesito, infatti, si dice che l’accesso alla pubblica via attraverso i fondi B e C non sarebbe consentito a mezzi di ogni tipo per la presenza su quei fondi di opere edilizie già sussistenti (ci si riferisce alle tettoie, che ci si augura siano state installate in conformità alla normativa urbanistica), né, del resto, può pretendersi la rimozione di quelle tettoie in virtù del principio espresso nella prima parte del secondo comma dell’art. 1051 c.c., ove è detto che “il passaggio si deve stabilire in quella parte per cui l’accesso alla via pubblica è più breve e riesce di minore danno al fondo sul quale è consentito”.

Raffaele C. chiede
domenica 23/06/2019 - Campania
“1) Mio nonno lascia in eredità un terreno con entro un fabbricato a mio padre e a mio zio;
2) A seguito della divisione il fondo donato a mio zio risulta intercluso;
3) Con atto notarile viene istituita una servitù di passaggio sul terreno donato a mio padre (servente) a favore di mio zio (dominante) per l'accesso su strada pubblica;
4) Morto mio zio gli eredi vendono l'appezzamento di terreno al proprietario di un terreno confinante con accesso alla pubblica via, costituendone un unico lotto;
Domanda: è possibile richiedere la soppressione della servitù?
Si rimane a disposizione per invio della documentazione in possesso e l'invio di ulteriore denaro per le spese di consulenza.
Grazie per l'attenzione!”
Consulenza legale i 28/06/2019
La situazione che si presenta costituisce il risvolto normale di tutti quei casi in cui un genitore o chiunque sia proprietario di un fondo di una certa estensione decida ad un certo punto di frazionarlo in tanti lotti e cedere (a titolo oneroso o gratuito) la proprietà dei singoli lotti a soggetti diversi.
E’ del tutto naturale che alcuni lotti possano restare interclusi, tant’è che in previsione di ciò il legislatore ha ritenuto opportuno inserire una specifica norma nel corpo del codice civile, ovvero l’art. 1054 del c.c., in forza del quale al proprietario del fondo divenuto intercluso viene riconosciuto il diritto di ottenere il passaggio coattivo senza dover corrispondere alcuna indennità.

Trattasi di norma inserita nel Capo dedicato alle servitù coattive, ma nulla vieta che, come avvenuto nel caso di specie, la costituzione della servitù e, dunque, l’individuazione del luogo ove esercitarla e delle modalità di esercizio, possa essere frutto della libera determinazione delle parti (in questo caso la servitù, pur se di tipo coattivo, viene volontariamente costituita).
Può poi accadere che in un successivo momento, a seguito del mutamento dello stato dei luoghi o per variazione della situazione proprietaria, quel fondo, in cui favore era stata costituita la servitù, cessi di essere intercluso, ed il legislatore ha anche pensato di disciplinare tale ipotesi.

Infatti, dispone il successivo art. 1055 c.c. che, “se il passaggio cessa di essere necessario, può essere soppresso in qualunque tempo ad istanza del proprietario del fondo dominante o del fondo servente”.
Viene naturale chiedersi quale interesse possa avere il proprietario del fondo dominante a richiedere la soppressione del passaggio coattivo, e la risposta ci viene fornita dal secondo comma dello stesso art. 1055 c.c., nella parte in cui prevede che, se è stata versata un’indennità, il proprietario del fondo servente sarà tenuta a restituirla ovvero, se convenuta in annualità, il proprietario del fondo dominante sarà tenuta a versarla solo per l’anno in corso.
Nessuna indennità, però, viene prevista per il caso di interclusione derivante da vendita o divisione, il che lascia chiaramente intuire che, nel nostro caso, il proprietario del fondo dominante non avanzerà mai alcuna istanza volta ad ottenere la soppressione di quella servitù di passaggio.

Detto ciò, vediamo sulla base di quali considerazioni nel caso di specie si ha tutto il diritto di chiedere la soppressione di quella servitù di passaggio.
Si afferma in giurisprudenza che la causa estintiva della servitù di passaggio prevista dall’art. 1055 c.c. è data dal venir meno di una certa situazione di fatto che a suo tempo fu fonte della costituzione della medesima servitù coattiva di passaggio ex art. 1051 del c.c., quale, appunto, il fatto che un determinato fondo, per lo stato dei luoghi, non abbia alcuna possibilità di uscire sulla via pubblica se non attraverso il fondo o i fondi del vicino che lo circondano (c.d. interclusione assoluta) ovvero non possa procurarsela senza eccessivo dispendio o disagio (c.d. interclusione relativa).

Un caso tipico di cessazione della interclusione del fondo ricorre proprio nell’ipotesi di riunione del fondo intercluso con altro fondo avente accesso alla via pubblica oppure per l’apertura di una nuova via pubblica che attraversi o costeggi lo stesso fondo intercluso.
Trattasi di situazione che corrisponde perfettamente a quella qui descritta, per come è dato desumere anche dall’analisi delle foto aeree che sono state fatte pervenire a questa redazione, foto che hanno costituito un valido supporto per inquadrare bene la fattispecie e poter fornire una consulenza più precisa.
Così, nel momento in cui il giudice viene chiamato a valutare l’interclusione di un fondo, la relativa indagine deve essere condotta con riguardo al fondo nella sua unitarietà, cioè al fondo nel suo complesso; l’eventuale sussistenza di singole parti di esso, anche se aventi destinazione economica eterogenea per libera determinazione del proprietario, non può in alcun modo consentire di ottenere più passaggi coattivi a favore delle singole parti del fondo o un passaggio coattivo a favore di una singola parte di esso.
Infatti, un fondo, se appartenente ad unico proprietario, non può essere considerato intercluso ex art. 1051 c.c. qualora, comunque, una parte di esso confini con la pubblica via ed abbia uscita su di essa (in tal senso possono citarsi Cass. 1258/1995 e Cass. 2922/2014).

Costituisce poi opinione quasi unanime della giurisprudenza quella secondo cui, nell’effettuare la suddetta indagine, volta ad accertare la soppressione della servitù, si debba prescindere dal modo in cui la stessa è stata costituita, potendo l’art. 1055 c.c. operare sia per le servitù costituite per contratto, che a seguito di donazione ovvero per effetto di una disposizione testamentaria (in tal senso possono citarsi Cass. 6595/1988; Cass. 11755/1992; Cass. 3086/1994; Cass. 9303/1994; Cass. 12037/2010; Cass. 2922/2014).

Passando adesso al profilo pratico della vicenda, va detto che, purtroppo, l’estinzione per cessata necessità di una servitù non opera di diritto, neppure nel caso in cui la servitù sia stata costituita convenzionalmente.
Ciò comporta che, se le parti non raggiungono alcun accordo sulla soppressione della stessa, occorrerà rivolgersi all’autorità giudiziaria, la quale, su espressa domanda del soggetto interessato, emetterà una sentenza costitutiva, con cui viene disposta l’estinzione della servitù (cfr. Cass. n. 151/1985; Cass. n. 22989/2013).
Sembra il caso di evidenziare che l’azione diretta a far cessare la servitù è imprescrittibile, con la conseguenza che, anche se siano trascorsi dieci anni dal giorno in cui si sarebbe potuta chiedere, ciò non pregiudica il suo esercizio.

Sulla base delle argomentazioni sopra riportate, dunque, può concludersi dicendo che, nel caso di specie, l’evento sopravvenuto dell’acquisto da parte del confinante del fondo dominante e la circostanza che il fondo dell’acquirente goda di accesso diretto alla pubblica via, costituiscono valida ragione per chiedere la soppressione della servitù ex art. 1055 c.c.
Tale soppressione, in assenza di accordo delle parti (che dovrà necessariamente risultare da atto pubblico, il quale andrà pure trascritto), non può che conseguirsi per effetto di azione giudiziale e di sentenza, avente effetto costitutivo, che la disponga.



Nicola M. chiede
mercoledì 01/03/2017 - Campania
“Nel 2006 con atto di citazione i miei cugini hanno chiesto al tribunale di costituire una servitù coattiva per fondo INTERCLUSO allo scopo di raggiungere i loro fondi agricoli di 900 metri quadri ciascuno, servitù che attraversasse il cortile di casa mia. Nel 2012 il tribunale si è pronunciato costituendo una servitù coattiva in base all'art. 1051 e nominando una CTU per la determinazione dell'indennizzo in base all'art. 1053.
L'indennizzo calcolato dalla CTU ammontava a circa 45 mila euro. Nel frattempo, nell'anno 2015 il comune ha espropriato i due lotti di terreno quindi la servitù è cessata in quanto il comune aveva un'altra uscita sulla via pubblica.
Domanda:
Dovendo chiedere l'indennizzo per gli anni che vanno dalla emissione della sentenza all'anno in cui i due lotti sono stati espropriati: posso chiedere che l'indennizzo comprenda anche gli anni precedenti l'emissione della sentenza in quanto i miei cugini nel frattempo che la causa venisse espletata hanno preteso di passare attraverso la mia proprietà vantando un avvenuto usucapione (possessoria). Il tribunale ha riconosciuto una servitù di passaggio con il minimo aggravio del fondo servente acquisita per usucapione. Questo anche perché una volta usucapito il passaggio i miei cugini avrebbero dovuto riformulare la richiesta originaria in quanto non si trattava più di interclusione assoluta ma di interclusione relativa?”
Consulenza legale i 09/03/2017
Il caso esposto trova chiara ed inequivoca soluzione nell’art. 1055 c.c., il quale dispone espressamente che se il passaggio cessa di essere necessario e viene ad essere soppresso ad istanza del proprietario del fondo dominante o del fondo servente, quest’ultimo sarà tenuto a restituire il compenso ricevuto.
Appare evidente che se l’indennità non era stata corrisposta, come sembra essere successo nel caso di specie, non si dovrà restituire alcunché.

La medesima norma, poi, facendo riferimento al caso in cui l’indennità sia stata già corrisposta, prevede la possibilità che l’autorità giudiziaria, nel disporre la restituzione di essa, stabilisca di rimborsare una somma minore di quella ricevuta, detraendovi quella somma che vale a ricompensare il proprietario del fondo servente del danno sofferto per il tempo in cui la servitù è stata esercitata.
E’ ovvio che il riferimento all’autorità giudiziaria nasce sul presupposto che le parti non riescano a raggiungere un accordo sul punto, ma nulla esclude che tale accordo possa essere bonariamente raggiunto e che la determinazione della minor somma da restituire venga affidata ad un tecnico di comune fiducia.

Argomentando, dunque, a contrario, e applicando i suddetti principi al caso che ci interessa, avremo che il proprietario del cortile sul quale è stata esercitata la servitù avrà tutto il diritto di chiedere ed ottenere il pagamento di un indennizzo commisurato al tempo in cui la servitù è stata esercitata e che tenga anche conto del danno sofferto.
Anche qui, qualora non si raggiunga un accordo, ci si potrà rivolgere all’autorità giudiziaria per la determinazione di tale indennizzo, per la cui misura concreta sarà senza dubbio necessario avvalersi della prestazione di un tecnico (solitamente un perito agrario).

L’ulteriore dubbio a cui si è chiamati a rispondere, però, è se nella determinazione di tale indennizzo, si debba considerare quale termine iniziale di esercizio della servitù la data in cui è stata pronunciata la sentenza o anche il periodo antecedente a tale data, considerato che già da prima il passaggio veniva esercitato dai proprietari dei fondi in favore dei quali la servitù è stata costituita.

Per rispondere a tale domanda ci si deve necessariamente riferire alla natura giuridica della sentenza che riconosce il diritto alla servitù di passaggio coattivo, onde determinare se essa abbia efficacia ex tunc (ossia dal momento in cui la domanda che ne costituisce il fondamento è stata proposta) ovvero ex nunc (ossia dal momento in cui la pronuncia è stata resa).
Innanzitutto va sinteticamente premesso che le azioni civili, in base al provvedimento a cui tendono, si distinguono in:
  1. azioni di accertamento: tendono ad ottenere una sentenza che accerti l’esistenza o meno di un rapporto o una situazione giuridica. Loro scopo, quindi, è quello di eliminare ogni incertezza in merito ad una situazione giuridica.
  2. azioni di condanna: mirano ad ottenere dal giudice un comando, rivolto al soccombente, di eseguire una prestazione a favore dell’attore. La sentenza di condanna possiede efficacia esecutiva, è cioè titolo esecutivo ai sensi dell’art. 474 c.p.c.
  3. azioni costitutive: tendono ad una sentenza che costituisca, modifichi od estingua un rapporto giuridico; come dispone l’art. 2908 c.c. esse sono tipiche.

Ora, dal testo del quesito non risulta abbastanza chiaro se la sentenza che ha riconosciuto il diritto all’esercizio della servitù di passaggio abbia natura costitutiva, come sembrerebbe dalla prima parte di esso, ovvero natura dichiarativa/accertativa, come potrebbe evincersi dalla seconda parte del quesito, ove invece si fa riferimento al riconoscimento da parte del Tribunale di una servitù di passaggio acquisita per usucapione.
Trattasi di una differenza di fondamentale importanza al fine di dare una corretta risposta alla domanda relativa al tempo per cui l’indennità deve essere calcolata.

Ad ogni buon conto, va detto che se l’azione posta in essere è del tipo di quella sub lettera c), ossia costitutiva, il riferimento va necessariamente fatto all’ art. 1032 c.c., inserito nel Capo delle servitù coattive e rubricato “Modi di costituzione”, norma la quale dispone che se, in forza di legge, il proprietario di un fondo ha diritto di ottenere da parte del proprietario di un altro fondo la costituzione di una servitù, questa, in mancanza di contratto è costituita con sentenza.
Si tratta di una sentenza di natura appunto costitutiva, che funge da titolo immediato e diretto della servitù, ne stabilisce le modalità di esercizio e determina l’indennità dovuta; essa, dunque, avrà efficacia ex nunc, con la necessaria conseguenza che l’indennità dovrà essere commisurata al periodo che va dalla data della pronuncia a quella in cui si è verificato il presupposto che ha fatto venir meno l’utilità della servitù.

Diversa è la situazione, invece, se l’esistenza della servitù è stata riconosciuta per intervenuta usucapione, in quanto all’azione a tal fine posta in essere dovrà riconoscersi natura di accertamento, con la conseguenza che la relativa sentenza, essendo puramente dichiarativa, avrà efficacia ex tunc; ciò comporta che l’indennità andrà questa volta commisurata a tutto l’arco temporale in cui la servitù è stata di fatto esercitata (quindi anche per gli anni precedenti all’emissione della sentenza), e non dal momento in cui è intervenuta la pronuncia giudiziale.

Si ritiene opportuno sottolineare, a questo proposito, che l'usucapione è un modo di acquisto a titolo originario della proprietà (o di altro diritto reale).
E’ pur vero che l'acquisto del diritto si produce automaticamente per legge, ma l'usucapiente potrebbe comunque avere interesse a formalizzare il proprio acquisto e, per conseguire tale risultato, deve esperire un'azione giudiziale volta ad ottenere una sentenza che accerti e dichiari l'avvenuta usucapione.
In quanto tale, la sentenza sarà di mero accertamento, con natura dichiarativa e non costitutiva (Cassazione, sentenza del 19 marzo 2008, n. 12609; Cassazione, sentenza del 5 febbraio 2007, n. 2485); essa dovrà essere trascritta nei registri pubblici, ai sensi dell'articolo 2651 del Codice civile, mentre non è prevista la trascrizione della domanda giudiziale con cui si chiede l'accertamento dell'usucapione (tale domanda, infatti, non è compresa tra quelle trascrivibili elencate negli articoli 2652 e 2653 del Codice civile).
Solo per inciso e ad abundantiam, va evidenziato che in ordine al problema della controversa ammissibilità della costituzione per usucapione o per destinazione del padre di famiglia di una servitù coattiva, la soluzione negativa, sviluppatasi soprattutto in dottrina, è stata disattesa dalla Corte di Cassazione, la quale, nell’affermare a Sezioni Unite l’usucapibilità delle servitù coattive, ha spostato il fulcro della distinzione tra queste ultime e le servitù volontarie, affermando che tale distinzione non va fondata tanto sul carattere volontario o necessitato del modo di costituzione delle servitù, quanto sulla peculiarità dei presupposti e del contenuto tipico delle servitù coattive (presupposti e contenuto che la legge prefigura allo scopo preciso di assicurare non solo una realizzazione coattiva, ma anche una disciplina speciale a interessi ritenuti meritevoli di particolare protezione).


Giorgia B. chiede
venerdì 19/06/2015 - Emilia-Romagna
“Buongiorno, la presente per chiedere un’informazione.
Siamo proprietari di una casa in montagna che confina con il nostro vicino, il quale ha avuto dal precedente proprietario di casa nostra un diritto di passaggio (sia a piedi che in macchina) pare a titolo gratuito sul nostro giardino per accedere alla sua proprietà.
Il vicino in questione se non avesse il diritto di passaggio sulla nostra proprietà, potrebbe tranquillamente accedere alla sua, dalla sua entrata che è su una strada pubblica con il suo numero civico. La possibilità di accedere alla sua proprietà senza passare dalla nostra l’ha sempre avuta, anche quando il precedente proprietario gli ha concesso il diritto di passaggio, pare in base ad un loro rapporto di amicizia.
Il risultato di questo è che il vicino passa a piedi e in macchina dal nostro giardino continuamente, capisco che ne ha diritto, e che pur avendo una sua entrata (la sua porta di casa, il cancello grande e quello piccolo sono su una strada pubblica) il passaggio nel mio giardino è più entusiasmante, soprattutto quando abbiamo ospiti, momento in cui né lui, né la moglie né la figlia si arrestano o passano dal loro cancello, no! Devono passare dal nostro!
Altro problema io ho due cani, uno di taglia grande e uno di taglia piccola che ovviamente girano nel nostro giardino, i vicini ovviamente sfruttano il loro diritto di passaggio anche di notte… senza dare prima una voce al nostro cane, che non ha certo l’indole aggressiva, ma ha capito meglio del nostro vicino quali sono i suoi confini. Mi chiedevo se il mio cane una di queste notti dovesse mordere il vicino che conseguenze ci potrebbero essere? Il vicino è già stato avvisato più volte di chiamare il ns cane prima di entrare nel nostro giardino, ma diciamo che pare essere un concetto troppo complesso perché si possa mettere in pratica. Preciso che i miei cani dormono in casa, ma sono liberi di andare in giardino fino a quando noi siamo svegli. La moglie invece ha paura del cane, quindi quando passa dal mio giardino (perché RIPETO ci vuole passare, non perché non può fare diversamente), si presenta con una scopa in mano; ribadisco i miei cani non sono aggressivi, ma non sono abituati a una che gira nel loro giardino minacciandoli (senza motivo) con una scopa.
Noi sfruttiamo questa casa principalmente nei week end e prima di andare via io passo sempre in giardino per raccogliere eventuali feci dei miei cani e lasciare pulito. Ultimamente appena i miei cani defecano nel nostro giardino, il vicino mi chiama e me lo segnala. Ribadisco che prima di andare via raccolgo quanto è necessario, ma che non vivo in funzione dell’attività intestinale dei miei cani e quindi non raccolgo nell’immediato, ma uno o due giorni dopo. So che chi ha il diritto di passaggio dovrebbe contribuire alla manutenzione, non che pretenda che vadano i vicini a raccogliere le feci dei miei cani (anche se provocatoriamente mi piacerebbe dirglielo), ma almeno posso mantenere la libertà di raccogliere quando voglio???? O questi mi devono anche dire quando e cosa fare a casa mia? E se decidessi di non raccogliere più? Magari solo per un po’ di tempo, così tanto dal dissuaderli a passare continuamente da noi.
Da ultimo se lasciamo in giardino attrezzi o altro e ai vicini servono, prendono semplicemente le nostre cose (per poi restituirle) e ci dicono:”…ve lo volevamo chiedere, ma non c’eravate…”, così è stato fatto anche con un nostro tavolo da giardino, preso dal nostro giardino, portato nel loro ed utilizzato come coperchio per un calderone in cui cuocevano la conserva di pomodoro…
E’ possibile richiedere il recesso del diritto di passaggio, per il fatto che hanno una loro entrata, e che se anche l’avevano al momento in cui gli è stata concesso questo diritto, allo stato attuale dei fatti è cambiata la proprietà ? Ovvero adesso ci siamo noi, e non più il loro amico. Che possibilità ci sono di non vederli più girare nel nostro giardino? E’ fattibile o dobbiamo cominciare a pensare di vendere per liberarci di loro?
Inoltre posso mettere una webcam che inquadri solo la nostra proprietà e non la strada pubblica e non la proprietà del vicino per dimostrare che abusano del loro diritto? Questo perché sfruttando il diritto di passaggio accedono anche ad altre nostre proprietà sulle quali non hanno il minimo diritto.
Ringrazio anticipatamente e resto in attesa di un cortese e sollecito riscontro.
Coppia sfinita dai vicini”
Consulenza legale i 24/06/2015
La soluzione alla questione proposta può essere data solo dopo aver analizzato la genesi del diritto di servitù vantato dal vicino.
La servitù, infatti, può nascere per volontà dei privati ed essere costituita con contratto o testamento, oppure - se di tipo coattivo - può essere fatta sorgere forzatamente mediante sentenza. Solo le servitù “apparenti” sono acquisibili anche a titolo originario, mediante usucapione o per destinazione del padre di famiglia, di cui all’art. 1062 del c.c.

Quella descritta nel quesito appare essere una servitù volontaria (si parla anche del rapporto di amicizia tra il precedente proprietario e i vicini), in virtù del fatto che il passaggio attraverso il giardino non era - e continua a non essere - obbligato per i confinanti, che non si trovavano in una situazione di fondo intercluso al momento della nascita del diritto (art. 1055).

Nel caso di servitù volontaria concessa per contratto, il negozio deve necessariamente rivestire la forma scritta, trattandosi di diritti reali costituiti su beni immobili (art. 1350, n. 4, c.c.): il contratto concluso in forma verbale non è più che un atto di tolleranza o di cortesia concesso dal proprietario del fondo su cui il vicino avrà la possibilità - ma non il diritto - di passare.
Quindi, se nel caso di specie la servitù non risulta da atto scritto, essa può dirsi inesistente.

In secondo luogo, trattandosi di servitù che non prevede alcun corrispettivo, si dovrà risolvere la questione circa la natura giuridica di tale contratto: se si deve configurare il negozio come donazione vera e propria, allora a pena di nullità il contratto dovrà risultare fatto per atto pubblico (art. 782 del c.c.). Se, invece, ipotesi meno probabile, si tratta di un mero contratto senza corrispettivo, basterà la scrittura privata.

Ulteriore questione, poi, è quella dell'opponibilità ai terzi della servitù: il titolare del diritto reale, infatti, anche se in possesso di una scrittura privata firmata dal proprietario del fondo servente, non può opporre il proprio diritto ai terzi - quali i nuovi acquirenti del fondo servente - a meno che il contratto oggetto della servitù sia stato trascritto nei registri immobiliari ai sensi dell'art. 2643 n. s, c.c., e sempre che i nuovi proprietari vedano menzionato tale diritto nel loro atto di acquisto.

Appurate tutte queste cose, se nella fattispecie concreta la servitù fosse stata concessa effettivamente per iscritto, e fosse stata trascritta, e quindi risultasse opponibile ai nuovi proprietari, questi purtroppo non potrebbero fare ricorso al dettato dell'art. 1055, che vale esclusivamente per le servitù di tipo coattivo e non per quelle volontarie. La servitù volontaria può estinguersi solo per prescrizione, confusione (i due fondi diventano di proprietà di un unico soggetto) o per accordo tra le parti.

L'unica alternativa concreta è quella di configurare il tutto come donazione e impugnare la costituzione della servitù per difetto di forma (supponendo naturalmente che essa non sia stata costituita con atto pubblico).

Ad ogni modo, sembra che l'esercizio del passaggio da parte dei vicini sia fatto in modo palesemente emulativo, cioè al solo scopo di nuocere o infastidire, senza una reale necessità. Certamente, quindi, si può intimare ai vicini che il passaggio sia limitato solo allo scopo della servitù, ovvero "passare" dal giardino, senza sostarvi o compiere alcun atto diverso o addirittura illecito in assenza dei proprietari. In tal senso, è bene intimare ai vicini di interrompere ogni appropriazione illecita di materiali ed oggetti che non sono di loro proprietà (si ricordi che ai sensi dell'art. 624 chiunque s'impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, è punibile penalmente per il reato di furto).

Vista l'invadenza dei vicini, si può pensare di recintare opportunamente il giardino al fine di consentire loro solo il passaggio e non altre attività: secondo la giurisprudenza, infatti, "Il proprietario del fondo servente può recingere la sua proprietà, ancorché gravata da un diritto di servitù di passaggio, per tutelare indirettamente anche i suoi diritti alla sicurezza e alla riservatezza, se, conformemente alla disposizione dell'art. 1064 c.c. il transito per l'"utilitas" del fondo dominante è libero e comodo; nè viola l'art. 833 c.c. se nella chiusura non è configurabile un atto emulativo" (Cass. civ., sez. II, 9.10.1998, n. 9998).

Quanto alla questione della presenza dei cani, è consigliabile inviare una missiva scritta ai vicini (per concretizzare una futura prova a favore dei proprietari degli animali) in cui si descrive il comportamento da tenere in loro presenza - ad esempio, quello di doverli chiamare - e si avvisano i vicini degli orari in cui i cani circolano liberamente nel giardino. Il vicino, seppur avesse il diritto di passare nel giardino, non ha anche il diritto di passare a tutte le ore: quindi, ben può astenersi dal passare di notte, avendo una propria comoda entrata.
Altre condotte descritte nel quesito (come l'avviso relativo alle feci dei cani) sono esclusivamente comportamenti invadenti privi di giustificazione giuridica.

L'installazione di telecamere su terreno privato, predisposte a tutela delle persone e della proprietà (contro possibili aggressioni, furti, rapine, danneggiamenti, etc...) è possibile senza il consenso dei soggetti ripresi, sulla base delle prescrizioni indicate dal Garante della Privacy (di regola, va apposto un cartello informativo).

Andrea M. chiede
sabato 17/05/2014 - Toscana
“Salve, necessito di una consulenza relativamente ad un diritto di passo che ho concesso gratuitamente circa 6 anni fa. tale diritto risultava assolutamente necessario, data la interclusione dalla strada pubblica della abitazione adiacente alla mia. Purtroppo nel corso degli anni i rapporti si sono gravemente deteriorati, anche perché la controparte si rifiuta di chiudere i cancelli a protezione della mia proprietà che delimitano il passo all'inizio ed alla fine. Inoltre nel frattempo la controparte ha provveduto alla costruzione di un nuovo passo che le permette di raggiungere agevolmente la proprietà in maniera totalmente autonoma e senza disagi.
Considerando l'art.1055 cc e una sentenza della cassazione ( Cass. n. 12037/2010) riportata anche sul vostro sito, la domanda è se possa essere chiesto al tribunale la revoca del diritto di passo per cessata interclusione, pur essendo stato concesso in via contrattuale, anche se non onerosa. Faccio presente che dispongo di evidenze satellitari della situazione antecedente e successiva alla costruzione del nuovo passo e di numerose testimonianze che possono confermare di come all'epoca il fondo dominante era intercluso al passo dalla via pubblica.
in caso di parere favorevole, sarebbe ovviamente necessaria anche la relativa giurisprudenza.
Grazie Cordiali saluti”
Consulenza legale i 20/05/2014
L'art. 1055 c.c. sancisce espressamente che quando il passaggio cessa di essere necessario, il proprietario del fondo servente può chiederne la soppressione. La norma è inserita nella sezione relativa al "passaggio coattivo", che consiste nel diritto del proprietario di un fondo intercluso (circondato da fondi altrui e che non ha uscita sulla via pubblica né può procurarsela senza eccessivo dispendio o disagio) di ottenere una servitù di passaggio su fondo altrui.
Il diritto previsto dall'art. 1055 è quindi stabilito dal Legislatore per il caso del passaggio coattivo.
Le servitù volontarie, a differenza di quelle coattive, di regola non si estinguono con il cessare della utilitas per la quale sono state costituite (v. art. 1074 del c.c.), ma soltanto per confusione, prescrizione o quando siano stipulate nuove pattuizioni, consacrate in atto scritto, che ne modifichino l'estensione o le sopprimano (Cass. civ. n. 3132/2013).

Quindi, ci si deve chiedere se l'art. 1055 c.c. possa essere applicato anche ai casi di servitù convenzionale nei quali sussisteva astrattamente per il proprietario del fondo dominante il diritto di chiedere la costituzione del passaggio coattivo.

La giurisprudenza ha affrontato in alcune pronunce la questione e sembra ora assestata su un indirizzo positivo.
In una sentenza più risalente (la sent. 6.9.1991 n. 9385), la Cassazione ha stabilito che "pur ricorrendo i presupposti di legge per la costituzione di una servitù coattiva e, questa, anziché coattivamente, cioè per sentenza o per atto dell'autorità amministrativa, sia stata costituita contrattualmente tra i proprietari dei fondi, che ne sono rispettivamente gravati ed avvantaggiati, la servitù così costituita non assume il carattere della coattività e pertanto [...] ad essa non si applica la regola per cui, alla cessazione della interclusione, segue la soppressione del passaggio ad istanza anche di uno solo dei proprietari dei fondi interessati (art. 1055 c.c.), bensì l'altra regola per cui il venir meno dell'utilità del passaggio non fa estinguere per prescrizione la servitù, se, non è decorso il tempo indicato dalla legge (art. 1074 c.c.)". In senso conforme, anche la sentenza n. 10371 del 2005.

Successivamente, però, la Corte si è pronunciata in senso opposto: con le sentenze 11955 del 2009 e, soprattutto, n. 12037 del 17.5.2010, ha stabilito che la causa estintiva della servitù di passaggio, prevista dall'art. 1055 c.c. per il caso di cessazione dell'interclusione del fondo dominante, opera con riguardo ad ogni servitù che si ricolleghi ai presupposti del passaggio coattivo ex art. 1051 c.c., anche se si tratti di servitù costituita convenzionalmente.
Uno dei ragionamenti proposti concerne il fatto che, in presenza dei presupposti della servitù coattiva di passaggio, questa non potrebbe venir meno per mero accordo delle parti (proprietario del fondo dominante e proprietario del fondo servente) anche se costituita in modo volontario, in quanto continuerebbe ad esistere per il titolare del fondo dominante il diritto ad ottenere il passaggio coattivo.
Nello stesso senso si riscontrano alcune pronunce di merito più recenti, come la sentenza del 11 febbraio 2012 del Tribunale di Nola.

La dottrina ha ben evidenziato come il vero nodo sia costituito dalla possibilità di ritenere che una servitù coattiva possa essere costituita anche in via convenzionale, e non solo grazie all'intervento della sentenza di un giudice. Entrambe le posizioni hanno una loro valenza giuridica e quindi, a seconda della tesi sposata, il giudice potrà ritenere o meno di fare applicazione dell'art. 1055 c.c. in caso di servitù convenzionale che presenti anche i presupposti della servitù di passaggio coattivo.
Dovendo necessariamente semplificare, vista la sede in cui si sta trattando una materia così complessa, si può brevemente individuare il punto centrale della questione nella motivazione per cui venne concluso il contratto costitutivo della servitù. Se l'accordo venne stipulato come adempimento dell'obbligo legale di concedere il passaggio, cui il vicino aveva diritto, si dovrebbe a nostro giudizio equiparare in tutto e per tutto tale servitù (solo formalmente convenzionale) con quella prevista dall'art. 1051, con possibilità di applicare, quindi, l'art. 1055 (norma che di regola non è analogicamente applicabile a fattispecie diverse da quelle previste per legge).

Nel caso di specie, i presupposti per la richiesta di una servitù coattiva esistevano al momento della concessione della medesima in via convenzionale, che di fatto avveniva quindi per "prevenire" una legittima richiesta del proprietario del fondo dominante.
Pertanto, si ritiene, sulla scorta della giurisprudenza che appare ormai essere maggioritaria (ma non si può per questo garantire che il giudice di merito decida nello stesso senso!), che sia possibile agire ex art. 1055 qualora la situazione di interclusione sia venuta meno e il vicino possa accedere in altro modo al proprio fondo.

E' bene ricordare che in nessun caso l’estinzione della servitù avviene in modo automatico: è richiesta una sentenza costitutiva emessa su domanda del soggetto interessato, i cui effetti si producono ex nunc. Difatti, per paralizzare l'actio confessoria diretta all'accertamento della sussistenza e difesa di una servitù coattiva, non è sufficiente una semplice eccezione, ma occorre una espressa domanda riconvenzionale (Cass. civ., Sez. II, 22.5.2009 n. 11955).
Nel giudizio in cui viene chiesta la soppressione della servitù, il giudice dovrà accertare che lo stato di interclusione è cessato, nonché che lo stesso esisteva al momento della conclusione dell'accordo costitutivo tra le parti.

Paolo chiede
martedì 24/05/2011 - Lazio

“Salve ,vorrei sapere se posso chiudere una servitù di passaggio,disegnata anche in cartina del catasto.Ci sono dei vincoli che mi impediscono la chiusura. Grazie”

Consulenza legale i 24/05/2011

Si presume che la domanda si riferisca ad un servitù coattiva.
Può dirsi che il passaggio coattivo abbia cessato di essere necessario soltanto nei casi in cui siano venuti meno i presupposti di fatto che avevano reso ex lege necessaria la costituzione della servitù, in modo tale che il titolare della servitù, se si fosse trovato ab origine nella situazione nella quale si è venuto a trovare in seguito ai mutamenti intervenuti nella situazione di fatto, non avrebbe avuto diritto alla costituzione della servitù coattiva in proprio favore. L'indagine volta a stabilire se siano venuti meno i presupposti di fatto che avevano resa necessaria la costituzione della servitù va condotta con riguardo al fondo nel suo complesso e nella sua unitarietà. Il venir meno di detti presupposti di fatto non determina peraltro ipso iure l'estinzione della servitù, ma fa sorgere soltanto il diritto di ottenerne la soppressione mediante la stipulazione di un contratto estintivo ovvero la pronuncia di una sentenza che ne disponga la soppressione.


P. I. chiede
lunedì 04/09/2023
“Mia moglie possiede un terreno gravato da una servitù di passaggio carraio dalla strada statale verso un fondo dominante (con due proprietari); il fondo dominante era intercluso quando la servitù fu creata.
Recentemente uno dei proprietari del fondo dominante ha acquistato terreni contigui al fondo stesso, sui quali ha fatto costruire una strada che connette il fondo dominante alla strada statale. Questo permette la circolazione dalla strada statale attraverso la nuova strada verso il fondo dominante e poi sul terreno di mia moglie verso la strada statale e vice-versa. La circolazione non si limita ai veicoli dei due proprietari del fondo dominante e loro visitatori, ma anche a veicoli di imprese che eseguono lavori sui fondi di nuova acquisizione.
Come si interpretano gli articoli 1055, 1065 e 1067 in questo caso?”
Consulenza legale i 20/09/2023
Va premesso che, dalla documentazione allegata, è emerso che la servitù di cui trattasi è una servitù di origine volontaria: quindi non sarà applicabile la disciplina dell’art. 1055 c.c., che riguarda la cessazione dell’interclusione del fondo (ovvero di quella situazione per cui un fondo è circondato da fondi altrui, e non ha uscita sulla via pubblica né può procurarsela senza eccessivo dispendio o disagio).
Tale norma riguarda, infatti, le servitù coattive (quelle cioè la cui costituzione può essere imposta dal giudice, anche in mancanza del consenso del proprietario del fondo servente), e non è invece applicabile alle servitù volontarie, come ha ribadito anche in tempi recentissimi la giurisprudenza.
In proposito, si veda Cass. Civ., Sez. II, ordinanza 04/09/2023, n. 25716: “le servitù volontarie, a differenza di quelle coattive, le quali si estinguono con il venir meno della necessità per cui sono state imposte, non si estinguono con il cessare della "utilitas" per la quale sono state costituite, ma soltanto per confusione, prescrizione o quando siano stipulate nuove pattuizioni, consacrate in atto scritto, che ne modifichino l'estensione o le sopprimano”; principio espresso anche dalla meno recente Cass. Civ., Sez. II, sentenza 08/02/2013, n. 3132.
Tale problema non si pone invece con le altre due norme citate nel quesito, che riguardano in generale le modalità di esercizio della servitù.
Ora, l’art. 1065 c.c. stabilisce che chi ha un diritto di servitù non può usarne se non a norma del suo titolo o del suo possesso.
Occorrerebbe dunque esaminare il titolo, cioè l’atto costitutivo della servitù, in quanto il documento inviato non è l’atto costitutivo, bensì un atto successivo, dal quale comunque si desume che si tratta una servitù di passo carrabile e quindi esercitabile mediante passaggio di veicoli.
Qualora, nonostante l’esame del titolo, permanga il dubbio circa l'estensione e le modalità di esercizio, il secondo comma dell’art. 1065 c.c. stabilisce il criterio c.d. del minimo mezzo, per cui la servitù deve ritenersi costituita “in guisa da soddisfare il bisogno del fondo dominante col minor aggravio del fondo servente”.

Ora, se il proprietario del fondo servente intende invocare un’ipotetica violazione di tale norma, dovrà ovviamente provare l’aggravio. Stando alla situazione descritta, si lamenta - a quanto è dato capire - che il passaggio venga esercitato anche mediante veicoli che devono effettuare lavori (presumibilmente mezzi pesanti, dunque); è anche vero, però, che il passaggio - sempre stando a quanto riferito - risulterebbe “ripartito” tra le due strade (quella oggetto di servitù e la nuova strada). Forse un chiarimento aiuterebbe nella comprensione del quesito con riferimento a tale aspetto.

Quanto al richiamo all’art. 1067, esso appare, ad avviso di chi scrive, non pertinente, non ravvisandosi nel caso descritto “innovazioni” tali da rendere più gravoso l’esercizio della servitù.

Loris O. chiede
mercoledì 17/08/2022 - Friuli-Venezia
“Il fondo A (orto) e il fondo B (prato) dominanti in quanto senza sbocchi su vie pubbliche hanno un diritto di passaggio a carico del fondo servente X costituito contrattualmente nel 1983. Successivamente viene acquistato dai proprietari di A e B un piccolo fondo C ( vigneto) che ha accesso alla strada comunale ma che è un accesso piu scomodo in quanto non vicino la loro casa.
Il fondo B e C vengono poi donati a un figlio (a me L.) per costruire un villetta con accesso sulla via pubblica e iscritta al catasto fabbricati di mia proprietà e diventano un unico fondo.
Il fondo A (orto) resta ai genitori in quanto vicino casa di famiglia e ora a seguito di successione resta a me L. e a mio fratello I. al 50 per cento. Quindi il fondo dominante B è confluito in un nuovo fondo con C dove è stata costruita una abitazione collegata a via pubblica e una particella unica.
Il fondo A (orto) adiacente al B (e attraversato il B al C) rimane senza uscita e di proprietà di due persone con diritto al transito (fratelli L. e I.).
Nella situazione di fatto lo utilizza loris come giardino accessorio alla villetta e continua ad utilizzare il transito per comodità (accesso piu veloce a ex casa dei genitori).
Inoltre è ovvio che se lo utilizza il proprietario della villetta (L.) potrebbe uscire direttamente sulla pubblica via senza utilizzare la servitù. Ma se in linea teorica li utilizza I. ( il fratello comproprietario) egli non ha titolo di accedere attraverso la villetta e userebbe ovviamente la servitù.
Chiedo se la situazione di fatto potrebbe far propendere (su istanza) il giudice a cancellare la servitù o se la situazione di diritto prevale (teorica necessità di uno dei due proprietari di accedere) indipendente da un bisogno continuativo.
Datemi indicazioni per invio di una mappa.
Grazie”
Consulenza legale i 30/08/2022
Costituisce elemento determinante per la soluzione del caso in esame il tipo di servitù dinanzi alla quale ci si trova, trattandosi di servitù di passaggio costituita volontariamente.
E’ noto che le servitù possono essere costituite volontariamente o coattivamente, a seconda che siano liberamente creabili dai privati (al fine di far conseguire un vantaggio al fondo dominante) ovvero che siano costituite nei soli casi previsti dalla legge, in presenza di determinati requisiti e per una certa necessità del fondo.
Anche una servitù coattiva, tuttavia, può essere costituita volontariamente, ossia può essere frutto di un accordo tra proprietario del fondo dominante e del fondo servente, proprio come è accaduto nel caso di specie.

Una volta costituita, invece, la servitù può estinguersi solo nei casi e per le ragioni espressamente previste dalla legge, ovvero per:
a) volontà delle parti: è necessario l’accordo dei proprietari del fondo servente e del fondo dominante;
b) confusione: quando il proprietario del fondo servente e quello del fondo dominante vengono a coincidere nella medesima persona, secondo il brocardo “nemini res sua servit“;
c) scadenza del termine, quando è stato convenuto un termine finale del diritto nell’atto costitutivo;
d) perimento di uno dei due fondi;
e) prescrizione estintiva ventennale, c.d. “non uso“, cioè quando siano trascorsi almeno venti anni dal mancato esercizio della servitù ovvero dalla violazione del divieto di fare qualcosa sul fondo (in caso di servitù negativa);
f) impossibilità di uso e mancanza di utilità; il legislatore ha previsto, all’art. 1074 c.c., due cause di estinzione che si fondano sulla necessità che il diritto non solo possa essere esercitato in concreto, ma che sia in grado, altresì, di realizzare quell’utilità che l’ordinamento ha ritenuto meritevole di tutela. Ebbene, qualora sopravvenga l’impossibilità di esercitare la servitù o cessi l’utilità in funzione della quale la servitù è stata costituita, quest’ultima, pur non estinguendosi subito, resta in uno stato di “quiescenza” per un periodo di venti anni, nell’eventualità di un ulteriore mutamento dello stato dei luoghi che ripristini lo status quo ante o, comunque, renda possibile la sopravvivenza del diritto, sino a che non decorre il termine indicato dall’art. 1073 del c.c..

Nel caso di specie ciò che si teme è che l’autorità giudiziaria, eventualmente adita dal proprietario del fondo X servente, possa convincersi di dichiarare l’estinzione della servitù per mancanza di utilità della stessa, considerati gli avvicendamenti proprietari che si sono succeduti in relazione ai fondi dominanti A e B.
Tuttavia, come si è accennato in apertura di questa consulenza, vi è un elemento essenziale della fattispecie che dovrebbe indurre il giudice ad escludere l’operatività della suddetta causa estintiva, ovvero il fatto che si tratta di servitù costituita per volontà dei proprietari dei fondi servente e dominanti.
Per tale ipotesi, infatti, vige il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Sez. II civ., con sentenza n. 9385 del 06.09.1991, nella quale si legge quanto segue:
“Nel caso in cui, pur ricorrendo i presupposti di legge per la costituzione di una servitù coattiva e, questa, anziché coattivamente, cioè per sentenza o per atto dell'autorità amministrativa, sia stata costituita contrattualmente fra i proprietari dei fondi, che ne sono rispettivamente gravati ed avvantaggiati, la servitù così costituita non assume il carattere della coattività e pertanto, allorquando abbia ad oggetto il passaggio a favore di fondo intercluso, ad essa non si applica la regola per cui, alla cessazione della interclusione, segue la soppressione del passaggio ad istanza anche di uno solo dei proprietari dei fondi interessati (art. 1055 del c.c.), bensì l'altra regola per cui il venir meno dell'utilità del passaggio non fa estinguere per prescrizione la servitù, se non è decorso il tempo indicato dalla legge”.

Da ciò, dunque, se ne deve far conseguire che, fin quando ci si continuerà a servire della servitù, la sola mancanza di utilità, per venir meno dell’interclusione, non può essere causa di estinzione della servitù se a chiederla sarà soltanto il proprietario del fondo X servente, occorrendo pur sempre un successivo accordo in tal senso tra i proprietari dei fondi interessati (servente e dominanti), da trasfondere in atto pubblico e trascrivere.
In ogni caso, il venir meno dell’utilità potrebbe interessare solo il fondo dominante B di proprietà di L. (essendo quest’ultimo divenuto proprietario del fondo C con accesso diretto alla pubblica via), ma non anche il fondo A, in comproprietà con I., il quale non può vantare alcun diritto di passaggio sui fondi B e C di esclusiva proprietà del fratello L.


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