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Articolo 534 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Diritti dei terzi

Dispositivo dell'art. 534 Codice Civile

L'erede può agire anche contro gli aventi causa da chi possiede a titolo di erede o senza titolo.

Sono salvi i diritti acquistati, per effetto di convenzioni a titolo oneroso(1) con l'erede apparente(2), dai terzi i quali provino di avere contrattato in buona fede(3) [1147, 1153, 1189, 1396, 1445, 1729 c.c.].

La disposizione del comma precedente non si applica ai beni immobili e ai beni mobili iscritti nei pubblici registri [2683 c.c.], se l'acquisto a titolo di erede [2648 c.c.] e l'acquisto dall'erede apparente non sono stati trascritti anteriormente alla trascrizione dell'acquisto da parte dell'erede o del legatario vero, o alla trascrizione della domanda giudiziale contro l'erede apparente(4) [2652 n. 7 c.c.].

Note

(1) Benchè la norma parli di "convenzioni", l'articolo in commento si applica anche agli atti unilaterali.
Sono ricompresi non solo i trasferimenti del diritto di proprietà (v. art. 832 del c.c.), anche gli atti costitutivi di diritti reali di godimento (es.: usufrutto, v. art. 978 del c.c.) o di garanzia (es.: ipoteca, v. art. 2808 del c.c.), o di diritti personali di godimento (es.: locazione, v. art. 1571 del c.c.).
(2) Non è necessario che l'erede apparente abbia il possesso dei beni ereditari, basta che si comporti in modo tale da ingenerare nei terzi la ragionevole convinzione di essere di fronte al vero erede.
(3) Si ha buona fede quando il terzo ignora o erroneamente crede di contrarre con il vero erede. La prova della sua sussistenza deve essere data dal terzo che vuol far salvo il proprio acquisto.
(4) Qualora il diritto acquistato a titolo oneroso dal terzo abbia ad oggetto beni immobili o mobili registrati, prevale chi per primo ha trascritto il suo acquisto (o, nel caso dell'erede, la domanda giudiziale di petizione dell'eredità).

Ratio Legis

La norma tutela i diritti che i terzi hanno acquistato a titolo oneroso da chi sembrava essere il vero erede (principio dell'apparenza del diritto). Tale protezione si giustifica in quanto, spesso, è complesso per i terzi stabilire se un soggetto sia o meno erede (es.: è difficile accertare se un testamento sia stato o meno revocato da uno successivo).

Spiegazione dell'art. 534 Codice Civile

In questo articolo, dopo essersi precisato che l’erede può agire anche contro gli aventi causa da chi possiede a titolo d’erede o senza titolo, si regolano quelli che sono i diritti dei terzi che hanno contrattato con l’erede apparente e si fissano i presupposti perché essi siano rispettati.
Innanzitutto, deve trattarsi di atti a titolo oneroso perché per questi soltanto vale il principio che tra due parti (erede vero e terzi), qui certant de damno vitando, deve essere preferita quella che si trova nel possesso dei beni; d’altro canto è la tutela della buona fede che impone tale soluzione; la quale, perciò, è l’opposta se si tratta di negozi a titolo gratuito: qui tra gli eredi veri qui certant de damno vitando ed i terzi qui certant de lucro captando vanno preferiti i primi.
In secondo luogo, i terzi devono aver contrattato con l’erede apparente in buona fede, ignorando, cioè, di trovarsi di fronte ad un falso erede, quindi ritenendo che quegli avesse rivestito la qualità d’erede e, come tale, avesse lo ius disponendi. Quindi, il terzo che ha contrattato con l’erede apparente deve essere in buona fede; dunque la buona o la mala fede dell'erede apparente è irrilevante.
In che consiste la buona fede? Nel caso dell’art. 534 la buona fede si sostanzia nella convinzione di acquistare dall’erede vero, cioè dal dominus, tanto se tale opinione sia determinata da un errore di fatto quanto da un errore di diritto; né a quest’ultimo concetto contrasta il comune principio che ignorantia iuris (legis) non excusat, poiché questo è vero solo quando si tenta di evitare le conseguenze che la legge pone a carico di chi ne adduce l’ignoranza.
In quale momento deve sussistere la buona fede? Vale anche qui - sia per il possessore che per i terzi - il principio del diritto romano mala fides superveniens non nocet, con la conseguenza che sarà necessario accertarne l’esistenza, nel possessore, al momento in cui si è immesso nel possesso, nel terzo, quando ha contrattato con l’erede apparente.
Ma su chi incombe l’onere di provarla? L’art. 1147 dichiara che la buona fede è sempre presunta, dunque chi allega la mala fede deve darne la prova: da ciò sembra doversi dedurre che all’erede, il quale agisce in petitio, spetti di provare che il possessore o il terzo siano in mala fede, dal momento che a favore di costoro sta quella presunzione, dettata dall’art. 1147 con efficacia generale e non ristretta al solo possesso. Però siffatta conclusione logica è modificata dagli articoli 534 e 535; dal primo, che al secondo comma esplicitamente pone a carico dei terzi la prova di aver contrattato in buona fede; dal secondo, che, precisando quale possessore debba ritenersi di buona fede, addossa a costui l’onere di provare l’ipotesi voluta dalla legge.
Nei confronti dei terzi che hanno acquistato dall’erede apparente, l’art. 534 non si limita, però, a richiedere la loro buona fede; esso pone l'esistenza di un duplice requisito, senza il quale, anche se acquistato in buona fede, il diritto del terzo può essere attaccato e, cioè, la trascrizione sia del titolo d’acquisto di erede apparente, sia del titolo d’acquisto del terzo da parte dell’erede apparente, di guisa che se entrambe queste trascrizioni mancano o se sono state entrambe o anche una soltanto effettuate dopo la trascrizione della domanda in petitio dell'erede vero, il diritto del terzo cade.
L’art. 534 si applica solo alle convenzioni relative a beni immobili o mobili registrati? Sembra doversi ritenere di sì, poiché per i mobili vale il principio "possesso in buona fede vale titolo", con la conseguenza che il terzo, acquirente in buona fede di cose mobili, è protetto da eventuali attacchi, qualunque sia il suo titolo, tanto, cioè, se oneroso, quanto se gratuito.
Ma, in realtà, non è così, perché l’art. 1153 non potrà essere sempre applicabile; non potrà esserlo in tutti i casi nei quali non si verificano quelli che sono i suoi presupposti, come ad esempio avviene nell’ipotesi in cui il terzo, pur avendo acquistato cose mobili, non ne sia, però, nel possesso materiale, oppure abbia acquistato una universitas facti, nei cui confronti il principio dell’art. 1153 cessa di avere efficacia.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

259 In un successivo art. 534 del c.c. ho posto la disciplina dei diritti dei terzi, che prima si trovava in parte nel capoverso dell'art. 75 del progetto e in parte nell'art. 77. Nel secondo comma del nuovo articolo ho affermato la salvezza dei diritti dei terzi, la quale prima si desumeva dalla dichiarazione d'improponibilità dell'azione di petizione. In tal modo viene posto in rilievo che si tratta di un problema di diritto sostanziale e non già di un semplice ostacolo processuale alla proponibilità della petitio. Sempre a proposito della stessa disposizione, ho creduto opportuno risolvere un punto finora dubbio, e cioè se la prova della buona fede debba esser data dal terzo che ha acquistato dall'erede apparente o se piuttosto il terzo debba presumersi in buona fede, salva la prova contraria da parte dell'erede, Ho consacrato la prima opinione, che mi è sembrata preferibile, considerando che in questo caso la buona fede rappresenta un elemento costitutivo dell'acquisto. Nell'ultimo comma dell'articolo ho poi in sede di coordinamento chiarito che la salvezza dei diritti acquistati dai terzi, se oggetto di essi sono beni immobili o mobili registrati, non ha luogo sia nel caso, ch'era già stato espressamente previsto dal testo precedente, che la trascrizione di tali acquisti non sia anteriore alla trascrizione della domanda giudiziale, sia nel caso ch'essa non preceda la trascrizione dell'acquisto da parte dell'erede o del legatario vero. La norma, in realtà, si sarebbe ugualmente desunta dalle disposizioni concernenti la trascrizione: ma mi è sembrato opportuno evitare inutili questioni che sarebbero potute sorgere argomentando a silentio.

Massime relative all'art. 534 Codice Civile

Cass. civ. n. 9364/2020

La data rappresenta un elemento essenziale del testamento olografo e deve comprendere l'indicazione del giorno, del mese e dell'anno. L'eventuale carenza comporta l'annullamento del testamento olografo con effetti retroattivi. L'annullamento travolge l'accettazione del chiamato ex asse in base al testamento, determinando ab origine la delazione in favore del successibile ex lege, mentre nei confronti dei terzi si applica la regola di cui all'art. 534 c.c., in base alla quale restano salvi i diritti acquistati a titolo oneroso, dall'erede apparente, da parte di terzi che provino di avere contrattato in buona fede.

Cass. civ. n. 14445/2016

Il conduttore che, alla morte del locatore, continui in buona fede a versare i canoni nelle mani dell'erede legittimo e legittimario, che si trovi nel possesso dei beni ereditari, è liberato dalla propria obbligazione, senza che rilevi né che esista controversia tra i coeredi sull'attribuzione dell'eredità, né che alcuno degli eredi abbia fatto pervenire copia del testamento al conduttore, rimanendo a carico del creditore, legittimato a conseguire il pagamento, l'onere di dimostrare il colpevole affidamento del conduttore.

Cass. civ. n. 11305/2012

La vendita di bene ereditario da parte dell'erede apparente, ai sensi degli artt. 534, terzo comma, e 2652, n. 7, c.c., ove manchi l'anteriore trascrizione della sua accettazione ereditaria (pur se accettazione tacita, trascrivibile ex art. 2648, terzo comma, c.c.), non è opponibile all'erede vero che abbia trascritto l'accettazione posteriormente alla vendita stessa, né la mera trascrizione dell'atto traslativo del bene ereditario comprova, di per sé, un'accettazione ereditaria opponibile ai terzi o all'erede vero, potendo il bene essere pervenuto all'alienante in virtù di un titolo diverso.

Cass. civ. n. 2653/2010

In tema di petizione ereditaria, ai fini della salvezza dei diritti acquistati dal terzo per effetto di convenzione a titolo oneroso contratta con l'erede apparente, è necessario che lo stesso terzo, ai sensi dell'art. 534, comma secondo, c.c., assolva all'onere di provare la sua buona fede all'atto dell'acquisto, consistente nella dimostrazione dell'idoneità del comportamento dell'alienante ad ingenerare la ragionevole convinzione di trattare con il vero erede, nonché dell'esistenza di circostanze indicative dell'ignoranza incolpevole di esso acquirente circa la realtà della situazione ereditaria al momento dell'acquisto.

Cass. civ. n. 2114/1966

La disposizione di cui al terzo comma dell'art. 534 c.c. — la quale, facendo eccezione al principio generale per cui l'erede può agire anche contro gli aventi causa di chi possiede a titolo di erede o senza titolo, fa salvo il caso dei diritti acquistati, per effetto di convenzioni a titolo oneroso con l'erede apparente, dai terzi, i quali provino di aver contrattato in buona fede, e sempre che, trattandosi di beni immobili, l'acquisto a titolo di erede e quello dall'erede apparente siano trascritti anteriormente all'acquisto da parte dell'erede o del legatario vero o alla trascrizione della domanda giudiziale contro l'erede apparente — non è applicabile all'acquisto dal legatario apparente.

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Consulenze legali
relative all'articolo 534 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

S. D. L. chiede
giovedì 21/11/2024
“Il quesito attiene un'azione di rivendica cui opporre la condizione di buona fede del terzo possessore.

L’azione di rivendica è esperita dall’unica figlia della de cuius, riconosciuta per via giudiziaria successivamente al decesso della madre vedova e senza altri figli.
Il bene oggetto di rivendica è un immobile che dopo essere stato legato in favore della sorella (quindi zia dell’attrice), veniva da questa venduto al vicino confinante, nelle more della causa di riconoscimento di cui sopra.
In merito detta compravendita è provato che:
1. Subito dopo il decesso, il legato fu impugnato dalla figlia della legataria (quindi cugina dell'attrice), anch’essa erede testamentaria, perché ritenuto apocrifo;
2. Con sospetto tempismo, pochi giorni dopo la notifica della causa di riconoscimento, la legataria:
a. manfestò l’intento dei comporre la lite di cui al punto 1;
b. pose in vendita dell’immobile con modalità di urgenza: prezzo ampiamente al di sotto del mercato, durata dell’incarico di mediazione pari a 3 giorni e compravendita da perfezionare entro 3 settimane;
3. Il vicino confinante intanto, sebbene conscio di essere persona invisa alla legataria nonché consapevole della disputa di cui al punto 1 in quanto trascritta, piuttosto che astenersi:
a. pose in essere efficaci intrighi e sotterfugi interponendo prestanome e corrompendo i mandatari della venditrice i quali avevano ricevuto precise istruzioni a riguardo,
b. omise le verifiche e le richieste di garanzia che la normale diligenza impone in queste situazioni affidandosi alle dichiarazioni della venditrice.
4. l'atto stesso fu altresì viziato da:
a. rappresentazione infedele del prezzo (1 in luogo di 3);
b. mancata indicazione dei mezzi di pagamento
c. errata formalizzazione della pendente pratica di condono (causa di annullamento per la normativa dell’epoca).

Quesito: Può il terzo acquirente salvare il proprio titolo ex art 534 c.c. imputando alla venditrice l’omessa comunicazione della pendenza della causa di riconoscimento e, pertanto, la propria ignoranza di acquistare a non domino?”
Consulenza legale i 02/12/2024
La norma citata nel quesito, ovvero l’art. 534 c.c., appare molto chiara ed esplicita sul problema che qui si sottopone ad esame, ovvero quello del c.d. erede apparente.
Prima di esaminare tale questione si ritiene necessario fare alcune precisazioni.
Innanzitutto deve osservarsi che, come ad ogni proprietario, all’erede compete, oltre all’azione di petizione, anche l’azione di rivendica, disciplinata all’art. 948 del c.c., la quale potrà essere esercitata solo allorchè gli venga contestata non la qualità di erede, ma il diritto di proprietà del de cuius sui beni ereditari.
Più precisamente, mentre la petizione di eredità mira a far riconoscere, in capo a chi la esercita, la sua qualità di erede, con conseguente nascita dell’obbligo di restituzione delle cose dell’eredità in capo a chi le possiede o detiene, l’azione di rivendica mira direttamente al recupero di un bene posseduto o detenuto da altri, dopo che sia stata rigorosamente fornita la prova che il rivendicante ne è proprietario a titolo originario (c.d. probatio diabolica).

Fatta questa precisazione, deve a questo punto osservarsi che la posizione giuridica dell’erede apparente è diversa a seconda che si faccia riferimento al rapporto con l’erede vero oppure con i terzi acquirenti.
Tralasciando il rapporto con l’erede vero, quello che qui interessa è il rapporto con i terzi acquirenti, nei confronti dei quali il legislatore ha voluto prevedere una particolare ipotesi di acquisto a non domino a titolo derivativo, in forza di una particolare valorizzazione dell’apparenza del diritto.
Dispone, infatti, l’art. 534 c.c. che non possono essere pregiudicati gli acquisti che i terzi abbiano posto in essere conseguendo un diritto da colui che, apparendo erede o legatario di quel diritto, proprio in apparenza poteva legittimamente trasmettere.
E’ discusso se la tutela prevista da questa norma per chi acquista dall’erede apparente possa estendersi anche al caso di chi acquista dal legatario apparente; prevale, comunque, la tesi positiva, la quale argomenta sia dall’evidente analogia tra acquisto dal legatario apparente e acquisto dall’erede apparente sia da quanto disposto dal n. 7 dell’art. 2652 e dal n. 4 dell’art. 2690 c.c., i quali accordano tutela anche al terzo che abbia acquistato non già dall’erede apparente, ma da chi appare legatario.

Da ciò ne consegue che, in caso di convenzioni a titolo oneroso, i terzi, i quali diano prova di aver contrattato in buona fede, non perderanno i diritti acquistati, salvo che tali diritti abbiano ad oggetto beni immobili o mobili registrati e che gli atti di acquisto siano stati trascritti dopo che il vero erede o legatario abbia trascritto il suo acquisto o la domanda giudiziale contro l’erede apparente (si veda l’ultimo comma del citato art. 534 c.c.).
Come può notarsi, tale norma, facendo gravare sul terzo acquirente l’onere di provare di aver contratto in buona fede, si pone in deroga al principio sancito al terzo comma dell’art. 1147 del c.c. secondo cui la buona fede si presume.

Il vero erede, pertanto, potrà vittoriosamente agire contro il terzo acquirente per ottenere la restituzione del bene ereditario soltanto nel caso in cui questi abbia acquistato dall’erede apparente a titolo gratuito o in mala fede.
Concentrando l’attenzione sull’elemento soggettivo della buona fede (come richiesto nel quesito), va detto che questa consiste nello stato di ignoranza o nell’errore in cui si trova il terzo (il quale ritiene che l’altro contraente sia l’erede vero) e deve sussistere solo nel momento in cui si conclude il negozio giuridico, in applicazione del principio espresso dal brocardo latino mala fides superveniens non nocet.
Secondo la tesi prevalente in giurisprudenza, per escludere la buona fede non è necessaria la colpa grave, ma è sufficiente anche la mancanza dell’ordinaria diligenza.

Nel caso in esame appare evidente che la sussistenza della buona fede possa ritenersi inficiata sulla sola base di quanto detto al punto 3 del quesito, ovvero in forza della circostanza che l’acquirente dal legatario apparente fosse ben consapevole della causa sussistente tra la stessa legataria e l’altra erede testamentaria, volta ad accertare la natura apocrifa della scheda testamentaria (il che avrebbe sicuramente reso incerto il suo acquisto).
A ciò si aggiunga anche la circostanza che il prezzo convenuto per la compravendita si dice essere stato ben al di sotto del corrente valore di mercato del bene, con l’evidente scopo di far risultare falsamente quell’atto a titolo oneroso, come richiesto dall’art. 534 c.c.
Stando così le cose, si ritiene, dunque, che il terzo possa incontrare parecchi ostacoli nel dare prova della sua buona fede nell’acquisto dalla legataria apparente.

In ogni caso, non deve trascurarsi l’aspetto dei rapporti che tra erede apparente ed erede vero sorgono allorchè l’acquisto del terzo dovesse ritenersi efficace, in quanto non potendosi escludere la mala fede della legataria apparente, potrà invocarsi l’applicazione della norma di cui al secondo comma dell’art. 2038 del c.c., secondo cui chi ha alienato in mala fede la cosa ricevuta è obbligato a restituirla in natura ovvero a corrispondere il valore, oltre a risarcire gli eventuali danni ex art. 2043 del c.c..

R. T. chiede
venerdì 03/02/2023 - Lombardia
“Buongiorno,
anzitutto ringrazio per la precisa ed esaustiva risposta, che ha risolto il mio quesito Q202332774. Ne pongo pertanto ora un altro.

Ho letto che è obbligo imposto dal codice civile pubblicare un testamento una volta ritrovato, obbligo che però non è minimamente sanzionato.

Provvederò comunque nei prossimi mesi (una volta superato un periodo di lavoro molto intenso che ho in questo primo semestre dell'anno) a pubblicarlo, sobbarcandomi il costo e avvisando gli altri coeredi della prossima pubblicazione, affinché ne tengano conto prima di accettare l'eredità.
Ho letto anche che una volta pubblicato il testamento, questo non comporta necessariamente l'immediata scelta di accettazione, che in teoria potrebbe protrarsi fino al decennio, salvo che venga imposto giudizialmente su richiesta di soggetti che ne hanno interesse (come l'altro coerede che rimarrebbe) un termine per l'accettazione.

Sorge però quest'altro problema: il testamento risale al 2013, ed è quindi possibile/probabile che ve ne sia in giro un altro successivo. Purtroppo non ho trovato praticamente nulla in rete che riguardi il caso di un testamento emerso anche anni successivi al decesso e alla ripartizione ed alienazione del patrimonio del deceduto.

A questo punto io vorrei sapere cosa sono tenuto a fare per scoprire se c'è in giro un altro testamento e soprattutto se la procedura che avrei in mente sia corretta per tutelarmi.
Sarebbe mia intenzione infatti, assieme all'altro coerede, accettare con beneficio di inventario verso ottobre, procedere alla vendita dell'immobile, pagare tutti i debiti, e ad accantonare in titoli di Stato la somma residua della mia quota in attesa della scadenza del decennio.

Chiedo pertanto cosa accadrebbe in caso di emersione di un testamento successivo posteriore alla liquidazione del patrimonio con particolare riguardo a questi elementi:
Il nuovo erede potrebbe contestare il prezzo di cessione dell'immobile ritenendolo troppo basso oppure basta che corrisponda ai valori medi delle transazioni?
Il nuovo erede potrebbe chiedere rivalutazione ed interessi legali della somma residua accantonata, che potrebbero essere superiori rispetto agli interessi accantonati (attualmente con gli interessi legali al 5% e l'inflazione al 10% ci sarebbe una notevole perdita rispetto al rendimento dei titoli).

Fra le spese che potrei detrarre dall'asse ereditario da restituire al nuovo erede, sono incluse quelle legali per l'assistenza in tutta questa procedura?

Grazie”
Consulenza legale i 12/02/2023
Purtroppo, salvo che la de cuius abbia dato precise indicazioni al riguardo, non vi è modo per scoprire l’esistenza di eventuali testamenti nascosti, fatta eccezione per l’ipotesi di testamento ricevuto per atto di notaio (nella forma del testamento pubblico o del testamento segreto), nel qual caso il notaio, non appena venuto a conoscenza della morte del testatore, dovrà dare comunicazione ai potenziali eredi dell’esistenza di un testamento depositato presso il suo studio.
Peraltro, sempre in caso di testamento ricevuto da notaio, una ricerca presso il Registro Generale dei Testamenti (tenuto dall’Archivio Notarile), esibendo un certificato di morte, permetterà di avere conoscenza dell’esistenza di un testamento pubblico stipulato da qualsiasi notaio italiano.

L’operazione a cui si è pensato di fare ricorso sembra un’ottima soluzione per prevenire l’eventualità che, a distanza anche di qualche anno, possano presentarsi creditori della de cuius, e ciò soprattutto nell’ipotesi in cui ci si voglia avvalere della procedura di liquidazione individuale dell’eredità.
Si tenga presente, infatti, che è pur vero che questa costituisce la forma più snella e veloce di liquidazione del patrimonio ereditario volta al soddisfacimento dei debiti del defunto, ma nello stesso tempo presenta l’inconveniente che non si può avere certezza della reale consistenza di tali debiti se non trascorso un certo lasso di tempo, generalmente pari al termine ordinario decennale di prescrizione dei diritti.
Potrebbe darsi, infatti, che vi siano dei debiti a termine o condizionali, i quali potranno divenire esigibili solo alla scadenza del termine o al verificarsi della condizione e che soltanto in quel momento l’erede sarebbe tenuto a soddisfare.
In ogni caso, va precisato che l’operazione negoziale che si ha intenzione di porre in essere deve necessariamente essere autorizzata dal giudice delle successioni (competente è il Tribunale del luogo di apertura della successione), sia per quanto concerne la vendita dell’immobile che per il reinvestimento della somma in titoli di stato, e ciò in conformità a quanto espressamente disposto dall’art. 493 del c.c..

Per quanto concerne il problema della emersione di un nuovo testamento (ovviamente che sostituisca e annulli in tutto quello precedentemente pubblicato ed eseguito), un’ipotesi del genere porterebbe a dover qualificare il precedente beneficiario come “erede apparente”, soggetto che il legislatore pone in posizione deteriore rispetto a quello che si definisce “erede vero”.
In particolare, il codice civile consente a quest’ultimo di far valere le proprie ragioni nei confronti non soltanto dell’erede apparente, ma anche degli eventuali terzi che da quest’ultimo abbiano acquistato i beni.
Di una situazione di questo tipo si occupa l’art. 534 c.c., il quale mette a disposizione dell’erede vero una particolare azione, ovvero la c.d. petizione di eredità, esperibile anche nei confronti di coloro che abbiano acquistato da chi possegga a titolo di erede o senza alcun titolo.

Il secondo comma dello stesso art. 534 c.c., tuttavia, si preoccupa anche di tutelare l’affidamento incolpevole del terzo, in particolare quando questi ha acquistato in buona fede, confidando nella qualità di erede del venditore.
Infatti, il terzo può salvare il suo acquisto se riesce a dare prova che, al momento della conclusione del contratto, si trovava in buona fede, ritenendo per errore o ignoranza che il venditore fosse davvero erede e potesse legittimamente disporre del bene (ipotesi che nel caso di specie sarebbe facilmente dimostrabile, data l’esistenza di una valida istituzione di erede, che legittima il venditore ad alienare).
Altro presupposto richiesto per consentire al terzo di fare salvo il suo acquisto è che debba trattarsi di una vera e propria vendita o, comunque, di una cessione a titolo oneroso; il terzo acquirente, infatti, non sarebbe tutelato se il suo acquisto si fosse realizzato a titolo gratuito, poiché in questo caso la legge preferisce tutelare l’erede vero piuttosto che colui che si è visto donare il bene dall’erede apparente.

Infine, nel caso come quello in esame, ovvero di vendita avente ad oggetto un bene immobile (ma ciò vale anche per i beni mobili registrati), il terzo acquirente potrà fare salvo il suo acquisto se sia l’accettazione di eredità da parte dell’erede apparente che l’atto con il quale il terzo abbia acquistato da quest’ultimo siano stati trascritti prima che il vero erede abbia trascritto il suo titolo o la domanda giudiziale contro l’erede vero.
Qualora, poi, l’erede vero non sia nelle condizioni di recuperare il bene dal terzo acquirente, lo stesso, ovviamente, non rimarrà privo di tutela, in quanto in tal caso potrà rivalersi sull’erede apparente per ottenere la restituzione del prezzo di vendita.
Tale ipotesi viene espressamente disciplinata dall’art. 535 del c.c., norma che contiene proprio la risposta a quanto viene da ultimo chiesto, obbligando l’erede apparente a restituire all’erede vero soltanto il prezzo o il corrispettivo ricevuto.
Pertanto, nulla sarà dovuto per rivalutazione e interessi monetari, a condizione ovviamente che, in sede di alienazione, siano stati in buona fede sia l’alienante (erede apparente) che l’acquirente (erede vero).
Il diverso caso dell’erede apparente in mala fede, invece, andrà risolto ricorrendo all’applicazione analogica del secondo comma dell’art. 2038 del c.c. in tema di indebito, con la conseguenza che l’erede apparente dovrà restituire in natura il bene alienato o corrisponderne il valore e dovrà altresì risarcire gli eventuali danni ex art. 2043 del c.c..
Anche in previsione del possibile realizzarsi di una tale eventualità, dunque, la soluzione di accantonare in titoli di stato la somma residua sarebbe un’ottima scelta.

Vito L. chiede
mercoledì 31/10/2018 - Puglia
“Buongiorno,
Mia madre ha ricevuto in donazione da parte di sua sorella un immobile, tramite testamento pubblico(per assistenza morale e fisica,dato i problemi di salute che ha avuto in vita sua),dopo la morte della cara zia mia madre è diventata proprietaria a tutti gli effetti.
NB la donante non aveva figli aveva solo il marito che comunque ha ricevuto un altro bene.
Il testamento è stato impugnato da un fratello,dopo la CTU medico legale delle cartelle cliniche e tutto il procedimento e le tempistiche,i beneficiari hanno vinto la causa di primo grado e l'attore è stato condannato alle spese.
L'attore è andato in appello arrampicandosi ancora agli specchi senza fare alcuna querela di falso verso il testamento notarile.

Dunque nonostante l'appello che durerà non so quanto,mia madre ha donato a me figlio questo immobile e io sto procedendo a fare una ristrutturazione edilizia.

DOMANDA: nel momento in cui in futuro l'attore fa cadere tutto e chiede la restituzione dell'immobile, dato che mia madre ha alienato (donato) l'immobile a me figlio,io sarei costretto a restituire l'immobile o posso decidere e sono libero di restituire il valore in soldi, restando quindi proprietario?


Consulenza legale i 07/11/2018
Indipendentemente dalle ragioni giuridiche dell’impugnazione testamentaria (nullità, annullabilità, ecc.), occorre tenere presente che qui siamo di fronte ad un acquisto di bene ereditario a titolo gratuito (donazione) e non oneroso.

Vediamo di seguito perché ciò può fare la differenza.

La madre del donatario, nel caso in esame, si può considerare “erede apparente”. Si definisce "erede apparente" il soggetto che, pur non essendo erede, si comporta o appare come tale.
Ad esempio è il caso di una persona che accetta l’eredità in base ad un testamento poi annullato e che, entrato in possesso di beni ereditari, li ceda a terzi.

Per garantire adeguata tutela al vero erede, la legge consente a quest’ultimo di far valere le proprie ragioni nei confronti non solo dell’erede apparente, ma anche dei terzi che da quest'ultimo abbiamo acquistato i beni, i quali in linea di principio saranno costretti a restituirli.

A tale scopo, il rimedio che l’erede ha a disposizione è la petizione di eredità che, appunto, può essere esercitata anche nei confronti di coloro che abbiano acquistato da chi possegga a titolo di erede o senza titolo.
L’art. 534 c.c. recita infatti: “L’erede può agire anche contro gli aventi causa da chi possiede a titolo di erede o senza titolo.” Dunque chi venga riconosciuto vero erede (ad esempio, rimanendo aderenti al quesito, il fratello che dovesse vincere la causa di impugnazione del testamento) potrà agire anche verso chi ha acquistato da colui che ha agito come erede pur non essendolo (nel nostro caso, la madre donante).
Prosegue l’articolo: “Sono salvi i diritti acquistati, per effetto di convenzioni a titolo oneroso con l'erede apparente, dai terzi i quali provino di avere contrattato in buona fede (…)”.

Come si può leggere, chi abbia acquistato dall'erede apparente, se sussistono alcune precise condizioni, può salvare il proprio acquisto.
Tra queste ultime, occorre in primo luogo che il terzo sia in buona fede, cioè che per ignoranza o errore abbia ritenuto che il venditore fosse davvero erede e potesse, quindi, legittimamente disporre del bene. La buona fede deve sussistere solo al momento in cui il contratto è concluso, ma non può essere presunta, dovendo al contrario essere provata nel processo.
In secondo luogo, tuttavia e soprattutto, deve trattarsi di una vera e propria vendita o, comunque, di una cessione a titolo oneroso. Il terzo acquirente, infatti, non è tutelato se il suo acquisto è a titolo gratuito, come avviene per la donazione: in tale caso la legge preferisce tutelare l’erede vero, piuttosto che colui che si è visto donare il bene dall’erede apparente.

Nel caso di specie siamo proprio di fronte ad una donazione e dunque di un acquisto a titolo di liberalità, che andrà necessariamente travolto nel caso di sentenza di appello sfavorevole.
Tra l’altro, quand’anche si trattasse di acquisto a titolo oneroso, comunque non sarebbe così agevole – ad avviso di chi scrive - per il figlio donatario dimostrare la propria buona fede, essendo egli perfettamente consapevole all’epoca della cessione dell’esistenza della controversia tra la madre e il fratello di lei e quindi del fatto che l’esito della medesima avrebbe potuto rovesciare la situazione.

L’effetto dell’invalidazione della donazione, nel caso di specie, sarebbe la modifica della titolarità del bene (la proprietà non sarebbe più in capo al donatario ma all'erede riconosciuto) nonché la materiale restituzione del bene immobile e non dell’equivalente in denaro: l’azione di petizione di eredità (534 c.c. già citato), infatti, ha “(…) lo scopo di ottenere la restituzione dei beni medesimi” (art. 533 c.c.).
Il figlio che ha beneficiato dell’atto di liberalità della madre, dunque, dovrà tenere in conto questa eventualità.

Salvatore S. chiede
martedì 25/10/2016 - Lombardia
“Tema: Acquisto di un immobile da un soggetto che l'ha ereditato, attraverso testamento olografo, da coppia di estranei, entrambi deceduti (l'ultimo ne 2013 all'età di 93 anni), senza figli negli stati di famiglia storici né ascendenti. In caso di comparsa, dopo la trascrizione dell'acquisto a titolo oneroso dell'immobile, di un figlio naturale, si applica l'art. 2652 punto 8 (devo attendere dieci anni per escludere pregiudizi) oppure l'art. 534, che fa salvi i diritti in buona fede dei terzi trascritti prima della domanda giudiziale del figlio naturale? C'è differenza tra i casi in cui il figlio naturale, pur non risultando all'anagrafe, sia stato riconosciuto o meno? C'è differenza con il caso in cui l'immobile sia stato ereditato per successione legittima da un erede anziché per testamento olografo? In altri termini, la comparsa dopo l'acquisto dell'immobile di un figlio naturale determina, per il terzo acquirente, lo stesso pregiudizio sia in caso di successione legittima (con figlio naturale ovviamente sconosciuto) sia in caso di successione testamentaria o, al contrario, in caso di successione legittima l'art. 2652 p. 8 non è applicabile e si ricade nel 534? Grazie se potete rispondermi con urgenza n quanto la proposta di acquisto è in scadenza. Cordiali saluti”
Consulenza legale i 03/11/2016
Chiunque acquisti da un erede o legatario è soggetto a particolari insidie a causa della potenziale instabilità del titolo successorio, titolo che potrebbe venir meno nei seguenti casi:

a) dante causa istituito erede in forza di un testamento revocato, nullo o annullabile;
b) Acquisto da erede legittimo e successiva scoperta di un testamento;
c) riconoscimento, posteriore rispetto all’apertura della successione, di una filiazione naturale del de cuius
d) scoperta, successivamente alla rinuncia all’eredità, dell’esistenza di discendenti per rappresentazione del rinunciante.

Può così verificarsi che, nonostante la buona fede del terzo acquirente, si scopra successivamente che il suo dante causa non era titolare del bene e legittimato a disporne, non essendo il vero erede; in tal caso non gioverebbe all’erede apparente, nei confronti dell’erede vero, la preventiva trascrizione dell’accettazione dell’eredità, non potendo questa servire a dirimere la controversia tra più successori mortis causa, essendo il relativo conflitto regolato dalle norme di diritto sostanziale.

Ciò comporta che non potrà farsi applicazione della norma di cui all’art. 2644 c.c. (regolante gli effetti della trascrizione e la quale dispone che gli atti soggetti a trascrizione non hanno effetto riguardo ai terzi che a qualunque titolo hanno acquistato diritti sugli immobili in base ad un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione degli atti medesimi), non essendo tale norma applicabile agli acquisti mortis causa, poiché il conflitto conseguente ad una pluralità di disposizioni testamentarie incompatibili e quindi conflittuali si risolve in base alle norme in tema di c.d. revoca tacita del testamento.
In tal modo l’erede vero prevarrà sempre nei rapporti con l’erede apparente a prescindere dalla trascrizione dell’accettazione di eredità, potendo agire con l’azione di petizione di eredità che è imprescrittibile, salvo gli effetti dell’usucapione rispetto ai singoli beni (art. 533 c.c.).
Una volta ammesso ciò, troverà inevitabilmente applicazione il principio generale di diritto nemo plus iuris in alium transferre potest quam ipse habet, e l’avente causa dall’erede apparente sarà inevitabilmente destinato a soccombere nel conflitto con l’erede vero.

Da quanto finora detto, dunque, si desume agevolmente che i rischi cui va incontro il terzo acquirente dall’erede c.d. apparente (ossia che successivamente non sia più tale) sono identici sia nel caso di successione legittima che testamentaria, ed inoltre che non vi è alcuna differenza fra sopravvenienza di figli legittimi o naturali.

Tuttavia, come giustamente richiamato dall’autore del quesito, l’art. 534 c.c. predispone un meccanismo di tutela dell’avente causa dall’erede apparente, che gli consente, nel rispetto di determinate condizioni, di prevalere sull’erede vero.
Infatti, per effetto dell’ultima norma citata, il terzo che acquista in buona fede ed a titolo oneroso dall’erede apparente, prevale nei confronti di colui che riesca successivamente a far valere la propria qualità di erede a condizione che, ove si tratti di beni immobili o beni mobili registrati, l’acquisto a titolo di erede e l’acquisto dall’erede apparente siano stati trascritti anteriormente alla trascrizione dell’acquisto da parte dell’erede vero o del legatario vero o alla trascrizione della domanda giudiziale contro l’erede apparente.
Quella che si viene così a delineare è una fattispecie acquisitiva complessa a titolo derivativo “a non domino”, caratterizzata dal concorrere di una serie di elementi in presenza dei quali l’ordinamento appresta una tutela a favore del terzo acquirente, riconoscendo alla medesima un effetto acquisitivo di diritto sostanziale.

Elementi essenziali della fattispecie acquisitiva di cui all’art. 534 c.c. sono:
1. il requisito dell’apparenza di erede nell’alienante: è tale per la giurisprudenza colui il quale si comporta come erede quasi che l’eredità fosse a lui devoluta o da lui accettata; tale figura non postula necessariamente nei confronti dei terzi il possesso dei beni ereditari, ma è sufficiente che il comportamento esteriore del preteso erede sia oggettivamente idoneo ad ingenerare nei terzi che acquistano diritti da lui la ragionevole opinione di essere di fronte all’erede vero.
Infatti, il legislatore, in deroga al principio generale di diritto nemo plus iuris in alium transferre potest quam ipse habet ed in applicazione del principio di apparenza del diritto, ha voluto tutelare la buona fede del terzo il quale sia stato indotto dal comportamento oggettivo dell’erede apparente a contrarre, nella fiducia di acquistare diritti da chi aveva il potere di disporne
2. la buona fede dell’acquirente: rappresentando un elemento costitutivo dell’acquisto, la relativa prova deve essere data dal terzo che ha acquistato dall’erede apparente.
Essa dovrà consistere nella dimostrazione dell’idoneità del comportamento dell’alienante ad ingenerare la ragionevole convinzione di trattare con l’erede vero nonché dell’esistenza di circostanze indicative dell’ignoranza incolpevole dell’acquirente circa la realtà della situazione ereditaria al momento dell’acquisto.

Nel caso che ci riguarda può dirsi che ricorrano entrambi gli elementi della fattispecie appena delineata, essendo stato l’acquisto perfino effettuato da chi riveste la qualità di erede vero ed in assoluta buona fede da parte del terzo; da un punto di vista pratico operativo si è perfino sostenuto che, al fine di configurare la stessa situazione di apparenza, sarà sufficiente che la trascrizione dell’acquisto mortis causa dell’erede apparente venga eseguita in un momento successivo alla stipulazione con il terzo, purchè anteriormente alla trascrizione dell’erede o del legatario vero o della domanda giudiziale volta a far valere la propria qualità di erede.

Qualora non fosse curata la trascrizione dell’acquisto mortis causa dell’erede apparente, la sola trascrizione dell’acquisto del terzo dall’erede apparente non gioverebbe nel conflitto con l’erede vero, in quanto la mancanza della continuità delle trascrizioni impedirebbe alla trascrizione dell’avente causa dall’erede apparente di produrre effetti.
Può così dirsi che il meccanismo di cui all’art. 534 c.c. tende da una parte a tutelare, a determinate condizioni, l’acquirente dall’erede apparente in ragione della sua buona fede e del sacrificio sopportato per l’onerosità dell’acquisto, mentre dall’altra parte permette all’erede vero di cautelarsi facilmente adempiendo l’onere di trascrivere il proprio acquisto mortis causa, onere che è più attenuato rispetto a qualunque altro acquisto, essendo sufficiente che la trascrizione sia eseguita anche dopo la trascrizione dell’accettazione di eredità da parte dell’erede apparente purchè prima della trascrizione dell’acquisto da parte dell’avente causa dall’erede apparente.
Si ritiene opportuno precisare, infine, che la qualità di erede apparente può essere riferita non solo all’intera eredità ma anche ad un singolo bene.

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