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INTRODUZIONE: I DIRITTI REALI SU COSA ALTRUI
I diritti reali "limitati" o "su cosa altrui", definiti dal diritto romano iura in re aliena, sono caratterizzati dall'elemento dell'assolutezza, dell'immediatezza e della realità, così come il diritto di proprietà, che costituisce il diritto reale per eccellenza. Tutti i diritti reali, in generale, sono diritti assoluti che, in quando tali, vengono tutelati erga omnes e non necessitano della collaborazione di alcuno per poter essere esercitati, diversamente rispetto ai diritti relativi, dei quali il diritto di credito rappresenta la forma più emblematica.
Differentemente rispetto al diritto di proprietà, che l'art. 832 del c.c. descrive come "il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo", i diritti reali su cosa altrui, pur inerendo in modo immediato alla "cosa" alla quale si riferiscono, competono al titolare del diritto solo in maniera limitata, dovendo interfacciarsi con un diverso proprietario che ha il diritto di proprietà sulla cosa stessa.
I diritti reali di godimento, quindi, hanno un contenuto limitato, rappresentato da alcune specifiche facoltà o poteri che il titolare del diritto può pretendere di esercitare sulla cosa stessa.
Come il diritto di proprietà, tuttavia, possono essere difesi nei confronti delle turbative e delle molestie esercitate da terzi che pretendano di avere sulla cosa diritti incompatibili con quelli del titolare.
Le azioni a difesa della proprietà, definite anche "azioni petitorie", sono rappresentate dall'azione di rivendicazione (art. 948 c.c.), dall'azione negatoria (art. 949 c.c.), dalle azioni di regolamento di confini e per apposizione di termini (artt. 950 e 951 c.c.) e, infine, dalle azioni di nuova opera o di danno temuto (definite anche "azioni di nunciazione).
IL DIRITTO DI USUFRUTTO
Il diritto di usufruttoconsente la separazione tra godimento del diritto di proprietà e nuda titolarità dello stesso, per un determinato periodo di tempo.
L'usufruttuario, infatti, avrà il diritto di godere della cosa traendone la maggiore utilità possibile, mentre il proprietario rimarrà comunque titolare della proprietà che, tuttavia, si definisce "nuda", proprio perché spogliata delle facoltà e dei poteri che generalmente si riferiscono alla stessa.
Secondo quanto previsto dagli articoli 979 c.c. e 980 c.c., l'usufrutto non può eccedere la vita dell'usufruttuario. Viceversa, l'usufrutto costituito a favore di una persona giuridica non può durare più di trent'anni.
Esiste un divieto di "usufrutto successivo" (attraverso il quale è lasciato a più persone successivamente l'usufrutto) ricollegato a esigenze imperative di ordine pubblico, per cui il legislatore vuole evitare che vengano creati degli ostacoli alla libera circolazione dei beni.
L'usufruttuario può cedere il proprio diritto, in virtù dell'art. 980 c.c., se tale facoltà non è preclusa dall'atto costitutivo. Egli può, inoltre, concedere il bene in locazione per ricavarne i frutti civili (il canone di locazione), costituire a favore di terzi diritti reali di godimento e di garanzia, costituire sul bene un pegno o un'ipoteca. Nel caso in cui l'usufruttuario conceda in locazione il bene oggetto di usufrutto, l'art. 999 c.c. prevede l'ultrattività del contratto di locazione, a tutela della parte conduttrice, e in deroga al principio secondo il quale la cessazione dell'usufrutto comporta l'estinzione dei diritti costituiti dall'usufruttuario stesso.
Come accennato, l'usufruttuario può sfruttare la cosa che gli è stata concessa in godimento in diversi modi, ricavandone sia i frutti naturali che i frutti civili, e anche apportando al bene addizioni e miglioramenti (la cui disciplina si trova agli articoli 985 c.c. e 986 c.c.) che non ne alterino, però, la destinazione economica.
L'art. 981 del c.c., infatti, sancisce espressamente quello che è il principale limite alle facoltà e ai poteri dell'usufruttuario. La norma dispone a tal riguardo che "l'usufruttuario ha diritto di godere della cosa, ma deve rispettarne la destinazione economica". In altre parole, l'usufruttuario, pur potendo ricavare dal bene diversi tipi di utilità, dovrà sempre e comunque tenere conto della sua destinazione funzionale d'origine, impressa dal proprietario al momento in cui l'usufrutto è stato costituito. Se non rispetta la destinazione economica del bene, l'usufruttuario sarà tenuto a risarcire al nudo proprietario l'eventuale danno subito.
L'usufruttuario sarà poi tenuto alla manutenzione ordinaria del bene, del quale ha ottenuto il possesso in seguito all'atto di costituzione dell'usufrutto, secondo il criterio della "diligenza del buon padre di famiglia" (art. 1004 c.c.). A tal fine, egli sarà legittimato ad esperire le azioni possessorie nei confronti di quei terzi che intendano turbare il suo possesso sulla cosa.
La situazione giuridica di relazione con il bene, costituita in generale dal possesso, diventa invece una vera e propria proprietà nel caso del "quasi-usufrutto", istituto disciplinato dall'art. 995 del c.c., ai sensi del quale "se l'usufrutto comprende cose consumabili, l'usufruttuario ha diritto di servirsene e ha l'obbligo di pagarne il valore al termine dell'usufrutto secondo la stima convenuta".
Il diritto di usufrutto, ai sensi dell'art. 1014 c.c., si estingue per prescrizione per non uso ventennale, per "consolidazione" (che consiste nella riunione dell'usufrutto e della proprietà nella stessa persona) e per il perimento della cosa, oltre che per rinuncia dell'usufrutto da parte del titolare.
Inoltre, in virtù dell'art. 1015 c.c., l'usufrutto può anche cessare per "l'abuso che faccia l'usufruttuario del suo diritto alienando i beni o deteriorandoli o lasciandoli andare in perimento per mancanza di ordinarie riparazioni".
In seguito all'estinzione dell'usufrutto, il "nudo" proprietario diventa "pieno" proprietario e, di regola, non saranno opponibili al proprietario i diritti acquistati dai terzi, ad eccezione appunto delle eventuali locazioni ed affitti costituiti sul bene.
IL DIRITTO DI USO
L' art. 1021 del c.c. disciplina poi l'istituto dell' uso, che consiste in un diritto reale limitato alla possibilità di servirsi della cosa e di trarne i frutti per il soddisfacimento dei bisogni propri e della propria famiglia. In quanto diritto reale di carattere strettamente personale, lo stesso non può in alcun modo essere ceduto a terzi (diversamente rispetto al diritto di usufrutto), a meno che non intervenga una espressa pattuizione che deroghi a tale divieto. La ratio di tale proibizione risiede nell'esigenza di evitare che l'usuario sorpassi i limiti della personale ed esclusiva soddisfazione dei propri bisogni. Tuttavia, come accennato, la dottrina ritiene che tale divieto non risponda a ragioni di ordine pubblico e che sia, in quanto tale, derogabile dalle parti.
Il diritto di uso, come quello di usufrutto, si estende ad ogni utilità che possa derivare dalla cosa concessa in uso, sempre e comunque nel rispetto della sua destinazione funzionale.
Tuttavia, gli interpreti ritengono che si debba operare una distinzione rispetto ai frutti che possono spettare all'usuario dall'uso della cosa. Mentre, infatti, il titolare del diritto può indubbiamente appropriarsi dei frutti naturali della cosa, essendo gli stessi destinati ad un consumo immediato e istantaneo, lo stesso non si può dire per i frutti civili, che possono produrre una soddisfazione solo in quanto utilizzati successivamente a fini di scambio, in via quindi solamente indiretta, restando pertanto esclusi dalla sfera di operatività del diritto de quo.
Dal punto di vista dell'estensione temporale del diritto, la dottrina ritiene che sia analogicamente applicabile l'art. 979 c.c., ai sensi del quale la durata del diritto non può eccedere la vita dell'usuario.
IL DIRITTO DI ABITAZIONE
Il successivo art. 1022 del c.c., poi, disciplina l'affine istituto dell'abitazione, che consiste nella possibilità, per il titolare del diritto reale limitato, di abitare una casa "limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia". Il titolare del diritto può sfruttare il diritto di abitazione solo abitandovi personalmente con la propria famiglia, così come previsto dalla disposizione, non potendo quindi godere del bene attraverso forme di sfruttamento indirette, quali potrebbero essere la locazione o altre forme di guadagno mediato.
Il diritto di abitazione si differenzia da quello di usufrutto, poiché ha carattere strettamente personale, e da ciò deriva il divieto di cessione dello stesso. Inoltre, esso si differenzia anche dal comodato immobiliare che, pur affine in quanto a contenuti, si differenzia sul piano sostanziale, costituendo un diritto personale; il diritto di abitazione, viceversa, si caratterizza per inerenza alla res e assolutezza.
Un'interessante questione riguarda la sorte del diritto di abitazione in sede di separazione personale dei coniugi, risolta dalla giurisprudenza sulla base di una applicazione analogica dell'art. 1022 c.c., con la dovuta precisazione per cui, in sede di separazione, il diritto all'assegnazione della casa familiare riveste carattere personale, e non reale, e ha origine giudiziale, e non negoziale. In sede di separazione, il giudice potrà, grazie ai suoi poteri discrezionali, limitare l'assegnazione della casa familiare ad una sola porzione dell'immobile, che sia di proprietà del genitore non collocatario, limitatamente ai bisogni delle persone conviventi della famiglia.
IL DIRITTO DI SUPERFICIE
Il diritto di superficie è disciplinato dalla disposizione di cui all'art. 952 del c.c. la quale, per la verità, contiene al suo interno due distinte ipotesi:
La cosiddetta "concessione ad aedificandum", attraverso la quale viene attribuito al soggetto il diritto di costruire, con la possibilità di divenire proprietario della cosa non appena l'opera sia stata ultimata;
la "proprietà superficiaria", che consiste nella possibilità di acquisire la proprietà di una costruzione già esistente su un determinato fondo appartenente ad altro proprietario.
Tale differenza non è di poco conto, poiché, mentre la concessione ad aedificandum con possibilità di acquistare la proprietà dell'opera ultimata costituisce a tutti gli effetti uno "ius in re aliena", con la conseguenza che lo stesso si prescriverà con il non uso ventennale, la proprietà superficiaria rappresenta a tutti gli effetti un tipo di proprietà ed è, in quanto tale, imprescrittibile.
Il diritto di superficie costituisce una deroga al meccanismo dell'accessione, disciplinata dall'art. 934 del c.c., in virtù della quale omne quod inaedificatur solo cedit. In altre parole, l'istituto dell'accessione fa in modo che tutto ciò che insiste su un determinato suolo appartenga al proprietario dello stesso, che ne diventa quindi proprietario esclusivo per mezzo di un acquisto a titolo originario. Attraverso la costituzione a favore di un soggetto di un diritto di superficie si "paralizza" l'operatività del meccanismo dell'accessione, impedendo che il titolare del terreno diventi anche titolare della costruzione che insiste sul suolo stesso, il tutto con il chiaro intento di perseguire obiettivi di natura sociale ed economica.
L'art. 956 c.c., tuttavia, specifica che "non può essere costituita o trasferita la proprietà delle piantagioni separatamente dalla proprietà del suolo", e questo perché, diversamente, verrebbe ostacolato il cosiddetto "progresso agricolo".
IL DIRITTO DI ENFITEUSI
Il diritto di enfiteusi rappresenta un diritto reale di godimento su cosa altrui che conferisce all'enfiteuta un potere di godimento sul fondo, con l'obbligo di migliorarlo e di pagare, per il godimento, un canone periodico.
L'istituto, che attualmente risulta alquanto obsoleto, era nato per un'esigenza di tipo economico, per l'attuazione della quale si riteneva opportuno che i fondi agricoli venissero migliorati, evitando che i proprietari degli stessi finissero per trascurarli. Per questo motivo, attraverso il diritto reale limitato dell'enfiteusi, è stata operata una scissione tra la posizione dell'enfiteuta, diretto coltivatore del fondo, e quella del proprietario del fondo enfiteutico, formale titolare dello stesso.
L'enfiteuta, come accennato, è tenuto a migliorare il fondo e a pagare al concedente un canone periodico, così come stabilito dall'art. 960 del c.c.. Tale canone periodico, peraltro, non deve consistere necessariamente in una somma di denaro, ma può anche essere rappresentato, come previsto dalla norma, da una "quantità fissa di prodotti naturali".
L'art. 695 c.c. dà all'enfiteuta la possibilità di disporre liberamente del proprio diritto, sia per atto tra vivi che per atto di ultima volontà, a meno che tale facoltà di disposizione non sia vietata dall'atto costitutivo. Nel caso di violazione di tale divieto, l'ultimo comma della disposizione prevede che "l'enfiteuta non è liberato dai suoi obblighi verso il concedente ed è tenuto a questi solidalmente con l'acquirente", secondo un meccanismo di "accollo ex lege".
Gli articoli 971 c.c. e 972 c.c. disciplinano, rispettivamente, le ipotesi dell'affrancazione e della devoluzione.
L'affrancazione consiste nel diritto potestativo attribuito all'enfiteuta di acquistare la proprietà del fondo in virtù di una mera dichiarazione unilaterale di volontà, accompagnata dal pagamento di una somma, "risultante dalla capitalizzazione del canone annuo sulla base dell'interesse legale". In tal caso, il dominio del concedente si trasferirà in capo all'enfiteuta, che ne diventerà proprietario sulla base di un acquisto a titolo derivativo.
L'art. 972 c.c., come accennato, disciplina l'ipotesi della devoluzione del fondo enfiteutico, che può essere chiesta dal concedente al presentarsi di due situazioni:
l'enfiteuta deteriora il fondo o non adempie all'obbligo di migliorarlo;
l'enfiteuta è in mora nel pagamento di due annualità di canone.
Attraverso tale facoltà concessa al proprietario del fondo si produrrà l'estinzione del rapporto di enfiteusi, con una riunificazione, nel concedente, del "dominio utile" e del "dominio diretto". In seguito all'esercizio del diritto di devoluzione da parte del concedente, l'enfiteuta sarà tenuto alla restituzione del fondo.
Attraverso il servizio di consulenza legale di Brocardi.it, sarà possibile conoscere quali poteri e facoltà sorgono dalla titolarità di un diritto reale di godimento e come sia possibile sfruttarlo nel migliore dei modi, ricavandone la maggiore utilità possibile. Senza dover ricorre a costose pratiche legali che finiranno inevitabilmente nelle aule giudiziarie, l'assistenza dei professionisti di Brocardi.it sarà un valido supporto per risolvere le questioni, anche le più complesse, che interessano quotidianamente i titolari di diritti reali di godimento.
Qui di seguito vengono esposti succintamente alcuni casi particolarmente emblematici o di frequente accadimento, utili in molti casi per trovare già alcune risposte preliminari ai propri problemi.
Consulenza legale in materia di usufrutto: è possibile il pignoramento del diritto di usufrutto?
Il diritto di usufrutto può essere oggetto di pignoramento da parte del creditore. Tuttavia, ciò che viene pignorato non è il bene oggetto del diritto, ma il diritto stesso che, come noto, presenta un proprio valore.
Tale valore dipende da una serie di fattori, tra i quali la durata dell'usufrutto stesso. Dalla durata dell'usufrutto discende l'interesse di un soggetto a rendersi assegnatario di un diritto di usufrutto pignorato che potrebbe, in concreto, rivelarsi molto esiguo.
Può capitare, in concreto, che per sfuggire all'aggressione dei creditori, il titolare del diritto di usufrutto si determini a cedere a terzi il suo diritto (art. 980 c.c.). Oppure, è possibile che l'usufruttuario rinunci all'usufrutto. La rinuncia è causa di estinzione del diritto, in quanto comporta la riunione in capo al medesimo soggetto dell'usufrutto e della proprietà (art. 1014 del c.c.). Entrambe le iniziative, cessione e rinuncia, provocano una dismissione del diritto idonea a pregiudicare i creditori dell'usufruttuario, in presenza di certi determinati requisiti.
In tali casi, a tutela del creditore, interviene l'azione revocatoria di cui all'art. 2901 del c.c. ss c.c. Essa è esperibile dal creditore quando il debitore ponga in essere atti che possano modificare, in senso quantitativo o anche solo qualitativo, la consistenza del suo patrimonio di modo da far diventare la sua possibilità di soddisfazione del credito incerta o difficile.
Al cospetto di problematiche giuridiche di tal genere, diventa fondamentale l'assistenza di un team legale esperto, come quello di Brocardi.it, specializzato da anni in consulenza in materia di usufrutto.
Parere legale in materia di uso: quali sono le utilità che l'usuario può trarre dal bene?
Ai sensi dell'art. 1021 del c.c., "chi ha il diritto d'uso di una cosa può servirsi di essa e, se è fruttifera, può raccogliere i frutti per quanto occorre ai bisogni suoi e della sua famiglia".
La dottrina e la giurisprudenza si sono nel tempo interessate all'esatta delimitazione del concetto di "utilità" ricavabile dal fondo. In particolare, dall'analisi della norma si ricava che l'usuario può trarre dal bene ogni utilità che esso può dare, con il solo vincolo del rispetto della natura e della destinazione economica del bene.
Il limite quantitativo rappresentato dai "bisogni del titolare e della sua famiglia", tuttavia, attiene al percepimento dei frutti, e non all'uso della cosa. Questo significa che il diritto di uso si estende a qualunque utilità che dall'utilizzo del fondo si possa ricavare, potendo l'usuario servirsi della cosa in modo pieno ed incondizionato, salvi i limiti sopraccitati.
In tal senso si è espressa anche la giurisprudenza che, con sentenza della Cassazione n. 7811 del 4 aprile 2006, ha affermato che "Il diritto di uso non è limitato a soddisfare i bisogni personali del titolare, ma si estende a tutte le utilità che possono obiettivamente trarsi dal bene secondo la sua destinazione, potendo l'usuario — non diversamente dall'usufruttuario — servirsi della cosa in modo pieno, dovendo soltanto rispettare la destinazione economica di essa. Ne consegue che la costruzione di un manufatto da adibire a garage rientra nell'ambito delle facoltà riconosciute dall'art. 1021 c.c. al titolare — in forza di convenzione scritta — di un diritto di uso su un'area nuda, salva la rilevanza che detta opera assume nella regolamentazione dei rapporti tra le parti al momento della cessazione del diritto."
In casi del genere, allorquando possano sorgere dei dubbi in merito all'esatta delimitazione dei propri diritti, diventa fondamentale l'assistenza di un team legale specializzato, come quello di Brocardi.it, che possa accompagnare l'utente nella comprensione precisa dei suoi diritti e facoltà.
Chiarimenti legali con riguardo al diritto di abitazione: in caso di assegnazione della casa familiare, chi è tenuto a pagare l'IMU sulla casa?
Premesso che dottrina e giurisprudenza si sono a lungo dibattute, senza tuttavia pervenire ad una conclusione certa, in merito alla natura dell'assegnazione della casa familiare in sede di separazione dei coniugi, è interessante chiedersi a chi spettino le spese relative ai profili fiscali relativi all'immobile.
Tradizionalmente, le tesi che si sono divise il campo sono state quelle che, da una parte, hanno configurato l'assegnazione della casa familiare come diritto reale di godimento analogo al diritto di abitazione e quelle che, viceversa, concepiscono l'assegnazione unicamente come un diritto personale di godimento, rappresentato solitamente da un contratto di comodato a termine.
Dalla diversa configurazione giuridica della assegnazione della casa familiare deriva una differente ripartizione delle spese fiscali legale all'immobile.
Infatti, per coloro che ritengono, secondo quella che è la tesi maggiormente accreditata, che l'assegnazione della casa familiare costituisca un diritto differente rispetto a quello di abitazione previsto dall'art. 1022 c.c., l'IMU rimarrà in capo al proprietario, e non all'assegnatario della casa. Quest'ultimo, infatti, sarà titolare di un "diritto di abitazione atipico", così come definito dalla Commissione tributaria regionale di Reggio Emilia con una decisione datata 2009, destinato al godimento dell'immobile per l'interesse prevalente dei figli, ma sostanzialmente diverso dal diritto reale tipico di abitazione disciplinato dall'art. 1022 c.c.
Parere degli avvocati di Brocardi.it in materia di superficie: il diritto di sopraelevazione Caso esemplificativo: il proprietario dell'ultimo piano di un edificio condominiale decide di vendere l'area fabbricabile al di sopra del culmine massimo del tetto. Tale fattispecie comporta la nascita di un diritto di superficie?
Ebbene, in casi come questi, nei quali i proprietari dell'ultimo piano di un edificio decidano di vendere un'area fabbricabile posta al di sopra del culmine massimo del tetto, si produce l'acquisto di un diritto reale su uno strato di aria avulso, con soluzione di continuità, dall'immobile sottostante. Tale circostanza configura certamente un diritto reale su cosa altrui e, in particolare, un diritto di superficie.
Lo staff di Brocardi.it può, attraverso una consulenza specifica, fornire delle indicazioni precise su come redigere delle richieste formali all'amministratore, facilitando così la comunicazione e prevenendo l'insorgenza di liti.
Risposta a quesiti legali in materia di enfiteusi: qual è l'uso che impedisce la prescrizione?
Ai sensi dell'art. 970 c.c. "il diritto dell'enfiteuta si prescrive per effetto del non uso protratto per venti anni".
Il dominio diretto sul fondo, che compete al proprietario, è imprescrittibile; viceversa, il diritto del concessionario si potrà prescrivere per non uso ventennale.
La dottrina e la giurisprudenza si sono interrogate in merito alla nozione di "non uso", rilevante ai fini della prescrizione. In particolare, ci si è chiesti se l'uso del fondo ricorra solo nel caso in cui lo stesso sia utilizzato dall'enfiteuta direttamente o anche nel caso in cui esso venga sfruttato da terzi.
In tal senso, si ritiene che tale "non uso" consista nel mancato godimento del fondo che sussiste nel caso di:
abbandono del fondo;
dismissione del godimento del fondo;
pagamento del canone non accompagnato dal godimento del fondo.
La giurisprudenza, poi, si è espressa sulla nozione di "uso" in relazione all'istituto della prescrizione, affermando che "in tema di enfiteusi, l'uso che impedisce la prescrizione del diritto ai sensi dell'art. 970 c.c. ricorre non solo se il fondo sia coltivato dall'enfiteuta, direttamente o tramite suoi dipendenti, ma anche in ipotesi di utilizzazione ad opera di terzi purché insediati nel fondo dall'enfiteuta o comunque da lui autorizzati alla coltivazione, mentre si ha non uso solo se via sia stato un abbandono totale del fondo o una radicale dismissione del suo godimento, da ravvisarsi anche quando il terzo che coltivi il fondo sia un occupante abusivo ed abbia agito senza o contro la volontà dell'utilista, il quale sia rimasto inerte di fronte all'illegittima occupazione."
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Differentemente rispetto al diritto di proprietà, che l'art. 832 del c.c. descrive come "il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo", i diritti reali su cosa altrui, pur inerendo in modo immediato alla "cosa" alla quale si riferiscono, competono al titolare del diritto solo in maniera limitata, dovendo interfacciarsi con un diverso proprietario che ha il diritto di proprietà sulla cosa stessa.
I diritti reali di godimento, quindi, hanno un contenuto limitato, rappresentato da alcune specifiche facoltà o poteri che il titolare del diritto può pretendere di esercitare sulla cosa stessa.
Come il diritto di proprietà, tuttavia, possono essere difesi nei confronti delle turbative e delle molestie esercitate da terzi che pretendano di avere sulla cosa diritti incompatibili con quelli del titolare.
Le azioni a difesa della proprietà, definite anche "azioni petitorie", sono rappresentate dall'azione di rivendicazione (art. 948 c.c.), dall'azione negatoria (art. 949 c.c.), dalle azioni di regolamento di confini e per apposizione di termini (artt. 950 e 951 c.c.) e, infine, dalle azioni di nuova opera o di danno temuto (definite anche "azioni di nunciazione).
IL DIRITTO DI USUFRUTTO
Il diritto di usufrutto consente la separazione tra godimento del diritto di proprietà e nuda titolarità dello stesso, per un determinato periodo di tempo.
L'usufruttuario, infatti, avrà il diritto di godere della cosa traendone la maggiore utilità possibile, mentre il proprietario rimarrà comunque titolare della proprietà che, tuttavia, si definisce "nuda", proprio perché spogliata delle facoltà e dei poteri che generalmente si riferiscono alla stessa.
Il diritto di usufrutto si può costituire:
Esiste un divieto di "usufrutto successivo" (attraverso il quale è lasciato a più persone successivamente l'usufrutto) ricollegato a esigenze imperative di ordine pubblico, per cui il legislatore vuole evitare che vengano creati degli ostacoli alla libera circolazione dei beni.
L'usufruttuario può cedere il proprio diritto, in virtù dell'art. 980 c.c., se tale facoltà non è preclusa dall'atto costitutivo. Egli può, inoltre, concedere il bene in locazione per ricavarne i frutti civili (il canone di locazione), costituire a favore di terzi diritti reali di godimento e di garanzia, costituire sul bene un pegno o un'ipoteca. Nel caso in cui l'usufruttuario conceda in locazione il bene oggetto di usufrutto, l'art. 999 c.c. prevede l'ultrattività del contratto di locazione, a tutela della parte conduttrice, e in deroga al principio secondo il quale la cessazione dell'usufrutto comporta l'estinzione dei diritti costituiti dall'usufruttuario stesso.
Come accennato, l'usufruttuario può sfruttare la cosa che gli è stata concessa in godimento in diversi modi, ricavandone sia i frutti naturali che i frutti civili, e anche apportando al bene addizioni e miglioramenti (la cui disciplina si trova agli articoli 985 c.c. e 986 c.c.) che non ne alterino, però, la destinazione economica.
L'art. 981 del c.c., infatti, sancisce espressamente quello che è il principale limite alle facoltà e ai poteri dell'usufruttuario. La norma dispone a tal riguardo che "l'usufruttuario ha diritto di godere della cosa, ma deve rispettarne la destinazione economica". In altre parole, l'usufruttuario, pur potendo ricavare dal bene diversi tipi di utilità, dovrà sempre e comunque tenere conto della sua destinazione funzionale d'origine, impressa dal proprietario al momento in cui l'usufrutto è stato costituito. Se non rispetta la destinazione economica del bene, l'usufruttuario sarà tenuto a risarcire al nudo proprietario l'eventuale danno subito.
L'usufruttuario sarà poi tenuto alla manutenzione ordinaria del bene, del quale ha ottenuto il possesso in seguito all'atto di costituzione dell'usufrutto, secondo il criterio della "diligenza del buon padre di famiglia" (art. 1004 c.c.). A tal fine, egli sarà legittimato ad esperire le azioni possessorie nei confronti di quei terzi che intendano turbare il suo possesso sulla cosa.
La situazione giuridica di relazione con il bene, costituita in generale dal possesso, diventa invece una vera e propria proprietà nel caso del "quasi-usufrutto", istituto disciplinato dall'art. 995 del c.c., ai sensi del quale "se l'usufrutto comprende cose consumabili, l'usufruttuario ha diritto di servirsene e ha l'obbligo di pagarne il valore al termine dell'usufrutto secondo la stima convenuta".
Il diritto di usufrutto, ai sensi dell'art. 1014 c.c., si estingue per prescrizione per non uso ventennale, per "consolidazione" (che consiste nella riunione dell'usufrutto e della proprietà nella stessa persona) e per il perimento della cosa, oltre che per rinuncia dell'usufrutto da parte del titolare.
Inoltre, in virtù dell'art. 1015 c.c., l'usufrutto può anche cessare per "l'abuso che faccia l'usufruttuario del suo diritto alienando i beni o deteriorandoli o lasciandoli andare in perimento per mancanza di ordinarie riparazioni".
In seguito all'estinzione dell'usufrutto, il "nudo" proprietario diventa "pieno" proprietario e, di regola, non saranno opponibili al proprietario i diritti acquistati dai terzi, ad eccezione appunto delle eventuali locazioni ed affitti costituiti sul bene.
L' art. 1021 del c.c. disciplina poi l'istituto dell' uso, che consiste in un diritto reale limitato alla possibilità di servirsi della cosa e di trarne i frutti per il soddisfacimento dei bisogni propri e della propria famiglia. In quanto diritto reale di carattere strettamente personale, lo stesso non può in alcun modo essere ceduto a terzi (diversamente rispetto al diritto di usufrutto), a meno che non intervenga una espressa pattuizione che deroghi a tale divieto. La ratio di tale proibizione risiede nell'esigenza di evitare che l'usuario sorpassi i limiti della personale ed esclusiva soddisfazione dei propri bisogni. Tuttavia, come accennato, la dottrina ritiene che tale divieto non risponda a ragioni di ordine pubblico e che sia, in quanto tale, derogabile dalle parti.
Il successivo art. 1022 del c.c., poi, disciplina l'affine istituto dell'abitazione, che consiste nella possibilità, per il titolare del diritto reale limitato, di abitare una casa "limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia". Il titolare del diritto può sfruttare il diritto di abitazione solo abitandovi personalmente con la propria famiglia, così come previsto dalla disposizione, non potendo quindi godere del bene attraverso forme di sfruttamento indirette, quali potrebbero essere la locazione o altre forme di guadagno mediato.
Il diritto di superficie è disciplinato dalla disposizione di cui all'art. 952 del c.c. la quale, per la verità, contiene al suo interno due distinte ipotesi:
Il diritto di superficie costituisce una deroga al meccanismo dell'accessione, disciplinata dall'art. 934 del c.c., in virtù della quale omne quod inaedificatur solo cedit. In altre parole, l'istituto dell'accessione fa in modo che tutto ciò che insiste su un determinato suolo appartenga al proprietario dello stesso, che ne diventa quindi proprietario esclusivo per mezzo di un acquisto a titolo originario. Attraverso la costituzione a favore di un soggetto di un diritto di superficie si "paralizza" l'operatività del meccanismo dell'accessione, impedendo che il titolare del terreno diventi anche titolare della costruzione che insiste sul suolo stesso, il tutto con il chiaro intento di perseguire obiettivi di natura sociale ed economica.
L'art. 956 c.c., tuttavia, specifica che "non può essere costituita o trasferita la proprietà delle piantagioni separatamente dalla proprietà del suolo", e questo perché, diversamente, verrebbe ostacolato il cosiddetto "progresso agricolo".
IL DIRITTO DI ENFITEUSI
Il diritto di enfiteusi rappresenta un diritto reale di godimento su cosa altrui che conferisce all'enfiteuta un potere di godimento sul fondo, con l'obbligo di migliorarlo e di pagare, per il godimento, un canone periodico.
L'istituto, che attualmente risulta alquanto obsoleto, era nato per un'esigenza di tipo economico, per l'attuazione della quale si riteneva opportuno che i fondi agricoli venissero migliorati, evitando che i proprietari degli stessi finissero per trascurarli. Per questo motivo, attraverso il diritto reale limitato dell'enfiteusi, è stata operata una scissione tra la posizione dell'enfiteuta, diretto coltivatore del fondo, e quella del proprietario del fondo enfiteutico, formale titolare dello stesso.
L'enfiteuta, come accennato, è tenuto a migliorare il fondo e a pagare al concedente un canone periodico, così come stabilito dall'art. 960 del c.c.. Tale canone periodico, peraltro, non deve consistere necessariamente in una somma di denaro, ma può anche essere rappresentato, come previsto dalla norma, da una "quantità fissa di prodotti naturali".
L'art. 695 c.c. dà all'enfiteuta la possibilità di disporre liberamente del proprio diritto, sia per atto tra vivi che per atto di ultima volontà, a meno che tale facoltà di disposizione non sia vietata dall'atto costitutivo. Nel caso di violazione di tale divieto, l'ultimo comma della disposizione prevede che "l'enfiteuta non è liberato dai suoi obblighi verso il concedente ed è tenuto a questi solidalmente con l'acquirente", secondo un meccanismo di "accollo ex lege".
Gli articoli 971 c.c. e 972 c.c. disciplinano, rispettivamente, le ipotesi dell'affrancazione e della devoluzione.
L'affrancazione consiste nel diritto potestativo attribuito all'enfiteuta di acquistare la proprietà del fondo in virtù di una mera dichiarazione unilaterale di volontà, accompagnata dal pagamento di una somma, "risultante dalla capitalizzazione del canone annuo sulla base dell'interesse legale". In tal caso, il dominio del concedente si trasferirà in capo all'enfiteuta, che ne diventerà proprietario sulla base di un acquisto a titolo derivativo.
L'art. 972 c.c., come accennato, disciplina l'ipotesi della devoluzione del fondo enfiteutico, che può essere chiesta dal concedente al presentarsi di due situazioni:
CONSULENZE LEGALI IN MATERIA DI USUFRUTTO, USO, ABITAZIONE, SUPERFICIE ED ENFITEUSI
Qui di seguito vengono esposti succintamente alcuni casi particolarmente emblematici o di frequente accadimento, utili in molti casi per trovare già alcune risposte preliminari ai propri problemi.
Il diritto di usufrutto può essere oggetto di pignoramento da parte del creditore. Tuttavia, ciò che viene pignorato non è il bene oggetto del diritto, ma il diritto stesso che, come noto, presenta un proprio valore.
Tale valore dipende da una serie di fattori, tra i quali la durata dell'usufrutto stesso. Dalla durata dell'usufrutto discende l'interesse di un soggetto a rendersi assegnatario di un diritto di usufrutto pignorato che potrebbe, in concreto, rivelarsi molto esiguo.
Può capitare, in concreto, che per sfuggire all'aggressione dei creditori, il titolare del diritto di usufrutto si determini a cedere a terzi il suo diritto (art. 980 c.c.). Oppure, è possibile che l'usufruttuario rinunci all'usufrutto. La rinuncia è causa di estinzione del diritto, in quanto comporta la riunione in capo al medesimo soggetto dell'usufrutto e della proprietà (art. 1014 del c.c.). Entrambe le iniziative, cessione e rinuncia, provocano una dismissione del diritto idonea a pregiudicare i creditori dell'usufruttuario, in presenza di certi determinati requisiti.
In tali casi, a tutela del creditore, interviene l'azione revocatoria di cui all'art. 2901 del c.c. ss c.c. Essa è esperibile dal creditore quando il debitore ponga in essere atti che possano modificare, in senso quantitativo o anche solo qualitativo, la consistenza del suo patrimonio di modo da far diventare la sua possibilità di soddisfazione del credito incerta o difficile.
Al cospetto di problematiche giuridiche di tal genere, diventa fondamentale l'assistenza di un team legale esperto, come quello di Brocardi.it, specializzato da anni in consulenza in materia di usufrutto.
Parere legale in materia di uso: quali sono le utilità che l'usuario può trarre dal bene?
Ai sensi dell'art. 1021 del c.c., "chi ha il diritto d'uso di una cosa può servirsi di essa e, se è fruttifera, può raccogliere i frutti per quanto occorre ai bisogni suoi e della sua famiglia".
La dottrina e la giurisprudenza si sono nel tempo interessate all'esatta delimitazione del concetto di "utilità" ricavabile dal fondo. In particolare, dall'analisi della norma si ricava che l'usuario può trarre dal bene ogni utilità che esso può dare, con il solo vincolo del rispetto della natura e della destinazione economica del bene.
Il limite quantitativo rappresentato dai "bisogni del titolare e della sua famiglia", tuttavia, attiene al percepimento dei frutti, e non all'uso della cosa. Questo significa che il diritto di uso si estende a qualunque utilità che dall'utilizzo del fondo si possa ricavare, potendo l'usuario servirsi della cosa in modo pieno ed incondizionato, salvi i limiti sopraccitati.
In tal senso si è espressa anche la giurisprudenza che, con sentenza della Cassazione n. 7811 del 4 aprile 2006, ha affermato che "Il diritto di uso non è limitato a soddisfare i bisogni personali del titolare, ma si estende a tutte le utilità che possono obiettivamente trarsi dal bene secondo la sua destinazione, potendo l'usuario — non diversamente dall'usufruttuario — servirsi della cosa in modo pieno, dovendo soltanto rispettare la destinazione economica di essa. Ne consegue che la costruzione di un manufatto da adibire a garage rientra nell'ambito delle facoltà riconosciute dall'art. 1021 c.c. al titolare — in forza di convenzione scritta — di un diritto di uso su un'area nuda, salva la rilevanza che detta opera assume nella regolamentazione dei rapporti tra le parti al momento della cessazione del diritto."
In casi del genere, allorquando possano sorgere dei dubbi in merito all'esatta delimitazione dei propri diritti, diventa fondamentale l'assistenza di un team legale specializzato, come quello di Brocardi.it, che possa accompagnare l'utente nella comprensione precisa dei suoi diritti e facoltà.
Chiarimenti legali con riguardo al diritto di abitazione: in caso di assegnazione della casa familiare, chi è tenuto a pagare l'IMU sulla casa?
Premesso che dottrina e giurisprudenza si sono a lungo dibattute, senza tuttavia pervenire ad una conclusione certa, in merito alla natura dell'assegnazione della casa familiare in sede di separazione dei coniugi, è interessante chiedersi a chi spettino le spese relative ai profili fiscali relativi all'immobile.
Tradizionalmente, le tesi che si sono divise il campo sono state quelle che, da una parte, hanno configurato l'assegnazione della casa familiare come diritto reale di godimento analogo al diritto di abitazione e quelle che, viceversa, concepiscono l'assegnazione unicamente come un diritto personale di godimento, rappresentato solitamente da un contratto di comodato a termine.
Dalla diversa configurazione giuridica della assegnazione della casa familiare deriva una differente ripartizione delle spese fiscali legale all'immobile.
Infatti, per coloro che ritengono, secondo quella che è la tesi maggiormente accreditata, che l'assegnazione della casa familiare costituisca un diritto differente rispetto a quello di abitazione previsto dall'art. 1022 c.c., l'IMU rimarrà in capo al proprietario, e non all'assegnatario della casa. Quest'ultimo, infatti, sarà titolare di un "diritto di abitazione atipico", così come definito dalla Commissione tributaria regionale di Reggio Emilia con una decisione datata 2009, destinato al godimento dell'immobile per l'interesse prevalente dei figli, ma sostanzialmente diverso dal diritto reale tipico di abitazione disciplinato dall'art. 1022 c.c.
Parere degli avvocati di Brocardi.it in materia di superficie: il diritto di sopraelevazione
Caso esemplificativo: il proprietario dell'ultimo piano di un edificio condominiale decide di vendere l'area fabbricabile al di sopra del culmine massimo del tetto. Tale fattispecie comporta la nascita di un diritto di superficie?
Ebbene, in casi come questi, nei quali i proprietari dell'ultimo piano di un edificio decidano di vendere un'area fabbricabile posta al di sopra del culmine massimo del tetto, si produce l'acquisto di un diritto reale su uno strato di aria avulso, con soluzione di continuità, dall'immobile sottostante. Tale circostanza configura certamente un diritto reale su cosa altrui e, in particolare, un diritto di superficie.
Lo staff di Brocardi.it può, attraverso una consulenza specifica, fornire delle indicazioni precise su come redigere delle richieste formali all'amministratore, facilitando così la comunicazione e prevenendo l'insorgenza di liti.
Risposta a quesiti legali in materia di enfiteusi: qual è l'uso che impedisce la prescrizione?
Ai sensi dell'art. 970 c.c. "il diritto dell'enfiteuta si prescrive per effetto del non uso protratto per venti anni".
Il dominio diretto sul fondo, che compete al proprietario, è imprescrittibile; viceversa, il diritto del concessionario si potrà prescrivere per non uso ventennale.
La dottrina e la giurisprudenza si sono interrogate in merito alla nozione di "non uso", rilevante ai fini della prescrizione. In particolare, ci si è chiesti se l'uso del fondo ricorra solo nel caso in cui lo stesso sia utilizzato dall'enfiteuta direttamente o anche nel caso in cui esso venga sfruttato da terzi.
In tal senso, si ritiene che tale "non uso" consista nel mancato godimento del fondo che sussiste nel caso di:
Attraverso il servizio di consulenza legale di Brocardi.it, sarà più facile conoscere quali sono esattamente i diritti che derivano dalla titolarità di un diritto reale di enfiteusi, anche con riguardo alle modalità con cui tale diritto deve essere esercitato per non incorrere nella prescrizione dello stesso.
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