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Articolo 971 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Affrancazione

Dispositivo dell'art. 971 Codice Civile

(1)Se più sono gli enfiteuti, l'affrancazione può promuoversi anche da uno solo di essi, ma per la totalità(2). In questo caso l'affrancante subentra nei diritti del concedente verso gli altri enfiteuti, salva, a favore di questi, una riduzione proporzionale del canone.

Se più sono i concedenti, l'affrancazione può effettuarsi per la quota che spetta a ciascun concedente.

[L'affrancazione si opera mediante il pagamento di una somma risultante dalla capitalizzazione del canone annuo sulla base dell'interesse legale [1284]. Le modalità sono stabilite da leggi speciali. [957 comma 2]](3)

Note

(1) I primi tre commi sono stati abrogati dall'art. 10 della L. 1970 n. 1138.
(2) Nell'ipotesi di coenfiteusi si ha una pura sostituzione dell'enfiteuta affrancante al concedente nei confronti degli altri enfiteuti, cfr. artt. 2, 3, 4, L. 22 luglio 1966, n. 607.
(3) L'ultimo comma risulta tacitamente abrogato per incompatibilità con la nuova disciplina del procedimento di affrancazione (artt. 2, 3 e 4 L. 1966 n. 607).

Ratio Legis

Scopo della disposizione è riunire in una sola persona il dominio utile, cioè fruttifero, e quello puramente nominale del concedente.

Brocardi

Laudemium

Spiegazione dell'art. 971 Codice Civile

Necessità di rimuovere gli ostacoli opposti dal regime del codice del 1865

Perché l'istituto dell'enfiteusi potesse diffondersi, propagarsi e produrre ancora i benefici effetti che da esso tuttora si attendono, era soprattutto necessario rimuovere gli ostacoli che il regime del codice del 1865 opponeva, specialmente col diritto perpetuo e inderogabile di riscatto ad arbitrio dell'enfiteuta e in quel determinato modo, togliendo ogni efficacia a patti contrari eventualmente più gravosi per l'enfiteuta stesso.

La non breve esperienza fatta dalla disciplina dell'istituto contenuta nel codice del 1865 aveva dimostrato che ben pochi erano coloro che avevano scelto una forma di contratto che li teneva permanentemente sotto la minaccia di espropriazione, a meno che non si fossero ricompensati di una tale minaccia, esigendo un canone molto più elevato del normale e sopprimendo o riducendo il compenso dovuto all'enfiteuta per i miglioramenti apportati al fondo, nel caso di devoluzione ; ma in tal caso, difficile era trovare enfiteuti.

D'altra parte, sotto il regime del codice del 1865, si era verificato e si verificava che non appena l'enfiteuta riusciva a mettere insieme una certa somma, non la destinava ai miglioramenti del fondo, ma l'impiegava nell'affranco.

Pertanto le enfiteusi erano ormai utilizzate esclusivamente da speculatori, che miravano unicamente a diventare proprietari mediante il versamento di un piccolo capitale, che potevano sempre mettere insieme sfruttando oltre ogni limite il fondo, e ciò senza alcuna preoccupazione, poiché potevano in ogni momento affrontare il pericolo della devoluzione con l'affranco.

Occorreva allora trovare un sistema con cui superare la grave questione della redimibilità coatta, considerata giustamente come una preoccupante imposizione a carico dei concedenti, specie dei concedenti privati, e tale da turbare l'equilibrio degli interessi delle due parti.

Mentre si era alla ricerca di un tale sistema, era sempre più difficile era trovare, almeno tra privati, dei proprietari che si adattassero a perdere un giorno o l'altro la proprietà di tutto o di parte del fondo, a meno che, come si è detto, non includessero nel contratto clausole compensatrici, le quali alla loro volta finivano con l'essere o col diventare troppo gravose per l'enfiteuta.


Limitazioni al diritto di affrancare

Il nuovo legislatore, accogliendo le proposte della Commissione reale per la riforma dei codici, ha studiato una disciplina dell'affrancazione che, pur sancendo il diritto inderogabile dell'enfiteuta di affrancare, introduce delle limitazioni, in modo da non colpire nel cuore l'istituto che si vuole diffondere e conservare, poiché esso, opportunamente regolato e disciplinato dalla legge, ha o può avere non di rado un grande vantaggio sulla stessa proprietà libera immobiliare.

L'art. 971 dispone, pertanto, che il diritto di affrancare non può esercitarsi prima che siano trascorsi venti anni dalla costituzione dell'enfiteusi, e ciò per impedire soprattutto che l'enfiteuta si sottragga, con l'affrancazione del fondo, all'obbligo di migliorarlo, che deve essere lo scopo principale da raggiungere, e come tale ha carattere di interesse generale.

Nulla vieta che nell'atto costitutivo stesso dell'enfiteusi sia stabilito dalle parti il termine utile per l'affrancazione, ma esso dovrà essere contenuto tra un minimo di venti anni, fissato nel primo comma dell'art. 971, e un massimo di quaranta, fissato nel secondo comma dell'articolo stesso. Come viene escluso, infatti, un termine più breve dei venti anni per le ragioni anzidette, cosi viene escluso un termine più lungo dei quarant’anni, poiché esso limiterebbe eccessivamente il diritto di affrancazione.

Questa regolamentazione concilia equamente e opportunamente gli interessi dei concedenti e quelli degli enfiteuti, ai quali ultimi un periodo di tempo, adeguatamente lungo, anziché essere di danno, permette di destinare la maggior parte del capitale alle migliorie ed insieme di accantonare un fondo per provvedere, a suo tempo, al riscatto.


Tassatività dell'obbligo di migliorare il fondo

Se poi nell'atto costitutivo è prestabilito un piano di lavori, sempre per quel carattere di interesse generale del miglioramento dei fondi con conseguente incremento della produzione, insito proprio nel contratto di enfiteusi, lo stesso articolo, al comma terzo, non consente l'affrancazione prima che i miglioramenti siano stati eseguiti, e sempre rimanendo fermo il termine minimo di venti anni dalla costituzione dell'enfiteusi. Tale termine, infatti, deve ritenersi non suscettibile di riduzione, anche se i lavori previsti nel piano sono stati tutti eseguiti prima dello scadere del termine stesso.

È evidente la tassatività di questo obbligo di migliorare il fondo che il nuovo codice ha voluto stabilire: e un'ulteriore prova la si ha anche nella disposizione sancita nell' art. 972 del c.c., per cui, sempre per porre un freno alla tendenza di trascurare i miglioramenti, la devoluzione, in caso di grave difetto a tale obbligo, prevale alla domanda di affranco, anche se anteriore.


Regolamentazione dell'affrancazione nei casi di pluralità di enfiteusi o di pluralità di concedenti

Vi sono poi i casi di pluralità di enfiteuti o di pluralità di concedenti. In queste ipotesi, il nuovo codice, colmando le lacune del codice del 1865, ha stabilito che quando gli enfiteuti siano più di uno, allo scopo di evitare al concedente sgradite o dannose vicinanze e comunicazioni, l'affrancazione del fondo può promuoversi anche da uno solo di essi, ma non limitatamente alla propria quota, bensì per la totalità del fondo. Se cosi non fosse, d'altra parte, il diritto che il legislatore ha riconosciuto all'enfiteuta, potrebbe, nella maggior parte dei casi, rimanere lettera morta per l'inerzia o per il mal volere di un coenfiteuta, fosse pur possessore d'una parte minima del fondo e quindi senza un grande interesse a redimerlo. Vuol dire che, in tal caso, l'enfiteuta affrancante subentra nelle ragioni spettanti verso gli altri enfiteuti, i quali hanno, in conseguenza, diritto a una proporzionale riduzione del canone e possono sempre affrancare le loro quote.

La Relazione ministeriale cosi commenta questa disposizione: « Questa disciplina ha il pregio di conciliare il principio che nessun partecipante a una comunione può peggiorare la condizione degli altri con il principio che il concedente non pub essere costretto ad accettare un' affrancazione parziale. Se all'enfiteuta affrancante si fosse conferito il diritto di rivalersi delle quote spettanti ai coenfiteuti, si sarebbe, rispetto a costoro, convertita in un obbligo la facoltà di affrancare e peggiorata cosi la loro condizione ».

Nel caso invece che più siano i concedenti, l'affrancazione può effettuarsi per la quota di ciascuno di essi.

La Commissione reale per la riforma dei codici aveva previsto anche il caso in cui più fondi fossero stati concessi in enfiteusi per modum unius o per un unico canone, proponendo che si stabilisse espressamente che l'affrancazione non potesse effettuarsi che per la totalità dei fondi. Ma tale caso non è stato esplicitamente contemplato nel nuovo codice, poiché si è ritenuto, come si legge nella Relazione ministeriale, che questa ipotesi non esigesse una specifica regolamentazione legislativa, riducendosi la soluzione di essa all'interpretazione della volontà delle parti nella costituzione dell'enfiteusi: « Se tale volontà sussiste, essa deve essere rispettata finche non sia in conflitto con il principio della disponibilità del proprio diritto da parte dell'enfiteuta, il quale, per quanto i fondi siano concessi in enfiteusi per modum unius, pub del suo diritto disporre anche parzialmente, cosi come pub parzialmente disporre nel caso di un òunico fondo ».


Modalità dell'affrancazione

Nell'ultimo comma dell'articolo viene enunciata la regola generale per cui l'affrancazione si effettua mediante il pagamento di una somma corr-spondente alla capitalizzazione del canone annuo, e per quanto riguarda le modalità dell'affrancazione, si rimanda alle leggi speciali, non essendosi ritenuto conveniente stabilire nel codice tale disciplina, che deve adeguarsi alle più varie situazioni economiche

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

458 Nel sancire il diritto inderogabile dell'enfiteuta di affrancare, l'art. 971 del c.c., primo comma, introduce una limitazione, disponendo che tale diritto non può esercitarsi prima che siano trascorsi venti anni dalla costituzione dell'enfiteusi. Ho creduto opportuno, innovando al sistema del codice del 1865 (art. 1564, primo comma), che non poneva alcuna restrizione, stabilire l'anzidetto termine minimo, al fine d'impedire che l'enfiteuta si sottragga con l'affrancazione del fondo all'obbligo di migliorarlo. La limitazione è giustificata dall'interesse generale del miglioramento dei fondi e del correlativo incremento della produzione. Si consente (art. 971, secondo comma) che nell'atto costitutivo dell'enfiteusi sia stabilito un termine maggiore, ma questo non potrà, in ogni caso, eccedere i quarant'anni. Un più lungo termine limiterebbe eccessivamente il diritto di affrancazione. In considerazione dell'accennato interesse nazionale del miglioramento dei fondi, l'articolo in esame, prevedendo il caso che nell'atto costitutivo dell'enfiteusi sia prestabilito un piano di miglioramenti, non consente (terzo comma) l'affrancazione prima che i miglioramenti siano eseguiti. Non basta però che questi siano eseguiti perché l'entneuta possa affrancare: occorre che dalla costituzione dell'enfiteusi sia anche decorso il termine minimo di venti anni, non suscettibile di riduzione. A complemento della disciplina dell'affrancazione, l'articolo citato, colmando le lacune del codice del 1865, considera, nel quarto e quinto comma, la duplice ipotesi che si abbia una pluralità di enfiteuti o di concedenti. Quando più siano gli enfiteuti, l'affrancaziorie può promuoversi anche da uno solo di essi; non però limitatamente alla propria quota, ma per la totalità. L'enfiteuta affrancante subentra nei diritti del concedente verso gli altri enfiteuti, salvo a favore di questi — che possono sempre affrancare le loro quote — una proporzionale riduzione del canone. Mi sembra che questa disciplina abbia il pregio di conciliare il principio che nessun partecipante a una comunione può peggiorare la condizione degli altri con il principio che il concedente non può essere costretto ad accettare un'affrancazione parziale. Se all'enfiteuta affrancante si fosse conferito il diritto di rivalsa per le quote dei coenfiteuti, si sarebbe, rispetto à costoro, convertito in un obbligo la facoltà di affrancare e peggiorata così la loro condizione. Nell'ipotesi inversa che più siano i concedenti, l'affrancazione può effettuarsi per la quota di ciascuno di essi. Per il caso in cui più fondi fossero stati concessi in enfiteusi ad modum unius, venne proposto che si stabilisse espressamente che l'affrancazione non potesse effettuarsi che per la totalità dei fondi. Ho ritenuto che questa ipotesi non esigesse una specifica regolamentazione legislativa, riducendosi la soluzione di essa all'interpretazione della volontà delle parti nella costituzione dell'enfiteusi. Se tale volontà sussiste, essa deve essere rispettata finché non sia in conflitto con il principio della disponibilità del proprio diritto da parte dell'enfiteuta, il quale, per quanto i fondi siano concessi in enfiteusi ad modum unius, può del suo diritto disporre anche parzialmente, così come può parzialmente disporne nel caso di un unico fondo.
459 L'ultimo comma dell'art. 971 del c.c. si limita a enunciare la regola generale che l'affrancazione si effettua mediante il pagamento di una somma corrispondente alla capitalizzazione dell'annuo canone sulla base dell'interesse legale. Non ho compreso nel codice le norme relative alle modalità dell'affrancazione; è conveniente che la disciplina di questo atto, la quale deve adeguarsi alle più varie situazioni, economiche, sia lasciata alle leggi speciali.

Massime relative all'art. 971 Codice Civile

Cass. civ. n. 2704/2019

In tema di usi civici, nell'affrancazione (o liquidazione) cd. invertita, prevista in favore della popolazione dall'art. 9 del r.d. n. 1510 del 1891, ancora vigente, per le sole provincie ex pontificie, in virtù del richiamo contenuto nell'art. 7, comma 2, della l. n. 1766 del 1927, a differenza di quella ordinaria - ove è il proprietario del fondo a liberarlo dall'uso civico, affrancando il proprio diritto di proprietà mediante il pagamento di un canone enfiteutico od il rilascio di una parte del possedimento - è la collettività che riscatta, in tutto o in parte, l'immobile, dietro versamento di un canone al proprietario, così realizzandosi il pieno riconoscimento del diritto di uso civico nella nuova forma dell'assegnazione della piena proprietà in capo alla comunità. Pertanto, il comune, qualora il terreno sia stato allo stesso attribuito nella qualità di ente esponenziale (o rappresentativo) degli utenti, è tenuto ad assicurare l'uso civico di destinazione del bene affrancato, al quale non può rinunziare liberamente - soprattutto in maniera tacita in virtù di atti univoci ed incompatibili con la volontà di conservarlo - poiché non gli appartiene, la sua rappresentatività differenziandosi, in questo caso, da quella generale e tipica degli enti territoriali; infatti, il detto comune può essere autorizzato a mutare la menzionata destinazione o le sue modalità di esercizio, laddove le ritenesse non più compatibili con le trasformazioni socio-economiche intervenute, solo attraverso la procedura prevista dalla normativa speciale. (Nella specie, la S.C. ha escluso che il Comune di Vallinfreda avesse tacitamente "sdemanializzato" il fondo mediante atti di cessione gratuita ai privati, i quali vi avevano costruito sopra dei complessi edilizi, non avendo l'ente territoriale il relativo potere).

Corte cost. n. 143/1997

E' incostituzionale l'art. 1 comma 1 e 4, l. 22 luglio 1966 n. 607, nella parte in cui, per le enfiteusi fondiarie costituite anteriormente al 28 ottobre 1941, non prevede che il valore di riferimento per la determinazione del capitale per l'affrancazione delle stesse sia periodicamente aggiornato mediante l'applicazione di coefficienti di maggiorazione idonei a mantenerne adeguata, con ragionevole approssimazione, la corrispondenza con la effettiva realtà economica.

Corte cost. n. 74/1996

E' inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 971 ultimo comma c.c., sollevata in riferimento all'art. 42 cost., nella parte in cui, nel disporre che l'affrancazione dell'enfiteusi si operi mediante il pagamento di una somma di denaro frutto della capitalizzazione del canone annuo sulla base dell'interesse legale, non prevede l'aggiornamento periodico del canone enfiteutico e quindi del capitale di affranco, mediante l'applicazione di adeguati coefficienti di maggiorazione, in quanto tale norma si deve intendere abrogata dall'art. 1 l. 14 giugno 1974 n. 270 (aggiuntivo di un terzo comma all'art. 2 l. 18 dicembre 1970 n. 1138), disposizione, quest'ultima, che la sent. 7 aprile 1988 n. 406 ha dichiarato incostituzionale non per ciò che dispone in ordine al modo di calcolare il canone minimo dell'enfiteusi, ma solo per quello che ha omesso di disporre in tema di aggiornamento di detto canone, sulla cui base computare il predetto capitale di affranco ai sensi dell'art. 9 cit. l. n. 1138 del 1970, non bastando a far rivivere una norma abrogata la circostanza che il legislatore non abbia poi attuato la sentenza della Corte costituzionale con il necessario meccanismo integrativo.

Corte cost. n. 406/1988

Per una corretta applicazione della direttiva contenuta nella precedente sentenza in materia di enfiteusi e perché, in particolare, i capitali d'affranco non risultino determinati in misura incongrua o, addirittura, irrisoria per il concedente, occorre fare riferimento non tanto alla misura fissa consistente nell'indennità corrisposta in applicazione delle leggi di riforma agraria, quanto invece ai criteri stabiliti da quelle leggi: detti capitali non possono essere, dunque, inferiori ai valori assunti per l'applicazione dell'imposta straordinaria progressiva sul patrimonio (a norma dell'art. 9 del D.Lgs. n. 143 del 1947) periodicamente aggiornati mediante "coefficienti di maggiorazione" stabiliti dalla Commissione censuaria centrale. Pertanto, per violazione dell'art. 42 Cost., è costituzionalmente illegittimo l'art. 1 della legge 14 giugno 1974, n. 270, nella parte in cui non prevede che il valore di riferimento da esso prescelto per la determinazione del canone enfiteutico sia periodicamente aggiornato mediante l'applicazione di coefficienti di maggiorazione idonei a mantenerne adeguata, con una ragionevole approssimazione, la corrispondenza con l'effettiva realtà economica.

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