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Articolo 995 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Cose consumabili

Dispositivo dell'art. 995 Codice Civile

Se l'usufrutto comprende cose consumabili, l'usufruttuario ha diritto di servirsene(1) e ha l'obbligo di pagarne il valore al termine dell'usufrutto secondo la stima convenuta.

Mancando la stima, è in facoltà dell'usufruttuario di pagare le cose secondo il valore che hanno al tempo in cui finisce l'usufrutto o di restituirne altre in eguale qualità e quantità [1258](2).

Note

(1) Al quasi-usufruttuario, che può disporre della cosa, si riconosce il conseguente potere di alienare il bene stesso.
(2) A parere di certa dottrina l'istituto in esame è assimilabile al mutuo; altri autori affermano, invece, che relativamente all'obbligazione del tantundem eiusdem generis, non potrebbero applicarsi gli artt. 1816 e 1817, in base ai quali, se non è fissato un termine preciso, l'usufruttuario dovrebbe restituire la cosa ogni volta che il giudice stabilisse in questo senso.

Ratio Legis

Si tratta del quasi-usufrutto, riferito alle cose consumabili, relativamente alle quali se l'usufruttuario ne acquisisce la proprietà, ha il dovere di restituirne altrettante della stessa specie e nella medesima misura quantitativa (cd. tantundem eiusdem generis et qualitatis).

Brocardi

Fructuarius causam proprietatis deteriorem facere non debet, meliorem facere potest
Res consumptibiles sunt quae usu consumuntur
Res quae ipso usu consumuntur

Spiegazione dell'art. 995 Codice Civile

Natura del quasi usufrutto

La disciplina del quasi usufrutto è rimasta sostanzialmente immutata, essendosi respinta la proposta della Commissione Reale di estendere l'applicazione delle regole del quasi usufrutto alle cose mobili, che, pur non essendo consumabili, fossero state stimate all'atto della consegna all'usufruttuario (art. 139 del Progetto preliminare). Certo non si può escludere che le parti configurino l'usufrutto di cose non consumabili come quello di cose consumabili, autorizzando cioè a restituire invece che le medesime cose il prezzo di stima o comunque il tantundem. Ma in tale ipotesi può essere dubbio se il rapporto si possa qualificare come usufrutto sia pure nel particolare senso in cui questo viene configurato dall' art. 995: infatti mentre per le cose consumabili la conversione dell'usufrutto in proprietà è lo strumento logicamente necessario, come si vedrà subito, per assicurare il godimento dell'usufruttuario, per le cose non consumabili, invece, se le parti vogliono l'attribuzione immediata della proprietà all'usufruttuario con l'obbligo di restituzione dell'equivalente, esse sono sostanzialmente lontane dall'intento pratico che normalmente si persegue con la costituzione dell'usufrutto, e si dovrà vedere perciò se lo schema negoziale posto in essere non debba essere diversamente qualificato (mutuo, negozio fiduciario e cosi via).

Lo stesso si può dire nel caso in cui si trasferisca per atto tra vivi la proprietà di una cosa consumabile con l'obbligo della restituzione: in tal caso, anche se le parti parlano di usufrutto, è difficile pensare che si abbia il quasi usufrutto di cui all'art. 995 più che un mutuo.

L' ipotesi del quasi usufrutto viene in considerazione quando le cose consumabili fanno parte di un complesso di cose di cui alcune sono in consumabili, e sulle quali viene unitariamente costituito l'usufrutto per atto inter vivos o per successione mortis causa (ciò risulta infatti dalla formula dell'art. 995, corrispondente per questa parte all'art. 483 del vecchio codice: “se l'usufrutto comprende cose consumabili”), e può venire in considerazione nel caso di legato di usufrutto di sole cose consumabili. Ma al di fuori di questa ipotesi il contenuto del negozio attributivo del godimento, e quindi della proprietà di cose consumabili, non può essere ricostruito come una figura di quasi usufrutto, bensì come un mutuo o un trasferimento a scopo di garanzia.

L'attribuzione della proprietà all'usufruttuario è una esigenza indeclinabile quando l'usufrutto ha per oggetto cose consumabili, perché in tal caso il godimento da parte di un terzo è incompatibile con la persistenza del diritto di proprietà in una persona diversa. L'effetto attributivo della proprietà è quindi in tale ipotesi un effetto legale della costituzione di usufrutto che si produce indipendentemente da un atto di volontà delle parti e senza bisogno di un loro specifico intento in quella direzione.

Il trasferimento della proprietà si verifica non al momento in cui l'usufruttuario consegue il possesso, come avviene nel mutuo, come pure talvolta si è sostenuto, ne nel momento in cui si verifica di fatto la confusione nel patrimonio dell'usufruttuario, ma secondo i principi generali. Infatti come per le cose non consumabili il diritto di usufrutto sorge non per effetto della consegna, ma per effetto del consenso se si tratta di costituzione inter vivos, per effetto della morte del de cuius se si tratta di costituzione mortis causa su una cosa certa e determinata esistente nel patrimonio ereditario, per effetto della specificazione se si tratta di cose determinate solo per il genere, così per le cose consumabili in cui la costituzione di usufrutto vale senz'altro come attribuzione di proprietà, questa si verifica nel momento in cui, se si fosse trattato di cose non consumabili, sarebbe sorto il diritto di usufrutto. Ne consegue che, a differenza che nel mutuo, l'obbligo di restituzione dell'equivalente da parte dell' usufruttuario non trova la sua causa nella consegna della cosa ma nel verificarsi dell'effetto traslativo di cui rappresenta il limite obbligatorio. Inoltre l'obbligo del costituente alla consegna è un obbligo accessorio e strumentale, rispetto all'attribuzione traslativa, di modo che il perimento fortuito della cosa e a carico dell'usufruttuario anche se la cosa non gli sia stata consegnata (art. 1125 codice del 1865) salvo, s'intende, il caso di mora a consegnare.

Il trasferimento di proprietà a favore dell'usufruttuario si può peraltro verificare anche in un momento successivo alla consegna quando la cosa data in usufrutto non era in origine consumabile ma lo è divenuta in seguito a una trasformazione (es. materiali ricavati da una costruzione destinata alla demolizione oppure perita per caso fortuito, parti costitutive di una cosa tolte da essa e sostituite ecc.). In tal caso il trasferimento si opera nel momento in cui, per effetto della trasformazione, viene a esistenza la cosa consumabile.

L'istituto che tradizionalmente è stato qualificato come quasi usufrutto presenta dunque un rapporto complesso: da un lato l'usufruttuario diventa proprietario attuale e debitore a termine della restituzione, dall'altro il proprietario perde con effetto immediato la proprietà e diventa creditore a termine della restituzione. Questa interferenza di un rapporto reale e di un rapporto obbligatorio chiarisce oltre che la struttura anche la funzione del quasi usufrutto. Il vantaggio dell'usufruttuario, in cui economicamente si risolve il suo godimento, consiste nella differenza tra il valore attuale della cosa e il valore attuale della prestazione dell'equivalente al termine dell'usufrutto.

D'altro canto il proprietario, se vede peggiorata la sua posizione dato che perde la tutela più energica propria del diritto reale e acquista solo un diritto di credito, è avvantaggiato, dal punto di vista economico, dal fatto che egli riceverà alla fine dell'usufrutto il tantundem e quindi non subirà gli effetti dannosi del deterioramento che normalmente consegue all'uso di una cosa, o addirittura l'alea del perimento per effetto dell'uso, come invece si verifica per le cose deteriorabili (art. 996 del c.c.). È chiaro poi che il costituente, in quanto creditore a termine, può giovarsi di tutti i mezzi, conservativi ed esecutivi, diretti alla tutela dei diritti di credito: egli quindi potrà, in caso di insolvenza dell' usufruttuario o nel caso in cui questi non dia le garanzie promesse o diminuisca per fatto proprio le garanzie date, far valere la decadenza dal beneficio del termine e chiedere la restituzione immediata del tantundem.

È infine quasi superfluo avvertire che delle norme scritte per l'usufrutto si applicheranno al quasi usufrutto solo quelle che non sono incompatibili con l'effetto traslativo della proprietà.


Concetto di cose consumabili

Le cose per le quali si verifica l'attribuzione della proprietà all'usufruttuario sono indicate dall'art. 995 con la qualifica di cose consumabili, espressione sintetica che è stata sostituita alla parafrasi usata nell'art. 483 del codice del 1865 (cose delle quali non si possa far uso senza consumarle, come danaro, grano, liquori). È necessario quindi definire il concetto giuridico di cosa consumabile. Sono consumabili le cose che scompaiono (almeno nella loro individualità originaria) dal patrimonio della persona nel quale si trovano per effetto di un solo atto di godimento.

Tale carattere si desume non tanto della costituzione fisica delle cose quanto dal fatto che esse sono destinate a un modo di godimento che ne rende necessaria l'immediata distruzione. Infatti anche cose che sono tipicamente consumabili come il grano, il vino ecc. possono essere suscettibili di un uso che non ne renda necessaria la distruzione (es. possono essere date in comodato ad pompam, possono essere date in pegno, ecc.): ma se questa destinazione anomala non risulta, la costituzione fisica della cosa può spesso costituire un indice decisivo per desumere la destinazione a essere distrutte per effetto del godimento.

Talvolta soccorre un criterio economico-sociale per desumere la destinazione a un modo di godimento che importa distruzione, ciò vale anzitutto per il denaro e in genere per le cose che normalmente servono come mezzo di scambio, perché una volta spese esse non sono più in grado di produrre altre utilità e quindi la spendita equivale giuridicamente alla distruzione. In qualche ipotesi però nè la costituzione fisica della cosa né il comune criterio economico-sociale forniscono un indice decisivo per desumere la destinazione: bisogna allora ricorrere alla destinazione che la cosa aveva effettivamente nell'economia del proprietario per vedere se, agli effetti del diritto dell'usufruttuario, la cosa vada considerata o meno come consumabile (es. animali che possono essere da macello, da allevamento, da lavoro e cosi via). Rientrano nella categoria delle cose consumabili e sono soggette alla norma qui illustrata anche le cose che possono non essere distrutte per effetto di un solo atto di godimento, ma per ogni atto di godimento perdono una parte omogenea del complesso dal quale risulta la loro individualità (res quae usu minuuntur, come ad es. una botte di vino, sapone, candele, ecc.).

Al medesimo regime dell'usufrutto su cose consumabili è sottoposto l'usufrutto delle cose delle quali l'uso non porta la distruzione nè totale né parziale, ma una trasformazione sostanziale, per effetto di specificazione (art. 940 del c.c.) o di unione con altra cosa (art. 939 del c.c.). In tal caso non sarebbe in astratto inconcepibile che sulla cosa nuova formata persistesse il diritto del proprietario, ma se la destinazione della cosa era appunto quella di essere trasformata sì che l'usufruttuario non ne possa compiutamente godere senza procedere a tale trasformazione, allora è chiaro che il godimento dell'usufruttuario non è compatibile con l'obbligo di mantenere integra la destinazione originaria della cosa e deve dar luogo solo a un obbligo personale di restituzione dell'equivalente (ad es. usufrutto sulla lana, su materiali da costruzione e cosi via).


L'obbligo di restituzione del quasi usufruttuario

L'obbligo del quasi usufruttuario alla fine dell'usufrutto ha per contenuto la restituzione dell'equivalente, il che dimostra come la categoria delle cose consumabili coincide con quella delle cose fungibili anche se non copre interamente quest'ultima.

Il contenuto dell'obbligo di restituzione varia a seconda che all'inizio dell'usufrutto sia stata fatta o no la stima. Nel primo caso l'usufruttuario sarà tenuto a restituire il valore di stima, nel secondo caso ha una facoltà alternativa, ossia può restituire cose nella medesima qualità e quantità di quelle ricevute oppure una somma di danaro che rappresenti il valore di quelle cose secondo il loro prezzo alla fine dell'usufrutto.

Poiché l'esistenza della stima importa la predeterminazione del contenuto dell'obbligo di restituzione, ci si è chiesti se e in quali casi il proprietario possa pretendere all'inizio dell'usufrutto che l'usufruttuario proceda alla stima. La soluzione preferibile ci pare quella che considera l'usufruttuario obbligato a procedere alla stima solo quando ciò sia imposto dal titolo costitutivo, negli altri casi egli avrebbe solo la facoltà e non l'obbligo di procedervi.

L'art. 995 parla di stima convenuta, il che potrebbe far pensare a una stima fatta consensualmente dal proprietario e dall'usufruttuario: ma se questa ipotesi è ben possibile, tuttavia l'ipotesi praticamente più frequente, specialmente nell'usufrutto costituito per atto mortis causa, e che la stima sia fatta nell'inventario che l'usufruttuario e tenuto a fare prima di entrare in possesso. In tal caso la stima non è necessariamente un atto bilaterale, ma il proprietario può, se la ritiene lesiva del suo interesse, impugnarla.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

477 Le norme (art. 994 del c.c., art. 995 del c.c. e art. 996 del c.c.) relative all'usufrutto costituito su una mandria o un gregge, all'usufrutto costituito su cose consumabili e a quello costituito su cose deteriorabili, non divergono sostanzialmente dalle norme del codice del 1865 (articoli 483, 484 e 513). Quanto all'usufrutto su cose deteriorabili, non ho però riprodotto la parte finale dell'art. 484 del codice anteriore, poiché l'obbligo dell'usufruttuario di tenere indenne il proprietario delle cose deteriorate per dolo o colpa discende dal principio, successivamente affermato, che l'usufruttuario nel godimento della cosa deve usare la diligenza del buon padre di famiglia (art. 1001 del c.c., secondo comma). Una particolare disposizione (art. 997 del c.c.) è dettata per il caso che l'usufrutto comprenda impianti, opifici o macchinari che abbiano una destinazione produttiva. E' evidente la necessità che di questi beni strumentali, in quanto interessano anche la produzione nazionale, sia conservata la piena efficienza. L'usufruttuario è tenuto pertanto a riparare e a sostituire, durante l'usufrutto, le parti che si logorano: gli è però riconosciuto il diritto verso il proprietario a una congrua indennità, al termine dell'usufrutto, quando abbia sopportato spese che eccedono quelle delle ordinarie riparazioni. La restituzione delle scorte vive e morte del fondo è disciplinata dall'art. 998 del c.c.. Esse devono restituirsi in eguale quantità e qualità: l'eccedenza o la deficienza deve essere regolata in danaro, secondo il loro valore al termine dell'usufrutto.

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Consulenze legali
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PIERCARLO C. chiede
venerdì 03/04/2020 - Piemonte
“Faccio riferimento al quesito Q201924423 cui mi avete risposto con e-mail dell‘11/12/2019. In merito ai depositi bancari, l’usufrutto è pari:
1) Al rendimento effettivo del deposito bancario (pari a zero, nelle attuali condizioni dei conti bancari o addirittura negativo, se si tiene conto delle spese bancarie e delle imposte)?
2) A quanto previsto dalla tabella annuale, prevista dal Testo Unico N° 131 del 26/4/1986, che fissa le percentuali di usufrutto e nuda proprietà in base all’età dell’usufruttuario. Ad esempio, per l’anno di riferimento 2020, per una età compresa tra 73 e 75 anni, la percentuale di usufrutto è del 35% e quella di nuda proprietà è del 65%?
Tale tabella determina i “diritti di usufrutto a vita e delle rendite vitalizie calcolate al saggio di interesse dell’anno di riferimento”: vale anche per il calcolo dell’usufrutto e della nuda proprietà di depositi bancari?

Grazie.
3/4/2020”
Consulenza legale i 10/04/2020

Nel caso di usufrutto su depositi bancari, pertanto su beni consumabili, quale è appunto una somma di denaro, si parla di quasi usufrutto.

Atteso che, in tale caso, l'usufruttuario acquista la proprietà del bene consumabile, ed è tenuto alla restituzione della stessa quantità di denaro che è stata oggetto di usufrutto, non appare corretto rifarsi ai calcoli relativi alle tabelle previste dal Testo Unico 131/1986 ovvero al rendimento effettivo del deposito bancario.

L'usufruttuario, infatti, nel caso di specie, attesa la natura del bene, acquista la proprietà su detto bene e, dunque, non si pone un problema di calcolo dell'usufrutto come nel caso di immobili, visto che una volta estinto il diritto di usufrutto l'usufruttuario dovrà restituire esattamente la stessa quantità di denaro che ha ricevuto.

Peraltro, trattandosi di debito pecuniario, si applicherà il principio nominalistico e, pertanto, nella restituzione della somma di denaro da restituire non si terrà neppure conto della svalutazione che, nelle more, può aver avuto detta somma.