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consulenza legale in diritto di famiglia, minori, incapaci e alimenti

  1. La famiglia: origini dell'istituto e disciplina giuridica 2. La tutela dei soggetti incapaci: origini degli istituti di protezione e normativa di riferimento 3. Gli alimenti: fondamento dell'istituto e norme applicabili 4. Consulenze legali in tema di famiglia, tutela degli incapaci, alimenti

LA FAMIGLIA: ORIGINI DELL'ISTITUTO E DISCIPLINA GIURIDICA
La famiglia è la prima delle formazioni sociali tutelate dalla nostra Carta costituzionale, ed anzi trova una specifica valorizzazione nell’art. 29 della Costituzione, il quale riconosce i diritti della famiglia come "società naturale fondata sul matrimonio”.
Si tratta di una visione che, nel corso degli anni, ha dovuto fare i conti con i profondi mutamenti intervenuti nella nostra società, cambiamenti che hanno condotto ad un riconoscimento legislativo sempre maggiore - anche se non ancora completo - di nuove forme di aggregazione familiare.
Tra gli esempi più recenti, e più significativi, di questa evoluzione delle norme sulla famiglia, possiamo citare la legge 10 dicembre 2012, n. 219, che ha portato a termine il processo di equiparazione tra i figli nati da genitori uniti in matrimonio (che, in precedenza, venivano definiti “legittimi”) e i cosiddetti figli “naturali”, ovvero nati da coppie non sposate.
Ora, a tal proposito, il nuovo testo dell’art. 315 del c.c. afferma espressamente che “tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”.
Altro momento fondamentale della progressiva “modernizzazione” del modello legislativo di famiglia è rappresentato dalla legge 20 maggio 2016, n. 76, che ha istituito “l'unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione” e introdotto una disciplina delle convivenze di fatto.
Il servizio di consulenza legale di Brocardi.it tratta quotidianamente un elevato numero di quesiti riguardanti il diritto di famiglia nelle sue numerose sfaccettature: la famiglia, infatti, da “nido”, si trasforma spesso in luogo di conflitti.
Una larga parte della consulenza giuridica in materia familiare riguarda proprio le varie ipotesi di crisi della famiglia: separazione, divorzio, cessazione della convivenza di fatto (more uxorio).
Si tratta di eventi che comportano conseguenze sia di natura economica (di qui le controversie sul mantenimento, ad esempio), sia di natura personale. In entrambi i casi, particolare rilevanza rivestono gli effetti della crisi della famiglia rispetto ai figli, con le relative questioni in tema di affidamento dei figli minori, di mantenimento della prole, di ripartizione delle spese cosiddette straordinarie (cioè non comprese nell’assegno di mantenimento).
Sempre collegati al tema della crisi dell’unione familiare, e piuttosto frequenti nella casistica del servizio di consulenza legale di Brocardi.it, sono i quesiti riguardanti la divisione di eventuali beni in comunione, la possibilità di qualificare, invece, determinati beni come “personali”, nonché la problematica, da sempre dibattuta, del rimborso di spese sostenute nell’interesse della famiglia (ad esempio quelle sostenute per la ristrutturazione della casa coniugale).
Un’altra importante tendenza legislativa degli ultimi anni è quella finalizzata a “semplificare” la gestione di quelle crisi familiari che sfociano in separazioni e divorzi, consentendo il raggiungimento di accordi anche al di fuori delle aule giudiziarie.
Così, oggi, è possibile addivenire ad una separazione, ad una pronuncia di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio mediante lo strumento della negoziazione assistita, specificamente previsto in questi casi dall’art. 6 del D.L. n. 132/2014, convertito nella L. n. 162/2014.
Inoltre, l’art. 12 della medesima legge prevede la possibilità di separarsi o divorziare consensualmente, nonché di modificare le relative condizioni, anche dinanzi al Sindaco quale ufficiale di stato civile, purché però non siano presenti figli minori o comunque non autosufficienti. A differenza della negoziazione assistita, in cui è indispensabile farsi assistere da un avvocato, dinanzi al Sindaco tale assistenza non è necessaria.
Il tema della famiglia come luogo di contrasti ci porta ad affrontare, inoltre, quelle situazioni di maggiore gravità, in cui i conflitti assumono rilevanza penale.
Il servizio di consulenza giuridica di Brocardi.it si è occupato spesso di reati familiari: i più frequenti sono senz’altro il delitto di maltrattamenti in famiglia (art. 572 del c.p.) e il delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 del c.p.).
Naturalmente, in tali casi, fornita una prima consulenza, data la delicatezza delle questioni trattate e l’impossibilità di risolverle “a distanza”, si consiglia, inevitabilmente, di rivolgersi ad un legale esperto della materia per un’assistenza diretta.
LA TUTELA DEI SOGGETTI INCAPACI: ORIGINI DEGLI ISTITUTI DI PROTEZIONE E NORMATIVA DI RIFERIMENTO
La legge 9 gennaio 2004, n. 6 ha innovato profondamente il sistema delle misure previste dalla legge a tutela di quei soggetti che, per diversi motivi, si trovano ad essere privi, totalmente o parzialmente, della capacità di intendere e di volere.
Tale radicale cambiamento è evidente già dalla modifica dalla rubrica del Titolo XII del codice civile, ora dedicato alle “misure di protezione delle persone prive in tutto od in parte di autonomia”.
Si è trattato di una piccola rivoluzione copernicana. Infatti, il sistema precedente era incentrato sulla tutela del patrimonio, più che del soggetto “incapace”, e la principale preoccupazione sembrava essere quella di evitare che quest’ultimo disperdesse i propri beni. Inoltre, veniva operata una radicale (nel caso dell’interdizione) o comunque consistente (nel caso dell’inabilitazione) riduzione della capacità di agire.
Invece, nella normativa attualmente vigente, sono divenuti centrali la protezione della persona e il rispetto della dignità del soggetto da tutelare.
In quest’ottica, è stata innanzitutto introdotta, accanto ai tradizionali istituti dell'interdizione e dell'inabilitazione, l’amministrazione di sostegno, quale strumento d’elezione a tutela della “persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi”.
Dunque, l’amministrazione di sostegno non presuppone necessariamente una infermità di tipo psichico, ma può essere utilizzata anche per far fronte a difficoltà di tipo fisico, che lascino intatta la capacità di intendere e di volere del soggetto. Inoltre, le condizioni che danno luogo alla nomina di un amministratore di sostegno possono avere anche carattere temporaneo.
L’amministrazione di sostegno è uno strumento flessibile, in quanto può essere adattato alle caratteristiche del singolo caso concreto: non è prevista a priori una limitazione o privazione della capacità di agire, ma è il provvedimento di nomina dell’amministratore di sostegno, emesso dal giudice tutelare, che di volta in volta individua le categorie di atti che l'amministratore di sostegno ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario, nonché degli atti che il beneficiario può compiere solo con l'assistenza dell'amministratore di sostegno.
Ciò consente, dunque, di salvaguardare una eventuale residua autonomia del soggetto: infatti, l’art. 409 del c.c. precisa che il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno, e che egli può, in ogni caso, compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana.
Permangono, nel sistema del codice, le “tradizionali” figure dell’interdizione e dell’inabilitazione, ma come istituti residuali, e con i correttivi ispirati dalla ratio della nuova disciplina.
In primo luogo, il nuovo testo dell’art. 414 del c.c. prevede che si faccia luogo all’interdizione quando ciò è necessario per assicurare l'adeguata protezione degli incapaci.
Inoltre, a seguito della modifica dell’art. 427 del c.c., nella sentenza che pronuncia l'interdizione o l'inabilitazione, o in successivi provvedimenti dell'autorità giudiziaria, può stabilirsi che taluni atti di ordinaria amministrazione possano essere compiuti dall'interdetto senza l'intervento ovvero con l'assistenza del tutore, o che taluni atti eccedenti l'ordinaria amministrazione possano essere compiuti dall'inabilitato senza l'assistenza del curatore.
Gli avvocati specializzati di Brocardi.it si occupano spesso di consulenza giuridica in materia di misure di tutela delle persone prive di autonomia.
I quesiti per cui si richiede il parere di un avvocato riguardano, soprattutto, l’istituto dell’amministrazione di sostegno, ma non mancano le richieste di parere legale riguardanti gli altri due istituti di protezione.
Da ultimo, è piuttosto frequente anche la richiesta di consulenza legale in relazione all’art. 428 del c.c., il quale disciplina la sorte degli atti compiuti da chi, pur non essendo destinatario di alcuna misura di protezione, si sia trovato in quel momento, anche per cause transitorie, in stato di incapacità di intendere e di volere (c.d. incapacità naturale).
GLI ALIMENTI: ORIGINI DELL'ISTITUTO E NORME APPLICABILI
Proprio dai doveri di solidarietà familiare nasce l’obbligazione alimentare, prevista dagli artt. 433 e ss. c.c.
Gli alimenti consistono in prestazioni di natura economica, che spettano a chi si trova in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento, e comprendono quanto necessario per la vita del beneficiario.
In concreto, la prestazione degli alimenti può avvenire sia versando periodicamente una somma di denaro, sia accogliendo e mantenendo nella propria casa chi ne ha diritto.
Sono obbligati a prestare gli alimenti alcuni stretti congiunti, nel rigoroso ordine indicato dal codice civile (coniuge; figli anche adottivi e discendenti prossimi; genitori, anche adottivi, e ascendenti prossimi; generi e nuore; suocero e suocera; fratelli e sorelle). Fa eccezione solo il caso di chi ha ricevuto una donazione, il quale è tenuto, con precedenza sugli altri soggetti ma entro determinati limiti, a corrispondere gli alimenti al donante.
Le applicazioni pratiche delle norme sugli alimenti sono molto frequenti. Anche il team legale specializzato di Brocardi.it riceve spesso richieste di consulenza giuridica in materia. Le preoccupazioni più ricorrenti di chi richiede un parere legale in materia di alimenti sono quelle collegate al dovere di assistere persone legate da vincoli di parentela, ma con cui spesso non si intrattengono rapporti, nonché all’entità ed alle modalità di prestazione di tale assistenza.

CONSULENZE LEGALI IN TEMA DI FAMIGLIA, TUTELA DEGLI INCAPACI, ALIMENTI
Consulta l'elenco completo delle consulenze legali in materia di famiglia, tutela degli incapaci e alimenti redatte dai legali di Brocardi.it.

Qui di seguito vengono esposti succintamente alcuni casi particolarmente emblematici o di frequente accadimento, utili in molti casi per trovare già alcune risposte preliminari ai propri problemi.
Ecco una casistica di alcune tra le problematiche più significative in materia di famiglia, protezione dei soggetti incapaci e alimenti, che il servizio di consulenza legale di Brocardi.it affronta quotidianamente.
Consulenza legale in materia di assegnazione della casa familiare in caso di separazione personale dei coniugi
Caso esemplificativo: io e il mio compagno ci stiamo separando. Abbiamo un bambino piccolo. L’abitazione in cui viviamo è di sua proprietà, può mandarmi via di casa?
L’esempio appena fatto rappresenta - con diverse possibili varianti - una delle preoccupazioni più frequenti in caso di crisi della coppia, sposata o meno, quando la casa familiare appartiene a uno solo dei due. In genere, infatti, il partner non proprietario esprime il timore di dover abbandonare l’abitazione: lo staff di Brocardi.it si trova a rispondere a molte richieste di parere legale sull’argomento, offrendo un'assistenza qualificata e professionale.
Quello appena esposto, rappresenta un timore assolutamente comprensibile, ma del tutto ingiustificato.
È bene ribadire, infatti, che il “nuovo” art. 337 sexies del c.c. stabilisce che “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli”.
Pertanto, l'eventuale titolo di proprietà non influisce, in presenza di figli minori o comunque non autosufficienti, sull’assegnazione della casa familiare, che viene disposta in favore del genitore con cui i figli convivono stabilmente; semmai, il giudice potrà tenerne conto ai fini della regolazione complessiva dei rapporti economici tra i genitori.
Parere legale in materia di giusta causa di allontanamento dalla residenza familiare
Caso esemplificativo: siamo sposati ma attraversiamo un periodo di crisi. Posso allontanarmi dalla casa familiare, o rischio di essere denunciata per “abbandono del tetto coniugale”?
Nella vita di tutti i giorni accade molto spesso che, prima di separarsi legalmente, i coniugi attraversino un periodo di separazione di fatto, poiché i contrasti esistenti nella coppia rendono irrespirabile l’atmosfera familiare (causando appunto quella intollerabilità della convivenza che costituisce il presupposto della separazione), o semplicemente per prendersi quella che nel linguaggio comune viene definita “pausa di riflessione”.
Tra le richieste di consulenza giuridica che pervengono alla redazione di Brocardi.it, sono numerose quelle riguardanti eventuali conseguenze, sia civili che penali, di un allontanamento volontario dalla casa familiare.
Si tratta di una preoccupazione non infondata, dal momento che sia il matrimonio che la procreazione di figli comportano la nascita di ben precisi diritti e doveri, previsti, rispettivamente, dagli artt. 143 e ss. c.c. e dagli artt. 315 e ss. c.c.
Il mancato rispetto di tali diritti e doveri è sanzionato anche penalmente dall’art. 570 del c.p., che prevede il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare.
Inutile dire che la situazione è particolarmente delicata in presenza di figli minori.
Pertanto, a chi intende abbandonare la casa coniugale senza iniziare formalmente, almeno nell’immediato, una separazione (infatti per l’art. 146 del c.c. la presentazione di un ricorso per separazione dei coniugi, annullamento del matrimonio o divorzio costituisce giusta causa di allontanamento dalla residenza familiare), si consiglia di raggiungere ove possibile, con l’altro partner, un accordo scritto, in cui si dia atto della comune decisione di separarsi (anche temporaneamente) e della situazione di crisi familiare, concordando l’eventuale assegno in favore del coniuge ma, soprattutto, le condizioni relative alla collocazione, alla frequentazione ed al mantenimento dei figli.
Laddove, invece, si tratti di una decisione unilaterale o, semplicemente, l’altra “metà” non intenda firmare alcun accordo, sarà necessario comunicare (sempre in forma scritta, solitamente a mezzo raccomandata A.R.) la propria intenzione di porre fine alla convivenza, motivandola, e - in presenza di figli - comunicare il nuovo indirizzo e i recapiti per consentire i contatti con l’altro genitore, invitandolo comunque a concordare le modalità di frequentazione e mantenimento.
Naturalmente, in questi casi, e in particolar modo in caso di disaccordo, è assolutamente sconsigliabile affidarsi al fai - da - te ed è preferibile, anzi, richiedere una consulenza legale.
A tal fine, diventa fondamentale l'assistenza di un team legale specializzato, come quello di Brocardi.it, che possa accompagnare nella comprensione precisa dei diritti e facoltà di ciascuno.
Risposta a quesiti legali con riguardo al regime di comunione legale dei beni
Caso esemplificativo: sono sposata, in regime di comunione dei beni. Posso acquistare un immobile facendo in modo che sia intestato solo a me e non rientri nella comunione?
Si tratta di una domanda ricorrente nel servizio di consulenza giuridica di Brocardi.it.
La risposta va ricercata nel secondo comma dell’art. 179 del c.c., il quale prevede che l'acquisto di beni immobili (o di beni mobili iscritti in pubblici registri), se “effettuato dopo il matrimonio, è escluso dalla comunione, ai sensi delle lettere c), d) ed f) del precedente comma, quando tale esclusione risulti dall'atto di acquisto se di esso sia stato parte anche l'altro coniuge”.
La formulazione della norma è tale da lasciare spazio a qualche dubbio, e nel corso degli anni la giurisprudenza ha provveduto a chiarirne meglio il significato.
In particolare, la Corte di Cassazione ha affermato che, ai fini dell’esclusione volontaria dalla comunione di un bene immobile acquistato durante il matrimonio, non è sufficiente che tale esclusione risulti dall’atto di acquisto (alla cui stipula sia intervenuto l’altro coniuge), ma occorre, altresì, che il bene rientri effettivamente in una delle tre categorie indicate dal secondo comma dell’art. 179 c.c.: e cioè beni di uso strettamente personale (lettera c), o beni destinati all'esercizio della professione del coniuge acquirente (lettera d), oppure beni acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni personali (lettera f).
Il principio era già stato enunciato chiaramente dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 22755/2009: “l'intervento adesivo del coniuge [...] non rileva come atto negoziale di rinuncia alla comunione e, qualora la natura personale del bene che viene acquistato sia dichiarata solo in ragione di una sua futura destinazione, sarà l'effettività di tale destinazione a determinarne l'esclusione dalla comunione, non certo la pur condivisa dichiarazione di intenti dei coniugi sulla sua futura destinazione”.
In epoca più recente, Cass. Civ., Sez. II, ord., n. 29342/2018, ha affermato che: “la dichiarazione resa nell'atto dal coniuge non acquirente, ai sensi dell'art. 179, comma 2°, c.c., in ordine alla natura personale del bene, si pone come condizione necessaria ma non sufficiente per l'esclusione del bene dalla comunione, occorrendo a tal fine non solo il concorde riconoscimento da parte dei coniugi della natura personale del bene, richiesto esclusivamente in funzione della necessaria documentazione di tale natura, ma anche l'effettiva sussistenza di una delle cause di esclusione dalla comunione tassativamente indicate dall'art. 179, comma 1°, lett. c), d) ed f), c.c.”.
In senso conforme anche Cass. Civ., Sez. II, ord. n. 24719/2017, secondo cui la dichiarazione resa dal coniuge non acquirente può rivestire, semmai, valore di prova dell'esistenza dei presupposti di fatto a cui la legge collega l'esclusione dalla comunione.
Chiarimenti legali in merito all'ipotesi di spese sostenute solamente da uno dei coniugi per la ristrutturazione della casa familiare
Caso esemplificativo: io e mia moglie abitiamo in una casa intestata solo a lei. Qualche anno fa abbiamo intrapreso importanti lavori di ristrutturazione, pagati interamente da me. Ora che ci stiamo separando, posso chiedere il rimborso di quanto ho speso per risistemare l’abitazione familiare?
Finché si va d’amore e d’accordo, si fanno progetti di vita insieme e si spendono soldi per il “nido”, senza badare troppo al fatto che questo sia intestato solo a una delle due metà della coppia. Ma cosa succede quando l’idillio finisce?
Si tratta di una situazione tutt’altro che infrequente, che porta l’uno o l’altro dei coniugi a richiedere il parere di un avvocato per fare chiarezza.
Ora, in tema di spese per la ristrutturazione e il miglioramento dell’immobile utilizzato come casa coniugale, a volte si è fatto ricorso all’art. 1150 del c.c., norma che fa parte della disciplina del possesso.
Per la disposizione in esame il possessore, anche se di mala fede, ha diritto al rimborso delle spese fatte per le riparazioni straordinarie; inoltre, egli ha diritto a un’indennità per i miglioramenti recati alla cosa, purché sussistano al tempo della restituzione.
Secondo certa giurisprudenza (si veda Cass. Civ., Sez. I, 10942/2015), in sede di scioglimento della comunione legale tra coniugi, al coniuge non proprietario non spetta alcuna indennità, ai sensi dell'art. 1150 c.c., per le migliorie apportate, a proprie spese, all'abitazione familiare di proprietà esclusiva dell'altro, quando le opere realizzate risultino finalizzate a rendere l'abitazione più confacente ai bisogni della famiglia e, quindi, l'esborso si riveli sostenuto in adempimento dell'obbligo di contribuzione di cui all'art. 143 del c.c..
Ed ancora, per Cass. Civ., Sez. I, 10942/2015, il diritto del coniuge non proprietario di ottenere una indennità, ai sensi dell'art. 1150 c.c., per le migliorie apportate all'abitazione familiare di proprietà esclusiva dell'altro può essere escluso laddove tali spese siano state eseguite per il soddisfacimento di bisogni familiari.
Non mancano, però, anche pronunce che si esprimono in senso opposto: ad esempio, Cass. Civ., Sez. II, 13259/2009, ha affermato che: “il coniuge che, in costanza di matrimonio, abbia provveduto a proprie spese ad eseguire migliorie od ampliamenti dell'immobile di proprietà esclusiva dell'altro coniuge ed in godimento del nucleo familiare, in quanto compossessore ha diritto ai rimborsi ed alle indennità contemplate dall'art. 1150 c.c. in favore del possessore, nella misura prevista dalla legge a seconda che fosse in buona o mala fede, mentre va esclusa l'invocabilità dell'art. 936 cod. civ., in tema di opere fatte da un terzo con materiali propri, difettando nel compossessore il requisito della terzietà”.
Tuttavia, la soluzione del problema non è sempre pacifica e molto dipende dalle caratteristiche del singolo caso concreto, oltre che dagli orientamenti giurisprudenziali spesso oscillanti.
La Redazione giuridica di Brocardi.it mette a disposizione le proprie competenze e professionalità nel campo della consulenza giuridica, per risolvere questa come altre problematiche in materia di diritto di famiglia.

Assistenza legale in merito all'istituto dell'amministrazione di sostegno
Caso esemplificativo: mia madre ha più di 90 anni, qualche problema di salute legato all’età, ma è perfettamente lucida. Vorrebbe procedere alla vendita di un immobile di sua proprietà. Può farlo liberamente o necessita di un amministratore di sostegno per gestire al meglio i propri interessi?

Va premesso che l’amministrazione di sostegno, a differenza dell’interdizione, non presuppone necessariamente una infermità mentale, più o meno grave, ma semplicemente che l’interessato si trovi nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi. Tale impossibilità può derivare, secondo il testo dell’art. 404 del c.c., sia da una menomazione fisica che psichica.
Detto ciò, l’età avanzata non determina, di per sé, il ricorso alla nomina di un amministratore di sostegno, in quanto il giudice tutelare dovrà preferibilmente adottare soluzioni tali da salvaguardare la residua autonomia del soggetto.
Si tratta di un principio espresso in alcune recenti pronunce di merito, tra le quali si segnala Tribunale Vercelli, decreto 16.10.2015, secondo cui “ove la persona per la quale viene richiesta l'attivazione dell'amministrazione di sostegno in ragione dell'età avanzata e di deficit visivi, uditivi e di deambulazione di varia gravità, non sia affetta da alcuna patologia psichica e goda di una rete di ausilio costituita dal servizio di assistenza domiciliare, da parenti e vicini di casa e dal proprio legale, non deve farsi luogo all'amministrazione di sostegno – misura comportante la privazione, sia pure parziale, della capacità di agire – ben potendosi procedere, ove l'interessato vi consenta, al conferimento di una procura generale in favore di persona di stretta fiducia quantomeno per il compimento di attività di straordinaria amministrazione patrimoniale”.
Soluzioni legali con riferimento all'istituto degli alimenti
Caso esemplificativo: ho saputo che un mio stretto parente, con il quale non ho rapporti da tempo, e che oltretutto vive in un’altra città, è in precarie condizioni di salute e necessita di assistenza. Sono obbligata ad occuparmi di lui? Se sì, in quale modo? Devo ospitarlo in casa mia?
L’esempio appena formulato rappresenta un caso pratico ricorrente nelle richieste di consulenza legale ricevute da Brocardi.it.
Accade spesso, infatti, che per anni si interrompano, per vari motivi, le relazioni con un genitore, o un fratello, o comunque uno stretto congiunto, il quale a un certo punto potrebbe trovarsi in una situazione di difficoltà.
Per risolvere questo genere di dubbi è necessario fare riferimento alla disciplina degli alimenti.
Si tratta di una normativa abbastanza articolata, della quale in questa sede ci limiteremo ad esporre i punti salienti.
In primo luogo, non tutte le relazioni umane obbligano alla prestazione alimentare: i soggetti tenuti agli alimenti sono, infatti, tassativamente indicati dal codice civile, che stabilisce anche una “graduatoria” tra loro: innanzitutto, chi ha ricevuto una donazione, il quale è obbligato a prestare gli alimenti al donante con precedenza su ogni altro obbligato; poi gli obbligati in virtù di rapporti di tipo familiare. Questi ultimi sono, nell’ordine: il coniuge; i figli, anche adottivi, e, in loro mancanza, i discendenti prossimi; i genitori e, in loro mancanza, gli ascendenti prossimi; gli adottanti; i generi e le nuore; il suocero e la suocera; i fratelli e le sorelle germani o unilaterali, con precedenza dei germani sugli unilaterali.
In secondo luogo, gli alimenti consistono in una prestazione di natura economica, che tuttavia può essere attuata con modalità alternative: o versando periodicamente una somma di denaro, o accogliendo nella propria casa il beneficiario. La scelta è, di regola, rimessa al soggetto obbligato.
Da ultimo, per avere diritto agli alimenti non basta una situazione di semplice difficoltà: essi infatti spettano solo a chi si trova in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento. Nella loro quantificazione, inoltre, deve tenersi conto sia del bisogno di chi li domanda, sia delle condizioni economiche di chi deve versarli.
Per una panoramica più completa dell’istituto, si rinvia all’ampia casistica presente nel servizio di consulenza legale offerto da Brocardi.it.

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