Il problema dell'indennità per miglioramenti
L'art. 495 del codice del 1865, partendo dal presupposto che l'usufruttuario non può rendere più onerosa la posizione del proprietario,
escludeva qualunque indennità per i miglioramenti apportati dall'usufruttuario anche se avessero aumentato il valore della cosa e ammetteva soltanto che l'aumento di valore potesse compensarsi coi deterioramenti che fossero seguiti senza colpa grave dell'usufruttuario, stabiliva inoltre che, rispetto alle addizioni separabili, usufruttuario avesse un
ius tollendi che però il proprietario poteva paralizzare pagando all'usufruttuario una somma corrispondente al prezzo che questi ne poteva ritrarre staccandole.
Sono note le
controversie che si sono avute sulla interpretazione dell'art. 495, ritenendo alcuni che l'esclusione del diritto alla indennità riguardasse i miglioramenti in senso stretto e non le addizioni, ritenendo altri che la lettera e lo spirito della disposizione non autorizzava alcuna distinzione fra miglioramenti e addizioni, salvo, per le addizioni separabili senza nocumento della cosa, l'esercizio dello
ius tollendi da parte dell'usufruttuario. Quasi tutti gli scrittori erano però d'accordo nel rilevare che l'esclusione di ogni diritto a indennità per i miglioramenti era eccessivamente rigorosa e finiva col pregiudicare l'interesse sociale all'incremento della produttività delle cose, interesse particolarmente notevole per i fondi rustici per i quali il problema dell'indennità per i miglioramenti richiedeva con sempre maggiore urgenza una soluzione che di quell'interesse tenesse conto.
Il
Progetto preliminare (art. 136) aveva attenuato il rigore della norma del codice ammettendo l'indennità per i miglioramenti quando questi fossero stati fatti a scienza e senza opposizione del proprietario. Ma questa soluzione intermedia alla fine non apparve sufficiente, si che l'art.
984 riconosce incondizionatamente il diritto dell'usufruttuario all'indennità per i miglioramenti che sussistono al momento in cui, estinto l'usufrutto, la cosa e restituita al proprietario.
La legge, a proposito dell'usufrutto (come del resto a proposito dell'enfiteusi l' art.
975, del possesso l' art.
1150 della locazione l'art.
1592),
distingue tra miglioramenti e addizioni e detta una diversa disciplina quasi sempre impostata sul riconoscimento di una diritto all' indennità per i miglioramenti, e sul riconoscimento di uno
ius tollendi per le addizioni che può essere neutralizzato dalla volontà del proprietario di ritenerle mediante il pagamento di un compenso.
Concetto di miglioramento
La differenza concettuale fra miglioramenti e addizioni, che il legislatore ha voluto riaffermare anche a fini pratici, consiste principalmente nel fatto che
i miglioramenti non danno luogo ad una nuova entità, sia pure unita o incorporata alla cosa, ma risultano o da una disposizione nuova degli elementi che costituiscono la cosa o dall'aggiunta di elementi nuovi che però si compenetrano e si confondono cogli elementi originari,
mentre le addizioni importano la creazione di una nuova entità che conserva o può riacquistare una propria individualità. Il miglioramento, in quanto rappresenta un potenziamento qualitativo della cosa (ad es. bonifica, prosciugamento, dissodamento etc.) è intrinseco a questa e non e suscettibile di essere rimosso o separato perché non può essere individuato negli elementi originari attraverso il cui impiego è stato posto in essere, invece l'addizione, in quanto importa una estensione quantitativa della cosa (es. costruzioni, piantagioni) può essere individuata nei suoi elementi costitutivi e quindi e suscettibile di essere rimossa o separata, anche se la rimozione fa perdere all'addizione il carattere e la struttura che aveva acquistato attraverso l'unione o l'incorporazione alla cosa principale (come nel caso di rimozione di una costruzione che trasforma questa in un complesso di materiali).
I miglioramenti per i quali l'usufruttuario ha diritto a indennità sono naturalmente quelli che non solo rispettano la destinazione economica della cosa, ma che sono
fatti nell'ambito della destinazione medesima. Se il codice non ripete per i miglioramenti dell'usufruttuario il limite del rispetto della destinazione economica della cosa che invece espressamente ricorda per le addizioni, ciò è perchè il legislatore non ha considerato miglioramenti quelli fatti al di fuori e indipendentemente dalla destinazione della cosa o che possono produrre un'alterazione di essa. Se l'usufruttuario pone in essere opere utili che modificano o possono modificare la destinazione economica che alla cosa ha dato il proprietario, egli sarà responsabile verso di questo secondo i principi generali, del pari non avrà diritto a indennità per miglioramenti che non hanno per oggetto la cosa in quella destinazione, perchè in tal caso mancherà il risultato utile che deve essere appunto valutato in funzione di quel limite generale del godimento dell'usufruttuario che è la conservazione della destinazione economica della cosa.
L'indennità dovuta all'usufruttuario
n diritto dell'usufruttuario all'indennità sorge solo se il risultato utile dei miglioramenti sussiste al
momento in cui la cosa è restituita al proprietario. Veramente il testo dell'articolo si riferisce al momento della cessazione dell'usufrutto, ma è evidente che questo riferimento è stato fatto avendo riguardo alla normalità dei casi in cui i due momenti coincidono e che perciò, se l'usufruttuario o i suoi eredi sono in mora a restituire la cosa, non possono pretendere indennità per i miglioramenti che esistevano al momento della cessazione dell'usufrutto ma non in quello in cui la cosa viene effettivamente restituita (arg.
ex art.
1150 che per il possessore considera appunto il momento della restituzione).
La misura dell'indennità è determinata con gli stessi criteri adottati dalla legge per il possessore di mala fede. Mentre infatti per il possessore di buona fede (
art. 1150 del c.c.) e per l'enfiteuta nel caso di devoluzione (
art. 975 del c.c.) il proprietario deve corrispondere un'indennità equivalente all'aumento di valore, invece per il possessore di mala fede, per l'usufruttuario e per il conduttore l'indennità, dovuta corrisponde alla somma minore fra lo speso e il migliorato. L'assimilazione, sotto il profilo considerato dell'usufruttuario al possessore di mala fede e giustificata dall'esigenza di non aggravare la posizione del proprietario oltre i limiti in cui appare legittima la tutela delle ragioni dell'usufruttuario.
Si potrebbe discutere se a garanzia della indennità per i miglioramenti l'usufruttuario abbia il diritto di ritenzione l pari del possessore di buona fede (
art. 1152 del c.c.) e dell'enfiteuta (
art. 985 del c.c.). Ma è indubbio che la legge abbia voluto escludere per l'usufruttuario tale garanzia: ciò si rileva non solo per il fatto che l'usufruttuario non può essere considerato alla stregua del possessore di buona fede, ma dal fatto che per l'enfiteuta la legge, risolvendo una questione sorta sotto il codice del 1865, ha ritenuto di ammettere espressamente la ritenzione, mentre per l'usufruttuario l'ha ammessa solo in alcune ipotesi determinate (
art. 1011 del c.c.) e non a garanzia dell'indennità per I miglioramenti. E non è pensabile un'estensione analogica delle disposizioni relative al possessore di buona fede e all'enfiteuta perchè, a parte la natura eccezionale o meno del diritto di ritenzione, vi è intrinseca diversità tra la posizione di questi e quella dell'usufruttuario, e inoltre per l'enfiteuta e il possessore di buona fede la ritenzione è ammessa solo quando nel giudizio di devoluzione o di rivendicazione sia stata data la prova almeno generica dell'esistenza delle migliorie, situazione questa che, com'è ovvio, non si può verificare per l'usufruttuario.