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LE DISTANZE NELLE COSTRUZIONI
Al fine di consentire un ordinato utilizzo degli spazi edificabili, il Codice Civile prevede tutta una serie di disposizioni, a tutela di interessi sia generali che particolari, in materia di distanze nelle costruzioni, piantagioni e scavi, muri, fossi e siepi interposti tra i fondi.
La Sezione VI del Titolo II, Capo II, del libro sulla proprietà, prevede innanzitutto, all'art. 873 c.c., che le costruzioni su fondi confinanti debbano essere tenute a distanza non inferiore a tre metri. Tale regola, come accennato, è posta sulla base di esigenze di carattere pubblicistico, di igiene e sicurezza, tra le quali rientra quella di impedire pericolose intercapedini tra gli edifici, che possono provocare incendi, danneggiamenti di vario tipo, furti, ecc.
Inoltre, tale normativa, ampiamente derogata e specificata dai regolamenti comunali edilizi e dai diversi piani regolatori generali, persegue anche finalità di tutela urbanistica, riguardanti l'ordinato assetto del territorio.
La norma de quo fa riferimento al noto "criterio della prevenzione", in osservanza del quale il proprietario che costruisce per primo "sceglie" quali sono le distanze alle quali il vicino dovrà adeguarsi. Colui che arriva a costruire per secondo, infatti, si troverà al cospetto di diverse alternative, a seconda della condizione dei luoghi. In particolare:
il vicino potrà costruire in aderenza, se il primo proprietario ha costruito sul confine; se preferisce, potrà costruire alla distanza legale minima;
il vicino potrà costruire ad un metro e mezzo dal confine, o alla minore distanza che consente il rispetto della misura minima di tre metri, allorquando il primo proprietario abbia edificato rispettando una distanza dal confine pari o superiore ad un metro e mezzo;
il vicino potrà avanzare la sua costruzione chiedendo la comunione forzosa del muro (art. 875 c.c.) allorché il primo proprietario abbia costruito ad una distanza dal confine inferiore al metro e mezzo.
In particolare, si ritiene che le norme dei regolamenti edilizi che fissano le distanze tra le costruzioni in misura diversa da quelle stabilite dal Codice Civile abbiano portata integrativa delle disposizioni codicistiche. Tale portata si estenderebbe, secondo la dottrina, all’intero impianto di regole e principi del Codice Civile, compreso il meccanismo della prevenzione. Questo significa che i regolamenti locali possono anche escludere il principio della prevenzione, prescrivendo una distanza minima delle costruzioni dal confine o negando espressamente la facoltà di costruire in appoggio o in aderenza.
Altra parte della dottrina opera una distinzione per quanto riguarda la derogabilità della normativa in materia di costruzioni. A tal fine, si suole distinguere tra:
la disciplina prevista dall'art. 873 del c.c. la quale, avendo natura dispositiva, poiché dettata a tutela di interessi privatistici, è liberamente derogabile;
la disciplina contenuta nei regolamenti edilizi e nei piani regolatori che, viceversa, tutela interessi urbanistici generali ed è, in quanto tale, inderogabile.
Dal punto di vista terminologico, per "costruzione"si intende qualunque opera edilizia che presenti i caratteri della stabilità, emergendo al di sopra del livello del suolo (restando esclusi dalla nozione di costruzione, quindi, il muro di contenimento e il muro di cinta). In secondo luogo, per "fondi finitimi" non si intendono esclusivamente i fondi vicini, ma anche quelli che condividano la "linea di confine", anche solo parzialmente.
Per il rispetto delle distanze legali, il Codice Civile attribuisce ai proprietari un'azione simile all'actio confessoria servitutis dettata in materia di servitù prediali. Anche nel caso delle distanze legali, infatti, si tratta di respingere le eventuali limitazioni imposte da terzi a carico della proprietà. L'attore, a tal fine, sarà autorizzato a dimostrare con ogni mezzo di essere legittimo proprietario del fondo. Al proprietario pregiudicato, spetterà, in esito all'esperimento vittorioso dell'azione, il risarcimento del danno subito a causa della limitazione imposta al suo diritto di proprietà. Quindi, in caso di violazione delle norme sulle distanze, la parte che la subisce può chiedere la rimessione in pristino exart. 872 del c.c..
Dopo le norme che disciplinano le distanze per pozzi, cisterne, fosse e tubi, canali e fossi, la norma di cui all'art. 892 c.c. disciplina le distanze per gli alberi. Tale disposizione è volta, in via suppletiva, a impedire che alberi e piante, coltivati sulla linea di confine, possano arrecare danni ai fondi.
LE LUCI E LE VEDUTE
All'art. 900 del c.c. e seguenti vengono poi disciplinate le distanze per le luci e le vedute.
Per luci si intendono tutte le aperture di un edificio che permettono solamente il passaggio dell'aria. Viceversa, le vedute (o prospetti) consistono in quelle aperture sul fondo che presentano la possibilità di guardare sul fondo altrui (inspicere in alienum) e quella di sporgere il capo oltre l'apertura, osservando in tutte le direzioni (prospicere in alienum). Tutte le vedute non qualificabili nell'uno o nell'altro modo, costituiscono "luci irregolari".
L'art. 901 c.c. sancisce i requisiti necessari per l'apertura di una luce, in particolare la presenza e le caratteristica delle inferriate, mentre il successivo art. 905 c.c. determina in un metro e mezzo la distanza minima legale per l'apertura delle vedute dirette (vedute che permettono di guardare frontalmente il fondo del vicino). Per le vedute oblique (che consentono di guardare il fondo del vicino solo volgendo il capo da un lato all'altro), la distanza minima legale è fissata in settantacinque centimetri. Tuttavia, l'art 907 c.c., volto a preservare il diritto di veduta legittimamente acquistato, prevede che "quando si è acquistato il diritto di avere vedute dirette verso il fondo del vicino, il proprietario di questo non può fabbricare a distanza minore di tre metri". Tale obbligo di distanza trova il suo fondamento nel fatto che il diritto di veduta sul fondo del vicino è stato acquistato anteriormente rispetto all'esercizio della facoltà di costruire da parte del vicino.
LO STILLICIDIO E LA GESTIONE DELLE ACQUE PRIVATE
Gli articoli 909 c.c. e seguenti, infine, disciplinano l'utilizzo delle acque esistenti sui fondi. Tali acque sono "private" poiché esistenti su fondi di proprietà privata. Tuttavia, la natura del diritto del proprietario sul fondo è ancora discussa. Infatti, certa parte della dottrina sostiene che tali acque appartengano in realtà al patrimonio indisponibile dello Stato, e vengano solamente concesse in godimento ai titolari dei fondi.
Tuttavia, nell’attuale quadro legislativo in materia di acque, il Codice Civile presenta un ambito di applicazione del tutto residuale e la disciplina rilevante è contenuta nel R.D. n. 1775/33 (T.U. acque).
Ai sensi dell'art. 908 c.c., che definisce lo stillicidio, "il proprietario deve costruire i tetti in maniera che le acque piovane scolino sul suo terreno e non può farle cadere nel fondo del vicino". La norma, collocata nell'ambito dei rapporti di vicinato, costituisce una specificazione del più generale divieto di immissioni moleste, disciplinato dall'art. 844 c.c., volto a respingere le intrusioni dei vicini che possano danneggiare o diminuire il pacifico godimento del fondo. Non occorre che il tetto o l'edificio vengano costruiti in una determinata e precisa maniera, essendo sufficiente che vengano adottati degli opportuni accorgimenti di carattere tecnico, volti ad evitare che le acque piovane scolino appunto sul fondo del vicino.
Attraverso il servizio di consulenza legale di Brocardi.it, sarà possibile conoscere quali sono esattamente i diritti che spettano nell'ambito dei rapporti di vicinato. La disciplina della gestione delle acque e dello stillicidio presenta infatti notevoli ricadute pratiche nella vita quotidiana ed è spesso fonte di litigi e discussioni tra i proprietari dei terreni. In tal caso, può essere utile rivolgersi al servizio di consulenza legale di Brocardi.it, che consente di ottenere risposte rapide ed esaustive in merito ai propri dubbi giuridici, evitando i maggiori costi di un ricorso giurisdizionale.
Qui di seguito vengono esposti succintamente alcuni casi particolarmente emblematici o di frequente accadimento, utili in molti casi per trovare già alcune risposte preliminari ai propri problemi.
Risposta a quesiti legali in materia di distanze nelle costruzioni: è possibile usucapire la servitù di mantenere una costruzione a distanza illegale dal confine?
Come accennato, si ritiene in dottrina che le norme sulle distanze dettate dal Codice Civile non siano assolutamente inderogabili in quanto poste, primariamente, a tutela di interessi privatistici (diversamente rispetto alle norme contenute nei regolamenti edilizi e nei piani regolatori che avrebbero, invece, portata generale e cogente). Tuttavia, poiché i patti che derogano alle norme codicistiche dettate in tema di distanze nelle costruzioni costituiscono un pregiudizio per il fondo, essi rappresentano dei veri e propri atti costitutivi di servitù. In particolare, si ritiene possibile acquisire per usucapione ventennale la servitù di tenere la costruzione a distanza inferiore a quella legale.
In una sua vecchia sentenza la Corte di Cassazione (Cass. 1422/1970) ha affermato che, anche se il potere di far valere le limitazioni della proprietà nei rapporti di vicinato è imprescrittibile, è tuttavia ammissibile la costituzione per usucapione di una servitù il cui contenuto contrasti con una di tali limitazioni (nel caso specifico, è stata ritenuta ammissibile la costituzione per usucapione del diritto di tenere una costruzione a distanza inferiore a quella della costruzione del vicino e dal confine prescritta dal regolamento edilizio).
Per l'acquisto di tale servitù, è necessario un comportamento continuo ed ininterrotto, inteso in modo inequivocabile ad esercitare sulla cosa un diritto corrispondente a quello del diritto reale minore costituito dalla servitù prediale.
Colui il quale vede violare una distanza legale inderogabile in suo danno, sarà quindi legittimato ad agire civilmente per la sua regolarizzazione, purché però non siano trascorsi venti anni a partire dal momento in cui la violazione si è resa manifesta. Nel caso di violazione di disposizioni amministrative di stampo regolamentare, viceversa, è possibile agire in via amministrativa per l’annullamento di concessioni o licenze o per il risarcimento del danno.
Parere degli avvocati di Brocardi.it in materia di muro di cinta: quando è necessario osservare le norme sulle distanze?
Il cosiddetto “muro di cinta” di cui all’art. 878 c.c.. presenta le seguenti caratteristiche:
è isolato (nel senso che ha le due “facce” libere, distaccate da altre costruzioni);
dev’essere di altezza inferiore a 3 metri;
dev’essere destinato alla demarcazione della linea di confine ed a separazione e chiusura di proprietà limitrofe.
Il muro con queste caratteristiche è esentato dall’osservanza della normativa civilistica sulle distanze tra le costruzioni.
Tuttavia, può capitare il concreto che l'installazione di un muro di cinta segua alla creazione di un dislivello artificiale tra fondi contigui, che non si limita a contenere il terrapieno naturale, ma che costituisce una vera e propria nuova "costruzione".
La giurisprudenza, riguardo alla funzione di contenimento di un muro di cinta e all'applicazione delle norme sulle distanze nelle costruzioni, ha affermato che “In tema di muri di cinta, qualora l'andamento altimetrico di due fondi limitrofi sia stato artificialmente modificato, così da creare tra essi un dislivello che prima non esisteva, il muro di cinta viene ad assolvere, oltre alla funzione sua propria di delimitazione tra le proprietà, anche quella di sostegno e contenimento del terrapieno creato dall'opera dell'uomo; conseguentemente, esso va equiparato ad una costruzione in senso tecnico-giuridico agli effetti delle distanze legali (senza che abbia rilievo chi, tra i proprietari confinanti, abbia in via esclusiva o prevalente realizzato tale intervento) ed è assoggettato al rispetto delle distanze stesse.” (Cass. civ. Sez. II Sent., 03/05/2018, n. 10512)
Gli avvocati specializzati di Brocardi.it hanno maturato una vasta esperienza in materia di distanze nelle costruzioni. I rapporti di vicinato sono notoriamente e da sempre fonte di litigi e discussioni che, nella peggiore delle ipotesi, rischiano di condurre a vertenze giudiziarie che comportano un inevitabile esborso di denaro per entrambe le parti. L'assistenza fornita dal team di avvocati di Brocardi.it permette di evitare questo inutile dispendio economico, risolvendo la questione sul nascere, attraverso una consulenza specifica e personalizzata, che permetterà di trovare una rapida soluzione ad ogni genere di questione.
Consulenza legale del team di avvocati specializzati di Brocardi.it in tema di luci e vedute: è ammissibile un "diritto di panorama"?
Seppur non espressamente previsto dalle norme del codice civile, la giurisprudenza oramai consolidata riconosce il c.d. diritto di panorama, definito come "il diritto di ciascuno di godere dello spazio, della luce e, per quando possibile, del verde nella prossimità della propria abitazione". Non avendo tale diritto espresso riconoscimento nel nostro ordinamento, la giurisprudenza riconduce la sua tutela nella stessa normativa delle luci e le vedute agli artt. 900 e ss. del c.c.
Secondo Cass. Civ., Sez II, n. 8572 del 12.04.2006 la panoramicità del luogo consiste in una situazione di fatto derivante dalla bellezza dell'ambiente e dalla visuale che si gode da un certo posto, e qualifica il diritto di panorama come una servitus altius non tollendi, ovvero la servitù di non costruire oltre una certa altezza. Tale servitù rientra nelle tipologie di servitù non apparenti, nelle quali rientrano tutte le tipologie di servitù che per il loro esercizio non richiedono la costruzione di opere particolari. Di conseguenza, tale servitù, pur ammissibile, non sarà suscettibile di essere acquistata, a titolo originario, tramite usucapione, ma solo tramite atti di autonomia privata, contratto o testamento, soggetti all’obbligo di forma scritta ad substantiam e trascrizione nei registri immobiliari ai fini dell’opponibilità ad eventuali terzi acquirenti del fondo servente.
Recente giurisprudenza (Sentenza della Corte di Cassazione Civile, n. 2973 del 27 febbraio 2012) ha affermato che "il riconoscimento in capo al proprietario di un immobile del diritto di veduta dal proprio terrazzo, in ragione della preesistenza della visuale all’acquisto dell’immobile, viola il principio della tipicità dei modi di acquisto dei diritti reali, giacché è vero che una servitù altius non tollendi (ovvero una servitù negativa e non apparente) può essere costituita oltre che negozialmente anche per destinazione del padre di famiglia od usucapione, ma tali modi di costituzione necessitano, non solo, a seconda dei casi, della destinazione conferita dall’originario unico proprietario o dell’esercizio ultraventennale di attività corrispondenti alla servitù, ma anche di opere visibili e permanenti, ulteriori rispetto a quelle che consentono la veduta”.
Parere legale del team di avvocati di Brocardi.it in merito al diritto di chiudere le luci
Ai sensi dell'art. 904 c.c., il proprietario del fondo confinante ha il potere di far chiudere le luci presenti nel muro del vicino, nel caso in cui costituisca in aderenza o in appoggio all'edificio preesistente. Nel caso di costruzione in appoggio, sarà necessario chiedere la comunione del muro. Viceversa, nel caso di costruzione solamente in aderenza, non è richiesto l'acquisto della comunione del muro, essendo sufficiente che il manufatto abbia le caratteristiche funzionali della costruzione, ovvero sia stabile e permanente (tali requisiti sono integrati anche da una semplice recinzione).
Ci si è chiesti in giurisprudenza se, nel caso di un'apertura lucifera ostruita dall'accumulo di macerie e dalla presenza di uno scheletro di fabbricato oggetto di sequestro, il vicino possa invocare il diritto di chiudere le luci. In tal senso, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 3391 del 15 febbraio 2007, ha statuito che, nel caso di apertura lucifera ostruita da macerie, il vicino non possa esercitare il diritto di cui all'art. 904 c.c., poiché le macerie non possono essere qualificate come "costruzione in aderenza", così come contemplata dalla norma di cui all'art. 904 c.c., mentre "la presenza di uno scheletro di un fabbricato sequestrato non può significare che lo stesso sarà completato e comunque neppure che le dimensioni ed il posizionamento di esso siano definitivi, atteso che la condizione dei luoghi deve essere valutata al momento dello spoglio e non in relazione ad una situazione in divenire".
In ogni caso, la giurisprudenza ha chiarito che il diritto del proprietario di un fondo di chiudere le luci presenti nel muro del vicino non può mai essere esercitato al solo scopo di arrecare danno o nocumento di qualsiasi genere al vicino, e questo in ossequio al generale divieto di atti emulativi previsto dall'art. 833 del c.c..
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Assistenza giuridica del team di legali specializzati di Brocardi.it in materia di stillicidio
La norma di cui all'art. 908 c.c. prevede che "il proprietario deve costruire i tetti in maniera che le acque piovane scolino sul suo terreno e non può farle cadere nel fondo del vicino". L'interpretazione letterale di tale disposizione conduce a ritenere che si possa fare, nell'applicazione della norma, esclusivamente riferimento ai "tetti". È possibile estendere la portata di tale nozione?
Accade spesso che i proprietari dei fondi decidano di recintare le loro proprietà con dei muri che provvedono poi a coprire con tetti o altre costruzioni simili. A seconda della tipologia di muro utilizzato per la recinzione, è possibile che, anziché dei veri e propri tetti, vengano utilizzati, come copertura, altri manufatti, come per esempio pioventi di lamiera o simili.
In tali casi, ci si potrebbe domandare se, nel caso in cui lo scolo delle acque su tali manufatti finisca per provare danni al fondo del vicino (infiltrazioni, muffe, ecc.) sia applicabile il divieto di cui all'art. 908 c.c., interpretato estensivamente.
Ebbene, gli interpreti ritengono che nell'art. 908 c.c. siano ricomprese tutte le costruzioni e ogni tipo di copertura che sia in grado di raccogliere, per scaricare altrove, le acque piovane ( cfr. Trib. Messina 1/12/2006); quindi, anche in presenza di lastre con spiovente.
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LE DISTANZE NELLE COSTRUZIONI
Al fine di consentire un ordinato utilizzo degli spazi edificabili, il Codice Civile prevede tutta una serie di disposizioni, a tutela di interessi sia generali che particolari, in materia di distanze nelle costruzioni, piantagioni e scavi, muri, fossi e siepi interposti tra i fondi.
Inoltre, tale normativa, ampiamente derogata e specificata dai regolamenti comunali edilizi e dai diversi piani regolatori generali, persegue anche finalità di tutela urbanistica, riguardanti l'ordinato assetto del territorio.
In particolare, si ritiene che le norme dei regolamenti edilizi che fissano le distanze tra le costruzioni in misura diversa da quelle stabilite dal Codice Civile abbiano portata integrativa delle disposizioni codicistiche. Tale portata si estenderebbe, secondo la dottrina, all’intero impianto di regole e principi del Codice Civile, compreso il meccanismo della prevenzione. Questo significa che i regolamenti locali possono anche escludere il principio della prevenzione, prescrivendo una distanza minima delle costruzioni dal confine o negando espressamente la facoltà di costruire in appoggio o in aderenza.
Altra parte della dottrina opera una distinzione per quanto riguarda la derogabilità della normativa in materia di costruzioni. A tal fine, si suole distinguere tra:
Dal punto di vista terminologico, per "costruzione" si intende qualunque opera edilizia che presenti i caratteri della stabilità, emergendo al di sopra del livello del suolo (restando esclusi dalla nozione di costruzione, quindi, il muro di contenimento e il muro di cinta). In secondo luogo, per "fondi finitimi" non si intendono esclusivamente i fondi vicini, ma anche quelli che condividano la "linea di confine", anche solo parzialmente.
Per il rispetto delle distanze legali, il Codice Civile attribuisce ai proprietari un'azione simile all'actio confessoria servitutis dettata in materia di servitù prediali. Anche nel caso delle distanze legali, infatti, si tratta di respingere le eventuali limitazioni imposte da terzi a carico della proprietà. L'attore, a tal fine, sarà autorizzato a dimostrare con ogni mezzo di essere legittimo proprietario del fondo. Al proprietario pregiudicato, spetterà, in esito all'esperimento vittorioso dell'azione, il risarcimento del danno subito a causa della limitazione imposta al suo diritto di proprietà. Quindi, in caso di violazione delle norme sulle distanze, la parte che la subisce può chiedere la rimessione in pristino ex art. 872 del c.c..
Dopo le norme che disciplinano le distanze per pozzi, cisterne, fosse e tubi, canali e fossi, la norma di cui all'art. 892 c.c. disciplina le distanze per gli alberi. Tale disposizione è volta, in via suppletiva, a impedire che alberi e piante, coltivati sulla linea di confine, possano arrecare danni ai fondi.
LE LUCI E LE VEDUTE
All'art. 900 del c.c. e seguenti vengono poi disciplinate le distanze per le luci e le vedute.
Per luci si intendono tutte le aperture di un edificio che permettono solamente il passaggio dell'aria. Viceversa, le vedute (o prospetti) consistono in quelle aperture sul fondo che presentano la possibilità di guardare sul fondo altrui (inspicere in alienum) e quella di sporgere il capo oltre l'apertura, osservando in tutte le direzioni (prospicere in alienum). Tutte le vedute non qualificabili nell'uno o nell'altro modo, costituiscono "luci irregolari".
L'art. 901 c.c. sancisce i requisiti necessari per l'apertura di una luce, in particolare la presenza e le caratteristica delle inferriate, mentre il successivo art. 905 c.c. determina in un metro e mezzo la distanza minima legale per l'apertura delle vedute dirette (vedute che permettono di guardare frontalmente il fondo del vicino). Per le vedute oblique (che consentono di guardare il fondo del vicino solo volgendo il capo da un lato all'altro), la distanza minima legale è fissata in settantacinque centimetri. Tuttavia, l'art 907 c.c., volto a preservare il diritto di veduta legittimamente acquistato, prevede che "quando si è acquistato il diritto di avere vedute dirette verso il fondo del vicino, il proprietario di questo non può fabbricare a distanza minore di tre metri". Tale obbligo di distanza trova il suo fondamento nel fatto che il diritto di veduta sul fondo del vicino è stato acquistato anteriormente rispetto all'esercizio della facoltà di costruire da parte del vicino.
LO STILLICIDIO E LA GESTIONE DELLE ACQUE PRIVATE
Gli articoli 909 c.c. e seguenti, infine, disciplinano l'utilizzo delle acque esistenti sui fondi. Tali acque sono "private" poiché esistenti su fondi di proprietà privata. Tuttavia, la natura del diritto del proprietario sul fondo è ancora discussa. Infatti, certa parte della dottrina sostiene che tali acque appartengano in realtà al patrimonio indisponibile dello Stato, e vengano solamente concesse in godimento ai titolari dei fondi.
Tuttavia, nell’attuale quadro legislativo in materia di acque, il Codice Civile presenta un ambito di applicazione del tutto residuale e la disciplina rilevante è contenuta nel R.D. n. 1775/33 (T.U. acque).
Ai sensi dell'art. 908 c.c., che definisce lo stillicidio, "il proprietario deve costruire i tetti in maniera che le acque piovane scolino sul suo terreno e non può farle cadere nel fondo del vicino". La norma, collocata nell'ambito dei rapporti di vicinato, costituisce una specificazione del più generale divieto di immissioni moleste, disciplinato dall'art. 844 c.c., volto a respingere le intrusioni dei vicini che possano danneggiare o diminuire il pacifico godimento del fondo. Non occorre che il tetto o l'edificio vengano costruiti in una determinata e precisa maniera, essendo sufficiente che vengano adottati degli opportuni accorgimenti di carattere tecnico, volti ad evitare che le acque piovane scolino appunto sul fondo del vicino.
CONSULENZE LEGALI IN MATERIA DI DISTANZE, LUCI E VEDUTE, ACQUE
Ecco l'elenco delle singole e più specifiche categorie relativamente alle quali il team legale di Brocardi.it offre la sua consulenza:
Come accennato, si ritiene in dottrina che le norme sulle distanze dettate dal Codice Civile non siano assolutamente inderogabili in quanto poste, primariamente, a tutela di interessi privatistici (diversamente rispetto alle norme contenute nei regolamenti edilizi e nei piani regolatori che avrebbero, invece, portata generale e cogente). Tuttavia, poiché i patti che derogano alle norme codicistiche dettate in tema di distanze nelle costruzioni costituiscono un pregiudizio per il fondo, essi rappresentano dei veri e propri atti costitutivi di servitù. In particolare, si ritiene possibile acquisire per usucapione ventennale la servitù di tenere la costruzione a distanza inferiore a quella legale.
Per l'acquisto di tale servitù, è necessario un comportamento continuo ed ininterrotto, inteso in modo inequivocabile ad esercitare sulla cosa un diritto corrispondente a quello del diritto reale minore costituito dalla servitù prediale.
Colui il quale vede violare una distanza legale inderogabile in suo danno, sarà quindi legittimato ad agire civilmente per la sua regolarizzazione, purché però non siano trascorsi venti anni a partire dal momento in cui la violazione si è resa manifesta. Nel caso di violazione di disposizioni amministrative di stampo regolamentare, viceversa, è possibile agire in via amministrativa per l’annullamento di concessioni o licenze o per il risarcimento del danno.
Parere degli avvocati di Brocardi.it in materia di muro di cinta: quando è necessario osservare le norme sulle distanze?
Tuttavia, può capitare il concreto che l'installazione di un muro di cinta segua alla creazione di un dislivello artificiale tra fondi contigui, che non si limita a contenere il terrapieno naturale, ma che costituisce una vera e propria nuova "costruzione".
La giurisprudenza, riguardo alla funzione di contenimento di un muro di cinta e all'applicazione delle norme sulle distanze nelle costruzioni, ha affermato che “In tema di muri di cinta, qualora l'andamento altimetrico di due fondi limitrofi sia stato artificialmente modificato, così da creare tra essi un dislivello che prima non esisteva, il muro di cinta viene ad assolvere, oltre alla funzione sua propria di delimitazione tra le proprietà, anche quella di sostegno e contenimento del terrapieno creato dall'opera dell'uomo; conseguentemente, esso va equiparato ad una costruzione in senso tecnico-giuridico agli effetti delle distanze legali (senza che abbia rilievo chi, tra i proprietari confinanti, abbia in via esclusiva o prevalente realizzato tale intervento) ed è assoggettato al rispetto delle distanze stesse.” (Cass. civ. Sez. II Sent., 03/05/2018, n. 10512)
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Recente giurisprudenza (Sentenza della Corte di Cassazione Civile, n. 2973 del 27 febbraio 2012) ha affermato che "il riconoscimento in capo al proprietario di un immobile del diritto di veduta dal proprio terrazzo, in ragione della preesistenza della visuale all’acquisto dell’immobile, viola il principio della tipicità dei modi di acquisto dei diritti reali, giacché è vero che una servitù altius non tollendi (ovvero una servitù negativa e non apparente) può essere costituita oltre che negozialmente anche per destinazione del padre di famiglia od usucapione, ma tali modi di costituzione necessitano, non solo, a seconda dei casi, della destinazione conferita dall’originario unico proprietario o dell’esercizio ultraventennale di attività corrispondenti alla servitù, ma anche di opere visibili e permanenti, ulteriori rispetto a quelle che consentono la veduta”.
Parere legale del team di avvocati di Brocardi.it in merito al diritto di chiudere le luci
Ai sensi dell'art. 904 c.c., il proprietario del fondo confinante ha il potere di far chiudere le luci presenti nel muro del vicino, nel caso in cui costituisca in aderenza o in appoggio all'edificio preesistente. Nel caso di costruzione in appoggio, sarà necessario chiedere la comunione del muro. Viceversa, nel caso di costruzione solamente in aderenza, non è richiesto l'acquisto della comunione del muro, essendo sufficiente che il manufatto abbia le caratteristiche funzionali della costruzione, ovvero sia stabile e permanente (tali requisiti sono integrati anche da una semplice recinzione).
Ci si è chiesti in giurisprudenza se, nel caso di un'apertura lucifera ostruita dall'accumulo di macerie e dalla presenza di uno scheletro di fabbricato oggetto di sequestro, il vicino possa invocare il diritto di chiudere le luci. In tal senso, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 3391 del 15 febbraio 2007, ha statuito che, nel caso di apertura lucifera ostruita da macerie, il vicino non possa esercitare il diritto di cui all'art. 904 c.c., poiché le macerie non possono essere qualificate come "costruzione in aderenza", così come contemplata dalla norma di cui all'art. 904 c.c., mentre "la presenza di uno scheletro di un fabbricato sequestrato non può significare che lo stesso sarà completato e comunque neppure che le dimensioni ed il posizionamento di esso siano definitivi, atteso che la condizione dei luoghi deve essere valutata al momento dello spoglio e non in relazione ad una situazione in divenire".
In ogni caso, la giurisprudenza ha chiarito che il diritto del proprietario di un fondo di chiudere le luci presenti nel muro del vicino non può mai essere esercitato al solo scopo di arrecare danno o nocumento di qualsiasi genere al vicino, e questo in ossequio al generale divieto di atti emulativi previsto dall'art. 833 del c.c..
La norma di cui all'art. 908 c.c. prevede che "il proprietario deve costruire i tetti in maniera che le acque piovane scolino sul suo terreno e non può farle cadere nel fondo del vicino". L'interpretazione letterale di tale disposizione conduce a ritenere che si possa fare, nell'applicazione della norma, esclusivamente riferimento ai "tetti". È possibile estendere la portata di tale nozione?
Accade spesso che i proprietari dei fondi decidano di recintare le loro proprietà con dei muri che provvedono poi a coprire con tetti o altre costruzioni simili. A seconda della tipologia di muro utilizzato per la recinzione, è possibile che, anziché dei veri e propri tetti, vengano utilizzati, come copertura, altri manufatti, come per esempio pioventi di lamiera o simili.
In tali casi, ci si potrebbe domandare se, nel caso in cui lo scolo delle acque su tali manufatti finisca per provare danni al fondo del vicino (infiltrazioni, muffe, ecc.) sia applicabile il divieto di cui all'art. 908 c.c., interpretato estensivamente.
Ebbene, gli interpreti ritengono che nell'art. 908 c.c. siano ricomprese tutte le costruzioni e ogni tipo di copertura che sia in grado di raccogliere, per scaricare altrove, le acque piovane ( cfr. Trib. Messina 1/12/2006); quindi, anche in presenza di lastre con spiovente.
Di fronte a casi come questi, per la risoluzione dei quali si rende necessario interpretare le norme di legge in modo corretto e meticoloso, risulta prezioso l'aiuto dello staff legale di Brocardi.it, che è in grado, grazie alla vasta esperienza maturata in materia, di fornire consulenze specifiche ed esaustive, ma, allo stesso tempo, chiare e comprensibili.
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