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Articolo 972 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Devoluzione

Dispositivo dell'art. 972 Codice Civile

Il concedente può chiedere la devoluzione del fondo enfiteutico [2653 n. 2](1):

  1. 1) se l'enfiteuta deteriora il fondo o non adempie all'obbligo di migliorarlo;
  2. 2) se l'enfiteuta è in mora nel pagamento di due annualità di canone [1219]. La devoluzione non ha luogo se l'enfiteuta ha effettuato il pagamento dei canoni maturati prima che sia intervenuta nel giudizio sentenza, ancorché di primo grado, che abbia accolto la domanda [1453 comma 3].

La domanda di devoluzione [2653 n. 2] non preclude all'enfiteuta il diritto di affrancare, sempre che ricorrano le condizioni previste dall'articolo 971(2).

Note

(1) La domanda di devoluzione è una sorta di risoluzione per inadempimento (v. artt. 1453 ss. c.c.); bisogna, pertanto, valutare se esso sia o meno accompagnato da colpa, secondo l'art. 1455.
(2) La parte finale di questo comma, omessa nel testo, è stata abrogata dall'art. 8, L. 1966 n. 607, che stabiliva la prevalenza della domanda di devoluzione su quella di affrancazione, se l'inadempimento fosse rilevante.
Secondo la disciplina in vigore, il giudizio di devoluzione può essere, invece, bloccato dalla richiesta di affrancazione dell'enfiteuta.

Ratio Legis

Scopo della disposizione è garantire al concedente la possibilità di difendere due suoi diritti fondamentali: il versamento del canone e le migliorie al terreno.

Brocardi

Ob non solutos canones

Spiegazione dell'art. 972 Codice Civile

Casi in cui è ammessa la devoluzione del fondo enfiteutico

Per quanto riguarda la devoluzione del fondo enfiteutico, questa, analogamente a quanto disponeva il codice del 1865, è ammessa nel caso in cui l'enfiteuta deteriori il fondo o non adempia all'obbligo di migliorarlo e nel caso in cui sia in mora nel pagamento di due annualità di canone.

La devoluzione porta con sè la cessazione dell'enfiteusi, la cessazione cioè del diritto spettante all'enfiteuta sul fondo, e il conseguente ritorno del medesimo al concedente, dal quale si era diviso a seguito della fatta concessione.

La Commissione reale per la riforma dei codici aveva ritenuto opportuno precisare che l'enfiteuta non contravviene all'obbligo di non deteriorare e di migliorare il fondo, se, in contemplazione di miglioramenti futuri, siano state compiute trasformazioni od opere che intanto ne abbiano diminuito o annullato la produttività. Ma il legislatore non ha ritenuto di accogliere una simile proposta, essendo la cosa apparsa troppo evidente e quindi non bisognevole di precisazione.

Il nuovo codice, inoltre, innovando su quello del 1865, ha ammesso che l'enfiteuta moroso possa purgare la mora finchè nel giudizio di devoluzione non sia intervenuta sentenza definitiva, e cioè la sentenza che accoglie la domanda di devoluzione, anche se essa non sia passata in giudicato. Ma, introdotta tale norma a favore dell'enfiteuta, non era più ammissibile il mantenimento in vigore della formalità dell'interpellazione richiesta dall'art. 1565, n. 1, del codice del 1865: e infatti il nuovo codice non la contempla, troncando cosi in pieno le lunghe dispute cui essa aveva dato sempre luogo circa la sua interpretazione.

Non è detto, però, che, oltre che nei due casi esplicitamente citati nella legge, la devoluzione non possa aver luogo in altri casi eventualmente previsti nel contratto. Lo scopo che il legislatore si è prefisso, dettando la disposizione in esame, non è stato tanto quello di prescrivere tassativamente i casi nei quali soltanto può esercitarsi, da parte del concedente, il diritto di domandare la devoluzione del fondo, quanto quello di ammettere senz'altro il diritto a chiedere la devoluzione nei due casi indicati, anche nell'eventualità che non ne sia fatto alcun cenno nell'atto di costituzione. E tale diritto è basato sulla presunta volontà dei contraenti, dato che se da parte dell'enfiteuta non si adempie a quelle che sono le sue principali obbligazioni, non può pretendersi che, da parte del concedente, si consenta la continuazione del contratto, poiché a questo eccesso non si sarebbe addivenuti, qualora, al momento del contratto, una simile questione fosse stata posta.


Prevalenza della domanda di affrancazione su quella di devoluzione

L'ultimo comma dell'articolo, infine, in armonia a quanto disposto dall'art. 1565, primo comma, del codice del 1865, sanziona la prevalenza della domanda di affrancazione su quella di devoluzione. Naturalmente intanto tale prevalenza può farsi valere in quanto il diritto di affrancazione possa essere esercitato: cosi, per esempio, se non sono ancora trascorsi venti anni dalla costituzione dell'enfiteusi, oppure se non è stato ancora attuato il piano di miglioramenti predisposto nell'atto costitutivo, il diritto di affrancazione non può essere esercitato. È evidente che, in tale caso, gli effetti della domanda di devoluzione non potranno essere paralizzati dalla domanda di affrancazione.


Eccezione a tale principio

Ma pur mantenendo il principio della prevalenza del diritto di affranco sulla domanda di devoluzione, già sancito dal codice del 1865 nel primo comma dell'art. 1565, il nuovo codice ha introdotto un'eccezione della quale non si aveva alcuna traccia nel vecchio codice, per il caso di contravvenzione all'obbligo di non deteriorare e di migliorare, sempre che l'inadempimento sia di considerevole gravità. E la nuova disposizione appare più che giustificata, se solo si consideri che l'obbligo di migliorare è un requisito essenziale dell'enfiteusi e che l'inadempimento, quando rivesta una certa gravita, rivela inettitudine o negligenza da parte dell'enfiteuta.

Ammessa, in questo caso, la prevalenza della domanda giudiziale di devoluzione su quella di affrancazione, tale prevalenza permane anche se la domanda di affrancazione è stata anteriormente proposta, purché non sia intervenuta sentenza definitiva.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

460 Per ciò che attiene alla devoluzione del fondo enfiteutico, questa è ammessa (art. 972 del c.c.) nei due casi indicati dal codice precedente (art. 1565), e cioè nel caso in cui l'enfiteuta deteriori il fondo o non adempia all'obbligo di migliorarlo e nel caso in cui sia in mora nel pagamento di due annualità di canone. Meritevole di particolare nota è l'innovazione concernente la possibilità da parte dell'enfiteuta moroso di purgare la mora finché nel giudizio di devoluzione non sia intervenuta sentenza, ancorché di primo grado, che abbia accolto la domanda (art. 972, n. 2). Introdotta a favore dell'enfiteuta tale norma, sarebbe stato eccessivo mantenere in vita la formalità dell'interpellazione richiesta dall'art. 1565, n. 1, del codice anteriore, che ha dato origine a lunghe dispute sulla sua interpretazione. L'ultimo comma dell'articolo in esame, conformemente all'art. 1565, primo comma, del codice precedente, ma con formula più chiara, stabilisce la prevalenza della domanda di affrancazione su quella di devoluzione. Naturalmente, in tanto la prima prevale sulla seconda in quanto il diritto di affrancazione possa esercitarsi. E' ovvio che, se l'enfiteuta non può affrancare il fondo perché non sono ancora trascorsi venti anni dalla costituzione dell'enfiteusi o perché non ha ancora attuato il piano di miglioramenti predisposto nell'atto costitutivo, gli effetti della domanda di devoluzione non potranno essere paralizzati dalla domanda di affrancazione. Al principio della prevalenza dell'affrancazione sulla devoluzione ho ritenuto opportuno introdurre un'eccezione, della quale non è traccia nel codice del 1865, per il caso di inadempimento dell'obbligo di migliorare il fondo, sempre che l'inadempimento sia di considerevole gravità. L'eccezione è giustificata dal rilievo che l'obbligo di migliorare è requisito essenziale dell'enfiteusi e che l'inadempimento, quando è molto grave, rivela inettitudine o neghittosità dell'enfiteuta. L'eccezione però non opera, e la domanda di affrancazione torna a prevalere su quella di devoluzione, qualora sia intervenuta sentenza, ancorché di primo grado, che abbia ammesso l'affrancazione. Il principio che la clausola risolutiva espressa non impedisce l'esercizio del diritto di affrancazione — principio già da una parte della dottrina considerato insito nel sistema del codice del 1865 — riceve espressa formulazione nell'art. 973 del c.c.. La clausola sarebbe infatti incompatibile con la prevalenza che all'affrancazione è data sul diritto di devoluzione, salvo sempre il caso che l'inadempimento dell'obbligo di migliorare il fondo sia di notevole gravità.

Massime relative all'art. 972 Codice Civile

Cass. civ. n. 26520/2018

La devoluzione del fondo enfiteutico può essere separatamente richiesta nei confronti di ciascuno dei coenfiteuti, non ricorrendo un'ipotesi di litisconsorzio necessario. Ne deriva che la pronuncia di devoluzione è utilmente resa nei limiti delle quote dei concessionari evocati in giudizio e non si estende all'enfiteuta che non ne sia stato parte, né pregiudica i suoi diritti sull'intero fondo. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto inidoneo a determinare la nullità di un procedimento ex art. 972 c.c., promosso contro più coenfiteuti, il fatto che il giudizio di primo grado si fosse svolto nei confronti di un soggetto diverso, ancorché omonimo, da uno dei concessionari e che il giudice di appello non avesse disposto la rimessione della causa al primo giudice per l'integrazione del contraddittorio).

Cass. civ. n. 13595/2000

L'abrogazione, per effetto dell'art. 8 della legge 22 luglio 1966, n. 607 in materia di enfiteusi, del secondo e del terzo periodo dell'articolo 972 c.c., che disponeva la prevalenza della domanda di devoluzione del fondo enfiteutico, in caso di grave deterioramento del medesimo da parte dell'utilista, sulla domanda di questi di affrancazione, non incide sul giudizio già instaurato per fatti verificatisi anteriormente alla sua entrata in vigore.

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