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Articolo 630 Codice di procedura penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 447)

[Aggiornato al 04/10/2024]

Casi di revisione

Dispositivo dell'art. 630 Codice di procedura penale

1. La revisione può essere richiesta:

  1. a) se i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna non possono conciliarsi con quelli stabiliti in un'altra sentenza penale irrevocabile [648] del giudice ordinario o di un giudice speciale(1);
  2. b) se la sentenza o il decreto penale di condanna hanno ritenuto la sussistenza del reato a carico del condannato in conseguenza di una sentenza del giudice civile o amministrativo, successivamente revocata, che abbia deciso una delle questioni pregiudiziali previste dall'articolo 3 ovvero una delle questioni previste dall'articolo 479;
  3. c) se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto a norma dell'articolo 631(2);
  4. d) se è dimostrato che la condanna venne pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato(3).

Note

(1) L'inconciliabilità si misura solo in relazione a sentenze penali irrevocabili, non dunque in riferimento a decreti penali che, non presupponendo un accertamento pieno del fatto, non forniscono un'indiscutibile punto fermo in tema di responsabilità tale da condurre a rivedere altra sentenza di segno opposto.
(2) Rilevano quindi sia le prove sopravvenute dopo la condanna sia quelle preesistenti ad essa, ma scoperte solo in un momento successivo.
(3) V. Corte Cost, sent. n. 113/2001, che ha introdotto la c.d. revisione europea.

Ratio Legis

La revisione, in quanto mezzo di impugnazione ispirato dal favor rei, si ritiene esperibile solo in determinati casi.

Spiegazione dell'art. 630 Codice di procedura penale

Le impugnazioni in ambito penale rappresentano dei rimedi giuridici destinati a rimuovere gli svantaggi derivanti da una decisione del giudice penale ritenuta insoddisfacente per una delle parti. Tali rimedi si suddividono in impugnazioni ordinarie e straordinarie, a seconda che siano esperibili avverso decisioni non ancora o già divenute irrevocabili. Sono dunque impugnazioni ordinarie l'appello ed il ricorso per cassazione, mentre straordinarie sono la revisione ed il ricorso straordinario per errore di fatto.

Tale mezzo di impugnazione straordinario è riservato ai soli condannati (non è dunque ammessa la revisione contro le sentenze di proscioglimento, nemmeno quando esse determinino degli effetti civili pregiudizievoli per il prosciolto), ai prossimi congiunti, agli eredi ed al procuratore generale (v. art. 632) e quindi solo in favore del condannato, e può essere richiesta nei seguenti casi tassativamente previsti:
  • se i fatti stabiliti a fondamento di una sentenza o di un decreto penale di condanna sono già stati oggetto di una precedente sentenza irrevocabile. Trattasi del più classico dei conflitti teorici di giudicati, in cui le premesse storico-fattuali sono incompatibili da un punto di vista logico, più che giuridico. Ad esempio l'imputato è già stato condannato per una rapina avvenuta nello stesso giorno e nello stesso luogo in cui invece il secondo giudice ha ritenuto che avesse commesso un altro reato. Va precisato che il legislatore ha escluso, tra le precedenti sentenze irrevocabili che rendono inconciliabile la nuova sentenza o il decreto penale di condanna, proprio il decreto penale di condanna, per via della natura non assoluta dell'accertamento giudiziale ivi contenuto;
  • se la sentenza o il decreto penale di condanna hanno ritenuto la sussistenza del reato in base ad una sentenza civile o amministrativa poi revocata, la quale abbia deciso in ordine a questioni pregiudiziali concernenti lo stato di famiglia o di cittadinanza, oppure di particolare complessità, come previsto dall'articolo 479. Appare qui chiaro che tali questioni pregiudiziali, se revocate in dubbio, devono, per la loro importanza, consentire la revisione del processo, se hanno assunto un ruolo determinante all'interno del processo penale;
  • se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, da sole o unite a quelle già acquisite, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto. L'ampia formulazione normativa estende a praticamente qualsiasi tipo di prova la possibilità di entrare a far parte del giudizio di revisione, anche a quelle non prodotte per colpa grave dallo stesso imputato. L'unica cosa inammissibile è l'esclusiva diversa valutazione delle prove assunte nel precedente giudizio, potendovi, per contro rientrare le prove non valutate dal giudice precedente. Per quanto concerne la valutazione del giudice della revisione sull'importanza delle nuove prove addotte, sarà quest'ultimo a valutarne l'incidenza di volta in volta, a seconda del caso concreto ed alla possibilità per il condannato di essere prosciolto;
  • se viene dimostrato che la condanna venne pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato. Le ipotesi di falsità in atti o in giudizio possono venir rappresentate dalla falsità di documenti, dalla calunnia, dalla falsa testimonianza, dalla falsa perizia ecc. mentre con “altro fatto preveduto dalla legge come reato” il legislatore ha inteso qualsiasi altro fatto da cui sia scaturita la sentenza di condanna, come ad esempio la corruzione in atti giudiziari o l'abuso d'ufficio;
  • A tali ipotesi va aggiunta la c.d. revisione europea, introdotta dalla sentenza costituzionale n. 113/2011, nel caso in cui la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo pronuncia una sentenza definitiva in relazione ad una questione su cui si è già formato il giudicato interno. Alla luce della costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, le norme della CEDU integrano, quali “norme presupposte”, il parametro costituzionale espresso dall’art. 117 primo comma della Cost. nella parte in cui impone alla legislazione interna di “conformarsi agli obblighi internazionali”. Dunque, nel caso in cui il giudice comune ravvisi un contrasto tra una norma interna e la CEDU deve innanzitutto verificare se sia adottabile una interpretazione della prima conforme alla seconda, solo qualora ciò non sia possibile, dovrà sollevare la questione di legittimità costituzionale al fine di controllare la sussistenza dell’eventuale conflitto. Nel caso di specie quindi, l’interpretazione della Corte di Strasburgo circa l’art. 46 della CEDU relativa alla riapertura del processo su richiesta dell’interessato, risulta coerente con le tutele costituzionali. A questo punto, la Corte Costituzionale ha ritenuto che la sede maggiormente appropriata per realizzare questo scopo sia proprio quella dell’art. 630 c.p.p., dal momento che l’istituto della revisione comporta la riapertura del processo e la conseguente ripresa delle attività processuali in sede di cognizione e di assunzione delle prove.

Massime relative all'art. 630 Codice di procedura penale

Cass. pen. n. 43871/2018

Il contrasto di giudicati di cui all'art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., che legittima la revisione, attiene ai fatti storici presi in considerazione per la ricostruzione del fatto-reato e non alla valutazione dei fatti né all'interpretazione delle norme processuali in relazione all'utilizzabilità di una determinata fonte di prova (Fattispecie in cui l'istanza di revisione riguardava una sentenza di condanna basata su intercettazioni telefoniche ritenute inutilizzabili da una sentenza di assoluzione pronunciata nei confronti di coimputati per insussistenza del fatto).

Cass. pen. n. 10593/2018

La richiesta di revisione è ammissibile anche quando la sentenza di condanna sia stata emessa all'esito di giudizio abbreviato, senza che sussista alcuna preclusione in capo al condannato di allegare come "prove nuove", idonee ai sensi dell'art. 631, lett. c), cod. proc. pen., mezzi di prova che avrebbe già potuto indicare come integrazione probatoria nella richiesta di giudizio abbreviato.

Cass. pen. n. 10523/2018

Ai fini dell'ammissibilità della richiesta di revisione, possono costituire "prove nuove" ai sensi dell'art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., quelle che, pur incidendo su un tema già divenuto oggetto di indagine nel corso della cognizione ordinaria, siano fondate su nuove acquisizioni scientifiche e tecniche diverse e innovative, tali da fornire risultati non raggiungibili con le metodiche in precedenza disponibili.

Cass. pen. n. 48344/2017

In tema di revisione richiesta ai sensi dell'art. 630, lett. a), cod. proc. pen. il giudice è tenuto a procedere ad una rivalutazione congiunta ed unitaria del materiale probatorio che ha dato luogo alla sentenza di condanna, raffrontandola con i dati fattuali incontrovertibilmente accertati risultanti dalla sentenza che si pone in conflitto e, in caso di conferma della sentenza impugnata, a dare conto, con motivazione rafforzata, delle ragioni per le quali, pur in presenza di fatti oggettivamente inconciliabili, ha ritenuto di dover ribadire la soluzione adottata dalla sentenza attinta dalla istanza di revisione.

Cass. pen. n. 28628/2017

"Prova nuova", rilevante ai fini della revoca "ex tunc" della misura di prevenzione della confisca, ai sensi dell'art. 28, comma primo, lett. a) D.Lgs. 159 del 2011, è solo quella scoperta (anche se preesistente) dopo che la misura è divenuta definitiva, o quella sopravvenuta rispetto alla conclusione del procedimento di prevenzione, essendosi formata dopo di essa, ma non anche quella deducibile, ma non dedotta, nell'ambito del suddetto procedimento.

Cass. pen. n. 21635/2017

La c.d. "revisione europea" introdotta dalla Corte Costituzionale con la sentenza additiva n. 113 del 2011, presuppone la necessità di conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte Edu, vincolante ai sensi dell'art. 46 della Convenzione: necessità che ricorre quando la sentenza sia stata resa sulla medesima vicenda oggetto del processo definito con sentenza passata in giudicato, oppure quando abbia natura di "sentenza pilota", riguardante situazione analoga verificatasi per disfunzioni strutturali o sistematiche all'interno del medesimo ordinamento giuridico, ovvero, ancora, quando abbia accertato una violazione di carattere generale, desumibile dal "dictum" della Corte Edu e ricorra una situazione corrispondente che implichi la riapertura del dibattimento.

Cass. pen. n. 17170/2017

In tema di revisione, rientra nella nozione di "prova nuova" la rilevazione della mancanza della condizione di procedibilità del reato per cui è stata emessa sentenza di condanna, in quanto, ai sensi e per gli effetti dell'art. 630, comma primo, lett. c), cod. proc. pen, devono considerarsi tali sia le prove preesistenti, non acquisite nel precedente giudizio, sia quelle già acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice.

Cass. pen. n. 13930/2017

Ai fini dell'ammissibilità della richiesta di revisione, una diversa valutazione tecnico-scientifica di elementi fattuali già noti può costituire "prova nuova", ai sensi dell'art. 630, comma primo, lett. c), cod. proc. pen., quando risulti fondata su nuove metodologie, più raffinate ed evolute idonee a cogliere dati obiettivi nuovi, sulla cui base vengano svolte differenti valutazioni tecniche. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto immune da vizi l'ordinanza della Corte di appello che aveva ritenuto inammissibile l'istanza di revisione fondata su una perizia fonica, svolta in un procedimento diverso e parallelo, che aveva escluso la riferibilità di una conversazione al condannato, non avendo l'istante svolto alcuna deduzione in ordine alla novità del metodo osservato in perizia, nè in ordine alla capacità di quest'ultimo di divenire strumento di apprensione di dati nuovi, non ravvisando alcun elemento di novità del metodo tecnico osservato).

Cass. pen. n. 28627/2017

La nullità della sentenza di condanna pronunciata dal tribunale ordinario nei confronti di un soggetto che, successivamente, è risultato essere minorenne all'epoca dei fatti, non è deducibile nella fase esecutiva, mentre la revisione è ammissibile solo in presenza di nuovi elementi idonei a comprovare che il condannato, al momento dei fatti, fosse un minore infraquattordicenne, perciò non imputabile.

Cass. pen. n. 8419/2017

In tema di revisione, il concetto di inconciliabilità fra sentenze irrevocabili di cui all'art. 630, comma primo, lett. a), cod. proc. pen., deve essere inteso con riferimento ad una oggettiva incompatibilità tra i fatti storici stabiliti a fondamento delle diverse sentenze, non già alla contraddittorietà logica tra le valutazioni operate nelle due decisioni; ne consegue che gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono essere, a pena di inammissibilità, tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve esser prosciolto e, pertanto, non possono consistere nel mero rilievo di un contrasto di principio tra due sentenze che abbiano a fondamento gli stessi fatti. (Fattispecie nella quale la Corte ha escluso il contrasto di giudicati fra la sentenza di condanna emessa nei confronti di un imputato per il reato di falsità ideologica in atti di P.G. e quella di assoluzione del medesimo dal reato di concorso in falsa testimonianza, rilevando che le due decisioni avevano ad oggetto accertamenti di fatto diversi, fra i quali non era ravvisabile alcun nesso di inconciliabilità ontologica).

Cass. pen. n. 8358/2015

La nuova ipotesi di revisione, introdotta dalla Corte Costituzionale con la sentenza additiva n. 113 del 2011, presuppone che la decisione della Corte Edu cui sia necessario conformarsi sia stata emessa in un giudizio in cui il soggetto impugnante ex artt. 629 e ss. cod. proc. pen. abbia rivestito la qualità di parte, dovendo escludersi che gli effetti delle cosiddette "sentenze pilota" della Corte di Strasburgo si estendano al di là dei limiti soggettivi dello Stato parte in causa. (Fattispecie in cui la Corte ha dichiarato inammissibile l'istanza di revisione finalizzata ad ottenere la applicazione dei principi affermati dalla Corte Edu nei confronti di uno stato diverso da quello italiano).

Cass. pen. n. 52965/2014

È inammissibile la richiesta di revisione di sentenza di condanna pronunciata all'esito di processo celebrato durante la vigenza di disciplina successivamente dichiarata incostituzionale anche sulla base del richiamo a principi affermati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo in un caso solo genericamente assimilabile, in quanto il rimedio impugnatorio introdotto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 113 del 2011 presuppone l'accertamento effettivo della violazione dei contenuti dell'art. 6 della Convenzione EDU nel caso specifico oggetto dell'istanza o in un caso definibile come oggettivamente inficiato dal medesimo vizio. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso l'ammissibilità della revisione di processo celebrato prima della sentenza della Corte costituzionale n. 143 del 2013, la quale ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 41 bis, comma secondo quater, lett. b), ultimo periodo, legge 26 luglio 1975, n. 354, come modificato dalla legge 15 luglio 2009, n. 94, in tema di limitazione dei colloqui tra detenuti sottoposti a regime differenziato e loro difensori).

Cass. pen. n. 46067/2014

La nuova ipotesi di revisione introdotta dalla Corte Costituzionale con la sentenza additiva n. 113 del 2011 presuppone che la decisione della Corte Edu cui sia necessario conformarsi sia stata resa sulla medesima vicenda oggetto del processo definito con sentenza passata in giudicato, oppure abbia natura di "sentenza pilota" riguardante situazione analoga verificatasi per disfunzioni strutturali o sistematiche all'interno del medesimo orientamento giuridico.

La nuova ipotesi di revisione, introdotta a seguito dalla sentenza additiva della Corte costituzionale n. 113 del 2011, presuppone, come condizione ineliminabile, che sia intervenuta una sentenza definitiva della Corte Edu sulla medesima vicenda oggetto del processo alla quale sia necessario conformarsi. (In applicazione del principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile un'istanza di revisione finalizzata a consentire l'applicazione nel processo dei principi affermati nella sentenza della Corte costituzionale n. 143 del 2013, con la quale è stata dichiarata l'incostituzionalità dell'art. 41 bis, comma secondo quater, lett. b), ultimo periodo, Ord. Penit., nella parte in cui prevede limitazioni ai colloqui con i difensori).

Cass. pen. n. 20029/2014

In tema di revisione, il concetto di inconciliabilità fra sentenze irrevocabili di cui all'art. 630, comma primo, lett. a), c.p.p., non deve essere inteso in termini di mero contrasto di principio tra due sentenze, bensì con riferimento ad una oggettiva incompatibilità tra i fatti storici su cui queste ultime si fondano. (In applicazione del principio, la Corte ha escluso la sussistenza dei presupposti per la revisione di condanna pronunciata in ordine al reato di partecipazione a associazione di tipo mafioso per aver contribuito ad assicurare ad un gruppo criminale i proventi di attività estorsive in danno di discoteche, realizzati mediante l'imposizione di servizi di vigilanza erogati da una società costituita dall'istante, in relazione a richiesta fondata sulla successiva assoluzione del medesimo soggetto dall'addebito di concorso esterno nel delitto di cui all'art. 416 bis c.p., con riferimento allo svolgimento di analoga attività a vantaggio di altra fazione del sodalizio, eseguita mediante l'utilizzo di diversa struttura operativa).

Cass. pen. n. 695/2014

In tema di revisione, ricorre l'ipotesi di cui alla lett. a) dell'art. 630 cod. proc. pen. quando ad una sentenza irrevocabile di condanna per il reato di associazione per delinquere (nella specie, finalizzata allo spaccio di stupefacenti) sia seguita altra sentenza irrevocabile che assolva ulteriori imputati dall'identica imputazione per insussistenza del fatto, dovendosi riconoscere un'effettiva incompatibilità fra i fatti stabiliti a fondamento delle due decisioni. (Fattispecie in cui ad una sentenza di condanna emessa a seguito di giudizio abbreviato e confermata nei successivi gradi di giudizio era seguito una sentenza di assoluzione, pure emessa in sede di giudizio abbreviato condizionato non accolta dal Gup e celebrato dinanzi il tribunale, non impugnata).

Cass. pen. n. 26000/2013

La revisione della sentenza di patteggiamento, richiesta per la sopravvenienza o la scoperta di nuove prove, implica il riferimento alla regola di giudizio dell'assenza delle condizioni per il proscioglimento ex art. 129 c.p.p., sicché deve trovare fondamento in elementi tali da dimostrare che il soggetto cui è stata applicata la pena deve essere prosciolto per la ricorrenza di una delle cause che danno luogo all'immediata declaratoria di non punibilità. (In applicazione di tale principio è stata confermata la declaratoria di inammissibilità dell'istanza di revisione proposta sulla base di una sentenza di assoluzione emessa dall'autorità giudiziaria straniera nei confronti dell'imputato).

Cass. pen. n. 23050/2013

Non è invocabile la revisione, ex art.630, comma primo, lett. a) c.p.p., della sentenza di applicazione della pena sul presupposto dell'intervenuta successiva sentenza di assoluzione all'esito di giudizio ordinario nei confronti del coimputato non patteggiante, diverso essendo il criterio di valutazione proprio dei due riti, di per sé tale da condurre fisiologicamente ad esiti opposti.

Cass. pen. n. 14255/2013

In tema di revisione, agli effetti dell'art. 630 lett. c) c.p.p., una perizia può costituire prova nuova se basata su nuove acquisizioni scientifiche idonee di per sé a superare i criteri adottati in precedenza e, quindi, suscettibili di fornire sicuramente risultati più adeguati. (In applicazione del principio, la Corte ha censurato la sentenza della Corte di appello che aveva escluso a priori potesse considerarsi prova nuova una perizia fondata sulla metodologia IAT e TARA, volta a scandagliare la capacità mnemonica di un teste, metodologia illustrata in sede di richiesta di revisione da una consulenza tecnica effettuata come test nei confronti dell'imputato).

Cass. pen. n. 4355/2012

È inammissibile la richiesta di revisione della sentenza di condanna fondata su nuovi accertamenti scientifici ove manchi la riconosciuta affidabilità tecnica degli stessi, difettando la natura di "prova nuova". (In motivazione la Corte ha precisato che gli accertamenti offerti, in questo caso, appaiono in realtà diretti ad ottenere una valutazione alternativa del fatto).

Cass. pen. n. 3914/2012

Il contrasto di giudicati rilevante ai fini della revocabilità di un provvedimento definitivo non ricorre nell'ipotesi in cui lo stesso verta sulla valutazione giuridica attribuita agli stessi fatti dai due diversi giudici.

Cass. pen. n. 4960/2008

In tema di revisione, allorquando la relativa istanza sia fondata su una ritrattazione che comporterebbe il carattere calunnioso della precedente dichiarazione testimoniale e l'ipotizzabile reato di calunnia sia già estinto, spetta al giudice della revisione procedere incidentalmente all'accertamento della calunnia al fine di valutare l'attendibilità della ritrattazione.

Non integra prova nuova, ai sensi dell'art. 630, lett. c) c.p.p., ai fini dell'ammissibilità dell'istanza di revisione, la semplice ritrattazione di una precedente testimonianza la quale non superi un rigoroso vaglio di attendibilità.

Cass. pen. n. 35697/2007

In tema di revisione, anche nella fase rescindente le nuove prove dedotte, sebbene ai limitati fini della formulazione di un giudizio astratto, devono essere comparate con quelle già raccolte nel normale giudizio di cognizione per giungere, in una prospettiva complessiva, ad una valutazione sulla loro effettiva attitudine a far dichiarare il proscioglimento o l'assoluzione dell'istante.

Cass. pen. n. 27013/2007

Sussiste l'inconciliabilità dei fatti posti a fondamento di due diverse sentenze che legittima la richiesta di revisione ex art. 630, comma primo, lett. a), c.p.p., qualora il giudice di appello minorile affermi la responsabilità del minore per sequestro di persona e violenza sessuale in concorso con altri imputati maggiorenni, nei confronti dei quali sia, invece, pronunciata, nel relativo giudizio, sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, posto che, in tal caso, non si tratta di una diversa valutazione degli stessi fatti e, quindi, di assoluzione fondata sulla mancanza di prove di colpevolezza dei soli imputati maggiorenni bensì di inconciliabilità dei fatti stabiliti a fondamento di due diverse sentenze, nel senso che lo stesso fatto ritenuto esistente dall'una è ritenuto inesistente dall'altra.

Cass. pen. n. 47831/2003

Le «prove nuove» idonee a sostenere una richiesta di revisione ex art. 630, comma primo, lett. c) c.p.p., non possono consistere nelle dichiarazioni liberatorie di un coimputato, atteso che tali dichiarazioni soggiacciono alle limitazioni valutative dettate dall'art. 192, commi terzo e quarto, c.p.p., che attribuisce ad esse la natura di semplici elementi di prova non suscettibili di valutazione autonoma, potendo le stesse essere prese in considerazione solo unitamente agli altri elementi che ne confermano l'attendibilità.

Cass. pen. n. 14216/2002

Per addivenire ad un giudizio di revisione di una sentenza di condanna divenuta irrevocabile sono necessarie «nuove prove», ai sensi dell'art. 630, lett. c) c.p.p., e non dei meri elementi di prova, come la chiamata in correità o in reità proveniente da uno dei soggetti indicati nell'art. 192, commi 3 e 4, del codice di rito, la quale si presenti priva, allo stato, di qualsiasi indicazione oggettiva di immediata riscontrabilità circa l'esistenza di ulteriori elementi idonei a corroborarla.

Cass. pen. n. 12472/2002

In tema di revisione, la novità della prova (richiesta dall'art. 630 lett. c, c.p.p.) non può essere individuata semplicemente in relazione alla sede in cui viene resa ed alla disciplina che la regola, anche se, all'epoca in cui la revisione viene richiesta, detta disciplina sia diversa rispetto a quella vigente nel procedimento che portò alla condanna. Ne consegue che non può essere qualificata prova nuova l'eventuale esame in contraddittorio di un collaboratore di giustizia, che, avendo a suo tempo effettuato dichiarazioni in fase di indagini preliminari, si sia poi rifiutato di sottoporsi all'esame in dibattimento.

Cass. pen. n. 8135/2002

In tema di revisione, il concetto di inconciliabilità fra sentenze irrevocabili di cui all'art. 630, comma 1, lett. a), c.p.p., non deve essere inteso in termini di contraddittorietà logica tra le valutazioni effettuate nelle due decisioni, ma con riferimento ad una oggettiva incompatibilità tra i fatti su cui si fondano le diverse sentenze. (Nella specie, la Corte ha escluso che la richiesta di revisione potesse fondarsi sulla presunta inconciliabilità della sentenza di condanna rispetto alla sentenza di assoluzione pronunciata, in un separato giudizio, nei confronti dei concorrenti nel medesimo reato contestato al ricorrente, precisando che anche l'accertamento della esistenza del concorso di persone nel reato costituisce l'esito di un giudizio valutativo che, come tale, esula dall'ambito di applicazione dell'art. 630, comma 1, lett. a).

In tema di revisione, la sentenza di assoluzione dei coimputati, pronunciata in un separato procedimento, non può essere considerata di per sé “nuova prova”, come tale rilevante a norma dell'art. 630 lett. c) c.p.p. (Nella specie, la Corte non ha riconosciuto la natura di “nuova prova” alla sentenza di assoluzione dei coimputati in quanto fondata sulle stesse fonti di accusa utilizzate per la condanna del ricorrente ed ha escluso che possa essere rivalutata nel giudizio di revisione una prova già presa in considerazione dai giudici della cognizione principale).

Cass. pen. n. 624/2002

In tema di revisione, il soggetto danneggiato dal reato - già costituitosi parte civile nel giudizio conclusosi con la sentenza di condanna che gli ha riconosciuto il diritto alle restituzioni e al risarcimento del danno - prima del nuovo giudizio non ha veste di parte processuale, venuta meno con il passaggio in giudicato della prima sentenza di condanna, e può, pertanto, contestare l'ammissibilità della relativa richiesta solo allorché venga introdotta la fase del dibattimento.

In tema di revisione, per prove nuove rilevanti a norma dell'art. 630 lett. c) c.p.p. ai fini dell'ammissibilità della relativa istanza devono intendersi non solo le prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice, e indipendentemente dalla circostanza che l'omessa conoscenza da parte di quest'ultimo sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazione dell'errore giudiziario.

Cass. pen. n. 1155/1999

In tema di revisione, nel caso previsto dall'art. 630 comma 1, lett. c), c.p.p., per «prove nuove» possono intendersi anche quelle che, pur se entrate a far parte del materiale acquisito nel precedente giudizio di cognizione, non siano comunque state oggetto di valutazione, poiché anche in tal caso l'eventuale eliminazione della sentenza di condanna divenuta irrevocabile trae origine non da un riesame critico delle identiche risultanze probatorie, interno al giudicato, ma da una ricostruzione che muove da ciò che anteriormente il giudice non aveva valutato. Inoltre, le prove dedotte in sede di richiesta di revisione non cessano di essere «nuove» per essere stata già esaminate, e disattese, in occasione di precedenti pronunce di inammissibilità: si porrebbe infatti un problema di bis in idem solo se la successiva richiesta si fondi sulle stesse prove già esaminate in tali precedenti pronunce, e non quando ulteriore materiale probatorio sia allegato, insieme al precedente, a sostegno di una nuova domanda di revisione.

Cass. pen. n. 7263/1999

In tema di revisione, poiché i requisiti di forma e di sostanza nonché la rilevanza dei nuovi elementi devono essere esaminati — per evidenti ragioni di economia processuale — già nella fase preparatoria e rescindente (fase diretta a verificare che tale mezzo straordinario di impugnazione sia proposto nei casi previsti, con l'osservanza delle norme di legge e che non sia manifestamente infondato), in detta fase può e deve essere valutata la ammissibilità della istanza, sia con riferimento al controllo della intervenuta irrevocabilità delle pronunzie giudiziarie che si assumono in contrasto con la decisione alla cui revisione si mira, sia in ordine al carattere di effettiva novità delle prove delle quali si chiede l'assunzione.

Cass. pen. n. 7111/1999

Poiché l'istituto della revisione non si configura come un'impugnazione tardiva che permette di dedurre in ogni tempo ciò che nel processo, definitivamente concluso, non è stato rilevato o non è stato dedotto, bensì costituisce un mezzo straordinario di impugnazione che consente, in casi tassativi, di rimuovere gli effetti della cosa giudicata dando priorità alle esigenze di giustizia sostanziale rispetto a quelle di certezza dei rapporti giuridici, la risoluzione del giudicato non può avere come presupposto una diversa valutazione del dedotto o un'inedita disamina del deducibile (il giudicato, infatti, copre entrambi), bensì l'emergenza di nuovi elementi estranei e diversi da quelli definiti nel processo; ne deriva che non può costituire «prova nuova» un elemento già esistente negli atti processuali, ancorché non conosciuto o valutato dal giudice per mancata deduzione o mancato uso dei poteri d'ufficio.

Cass. pen. n. 12595/1998

Non può dar luogo alla contraddittorietà di giudicati, prevista come causa di revisione dall'art. 630, comma 1, lett. a), c.p.p., l'affermazione di responsabilità di taluno quale concorrente nel medesimo reato dal quale altri concorrenti siano stati, in separato procedimento, assolti a seguito di un'indagine sul dolo (nella specie conclusasi, a suo tempo, nel senso che era mancata — trattandosi di ufficiali accusati di concorso nell'eccidio delle fosse ardeatine, avvenuto in Roma nel marzo del 1944 — l'esatta rappresentazione e consapevolezza della criminosità dell'ordine loro impartito dal superiore gerarchico).

Cass. pen. n. 4837/1998

Ai fini dell'ammissibilità della richiesta di revisione, nel caso previsto dall'art. 630, comma 1, lett. c) c.p.p., per «prove nuove» possono intendersi anche quelle che, pur se entrate a far parte del materiale acquisito nel precedente giudizio di cognizione, non siano comunque state oggetto di valutazione. Anche in tale ipotesi, infatti, al pari di quanto avviene per le prove mai prima dedotte, l'eventuale eliminazione della sentenza di condanna divenuta irrevocabile trae origine non da un riesame critico delle identiche risultanze probatorie, interno al giudizio ipostatizzato dal giudicato, ma da una ricostruzione che muove da ciò che anteriormente il giudice non aveva valutato; il che corrisponde, appunto, all'essenziale requisito distintivo dell'istituto della revisione, qualificato proprio dal fatto che la condanna irrevocabile è sostituita da un decisione di proscioglimento all'esito di un giudizio fondato, in tutto o in parte, su prove diverse da quelle precedentemente esaminate.

Ai fini dell'ammissibilità della richiesta di revisione, una diversa valutazione tecnico scientifica di elementi fattuali già noti ai periti e al giudice può costituire «prova nuova» ai sensi dell'art. 630, comma 1, lett. c), c.p.p., quando risulti fondata su nuove metodologie, dal momento che la novità di queste ultime e, correlativamente, dei principi tecnico scientifici applicati, può in effetti condurre alla conoscenza non solo di valutazioni diverse, ma anche di veri e propri fatti nuovi. Ciò, naturalmente, solo a condizione, di applicazioni tecniche accreditate e rese pienamente attendibili dal livello del sapere acquisito dalla comunità scientifica.

Cass. pen. n. 509/1998

La genericità delle previsioni normative di cui agli artt. 630, lett. c) e 631 c.p.p. induce ad escludere, in vaglio di ammissibilità della richiesta di revisione, e salva naturalmente l'applicazione, in sede rescissoria, delle norme del giudizio di primo grado, limitazioni correlate alle modalità di acquisizioni degli elementi probatori, e a ritenere, quindi, utilizzabili, ai fini della presentazione della richiesta, anche elementi desumibili da indagini difensive espletate a norma dell'art. 38 disp. att. c.p.p.

Cass. pen. n. 18/1998

Dall'autonomia del procedimento di prevenzione rispetto al procedimento penale discende che giudice della inconciliabilità dei fatti posti a fondamento del provvedimento di applicazione della misura con quelli stabiliti in una sentenza penale irrevocabile è il giudice della misura, che, richiesto di revocare il provvedimento con effetto ex tunc sul presupposto di quella inconciliabilità, ha l'ulteriore potere-dovere di accertare se quei fatti siano stati gli unici presi in esame nel momento di applicazione della misura e, dunque, il potere di respingere la richiesta di revoca qualora, certa quella inconciliabilità, emerga che anche altri erano stati i presupposti di fatto del provvedimento.

Cass. pen. n. 1095/1998

In tema di revisione, non costituisce prova nuova ai sensi dell'art. 630, lett. c) c.p.p. una diversa valutazione tecnico-scientifica degli elementi fattuali già noti ai periti e al giudice, che — nel postulare la sopravvenuta esperibilità di una diversa e più affidabile metodologia d'indagine peritale — si risolva in realtà nella reiterazione di apprezzamenti critici in ordine a dati ontologici ed emergenze oggettive già conosciuti e apprezzati nel giudizio, in violazione del principio dell'improponibilità, mediante la revisione, di ulteriori prospettazioni di situazioni già constatate. (Fattispecie relativa alla richiesta di una c.d. «superperizia» sul DNA che avrebbe consentito, secondo l'istante, accertamenti più sofisticati sul reperto sanguigno, tali da poter escludere il suo coinvolgimento nell'omicidio).

Cass. pen. n. 968/1998

Non integra prova nuova ai sensi dell'art. 630, lett. c) c.p.p. la semplice ritrattazione o la modifica delle dichiarazioni originariamente rese da un testimone.

Cass. pen. n. 8462/1997

L'art. 630 comma 1 lett. a) c.p.p., che autorizza la richiesta di revisione qualora i fatti stabiliti a fondamento della sentenza di condanna non possano conciliarsi con quelli stabiliti in un'altra sentenza irrevocabile, si riferisce agli elementi storici adottati per la ricostruzione del fatto-reato, ritenuto a carico di chi formula la richiesta. La norma dunque non prevede la possibilità di rivalutare lo stesso fatto, sotto il profilo giuridico della sua punibilità, per via della difforme interpretazione della norma penale operata in altra sentenza a carico dei correi. Ne consegue che gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono essere a pena di inammissibilità tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve esser prosciolto, e pertanto non possono consistere nel mero rilievo di un contrasto di principio tra due sentenze, che abbiano a fondamento gli stessi fatti.

Cass. pen. n. 4232/1997

istituto della revisione, quale disciplinato dagli artt. 629 ss. c.p.p., non può trovare applicazione in materia di misure di prevenzione.

Cass. pen. n. 1976/1997

Ai fini della deliberazione di ammissibilità del giudizio di revisione le prove dedotte devono essere sopravvenute, e quindi necessariamente estranee al precedente giudizio di cognizione, ed acquisibili nell'eventuale successivo giudizio di revisione. La valutazione di ammissibilità è quindi riferibile anche ad elementi di prova, rilevandone solo l'esistenza e la persuasività e non il procedimento o le forme della loro avvenuta acquisizione. (Nella fattispecie si trattava di una consulenza ematologica disposta dal P.M. in altro processo: idonea al fine della delibazione di ammissibilità secondo la Corte, che tale in motivazione ha ritenuto anche la documentazione di indagini difensive espletate a norma dell'art. 38 att. c.p.p.).

La richiesta di revisione è inammissibile se fondata su una mera rinnovazione dell'accertamento tecnico già espletato nel giudizio di cognizione; è invece ammissibile se prospetta una perizia nuova per metodologia e conclusioni. (Fattispecie di accertamento sul DNA su formazioni pilifere, giudicato nuovo rispetto all'accertamento tricologico già espletato).

Cass. pen. n. 649/1997

Con riferimento al caso di revisione previsto dall'art. 630, lett. c) c.p.p., per «nuove prove», dimostrative che il condannato deve essere prosciolto a norma degli artt. 529, 530 e 531 c.p.p., devono intendersi le prove costituite da elementi estranei e diversi da quelli del processo definito con la sentenza irrevocabile, sicché non è ammissibile la richiesta di revisione fondata su elementi già esistenti negli atti processuali che, per mancata deduzione o per omesso uso dei poteri di ufficio da parte del giudice, non furono da lui conosciuti o valutati.

Cass. pen. n. 2562/1996

In tema di revisione per prove nuove devono intendersi quelle che, se anche preesistenti alla sentenza di condanna, risultanti o meno dagli atti, non hanno formato oggetto di valutazione, espressa o implicita, da parte del giudice investito della cognizione, prescindendosi da ogni giudizio circa l'imputabilità alla parte interessata dell'omessa conoscenza giudiziale. Pertanto l'estinzione del reato verificatasi prima della sentenza di condanna può farsi valere in sede di revisione quando sia rilevabile in base ad elementi probatori non risultanti dagli atti del precedente giudizio, anche se l'omessa loro produzione sia ascrivibile a negligenza dell'istante.

L'attribuzione di una forza espansiva all'espressione «prove nuove», di cui all'art. 630, lett. c), c.p.p., deriva da alcune differenze lessicali esistenti in detto precetto, nel quale l'aspetto valutativo viene maggiormente posto in luce, dalle relazioni all'attuale codice ed al progetto del 1978, da una sistematica lettura di alcune disposizioni del codice di rito (art. 629 con riferimento al decreto penale di condanna, art. 643 ed art. 637 c.p.p.) e dall'interesse pubblico al prevalere della realtà sostanziale sull'accertamento erroneo cristallizzato nel giudicato ed al permanere del principio del perseguimento di un risultato di conoscenza dei fatti (art. 507 c.p.p.) rispetto ad un rigido formalismo ed a regole poste per salvaguardare «il gioco delle parti». Pertanto l'ampia nozione di prova nuova si applica anche nel caso in cui il giudice non abbia valutato neppure implicitamente e non abbia conosciuto una prova, sempre che non si tratti di una prova dichiarata inammissibile o ritenuta superflua, anche per tardiva proposizione, giacché pure in queste ipotesi è stata valutata ed avverso un simile provvedimento vi sono soltanto le impugnazioni ordinarie.

Cass. pen. n. 3086/1996

Ai fini della revisione non costituisce nuova prova una diversa e ulteriore valutazione tecnico-scientifica di dati già apprezzati dal giudice e dal perito. (Fattispecie nella quale, sulla scorta del principio enunciato, la S.C. ha ritenuto che correttamente la corte d'assise d'appello aveva respinto l'opposizione dell'imputato avverso l'ordinanza con cui era stata rigettata l'istanza volta ad ottenere la revoca dell'ordine di distruzione dei reperti [arma del delitto e proiettili estratti dal corpo della vittima], in quanto preclusivo di nuovi accertamenti).

Cass. pen. n. 2927/1996

Le dichiarazioni liberatorie di soggetti che rientrano nel novero dei commi 3 e 4 dell'art. 192 c.p.p., sulle quali sia basata la richiesta di revisione, soggiacciono alla regola della conferma dell'attendibilità prevista dalla suddetta norma. Ciò perché, sotto il profilo della valenza probatoria, non è dato distinguere tra dichiarazioni liberatorie e dichiarazioni accusatorie.

Cass. pen. n. 1760/1995

Attraverso la revisione, il giudicato viene sostituito da una nuova e diversa decisione all'esito di un nuovo giudizio; il giudizio è nuovo solo se si fondi su elementi probatori nuovi, ma attinenti ad un tema di indagine che non sia irrilevante ai fini del processo. Ed è certamente irrilevante ai fini del processo il tema di indagine che sia stato già considerato tale nel processo conclusosi con il giudizio precedente, tanto più se detta irrilevanza sia stata già oggetto di impugnazione e, quindi, della successiva decisione passata in giudicato.

Cass. pen. n. 286/1995

Deve escludersi che la «novità» della prova richiesta dall'art. 630 per il procedimento di revisione possa essere intesa nel senso di ricomprendere anche elementi probatori già acquisiti agli atti, ma non valutati dal giudice prima del giudicato. Invero la prova deve considerarsi nuova quando, pur esistendo al tempo del giudizio, non sia stata portata a conoscenza del giudice: se questi invece l'abbia conosciuto, dandone una valutazione anche parziale nel senso della legittima scelta degli elementi di sostegno alla motivazione, non è possibile una sua riconsiderazione perché verrebbe pur sempre a mancare il carattere della novità.

Cass. pen. n. 2626/1994

In tema di revisione, nel caso di sentenza di condanna per una pluralità di reati ricorre l'ipotesi di revisione «parziale» solo ove l'istanza investa in modo esaustivo almeno una delle condanne riportate, tanto cioè da comportare rispetto al relativo capo di proscioglimento; ne consegue che deve escludersi che la revisione «parziale» possa riguardare elementi o circostanze comportanti un'attenuazione del reato per il quale sia stata riportata condanna. (Nella fattispecie vi era stata condanna per il delitto continuato di peculato, e la Suprema Corte ha affermato che l'eventuale riduzione dell'entità delle somme prelevate relativamente a due degli episodi in contestazione, ovvero il mutamento del titolo addotto per l'illecita appropriazione — missione e non lavoro straordinario — non fossero utili, ove provate mediante le «nuove» prove dedotte, ad integrare l'ipotesi di revisione di cui all'art. 630, lett. c) c.p.p., non coinvolgendo l'illiceità del fatto-reato oggetto della condanna).

Cass. pen. n. 595/1994

Deve escludersi, secondo la disciplina del nuovo codice di proc. pen. in tema di revisione, che la «novità» della prova diretta a dimostrare la causa estintiva possa essere intesa nel senso di ricomprendere anche elementi probatori già acquisiti agli atti ma non valutati dal giudice prima del giudicato. L'istituto della revisione è diretto a che al giudicato sia sostituita una nuova e diversa pronuncia, all'esito di nuovo e diverso giudizio: perché il giudizio sia «nuovo» esso deve necessariamente fondarsi su elementi di indagine diversi da quelli compresi nel processo precedente.

Cass. pen. n. 3924/1993

In tema di revisione, allorché le prove che si pretendono nuove consistano in deposizioni testimoniali, occorre, per escludere una declaratoria di manifesta infondatezza della relativa istanza, che le stesse abbiano forza tale da ribaltare il costrutto accusatorio, e che sia evidenziata la ragione della loro necessaria sopravvenienza nel tempo successivo al giudicato.

Cass. pen. n. 8237/1993

In tema di revisione, la sola indicazione di una nuova posizione, assunta rilevante, da parte di una persona che ha già reso dichiarazioni utilizzate per la pregressa affermazione della responsabilità e quindi ritrattate, impone al giudice di stabilire in primo luogo se l'elemento così prospettato sia sussumibile o meno nella previsione della lett. d) dell'art. 630 c.p.p. (condanna pronunciata in conseguenza di falsità); in secondo luogo, ed in caso di soluzione positiva, se detto elemento possa valere o meno ai fini rescissori, tenendo presente che se, per un verso, la falsità delle prime dichiarazioni in tanto ha rilievo in quanto sia accertata con sentenza passata in giudicato, per l'altro non può mai trascurarsi di indagare se il reato in cui si concreta la falsità sia estinto per qualsiasi causa o se per caso le stesse dichiarazioni, pur presentandosi come non vere, non costituiscano né mendacio né calunnia: ciò perché in entrambi i casi, se la risposta sia positiva superandosi la necessità del preventivo giudicato è demandato direttamente al giudice della revisione ogni accertamento relativo. (Fattispecie in tema di annullamento di declaratoria di inammissibilità di richiesta di revisione).

Cass. pen. n. 6359/1993

Se è vero che nel processo penale, incombendo sull'organo dell'accusa l'onere di provare la colpevolezza dell'imputato e non richiedendosi a questo di fornire prova della sua innocenza, non è consentita l'attribuzione di valore pregiudizievole all'incolpato alla assenza di un alibi o alla sua incertezza probatoria per il momento dell'illecito che gli si contesta, è innegabile che un alibi falso o mendace appare sintomatico del tentativo, da parte dello stesso incolpato, di sottrarsi all'accertamento della verità, sicché di esso il giudice deve tener conto quale elemento indiziante ed unitamente a tutti gli altri acquisiti, valutandolo nel suo prudente apprezzamento per la formazione del giudizio finale in ordine alla penale responsabilità di colui che lo adduca. Siffatto principio esplica la sua efficacia nel giudizio di cognizione, ma conserva validità anche in quello di revisione nell'ipotesi in cui tra i nuovi elementi offerti a dimostrazione della ingiustizia della sentenza di condanna sia un alibi la cui esistenza si assuma solo successivamente accertata.

Cass. pen. n. 6019/1993

Deve escludersi che la disciplina della revisione prevista dal nuovo c.p.p. consenta di rilevare cause di estinzione del reato già risultanti dagli atti e «sfuggite» al controllo della Cassazione, non potendosi intendere la «novità» della prova diretta a dimostrare la causa estintiva nel senso di ricomprendere anche gli elementi probatori già acquisiti agli atti ma non valutati dal giudice prima del giudicato. L'istituto della revisione, invero, è diretto a che al giudicato sia sostituita una nuova, diversa pronuncia, all'esito di un nuovo, diverso, giudizio; ma, perché il giudizio sia «nuovo», esso deve necessariamente fondarsi su elementi di indagine diversi da quelli compresi nel processo conclusosi con il giudizio precedente. (La Cassazione ha altresì evidenziato che per quel che attiene ai casi ed ai limiti della revisione — ed in particolare al concetto di «novità» della prova — la disciplina del nuovo c.p.p. è sostanzialmente quella già prevista dal codice abrogato).

Cass. pen. n. 381/1993

La situazione d'incompatibilità fra giudicati prevista nell'art. 630, primo comma, lettera a) c.p.p. può eccezionalmente sorgere anche fra sentenze emesse nello stesso procedimento quando il fatto incompatibile con la sentenza irrevocabile di condanna per un reato scaturisca da sentenza successiva. Se i fatti inconciliabili derivassero dalla medesima sentenza o da sentenze distinte ma coeve, il rimedio invero esperibile sarebbe non la revisione, ma la impugnazione ordinaria. L'inconciliabilità deve riguardare i fatti di reato accertati e posti a fondamento delle due diverse decisioni, non già la valutazione differente, da parte dei giudici, di fatti storici diversi.

Cass. pen. n. 3152/1992

In sede di incidente di esecuzione, l'indagine affidata al giudice di merito è limitata al controllo dell'esistenza di un titolo esecutivo e della legittimità della sua emissione, e cioè alla regolarità formale e sostanziale del titolo su cui si fonda l'intrapresa esecuzione, rimanendo preclusa, per la formazione della res judicata, l'indagine concernente ogni altro vizio. Non è conseguentemente proponibile incidente di esecuzione deducendo censure aventi ad oggetto la data di nascita dell'imputato condannato e la conseguente sua imputabilità. L'istituto giuridico processuale che può recuperare all'ordinamento, a fronte di un quid novi, nella misura in cui lo stesso è stato ignorato dal giudice che non ne ha tenuto conto nella decisione, una nuova statuizione funzionale al recupero di una verità assertivamente conculcata, è costituito dalla revisione dei processi, di cui agli artt. 629 e seguenti c.p.p., che — come novità del nuovo procedimento — ammette anche i casi di erronea condanna di coloro che non erano imputabili a cagione di condizioni o qualità personali o della presenza di esimenti (art. 630, lett. b, c.p.p., in relazione all'art. 529, primo comma, dello stesso codice). (Nella fattispecie, la Suprema Corte ha annullato l'ordinanza del tribunale per i minorenni che rigettava l'incidente di esecuzione volto a conseguire la revoca di sentenze emesse nei confronti di minore asseritamente non imputabile e, qualificato il ricorso per l'incidente di esecuzione come istanza di revisione, ha disposto la trasmissione degli atti alla corte di appello territorialmente competente per l'ulteriore corso).

Cass. pen. n. 3067/1992

Ove la richiesta di revisione si fondi sull'assunto della attribuibilità del fatto ad altra persona nominativamente indicata, essa, siccome riconducibile all'ipotesi del contrasto di giudicati prevista dall'art. 630, lettera a), c.p.p. (corrispondente a quella già prevista dall'art. 554, n. 1 del codice di rito previgente), è inammissibile fino a che la responsabilità dell'altra persona non sia accertata con sentenza divenuta irrevocabile.

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relative all'articolo 630 Codice di procedura penale

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Iero A. chiede
giovedì 15/09/2016 - Calabria
“GENT.LE AVV.TO,
SONO INTERESSATA A SAPERE SE IN CASO DI PROCESSO PENALE PASSATO IN GIUDICATO, LA MANCATA CONCESSIONE DELLE ATTENUANTI GENERICHE A SOGGETTO NON INCENSURATO PUO' ESSERE MOTIVO DI REVISIONE DEL PROCESSO STESSO, ANCHE IN VIRTU' DI UNA RICHIESTA DELL'ABBASSAMENTO DEL FINE PENA.
GRAZIE PER LA RISPOSTA CHE VORRETE DARMI.
CORDIALI SALUTI.”
Consulenza legale i 19/09/2016
La risposta al Suo quesito è negativa: la revisione del processo penale è un mezzo di impugnazione straordinario della sentenza che, come tale, è previsto e possibile solo in determinati casi tassativi.

Ai sensi dell’art. 630 c.p.p., infatti, “La revisione può essere richiesta:
a) se i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna non possono conciliarsi con quelli stabiliti in un'altra sentenza penale irrevocabile del giudice ordinario o di un giudice speciale;
b) se la sentenza o il decreto penale di condanna hanno ritenuto la sussistenza del reato a carico del condannato in conseguenza di una sentenza del giudice civile o amministrativo, successivamente revocata, che abbia deciso una delle questioni pregiudiziali previste dall'articolo 3 ovvero una delle questioni previste dall'articolo 479;
c) se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto a norma dell'articolo 631;
d) se è dimostrato che la condanna venne pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato.”

Ed inoltre, l’art. 631 c.p.p. afferma che la revisione del processo penale non possa essere richiesta se non quando – una volta accertati i fatti che hanno portato alla revisione del processo – debba essere pronunciata una sentenza di assoluzione o proscioglimento in favore dell’imputato.

Il caso di specie, vale a dire la mancata concessione delle attenuanti generiche, non può rientrare nei casi di revisione del processo, posto che si scenderebbe – nuovamente – nel merito della quantificazione della pena, cosa che non può essere fatta una volta che la sentenza di condanna sia divenuta irrevocabile. Infatti, la mancata concessione delle attenuanti generiche potrebbe giustificare – al più – un appello della sentenza di primo grado, posto che la Corte d’Appello ha la competenza di scendere nel merito della questione ed eventualmente riformulare la sentenza pronunciata dal giudice di primo grado.
Non pare però questo il Suo caso, dal momento che si parla di sentenza irrevocabile (vale a dire, passata in giudicato, quindi non più passibile di essere riformata), ciò che consente una applicazione dell’art. 630 c.p.p., che elenca una serie tassativa di casi in cui il processo penale può essere revisionato anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza che lo ha definito. In tali casi tassativi – come visto dal disposto dell’art. 630 c.p.p. – non rientra la mancata concessione delle attenuanti. Tale tassatività si giustifica nel principio della certezza del diritto e – per il processo penale – di certezza della pena.