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Articolo 2469 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Trasferimento delle partecipazioni

Dispositivo dell'art. 2469 Codice Civile

Le partecipazioni sono liberamente trasferibili(1) per atto tra vivi e per successione a causa di morte, salvo contraria disposizione dell'atto costitutivo [2284, 2322, 2462, 2471, 2468].

Qualora l'atto costitutivo preveda l'intrasferibilità delle partecipazioni o ne subordini il trasferimento al gradimento di organi sociali, di soci o di terzi senza prevederne condizioni e limiti, o ponga condizioni o limiti che nel caso concreto impediscono il trasferimento a causa di morte, il socio o i suoi eredi possono esercitare il diritto di recesso ai sensi dell'articolo 2473. In tali casi l'atto costitutivo può stabilire un termine, non superiore a due anni dalla costituzione della società o dalla sottoscrizione della partecipazione, prima del quale il recesso non può essere esercitato.

Note

(1) Il contratto di trasferimento di quote in una s.r.l. non richiede la forma scritta né ad substantiamad probationem, che è necessaria solo per rendere la cessione opponibile alla società.

Ratio Legis

L'articolo in esame marca ulteriormente l'elemento personalistico che caratterizza le s.r.l.: la disposizione, infatti, pur assoggettando le quote di s.r.l. al regime di libera trasferibilità, ammette espressamente la possibilità di derogarvi nell'atto costitutivo, senza porre peraltro limiti imperativi assimilabili a quelli dettati per i vincoli alla circolazione delle azioni.

Spiegazione dell'art. 2469 Codice Civile

Analogamente a quanto prescritto per le s.p.a., il regime legale della s.r.l. prevede la libera circolazione delle quote.
La norma tuttavia ammette espressamente la previsione di limiti convenzionali alla circolazione delle partecipazioni, in quanto tali clausole consentono di valorizzare l’elemento personalistico che contraddistingue la s.r.l.
Sebbene dunque l’autonomia privata goda di margini più ampi rispetto alla s.r.l. il legislatore ha inteso controbilanciare tale libertà con l’attribuzione del diritto di recesso in favore del socio, così da non rendere quest'ultimo “prigioniero” della società.

La disposizione detta una specifica disciplina per tre tipologie di clausole limitative:
  • clausole che comportano l’intrasferibilità illimitata e incondizionata della partecipazione: a differenza delle s.p.a., l’atto costitutivo può prevedere un divieto di trasferimento assoluto, fermo restando che al socio spetterà ex lege il diritto di recesso. La stessa clausola può tuttavia escludere l’esercizio del recesso per i primi due anni dalla costituzione della società o dalla sottoscrizione della partecipazione. In dottrina si discute sulle tipologie di clausole da rincondursi ad una simile categoria, sebbene l’orientamento prevalente tenda ad includervi solo le pattuizioni che sanciscano in maniera assoluta l’intrasferibilità, senza subordinare il divieto a limiti temporali o a particolari condizioni. Qualora l’intrasferibilità riguardi il trasferimento mortis causa, gli eredi avranno diritto alla liquidazione della quota.
  • clausole che subordinano il trasferimento al mero gradimento degli altri soci o di un socio investito di particolari diritti: si fa in tal caso riferimento alla clausola che rimette al potere discrezionale dei soci, o di un singolo socio, o di un terzo, la facoltà di concedere o meno il gradimento all'alienazione delle partecipazioni, senza dettare condizioni specifiche oggettive alle quali subordinare il gradimento ed affidando quindi il giudizio alla discrezionalità dei soggetti indicati. Simile clausola è perfettamente valida, sebbene sia attribuito al socio il diritto di recesso qualora l’operatività della previsione non sia subordinata a particolari limiti temporali o a specifiche condizioni. Non è del tutto chiaro, tuttavia, se il presupposto del recesso consista nella mera presenza di una simile clausola statutaria oppure nell’effettivo diniego di gradimento. Secondo l’opinione prevalente, anche in questo caso è sufficiente la sola previsione della clausola di mero gradimento.
  • clausole che pongono limiti al trasferimento per causa di morte: la previsione di clausole che implichino una limitazione del trasferimento mortis causa della partecipazione non è condizione sufficiente ai fini dell’esercizio del recesso, in quanto la norma impone di accertare che tali limiti abbiano in concreto impedito il trasferimento.
La clausola di prelazione non è espressamente disciplinata dal legislatore. Tale clausola accorda agli altri soci il diritto di essere preferiti rispetto ad un terzo offerente nella vendita della partecipazione sociale, normalmente a parità di condizioni. La previsione, secondo l’opinione prevalente, non attribuisce al socio il diritto di recesso. Tuttavia, secondo un tesi, il diritto di recesso spetterebbe comunque nel caso di prelazione impropria, qualora la clausola preveda un corrispettivo sensibilmente inferiore al valore della partecipazione determinato secondo i criteri di liquidazione della quota in caso di recesso (Consiglio Notarile di Milano - massima n. 86).



Relazione al D.Lgs. 6/2003

(Relazione illustrativa del decreto legislativo recante: "Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366.")

Massime relative all'art. 2469 Codice Civile

Cass. civ. n. 3656/2018

In tema di intestazione fiduciaria delle partecipazioni sociali, il fiduciante, il quale lamenti che la definitiva uscita della società del fiduciario, a seguito del mancato esercizio del diritto di opzione, sia dipesa dalla falsità della situazione patrimoniale, redatta dagli amministratori e sottoposta all'assemblea per l'abbattimento e la ricostituzione del capitale sociale ex art. 2447 c.c., è legittimato ad esperire l'azione individuale del terzo di cui all'art. 2395 c.c., per il risarcimento del danno a lui direttamente cagionato dalla lesione al diritto al ritrasferimento della partecipazione sociale.

Cass. civ. n. 24559/2015

L'art. 2479 c.c., nel testo anteriore al d.l.vo n. 6 del 2003, non prevede un diritto di prelazione ma consente il relativo patto, così esprimendo il principio di libera trasferibilità delle quote sociali, per cui l'eventuale previsione di una prelazione ha fonte non legale, ma negoziale e solo in tale ambito trova la sua disciplina. Ne deriva che la violazione della clausola statutaria contenente un patto di prelazione comporta l'inopponibilità, nei confronti della società e dei soci titolari del diritto di prelazione, della cessione della partecipazione sociale, nonché l'obbligo di risarcire il danno eventualmente prodotto, alla stregua delle norme generali sull'inadempimento delle obbligazioni, e non anche il diritto potestativo di riscattare la partecipazione nei confronti dell'acquirente, che non integra un rimedio generale in caso di violazioni di obbligazioni contrattuali, ma solo una forma di tutela specificamente apprestata dalla legge e conformativa dei diritti di prelazione, previsti per legge, spettante ai relativi titolari. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso il diritto al retratto delle quote di partecipazione di una s.r.l., cedute in violazione del patto di prelazione previsto dallo statuto).

Non sussiste un danno "in re ipsa" in caso di violazione della clausola statutaria attributiva di un diritto di prelazione del socio per l'acquisto della partecipazione societaria poiché la stessa assolve ad una funzione organizzativa per un interesse sociale e non del singolo socio. Ne deriva che grava su quest'ultimo l'onere di allegare un suo specifico interesse all'acquisto della partecipazione societaria, rimasto pregiudicato dalla condotta violativa, e, solo in tal caso, può giustificarsi la eventuale liquidazione equitativa del danno ai sensi dell'art. 1226 c.c., in ragione della impossibilità o notevole difficoltà di una sua precisa quantificazione.

Cass. civ. n. 7003/2015

In tema di società di capitali, l'acquisto di quote sociali effettuato in violazione del patto di prelazione statutariamente previsto in favore dei soci determina l'inefficacia, peraltro nella sola misura in cui si realizzi un'alterazione nella proporzione fra le rispettive quote, del relativo trasferimento nei confronti degli altri soci e della società, ma non anche la nullità del negozio traslativo tra il socio alienante ed il terzo acquirente.

Cass. civ. n. 25468/2010

Il contratto di trasferimento di quote di partecipazione in una società a responsabilità limitata, indipendentemente dall'eventuale esistenza di immobili nel patrimonio di questa, non richiede né "ad substantiam" né "ad probationem" la forma scritta, la quale non è necessaria per la validità ed efficacia della cessione tra le parti, bensì soltanto per la sua opponibilità alla società stessa.

Cass. civ. n. 19161/2007

In tema di riconoscimento del diritto di voto nelle assemblee delle società a responsabilità limitata, la legittimazione al relativo esercizio si connette, ai sensi dell'art. 2479 c.c. nel testo previgente al D.L.vo n. 6 del 2003, al fatto in sé dell'iscrizione dell'avente diritto al libro soci, mentre già il trasferimento di quota è valido ed efficace inter partes indipendentemente dalla predetta formalità, necessaria unicamente ai fini dell'efficacia verso la società ed i terzi. (Nella fattispecie la S.C., confermando la sentenza del giudice d'appello, ha negato che la società potesse distinguere la legittimazione, quale discendente dall'iscrizione nel libro soci, dalla reale titolarità della partecipazione, non potendosi in materia fare applicazione, al fine di disconoscere i diritti sociali, della disciplina del pagamento al creditore apparente (art. 1189 c.c.) o al possessore di un titolo di credito legittimato nei modi previsti in base al regime di circolazione del titolo (art. 1992 c.c.), poiché essendo la partecipazione nella predetta società diversa dall'azione non ricorre la regola sull'adempimento della prestazione nei confronti del possessore di un titolo di credito, così che la società non può rifiutare al socio iscritto il diritto di intervento e di voto in assemblea).

Cass. civ. n. 10121/2007

Nel caso di cessione di quote di società a responsabilità limitata, l'art. 2479 c.c., vigente all'epoca dei fatti, come oggi l'art. 2470, regola la forma del trasferimento perché sia opponibile alla società mentre nei rapporti tra le parti, in forza del principio di libertà delle forme, la cessione è valida ed efficace in virtù del semplice consenso manifestato dalle stesse (nella specie la S.C. ha confermato la sentenza della Corte d'appello che, in un caso di interposizione reale, aveva ritenuto perfezionata la retrocessione realizzata con scrittura privata priva di data).

Cass. civ. n. 339/2005

Nel giudizio avente ad oggetto il trasferimento di quote della Srl la società non è litisconsorte necessario, in quanto il trasferimento è valido ed efficace inter partes indipendentemente dall'iscrizione nel libro dei soci, necessaria al solo scopo di renderlo efficace nei confronti della società, costituendo l'iscrizione un atto dovuto di quest'ultima, che deve limitarsi a prendere atto della titolarità delle quote, accertata dal giudicato che definisce la relativa controversia.

Cass. civ. n. 11296/1998

Il trasferimento delle quote di una società a responsabilità limitata (art. 2479 c.c.) è atto negoziale a forma libera, da documentarsi per iscritto ai soli e limitati fini dell'opponibilità alla società stessa. Ne consegue che, nel rapporto tra i contraenti, l'incontro delle rispettive volontà negoziali può legittimamente determinarsi anche per effetto di un semplice telegramma, quantunque privo dei requisiti formali di cui all'art. 2705 c.c., requisiti che, condizionando l'equiparazione del telegramma alla scrittura privata, sono indispensabili solo quando si esiga ad substantiam la consacrazione della volontà dei contraenti in atti dai medesimi sottoscritti.

Cass. civ. n. 2637/1993

A norma dell'art. 2479 c.c., il trasferimento della quota di una società a responsabilità limitata, in mancanza di una contraria disposizione dell'atto costitutivo, è consentito, oltre che per successione mortis causa, anche per atto tra vivi e l'iscrizione del trasferimento nel libro dei soci costituisce un atto dovuto da parte della società. Ne deriva che la trasferibilità della quota rappresenta la regola, rispetto alla quale la deroga statutaria deve risultare da una clausola chiaramente indicante una limitazione (in ipotesi, necessità del «gradimento» delle persone dei cessionari da parte della totalità dei soci o di uno degli organi sociali), la cui interpretazione costituisce un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito e, come tale, incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da logica ed adeguata motivazione.

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Consulenze legali
relative all'articolo 2469 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

N. P. chiede
giovedì 07/12/2023
“Sono Socio di una SRL proprietaria di immobili con il seguente problema:
Nel 2009 è morto un socio con propria quota del 37,50%.
La Statuto della società non regola le successioni testamentarie. Nessuno dei quattro eredi del de cuius ha esercitato la successione testamentaria relativamente alle quote societarie ereditate, né ha mai avanzato pretesa alcuna nei confronti della società.
La società su decisioni importanti è inoperativa non raggiungendo i 2/3 di maggioranza, per cui non può deliberare né la vendita della proprietà, né la chiusura della società medesima, né la variazione dello Statuto.
Più volte gli eredi sono stati invitati a regolarizzare la loro posizione senza alcun risultato pratico, anzi, si sono dimostrati assenti. Quali sono le soluzioni al problema?”
Consulenza legale i 14/12/2023
Nelle S.r.l. vige il principio della libera trasferibilità delle quote (anche) mortis causa, espresso dall’art. 2469 comma 1 c.c., il quale prevede che le partecipazioni sono liberamente trasferibili per atto tra vivi e per successione a causa di morte, salvo contraria disposizione dell’atto costitutivo.
Ne consegue che, a seguito della morte di un socio di S.r.l., gli eredi (previa accettazione dell’eredità) o i legatari (direttamente, in virtù del principio di acquisto automatico del legato, salvo rinunzia, di cui all’art. 649 del c.c.) di regola succedono al socio defunto l’erede e diventano direttamente titolari della partecipazione del de cuius, acquistando peraltro la legittimazione all’esercizio dei diritti sociali solo a seguito dell’adempimento di alcune formalità prescritte dalla legge.

L’efficacia del trasferimento nei confronti della società e dei terzi è subordinata alla conclusione dell’iter pubblicitario prescritto dall’art. 2470 del c.c., mediante il deposito del relativo atto presso il Registro delle Imprese.
Detta formalità rileva solo sul piano dell’acquisto della legittimazione all’esercizio dei diritti sociali da parte dell’erede; in difetto questi non può partecipare ad alcuna attività sociale.

Nell’eventualità in cui, come nel caso di specie, gli eredi (o meglio i chiamati all’eredità) non provvedano ad accettare l’eredità e, di conseguenza, a porre in essere le formalità che la legge richiede, si rende necessario intraprendere la procedura di cui all’art. 481 del c.c., ricorrendo al Tribunale competente affinché venga fissato un termine entro il quale i chiamati dichiarino se accettano o rinunziano all'eredità.
Trascorso il termine stabilito senza che questi abbiano espresso la dichiarazione, i chiamati perdono il diritto di accettare.

A questo punto, se i chiamati accettano l’eredità, allora si potrà procedere alle formalità necessarie.
Se non dovessero accettare entro il termine - lo stesso vale per eventuali ulteriori chiamati all’eredità subentranti in luogo di coloro che non hanno accettato - trova applicazione l’art. 586 del c.c., pertanto l’eredità si devolve immediatamente allo Stato, che diventa socio in via retroattiva a decorrere dalla apertura della successione.
Lo Stato, peraltro, può diventare socio a tutti gli effetti soltanto quando risulti assolutamente certa l’inesistenza di successibili entro il sesto grado.
Fino a tale momento, l’eredità è considerata giacente e si applica l’art. 528 del c.c., il quale prevede la nomina, su istanza di un interessato o d’ufficio, di un curatore dell’eredità giacente.

Nell’eventualità di mancata accettazione da parte dei chiamati entro il termine fissato ai sensi dell’art. 481 del c.c., si consiglia di avanzare istanza per la nomina di un curatore dell’eredità giacente presso il Tribunale del circondario in cui si è aperta la successione.
In questo modo il curatore, quale legittimo interlocutore della società, potrà garantire la valida prosecuzione delle attività di impresa, ovvero le attività straordinarie che si rendono necessarie.

F. F. chiede
venerdì 01/12/2023
“salve. Ecco il quesito: in una società di cui detengo personalmente come amministratore il 30%, uno dei soci mette in vendita il suo 30%. Posso acquistarlo con un'altra società di cui detengo il 45%? grazie”
Consulenza legale i 11/12/2023
L’art. 2469 del c.c. dispone che nella s.r.l. le quote sono in linea generale liberamente trasferibili, salvo contraria previsione dell’atto costitutivo.

Nel caso di specie, l’atto costitutivo della società disciplina il trasferimento delle quote inter vivos all’art. 5, attribuendo ai soci un diritto di prelazione nell’acquisto a parità di condizioni; nonché prevedendo che qualora un socio intenda cedere la propria quota, dovrà darne comunicazione mediante raccomandata con avviso di ricevimento agli altri.
Colui che intende esercitare il diritto di prelazione dovrà comunicarlo mediante raccomandata entro 30 giorni dalla ricezione di suddetta comunicazione.

Dal punto di vista della società la cui partecipazione viene ceduta, rispettate dette formalità, non ci sono preclusioni a che l’acquisto sia effettuato da un’altra società, salvo il diritto di prelazione dei soci della prima.

Resta da verificare se la società acquirente possa detenere partecipazioni di altre società.
Una società di capitali, infatti, può detenere partecipazioni in altre società di capitali, salvo il limite imposto dall’art. 2361 del c.c., ai sensi del quale l'assunzione di partecipazioni in altre imprese, anche se prevista genericamente nello statuto, non è consentita se per la misura e per l'oggetto della partecipazione risulta sostanzialmente modificato l'oggetto sociale della società acquirente.

G. P. chiede
venerdì 03/11/2023
“Una società srl con 3 soci.
Per quanto riguarda i trasferimenti di quote tra vivi, lo statuto considera anche le donazioni:

ART.7) TRASFERIMENTO DELLE QUOTE DI PARTECIPAZIONE PER ATTO TRA VIVI
1. È considerato trasferimento qualsiasi negozio in forza del quale derivi il mutamento della titolarità di dette quote o diritti, ivi compresi, in via esemplificativa, la compravendita, la donazione, la permuta, il conferimento in società, la costituzione di rendita, il trasferimento che intervenga nell'ambito di cessione o conferimento di azienda, fusione e scissione, il trasferimento o la costituzione di diritti reali limitati, il pignoramento e qualsiasi altra forma di esecuzione forzata.
Procede lo statuto sempre all’art 7, commi…

2. In caso di trasferimento inteso come all'art. 1, di quote, di diritti di opzione e di diritti di prelazione di quote inoptate, spetta agli altri soci il diritto di prelazione.
Il diritto di prelazione deve essere esercitato per l'intera quota oggetto di trasferimento.

3. E' escluso il diritto di prelazione nei trasferimenti che avvengano a favore dei figli.

Uno dei 3 soci invia questa Raccomandata agli altri 2:
“Oggetto: offerta in prelazione ai sensi dell'art. 7 dello Statuto; richiesta di gradimento.

Egregi ...,
in ottemperanza alle previsioni di cui all'art. 7 dello Statuto del … … s.r.l., Vi comunico che ho deciso di donare a favore di mia madre, … …
la quale intende accettare la donazione, la mia intera partecipazione nella Società.

Vi invito pertanto a manifestare la Vs. eventuale intenzione di esercitare ii diritto di prelazione in relazione alla mia intera partecipazione nella Società entro ii termine ultimo di trenta giorni dalla ricezione della presente ai sensi dell'art. 7, commi 5, 6 e 7 dello Statuto.
A questo scopo, Vi comunico che ii valore della partecipazione oggetto della presente offerta è quantificato in € 800.000,00 e che, in caso di esercizio della prelazione, l'importo dovrà essere da Voi pagato per intero contestualmente alla vendita della mia partecipazione, da stipularsi presso ii Notaio da Voi prescelto nei trenta giorni successivi all'esercizio della prelazione.
Perl'ipotesi in cui rinunciaste a esercitare ii diritto di prelazione o lasciaste decorrere ii termine assegnato, Vi invito sin d'ora a manifestare ii gradimento all'ingresso nella Società nei confronti del… comma 10 dello Statuto.
Con espressa riserva di esercitare ii diritto di recesso nel caso di Vs. diniego.

La questione è questa:
la cifra richiesta è del tutto sproporzionata e evidentemente volta al non far esercitare la prelazione agli altri due soci, nonché anche il minacciato recesso del socio in caso di non conferimento del gradimento è finalizzato a non poter denegare lo stesso in quanto la non solvibilità, in primis dei soci e della società a tale cifra, porterebbe la stessa alla liquidazione !
Pertanto: trattandosi di donazione, ed anche alla madre della quale si è legittimatorio, la stima delle quote può essere così arbitraria ? E' contestabile l'azione proprio evidenziando che non essendo vendita bensì donazione , il valore arbitrario e di parte (anche di un eventuale loro perito) delle quote lede in sostanza il diritto di prelazione e di gradimento degli altri due soci ?”
Consulenza legale i 09/11/2023
L’esame della problematica che qui viene posta non può prescindere dalla definizione stessa di prelazione, espressione con la quale ci si riferisce a quel negozio giuridico che le parti decidono liberamente di concludere, in virtù del principio di autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 del c.c., e che non trova espressa disciplina nel codice civile.

Il patto di prelazione può scaturire da una clausola, inserita in un contratto più ampio, oppure da un contratto autonomo, ed in forza di esso sorgono in capo alle parti i seguenti diritti e doveri:
a)il promittente si vincola a concludere un determinato contratto con il beneficiario;
b)il prelazionario ha diritto di concludere quel contratto alle stesse condizioni proposte a terzi;
c)il promittente mantiene la propria libertà in ordine al contenuto del contratto, ovvero è libero di scegliere il prezzo e le condizioni a cui contrattare;
d)il prelazionario gode del mero diritto di essere preferito come controparte;
e)il prelazionario non può contrattare o rinegoziare (ad esempio chiedere un prezzo iù vantaggioso ovvero un pagamento rateale).

Tralasciando gli ulteriori aspetti che caratterizzano tale patto e che qui non possono far sorgere alcun particolare problema (quale ad esempio la necessaria previsione di un termine di efficacia), occorre adesso esaminare come un patto di tale tipo e, soprattutto, come i diritti e doveri che da esso ne discendono possano trovare applicazione in ambito societario, in particolare nell’ipotesi in cui si intenda realizzare il trasferimento della partecipazione sociale a titolo gratuito, in forza di un atto di donazione.

Ebbene, nella società per azioni la norma che legittima l’inserimento nello statuto sociale di una clausola di prelazione è il primo comma dell’art. 2355 bis del c.c., mentre nel caso delle società a responsabilità limitata deve farsi riferimento al primo comma dell’art. 2469 c.c.
A mezzo di una clausola limitativa della circolazione della partecipazione sociale si intende da un lato soddisfare l’interesse della compagne sociale di limitare l’ingresso all’interno della stessa di terzi estranei e, dall’altro, il diritto del socio di realizzare liberamente il proprio investimento.

In genere, la clausola di prelazione ha lo scopo di consentire al socio di essere preferito al terzo acquirentea parità di condizioni”, presupposto quest’ultimo che, come si è sopra visto sub lettera b), costituisce condizione essenziale per consentire al prelazionario di far valere il suo diritto di concludere il contratto.
Ora, se il presupposto della “parità di condizioni” non può far sorgere alcun problema in caso di trasferimenti a titolo oneroso della partecipazione sociale, lo stesso non può dirsi, come sta accadendo nel caso in esame, allorché il socio intenda realizzare quel trasferimento a titolo gratuito.
Il problema si pone in quanto, stando al sistema di operatività della clausola di prelazione, se il socio che intende donare la propria partecipazione sociale dovesse offrirla in prelazione agli altri soci, rispettando il presupposto della parità di condizioni, si giungerebbe a dover ammettere che anche la denuntiatio dovrebbe contenere una offerta a titolo gratuito di quella partecipazione, il che sembra certamente impossibile da realizzare.

Tanto già sarebbe sufficiente per poter far dubitare della validità di una clausola siffatta, ed è probabilmente proprio in considerazione della particolare ambiguità di tale clausola che l’art. 7 dello Statuto sociale, per come è stato trascritto nel quesito, non prevede l’ipotesi della donazione in maniera specifica e puntuale, ma solo inserendola “in via esemplificativa” tra le varie altre tipologie di trasferimento.

Dottrina e giurisprudenza, in effetti, sono stati indirettamente chiamati ad interessarsi di tale problematica, onde risolvere la questione, tuttora dibattuta, di quale sia la corretta posizione da assumere nel caso in cui un’eventuale clausola di prelazione, inserita nello Statuto sociale, nulla dica in maniera chiara ed espressa sui trasferimenti a titolo gratuito.
Ebbene, un primo orientamento giurisprudenziale ritiene che la causa di prelazione sia destinata ad operare al verificarsi di ogni fattispecie traslativa, e dunque anche in occasione di un atto a titolo gratuito.
In conseguenza di ciò si verificherebbe che mentre per il destinatario dell’atto di donazione il trasferimento si realizzerebbe senza il pagamento di alcun corrispettivo, il socio che decidesse di esercitare il diritto di prelazione sarebbe tenuto a corrispondere al donante il controvalore monetario.
Per la determinazione di quest’ultimo la giurisprudenza ritiene che si debba fare ricorso alla stima del valore patrimoniale dell’azione o della partecipazione effettuata da un esperto indipendente nominato dal Tribunale, in tal senso dovendosi fare applicazione analogica del disposto di cui all’art. 2437 ter del c.c., dettato in tema di determinazione del valore delle azioni per il caso di esercizio del diritto di recesso.

Secondo un diverso e contrapposto orientamento giurisprudenziale, invece, la clausola di prelazione è destinata ad operare, in considerazione degli elementi che la caratterizzano (ovvero quelli individuati nella prima parte di questa consulenza), solo nel caso di trasferimento a titolo oneroso, fatta eccezione per il solo caso in cui lo statuto non dica e preveda specificamente ed espressamente qualcosa per il caso di trasferimento a titolo gratuito.
In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione, Sez. I civile, sentenza n. 93 del 12.01.1989, così massimata:
La clausola dell’atto costitutivo di una società a responsabilità limitata, la quale contempli il diritto di prelazione degli altri soci in caso di trasferimento di quote sociali per atto tra vivi, è concettualmente riferibile ai soli trasferimenti onerosi, mentre una sua estensione a quelli a titolo gratuito sarebbe ammissibile solo in presenza di un’espressa previsione in tal senso; ciò in quanto la libera trasferibilità delle quote di srl è da vedersi come regola, mentre un divieto di disposizione a titolo gratuito, in cui si risolverebbe sostanzialmente l’estensione della prelazione ai trasferimenti di quel tipo, è da ritenersi eccezione, certamente consentita, ma a condizione di una pattuizione esplicita”.

Non può che ritenersi sicuramente preferibile e più aderente al dettato normativo questa seconda tesi, e ciò per le seguenti ragioni:
a) l’atto donativo è per sua natura ad personam, il che rende inspiegabile come possa mutare il soggetto destinatario della liberalità in assenza di alcuna specifica volontà da parte del donante;
b) la compressione del diritto di disposizione di un diritto di proprietà individuale non può giungere al punto da trasformare il negozio che si intende concludere in altro di tipo completamente diverso (da atto a titolo gratuito da parte del socio donante, ad atto a titolo oneroso da parte dello stesso soggetto divenuto forzatamente alienante per imposizione esterna).

Ciò posto, ed aderendo sempre a quanto statuito dalla S.C. nella sentenza sopra citata, si ritiene che non si possa a priori precludere ai soci di pattuire, in sede di costituzione della società, l’inserimento nello Statuto sociale di una clausola di prelazione anche a fronte di un atto a titolo gratuito, a condizione, tuttavia, che quella clausola regoli le modalità di esercizio della prelazione in modo espresso e specifico, ovvero stabilendone in particolare i meccanismi attraverso i quali debba attribuirsi un valore patrimoniale alla quota, in analogia a quanto previsto in caso di contrasto sul valore ex artt. 2437 ter e 2473 c.c.

Poiché nel caso di specie la clausola statutaria trascritta nel quesito non soddisfa in alcun modo le suddette condizioni (tanto che appare discutibile la sua stessa validità ai fini di un trasferimento a titolo gratuito della partecipazione), si ritiene che possa certamente mettersi in dubbio il modo attraverso cui il socio donante pretende di determinare il corrispettivo da versare per il caso di esercizio della prelazione da parte degli altri soci.
Ciò che si suggerisce, pertanto, è di contestare quella denuntiatio nella parte relativa alla determinazione del valore della partecipazione sociale, richiedendo che a tale determinazione si giunga facendo applicazione analogica del disposto di cui all’art. 2437 ter c.c.

Peraltro, si tenga presente, ad ulteriore conforto della equità della soluzione che si propone, che la medesima è stata fatta propria dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 11467 del 08.04.2022, chiamata a pronunciarsi in tema di trasferimento mortis causa di azioni o quote comprese nell’attivo ereditario.
In detta sentenza la S.C. ha affermato che, ai fini della determinazione della base imponibile dell’imposta sulle successioni e donazioni, deve farsi applicazione di quanto disposto dal comma 1 lett. b) dell’art. 16 del T.U. successioni e donazioni, nella parte in cui dispone che la base imponibile delle quote sociali comprese nell’attivo ereditario va determinata proporzionalmente in base al patrimonio netto della società risultante dall’ultimo bilancio pubblicato o dall’ultimo inventario regolarmente redatto e vidimato, tenendo conto dei mutamenti sopravvenuti.
In mancanza del bilancio o dell’inventario, il valore della partecipazione va quantificato in base al valore complessivo dei beni e dei diritti appartenenti alla società “al netto delle passività risultanti a norma degli artt. da 21 a 23], escludendo i beni indicati alle lettere h) e i) dell’art. 12”.

Nell’ipotesi in cui, poi, il socio che intende donare la sua quota non volesse rettificare in tal senso la denuntiatio, altra soluzione potrebbe essere quella di non manifestare il proprio gradimento all’ingresso nella società della donataria, attivando così il meccanismo del recesso automatico del socio.
In tal caso, però, la partecipazione sociale non dovrà di certo essere liquidata secondo il valore determinato dal socio, ma in forza del disposto di cui al terzo comma dell’art. 2473 del c.c., ovvero in proporzione del patrimonio sociale, determinato tenendo conto del suo valore di mercato al momento della deliberazione di recesso.
Poiché da tale richiesta di determinazione ne scatutirà sicuramente un disaccordo, potrà a quel punto invocarsi l’applicazione della seconda parte dello stesso terzo comma dell’art. 2473 c.c., ove è detto che in ipotesi di disaccordo, la determinazione deve essere compiuta tramite relazione giurata di un esperto nominato dal Tribunale (e non certo sulla base di una perizia di parte, come pretende il socio donante!).

LORY G. chiede
mercoledì 11/11/2020 - Marche
“Buongiorno,
Il mio quesito è il seguente :
Un soggetto privato che detiene il 100% di quote societarie di una S.R.L., potrebbe fare un testamento olografo con nomina di n. 2 legatari soggetti terzi, per lasciare la proprietà delle quote della s.r.l. ?
Nel testo del testamento, i legatari possono inserire la clausola di "persone da nominare"?
il Testatore è un soggetto privato, lavoratore dipendente, sposato con un figlio minorenne, non ho certezza se in regime o separazione dei beni con la coniuge.
Attualmente questo soggetto è proprietario di un'immobile sul quale grava un mutuo.
In caso di testamento olografo con nomina di legatari per le sole quote societarie potrebbe essere impugnato dagli eredi in caso di decesso del testatore?
Cordiali saluti.

Consulenza legale i 17/11/2020
L’analisi della fattispecie proposta con il presente quesito deve innanzitutto essere condotta tenendo presenti le disposizioni contenute nello statuto fatto pervenire a questa Redazione e che regola la vita della società interessata.
Vi è, infatti, una specifica norma di tale statuto, e precisamente l’art. 9, che si occupa del trasferimento delle partecipazioni, così disponendo:
Le partecipazioni sociali sono nominative e liberamente trasferibili tra coniugi, tra genitori e figli o altri parenti in linea retta nonché per successione mortis causa; nel caso invece di alienazione ad altri, non soci o non legati all’alienante dai vincoli di coniugio o parentela di cui sopra, tutti i soci avranno diritto di prelazione a parità di condizioni.
A tal fine….”

Altra norma dello statuto di cui tener conto è l’art. 30, nella parte in cui dispone:
“…..Le disposizioni del presente atto costitutivo si applicano anche nel caso in cui la società abbia un unico socio…….
Per quanto non previsto nel presente atto costitutivo, valgono le norme di legge in materia di società a responsabilità limitata;
essendo la presente società caratterizzata prevalentemente da elementi capitalistici, propri delle società di capitali, nel caso in cui la normativa in tema di società a responsabilità limitata si dovesse rilevare insufficiente a colmare eventuali lacune di disciplina, si applicheranno, in quanto compatibili, le norme in tema di società per azioni.”.

E’ su tali disposizioni statutarie che occorre ragionare per rispondere a quanto richiesto.
La difficoltà di poter dare, sin da subito, una risposta chiara ed univoca discende dalla formulazione un po’ imprecisa dell’art. 9, considerato che tale clausola, dopo aver espressamente disposto che le partecipazioni sociali sono liberamente trasferibili soltanto allorché il trasferimento si realizzi in favore di coniugi, genitori, figli e altri parenti in linea retta (con esclusione, dunque, della libera trasferibilità in favore di terzi estranei), aggiunge “nonché per successione mortis causa”.
Ciò che non è chiaro è se per il trasferimento mortis causa debbano valere le medesime limitazioni previste per il trasferimento inter vivos, ovvero se in caso di successione mortis causa il trasferimento debba ritenersi libero, anche se disposto in favore di terzi estranei, diversi dai soggetti prima indicati.

Per risolvere le incertezze interpretative che tale disposizione statutaria comporta, non può che farsi ricorso alla disposizione di rinvio contenuta all’art. 30 dello stesso Statuto (il cui contenuto, almeno per ciò che interessa, è stato sopra riportato), la quale richiama innanzitutto le norme che il codice civile detta in materia di società a responsabilità limitata e, per quanto in esse non disposto, quelle dettate in tema di società per azioni.

Tra le prime, applicabili in via prioritaria, viene in rilievo l’art. 2469 c.c., il quale, al suo primo comma, consacra, quale principio di carattere generale, quello della libera trasferibilità, sia per atto tra vivi che mortis causa, della partecipazione sociale, facendo salva un’eventuale contraria disposizione dell’atto costitutivo (o dello statuto), pacificamente interpretata come facoltà di introdurre, diversamente che nelle società per azioni, anche una clausola di intrasferibilità assoluta.

La sussistenza di tale principio generale, unita all’assenza di un’espressa precisazione in ordine all’estensione o meno ai trasferimenti mortis causa delle limitazioni previste per quelli inter vivos, induce a dover ritenere che non sussiste alcun limite nel disporre della partecipazione sociale per successione mortis causa.
A ciò si aggiunga l’ulteriore considerazione che la clausola di prelazione inserita all’art. 9 dello statuto sociale disciplina in maniera dettagliata soltanto le modalità di alienazione onerosa a terzi estranei della partecipazione sociale o di parte di essa, nulla disponendo per il caso di successione mortis causa.

Quanto sopra dedotto induce, pertanto, a dover concludere per la tesi della assoluta libertà del titolare della partecipazione sociale nel disporre per testamento di tale partecipazione o di una sua parte.
A tal proposito appare utile riportare la massima della sentenza della Corte di Cassazione, Sez. I civ., n. 93 del 12.01.1989, in cui è detto:
“La clausola dell'atto costitutivo di una società a responsabilità limitata, la quale contempli il diritto di prelazione degli altri soci in caso di trasferimenti di quote sociali per atti tra vivi, è concettualmente riferibile ai soli trasferimenti onerosi, mentre una sua estensione a quelli a titolo gratuito sarebbe ammissibile solo in presenza di un'espressa previsione in tal senso; ciò in quanto la libera trasferibilità delle quote di srl è da vedersi come regola, mentre un divieto di disposizione a titolo gratuito, in cui si risolverebbe sostanzialmente l'estensione della prelazione ai trasferimenti di quel tipo, è da ritenersi eccezione, certamente consentita, ma a condizione di una pattuizione esplicita”.

In favore di tale conclusione può peraltro addursi che l’estensione della prevista clausola di prelazione anche ai trasferimenti per causa di morte rischierebbe di porsi in aperto contrasto con il divieto dei patti successori sancito all’art. 458 del c.c., a mente del quale non è consentito ad un soggetto di poter disporre, mediante convenzione, “della propria successione” e “dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta”.

In particolare, una limitazione di tale tipo contrasterebbe con il principio fondamentale del nostro ordinamento della piena libertà del testatore di disporre dei propri beni fino al momento della sua morte, ponendo un vincolo in capo al testatore di disporre della partecipazione in favore della ristretta cerchia di soggetti risultante dall’art. 9 dello statuto.

Per quanto concerne la titolarità della partecipazione sociale in relazione al regime di comunione o separazione dei beni, può dirsi che se il disponente versa in regime di separazione dei beni e l’acquisto della partecipazione è stato effettuato in costanza di tale regime, è indubbio che trattasi di bene personale, di cui ne può disporre in maniera totalitaria.
Se, al contrario, dovesse vigere tra i coniugi il regime della comunione legale dei beni e la partecipazione sociale risulti essere stata acquistata in costanza di detto regime, trattandosi di quote a cui è connessa una responsabilità limitata del socio, le stesse dovranno farsi ricadere nel regime della comunione immediata dei beni ex art. 177 del c.c., comma 1 lett. a), con la logica conseguenza che il testatore ne potrà disporre in ragione del 50%.

Infine, e per concludere, non è possibile allo stato attuale prendere posizione in relazione all’ultimo dei quesiti posti, ossia quello di impugnazione della disposizione testamentaria da parte degli eredi del disponente, in quanto non si può prescindere dalla valutazione della consistenza del suo patrimonio al momento della morte.
E’ sulla base di esso, unito a ciò di cui il de cuius abbia eventualmente disposto in vita per donazione (relictum + donatum), che si potrà determinare se i c.d. eredi legittimari hanno subito una lesione della quota di eredità a loro riservata e, pertanto, se gli stessi avranno il diritto o meno di impugnare la disposizione testamentaria in favore dei terzi estranei.


Giuseppe D. S. chiede
giovedì 18/06/2020 - Campania
“Salve, il quesito è questo:

Nell'ambito di una Srl composta da diversi soci che sono tra l'altro parenti è possibile l'alienazione di quote societarie a terzi? immagino di si rispettando chiaramente il diritto di prelazione inserito anche nello statuto. Nello stesso statuto è anche prevista l'alienazione subordinata al gradimento di cui riporto l'esatto paragrafo:
Titolo I art. 7 Ogni socio, che intende alienare totalmente o parzialmente, lam propria quota, deve farne offerta scritta agli altri soci e solo dopo che questi abbiano rifiutato o non gli abbiano fatto pervenire alcuna comunicazione entro un mese dall'offerta, potrà alienarla a persona estranea però, considerata la composizione originaria della società costituita tra consanguinei, animati dal comune intento di sviluppare le attività iniziate dai genitori nonché la spendita del proprio cognome nella denominazione della società "######### srl" subordinano ogni alienazione ad estranei al gradimento o meno che il Consiglio di Amministrazione è tenuto ad emettere entro e non oltre trenta giorni dalla richiesta, in difetto, l'alienazione ad estranei sarà invalida e nulla.
Quindi la domanda nasce spontanea: siccome sicuramente verrà manifestato questo non gradimento da parte di taluni componenti del CdA, chi vuole alienare le sue quote ne è impedito?
grazie.”
Consulenza legale i 24/06/2020
La clausola inserita nello statuto rientra tra le cosiddette clausole di gradimento “mero”, in forza delle quali i soci pongono dei limiti alla trasferibilità delle quote, riservando ad un determinato soggetto (in questo caso il Cda della società) la decisione sul trasferimento o meno ad un determinato soggetto della quota.

Si definisce clausola di gradimento “mero”, in quanto il Cda, nel caso di specie, non è tenuto neppure a motivare la propria decisione sulla trasferibilità della quota.

Dette clausole rientrano nei poteri dei soci di limitare le modifiche dell’assetto societari, che trova una sua espressione nell’art. 2469, 2 comma, del c.c., alla cui lettura si rimanda.

Pertanto, e venendo alla risposta al quesito, la mancata manifestazione del gradimento comporta l’intrasferibilità della quota.

Mario A. chiede
lunedì 18/03/2019 - Lombardia
“Sono l' Amministratore Unico di una SRL.
Un socio (quota non di controllo) è recentemente deceduto senza lasciare testamento.
Ho chiesto, con la dovuta formalità, a tutte le persone successibili per "successio ab intestato" (moglie e tre figli maggiorenni), di fornirmi la prova documentale della successione (atto notorio o quanto d'altro) ma queste mi hanno notificato (a voce) di non aver compiuto nessun atto e di voler rinunciare all'eredità.
Non ho ancora richiesto ai soci restanti di manifestarmi le loro intenzioni circa l'eventuale loro subentro nella proprietà delle quote del socio scomparso.
Come devo comportarmi, con particolare riguardo agli adempimenti nei confronti del registro imprese e della Agenzia delle Entrate?
Grazie”
Consulenza legale i 25/03/2019
Trattandosi di S.r.l., ove nell’atto costitutivo non sia diversamente disposto, vige il principio della trasferibilità della partecipazione (così il comma 1 dell’art. 2469 c.c.), per cui non v’è, in capo agli altri soci, un diritto/dovere di liquidare la quota del socio defunto agli eredi.
La mancanza di una clausola di continuazione, dunque, non ha alcun rilievo, a differenza di quel che avviene nelle società personali laddove, per le partecipazioni dei soci a responsabilità illimitata, vige l’opposto principio della intrasferibilità (anche) mortis causa.
Ne consegue che gli eredi di un socio di S.r.l. di regola succedono al socio defunto, acquisendo la sua partecipazione.

Tuttavia, i soci superstiti a quello defunto possono avere interesse ad evitare che nella compagine sociale subentrino gli eredi del de cuius.
Per rendere concreto tale interesse è necessario che l’atto costitutivo della S.r.l. preveda espressamente delle limitazioni alla libera trasferibilità delle quote, in caso di morte del socio, agli eredi o ai legatari del defunto. Tali possono essere le clausole statutarie che stabiliscono, ad esempio:
  • l’intrasferibilità delle quote, assoluta o relativa (subordinata al gradimento da parte degli organi sociali, di soci o di terzi);
  • la consolidazione della quota del defunto in capo agli altri soci;
  • l’obbligo di acquisto della quota del defunto da parte degli altri soci.

Queste clausole, però, se possono impedire o limitare il subingresso degli eredi o legatari nella compagine sociale della S.r.l., in nessun caso potrebbero avere l’effetto di impedire agli eredi di ottenere la liquidazione della quota del defunto in alternativa all’acquisto della qualità di socio.
Al momento della morte del socio di una S.r.l., sorge infatti nel patrimonio ereditario del de cuius un diritto di credito alla liquidazione della quota ai sensi dell’art. 2284 del c.c. (per le modalità di liquidazione della quota, invece, il riferimento va fatto all’art. 2289 del c.c.).
Ciò posto, in assenza di clausole statutarie che stabiliscano espressamente delle limitazioni alla trasferibilità della quota agli eredi del de cuius, questa deve intendersi trasferita per effetto delle disposizioni di cui all’art. 2469, comma 1, del c.c.
Tuttavia, sembra che, nel caso di specie, gli eredi del de cuius non abbiano alcun interesse a proseguire l’attività societaria con i restanti soci né, questi intendono sciogliere la società per effetto della morte di uno di essi.

Pertanto, rimane soltanto la soluzione di proseguire la società tra i soci superstiti, liquidando la quota agli eredi del de cuius o, per meglio dire, a favore del patrimonio ereditario, dal momento che gli eredi sembra vogliano rinunciare all’eredità.
Secondo l’art. 459 del c.c., infatti, l’eredità si acquista con l’accettazione e questa, se avviene, ha effetto sin dal momento dell’apertura della successione.

Con tale norma si vogliono raggiungere due effetti:
  1. da un lato si vuole evitare che qualcuno possa divenire erede anche quando non lo voglia;
  2. dall’altro, con la retroattività dell’accettazione si vuole fare in modo che vi sia soluzione di continuità nella titolarità del patrimonio del de cuius.

Cosa accade del patrimonio del de cuius nel periodo in cui l’accettazione non è ancora avvenuta e come considerarlo?
Si parla, in proposito, di eredità giacente, che costituirebbe un vero e proprio patrimonio separato in attesa del titolare e che, dopo l’accettazione, si confonde con il patrimonio dell’erede o resta comunque separato in caso di accettazione con beneficio di inventario.

Secondo l’art. 528 del c.c. per aversi eredità giacente sono necessarie tre condizioni
  1. mancata accettazione dell’eredità;
  2. il chiamato non deve essere in possesso dei beni ereditari;
  3. è stato nominato un curatore dell’eredità.
Ricorrendo le prime due condizioni, infatti, occorrerà nominare un curatore dell’eredità che procederà usando i poteri di cui agli articoli 529 e seguenti del codice civile.
Alla nomina del curatore provvede il tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, su istanza delle persone interessate o anche d'ufficio.

Il curatore, laddove constati che non vi siano eredi o in caso di rinuncia di quelli esistenti, decorso il termine di cui all’art. 525 del c.c., entro il quale è possibile la revoca della rinuncia e nella cui pendenza ricorrono i presupposti per la giacenza ereditaria, farà istanza alla Avvocatura dello Stato affinché provveda in applicazione dell’art. 586 del c.c., devolvendo, quindi, l’eredità allo Stato.

Si tratta però di verificare se, nel frattempo, l’incertezza in ordine alle sorti della partecipazione del socio defunto abbia ricadute sulla vita della società e, segnatamente, se i riflessi che ciò può avere sulla convocazione dell’assemblea possa in qualche modo incidere sul suo funzionamento integrando la fattispecie di scioglimento di cui al n. 4 dell’art. 2484 del c.c..

Al riguardo, sarebbe opportuno valutare anche l’entità della quota di partecipazione di cui si discute al fine di stabilire se la mancata convocazione del suo titolare possa, conseguentemente, inficiare la validità delle deliberazioni/decisioni.
Va al riguardo ricordato che, la Suprema Corte è dell’avviso che si debba ritenere “nulla la delibera ogni volta che manchi la convocazione anche di un sol socio, a nulla rilevando l’eventuale presenza ed il voto favorevole della maggioranza degli altri soci”.
Conseguentemente, decorsi i termini di cui all’art. 525 c.c., sarebbe opportuno sollecitare la nomina del curatore dell’eredità giacente, al quale indirizzare la convocazione.
Riguardo ai poteri del curatore durante il periodo di giacenza dell’eredità si fa rinvio alle disposizioni di cui agli artt. 529-530-531 c.c. integrati dagli artt. 781-782-783 c.p.c, in ordine alla responsabilità nell’amministrazione dei beni ereditari, ai poteri a lui spettanti, ai relativi obblighi e adempimenti a cui è tenuto dal momento della nomina fino al momento dell’accettazione dell’eredità, venendo a cessare, in quest’ ultima ipotesi, le sue funzioni e dunque la finalità della stessa giacenza dell’eredità (così art. 532 del c.c.).

Ovviamente il curatore diviene l’unico interlocutore anche da un punto di vista fiscale.
Sul curatore grava, infatti, l’onere di provvedere alla presentazione della dichiarazione di successione entro il termine di 12 mesi, decorrenti dalla data in cui ha avuto notizia legale del decreto della sua nomina (Cfr. art. 28, co. 2, D. Lgs. 346/90); di pagare l’imposta di successione; di presentare tutte le dichiarazioni dei redditi previste dalla normativa fiscale di riferimento.

In definitiva, l’unica cosa da fare, in qualità di amministratore unico della società, è quella di farsi parte attiva, presso il Tribunale del luogo in cui si è aperta la successione, al fine di chiedere la nomina di un curatore dell’eredità giacente.
Successivamente, si potrà liquidare la quota del de cuius a favore del patrimonio ereditario proseguendo l’attività societaria tra gli altri soci.
Il curatore dell’eredità giacente provvederà a tutti i successivi e conseguenziali adempimenti di cui si è già detto.

Anna B. chiede
mercoledì 13/02/2019 - Lombardia
“Buongiorno, desideravo porre un quesito sulla seguente questione:
sono socia di una srl avuta in eredità in cui, trattandosi di società costituita negli anni 60, è presente uno statuto vecchio.

In esso vi è un articolo che regolamenta la trasferibilità delle quote e più precisamente dice “Le quote sociali sono trasferibili per consenso unanime di tutti i soci, oppure per deliberazione dell'assemblea dei soci stessi”.

Ora, per più ragioni, si è deciso di apportare delle integrazioni di nuovi articoli all’atto costitutivo ma il Notaio, vista l’obsolescenza del documento, ritiene di dover ammodernare anche altri articoli per adattarli alle nuove normative. Di fatto, quindi, non si andrà più a fare l'integrazione dei soli nuovi articoli ma verrà sottoscritto un nuovo statuto, contenente tutte le nuove parti integrate e/o modificate e quelle che non sono state oggetto di modifiche.

Il quesito che mi ponevo è quindi quello di capire se le clausole di trasferibilità, che non sono oggetto di alcuna modifica rispetto all’originale (e all’occorrenza possono ora rappresentare un’ottima ragione per un eventuale recesso), venendo esplicitamente sottoscritte (e non più “ereditate”) perché lo statuto viene rifatto ex-novo, possono in un qualche modo non più rappresentare ragione di recesso in quanto “accettate” all’atto di sottoscrizione del nuovo statuto.

Spero d’esser stata abbastanza chiara e se del caso sono a disposizione per ulteriori approfondimenti.

Grazie e buona giornata

Anna B.”
Consulenza legale i 18/02/2019
Una clausola di tale tipo, seppure inserita in un vecchio statuto, risalente addirittura agli anni 60, presenta parecchi profili di attualità, in quanto pienamente coincidente con quelle che oggi vengono tecnicamente definite “clausole di lock-up”.

Partiamo intanto da una considerazione di carattere generale: non sempre la disciplina delle Spa può analogicamente applicarsi a quella degli altri tipi societari, ed in particolare alle s.r.l.
Scendendo nello specifico, deve osservarsi che, mentre per le società per azioni l’art. 2437 del c.c. riconosce il diritto di recesso soltanto a quei soci che non hanno concorso all’approvazione delle deliberazioni riguardanti l’introduzione di vincoli alla circolazione dei titoli azionari, una norma di tale tipo non esiste nella disciplina delle società a responsabilità limitata, né può ritenersi a queste ultime analogicamente applicabile, e ciò stante la diversa natura dei due tipi di società (la s.r.l. costituisce un sistema intermedio tra la società di persone e la società per azioni, presentendo maggiori aspetti personalistici).

Con questo vuol subito dirsi che, il fatto che tutti i soci partecipino adesso alla modifica statutaria, con l’adozione di uno statuto diverso da quello precedente ma nel quale viene riconfermato il vecchio limite alla circolazione delle azioni, non può costituire un giusto titolo per poter negare agli stessi soci quel diritto di recesso che l’art. 2469 c.c. riconosce loro, diritto che al contrario verrebbe meno secondo la regola dettata dal summenzionato art. 2437 c.c. qualora si fosse in presenza di una S.p.a.

Ciò posto, quello che adesso sembra opportuno e utile fare è analizzare specificatamente la natura e gli effetti della clausola statutaria che regola il trasferimento della partecipazione e che, per come sembra, si ha assoluta intenzione di mantenere con l’adozione del nuovo statuto sociale.
Nel fare questo si seguiranno gli orientamenti espressi dal Consiglio Notarile di Milano in alcune massime dallo stesso espresse nel corso degli ultimi anni, massime che costituiscono un punto di riferimento non solo per il notariato milanese e nazionale, ma anche per tutte le imprese e per gli operatori del diritto societario.

La semplice lettura del secondo comma dell'art. 2469 c.c. sembra lasciar intendere che l’introduzione nell’atto costitutivo o nello statuto di una clausola con cui si stabilisca l’intrasferibilità assoluta delle partecipazioni o con cui venga subordinato il trasferimento al mero gradimento di organi sociali, di soci o di terzi senza prevederne condizioni e limiti, legittimi tutti i soci ad esercitare in ogni momento il diritto di recesso.

A tale riguardo, però, il Consiglio Notarile di Milano, con massima n. 151 del 17.05.2016, ha voluto precisare che, con riferimento alle clausole di mero gradimento, una interpretazione meramente letterale di tale norma si porrebbe di fatto in contrasto con quella che è la sua stessa ratio, ossia far sì che il socio non diventi prigioniero della società.
Si fa infatti osservare che mentre il riconoscimento di un diritto di recesso ad nutum in capo a tutti i soci può in effetti perseguire tale finalità nel caso di una clausola che preveda l’intrasferibilità assoluta della partecipazione, lo stesso non può dirsi nel caso di clausola che preveda il rilascio di un gradimento mero da parte degli organi sociali, dei soci o di terzi (tale può indubbiamente qualificarsi la clausola in esame, in quanto subordina il trasferimento della partecipazione al consenso unanime di tutti gli altri soci o ad una delibera assembleare, ma senza prefissare in alcun modo su quali criteri si fonderà la decisione con cui si andrà a negare o prestare il consenso al trasferimento).

Infatti, attribuire indiscriminatamente a tutti i soci la possibilità di recedere condurrebbe ad un effetto opposto a quello che l’art. 2469 c.c. vuole tutelare, in quanto ciascun socio potrebbe arbitrariamente decidere in qualunque momento di recedere dalla società, chiedendo la liquidazione della propria partecipazione, pur in mancanza di soggetti realmente intenzionati ad acquistare la sua quota.
In una simile situazione, si farebbe gravare sulla società e sugli altri soci l’onere di provvedere alla liquidazione.

Detto questo, ciò che può consigliarsi, è di approfittare della modifica statutaria che si andrà a deliberare per variare e precisare meglio anche l’attuale clausola di intrasferibilità prevista dall’art. 6 dello Statuto sociale, prevedendo espressamente che ciascun socio potrà esercitare il diritto di recesso solo nel caso in cui il “mero gradimento” sia negato, e ponendo quale ulteriore condizione che venga data adeguata dimostrazione della disponibilità di un eventuale terzo ad acquistare la partecipazione.

Una clausola di tale tipo sarà da ritenere pienamente legittima e conforme allo spirito per cui è stato dettato il secondo comma dell’art. 2469 c.c., in quanto da un lato eviterebbe di rendere il socio prigioniero della sua quota e dall’altro consentirebbe di non strumentalizzare la clausola di non libera trasferibilità per decidere di uscire in qualsiasi momento e ad libitum dalla compagine sociale, pretendendo l’equivalente monetario (la liquidazione) della propria quota, diritto che, se esercitato in un periodo di crisi, potrebbe anche comportare il rischio di paralizzare l’attività sociale (si ipotizza che, in ultima analisi, sia proprio questo il timore di chi pone il quesito).

ALFREDO C. chiede
venerdì 12/10/2018 - Lazio
“Il socio di una srl portatore del 99% del capitale sociale vorrebbe modificare lo statuto sociale inserendo le clausole di:
* diritto di co-vendita
* obbligo di co-vendita
E' possibile modificare lo statuto con il 99% del capitale, in quanto l'altro socio di minoranza non si presenta mai alle assemblee?
oppure quale può essere il modo di estrometterlo per il buon funzionamento della società.
Grazie e cordiali saluti”
Consulenza legale i 25/10/2018
Prima di giungere ad una conclusione si impone la necessità di chiarire a cosa ci si intende riferire quando si parla di clausole di questo tipo.
Trattasi di clausole in forza delle quali vengono sostanzialmente posti dei limiti alla circolazione delle partecipazioni sociali, in quanto impongono ad un gruppo di soci di adottare una determinata decisione in funzione di ciò che verrà deciso da un altro gruppo di soci.

La loro origine la si rinviene negli ordinamenti giuridici di common law, mentre nel nostro ordinamento il loro fondamento giuridico lo si può ritrovare all’ art. 2355 bis del c.c. per le azioni ed all’art. 2469 c.c. per le quote delle s.r.l. (entrambe le norme si occupano del trasferimento delle partecipazioni sociali)
I gruppi contrapposti si identificano con i soci di maggioranza da un lato e con quelli di minoranza dall’altro lato; a seconda poi del gruppo di soci in favore dei quali le suddette clausole vengono adottate, se ne distinguono i seguenti tipi:
  1. Clausola tag along (diritto di co-vendita): viene posta a tutela dei soci di minoranza, e dalla loro adozione ne deriva che, se i soci di maggioranza dovessero decidere di vendere le proprie partecipazioni sociali, dovranno garantire che il terzo acquirente si obblighi ad acquistare alle stesse condizioni economiche anche le partecipazioni dei soci di minoranza.
  2. Clausole drag along e bring along (obbligo di co-vendita): questa volta sono i soci di maggioranza ad essere tutelati, derivandone dalla loro introduzione che, qualora il socio o i soci di maggioranza decidessero di vendere le proprie quote societarie, i soci di minoranza saranno obbligati a vendere le loro partecipazioni.

La distinzione appena fatta, che potrebbe sembrare puramente accademica, in realtà assume la sua importanza al fine di poter prendere una posizione su quanto viene richiesto nel quesito, e ne vedremo adesso il perché.
La tutela che con la clausola tag along o diritto di co-vendita si vuole offrire ai soci di minoranza consiste nel porre dei limiti ad un ingresso indiscriminato di nuovi soci di maggioranza in una società a ristretta compagine sociale dove, al pari di quanto accade all’interno di una società di persone, assume un maggior peso la soggettività dei singoli soci.
Nella clausola drag along, invece, la tutela del socio di maggioranza consiste nell’obbligo che viene a nascere in capo ai soci di minoranza di alienare le proprie quote nel momento in cui il socio di maggioranza voglia disfarsi della propria partecipazione; ciò indubbiamente avrà l’effetto di aumentare il valore del pacchetto azionario o della partecipazione sociale, in quanto si offre al potenziale acquirente l’opportunità di poter acquisire l’intero capitale sociale di una società, senza esser costretto ad accettare la presenza di altri soci nella medesima società.

In ordine a quest’ultimo tipo di clausola sono stati sollevati dei dubbi di legittimità, poiché la stessa potrebbe essere utilizzata come uno strumento per estromettere dalla società il socio di minoranza (sarebbe sufficiente in tal senso un preventivo accordo tra socio di maggioranza e terzo acquirente, a cui, a seguito di tale operazione, andrebbe l’intera partecipazione sociale, senza che il socio di minoranza possa in alcun modo rifiutare la vendita).

Proprio per questa ragione la giurisprudenza, in particolare quella del Tribunale di Milano, ha statuito che una clausola di tale tipo debba quantomeno ancorarsi ad un’equa valorizzazione della partecipazione, quale potrebbe essere il valore che a tale partecipazione sarebbe riconosciuto in sede di liquidazione della quota conseguente a recesso (art. 2437 ter del c.c. per le S.p.a. e art. 2473 del c.c. per le s.r.l.).
La necessità di un’equa valorizzazione si pone anche nel caso della clausola bring along (o patto di trascinamento), la cui introduzione è volta pur sempre a tutelare i soci di maggioranza a discapito di quelli di minoranza, ma questa volta con un limite più ristretto: a poter essere trascinati nella contrattazione saranno soltanto quei soci di minoranza a cui lo statuto riconosce dei particolari diritti, e ciò proprio perché la loro presenza potrebbe indurre il potenziale acquirente a rinunciare all’acquisto (si fa l’esempio dei soci di minoranza a cui lo Statuto riconosce un particolare diritto di veto in determinate delibere).

Chiarita la distinzione ed il funzionamento particolare di ognuna di tali clausole, vediamo adesso quale dovrebbe essere il quorum necessario per introdurle nello Statuto sociale (è chiaro che il problema attiene ad una introduzione successiva alla fase costitutiva della società, poiché in quest’ultimo caso il consenso di tutti i soci sarà connaturale).
Ora, diverse sono le opinioni maturatesi al riguardo, in quanto da una parte si pone la dottrina, secondo cui, dovendosi rinvenire il fondamento di tali clausole nelle norme all’inizio citate e relative alla circolazione delle azioni (artt. 2355 bis e 2469 c.c.), esse dovranno assimilarsi alle ordinarie clausole con le quali vengono posti dei limiti alla circolazione delle azioni e per le quali è richiesta una delibera con le maggioranze previste per le modificazioni statutarie (art. 2365 del c.c. e art. 2368 del c.c.), salvo in ogni caso il diritto di recesso per i soci dissenzienti (art. 2437 del c.c. e art. 2437 bis del c.c.).

Alla posizione, diciamo semplicistica, della dottrina, si contrappone quella della giurisprudenza, la quale invece, almeno in un primo momento, si è attestata sulla necessità di operare una distinzione tra clausole che introducono l’obbligo di co-vendita (c.d. bring along e drag along) e clausole tag along (che introducono un diritto di co-vendita).
In particolare si è ritenuto che per le prime sarà sempre necessario il consenso unanime di tutti i soci, poiché con esse non si realizza soltanto l’imposizione di un limite alla circolazione delle azioni, ma si viene di fatto a raggiungere lo stesso effetto di una vendita forzosa delle azioni di minoranza ad iniziativa del socio di maggioranza.

E’ stata ritenuta, invece, sufficiente la maggioranza prescritta dagli artt. 2365 e 2368 c.c. per le clausole tag along, poiché con esse i soci di minoranza non vengono privati di alcun potere di disporre delle loro quote, ma anzi si attribuisce loro un diritto, ossia quello di pretendere la vendita contestuale di tali quote.

Questo orientamento, però, è stato in qualche modo superato da una successiva sentenza del Tribunale di Milano, il quale, con decisione del 22 dicembre 2014, ha analizzato le clausole che impongono un obbligo di co-vendita sotto un’altra prospettiva, mettendone in risalto non tanto l’effetto che possono avere di configurare una vendita forzosa con danno della minoranza, quanto piuttosto quello di valorizzare gli asset della società a beneficio dell’intera compagine sociale.
In particolare si è evidenziato che una clausola di tale tipo deve ritenersi volta a tutelare piuttosto il diritto di ciascun socio al disinvestimento, potendosi configurare come una particolare modalità di liquidazione, la quale si realizza con la vendita diretta della società anziché del suo contenuto.
Per tale ragione, dunque, il Tribunale milanese ha osservato che non sarebbe corretto ritenere da un lato valida una delibera a maggioranza della società con cui si decide in qualsiasi momento il suo scioglimento anticipato, e negare invece, dall'altro lato, validità all’inserimento in statuto, sempre con delibera a maggioranza, della clausola che pone un obbligo di co-vendita, con cui si viene ad integrare un disinvestimento collettivo da parte di tutti i soci.
Semmai, il problema che potrebbe porsi dovrebbe essere quello di prevedere degli efficaci strumenti che siano in grado di garantire la posizione del socio di minoranza che si vede costretto a vendere le proprie quote.

Lasciando adesso da parte l’aspetto teorico del problema, passiamo ad analizzarne il profilo pratico.
Come può facilmente intuirsi, vi è parecchia incertezza e confusione su tale materia, e quindi il primo problema ed ostacolo che si porrà sarà quello di trovare un notaio disposto ad iscrivere una delibera di tale tipo nel registro delle imprese.

Al di là di tale problema, ciò che ci si sente di suggerire è di procedere a convocazione dell’assemblea straordinaria per deliberare l’introduzione nello Statuto sociale delle clausole di entrambi i tipi (tag along e drag e bring along).
Qualora, a seguito di regolare convocazione, il socio di minoranza dovesse decidere di non intervenire all’assemblea, si consiglia di deliberare egualmente l’inserimento nello statuto dei tre tipi di clausole, prevedendo però per le clausole drag along e brig along delle particolari cautele a tutela della posizione del socio di minoranza.
Tali cautele dovranno farsi consistere nelle seguenti previsioni, inserite nel corpo della medesima clausola:
  1. che le partecipazioni dei soci di minoranza non potranno essere vendute ad un prezzo inferiore al valore delle medesime determinato secondo i criteri previsti per il caso di esercizio del diritto di recesso ex art. 2473 c.c.
  2. che, qualora dovessero egualmente sorgere delle contestazioni sulla determinazione del valore delle partecipazioni di minoranza, questo dovrà essere determinato da un esperto, scelto di comune accordo da entrambe le parti o nominato dal Tribunale, il quale assumerà la veste di terzo arbitratore ex art. 1349 del c.c.

Qualora, poi, il notaio a cui ci si è rivolti e che ha verbalizzato la modifica statutaria dovesse rifiutarsi di provvedere all’iscrizione della delibera nel Registro delle imprese, purtroppo non resterà altra soluzione che quella di chiedere con ricorso al competente Tribunale che venga ordinata l’iscrizione, e ciò secondo quanto previsto dall’art. 2436 del c.c.

Resta, infine, un ultimo aspetto da chiarire, ossia quello della possibilità di estromettere il socio di minoranza.
Purtroppo non si riescono a suggerire meccanismi giuridicamente leciti per conseguire tale fine, in quanto, a differenza delle società di persone, ove il legislatore ha previsto che la società può deliberare l’esclusione del socio per gravi inadempienze, impossibilità di eseguire il conferimento e incapacità sopravvenuta, nel caso delle s.r.l. trova applicazione l’art. 2473 bis del c.c., il quale affida all’atto costitutivo la previsione di specifiche ipotesi di esclusione per giusta causa.
Pertanto, sarà solo dalla lettura di esso che potrebbero eventualmente trarsi spunti per giungere a deliberare l’esclusione di quel socio dalla società.

In dottrina era stata azzardata l’introduzione negli statuti sociali della c.d. clausola “squeeze out” (spremere fuori), con cui si riconosce al socio di maggioranza, al verificarsi di determinate condizioni, il diritto di acquistare le rimanenti quote degli altri soci, così di fatto realizzandone una vera e propria espropriazione.
Un appiglio normativo per ammettere la validità di una clausola di tale tipo si è pensato di poterlo rinvenire nell’art. 111 del Testo unico della Finanza (D.lgs. 58/1998, come da ultimo modificato con D.lgs. n. 107 del 10.08.2018), che prevede il c.d. diritto di acquisto; di contro, però, si è giustamente osservato che in tal modo si rischia perfino di integrare una violazione dell’ art. 42 Cost., nella parte in cui prevede (comma terzo) che la proprietà privata può essere espropriata, salvo indennizzo, nei casi previsti dalla legge e per motivi di interesse generale.
Una clausola di tale tipo, invece, non è norma di legge e neppure può dirsi che miri a realizzare un interesse generale, essendo soltanto volta a soddisfare l’interesse del socio o dei soci di maggioranza.


LUIGI B. chiede
mercoledì 28/02/2018 - Veneto
“Un socio di una società a responsabilità limitata intende cedere tramite donazione alle due figlie la propria quota pari al 20% del capitale sociale.
La domanda è:
Può esercitare tale diritto senza offrire in prelazione la propria quota agli altri soci?
Risposta del Notaio: No, in caso di donazione deve offrire in prelazione la propria quota agli altri soci.
Risposta del sottoscritto: Si, per i seguenti motivi:
L'art. 2469 c.c. dichiara che le partecipazioni sono liberamente trasferibili per atto tra vivi e per successione a causa di morte, salvo contraria disposizione dell'atto costitutivo.
L'art. 7 dello statuto prevede solo il caso del "Socio che intende alienare in tutto o in parte la propria quota, è tenuto ad offrirla in prelazione a tutti gli altri soci iscritti nel libro relativo" ..............
L'offerta di vendita deve essere comunicata a ciascuno dei soci.............
Il socio offerente sarà libero di vendere o trasferire a terzi la propria quota entro il perentorio termine di sei mesi, ma ad un prezzo non inferiore a quello richiesto ai soci.............
In difetto di accordo sul prezzo della quota di cessione, il prezzo verrà fissato dal Collegio Arbitrale di cui al successivo articolo 24 dello statuto.
Insomma l'art. 7 non prevede alcuna disposizione, condizione o limite che impedisca il trasferimento delle quote sociali per donazione.
Tutto l'art. 7 è improntato nell'alienazione a titolo oneroso.
Ad ogni modo "solo in caso di dubbi interpretativi" consiglio che il trasferimento per donazione delle quote di partecipazione al capitale sociale avvenga tramite il Patto di Famiglia.
E' stato introdotto nel 2006 nel ns. ordinamento e dà la possibilità ad un imprenditore di gestire il passaggio generazionale della propria impresa con il trasferimento delle quote di partecipazione al capitale sociale.
Il Patto di Famiglia è un patto successorio, cioè un contratto "con cui ognuno dispone della propria successione", che è sempre nullo eccetto proprio il caso del patto di famiglia la esclusione della cui nullità è stata introdotta nell'art. 458 c.c. dall'art. 1 Legge 55/2006. Il Patto di Famiglia è previsto dagli art. 768 bis - ter - quater - quinques - sexies - septies - octies Codice Civile.
Chi ha ragione?
Si allega l'articolo dello Statuto Sociale che parla della trasferibilità delle quote.”
Consulenza legale i 12/03/2018
Il codice civile enuncia quale regola generale per le società di capitali quella della libera trasferibilità delle azioni e delle partecipazioni, sia per atto tra vivi, che a causa di morte.
L’art. 2469 c.c., infatti, per le società a responsabilità limitata afferma che “ le partecipazioni sono liberamente trasferibili per atto tra vivi e per successione a causa di morte, salvo contraria disposizione dell’atto costitutivo..”
Per atto tra vivi si intende sia un atto a titolo oneroso (es. compravendita) sia un atto a titolo gratuito (es. donazione).
Nell’atto costitutivo possono, pertanto, essere previste delle clausole che limitano la circolazione di azioni e di partecipazioni. Tra queste clausole vi è quella di prelazione.

La clausola di prelazione, al pari della clausola di gradimento, ha l’obiettivo di selezione della compagine dei soci e del mantenimento dei suoi equilibri.
Con la clausola di prelazione si attribuisce ai soci il diritto di essere preferiti rispetto ai terzi, a parità di condizioni, nelle ipotesi in cui uno o più di loro intendono alienare la propria partecipazione.

E’ discusso se la clausola di prelazione vada interpretata in maniera restrittiva, circa l’ambito di applicazione. La sua applicazione ha suscitato, difatti, discussioni in dottrina e giurisprudenza con riguardo a quelle situazioni caratterizzate dall’assenza di un vero e proprio corrispettivo, quali ad esempio la permuta, i trasferimenti coattivi, la datio in solutum e le donazioni.
Vi è, quindi, chi ritiene che l’alienazione della quota a titolo gratuito rientri nell’ambito di applicazione della clausola di prelazione ( cfr. Tribunale di Milano del 24.5.1982).
Cosi come parte della dottrina ritiene che per “trasferimento” si deve intendere "qualsiasi atto che determini il trasferimento della titolarità della quota, per atto tra vivi o per causa di morte, tra cui a titolo esemplificativo la vendita, la permuta e la donazione".
Invece la Cassazione n. 93 /1989 ritiene che “ la clausola dell’atto costitutivo di una società a responsabilità limitata, la quale contempli il diritto di prelazione degli altri soci in caso di trasferimento di quote sociali per atti fra vivi, è riferibile ai soli trasferimenti onerosi, mentre una sua estensione a quelli a titolo gratuito sarebbe ammissibile solo in presenza di un’espressa previsione in tal senso".
Anche di recente la Giurisprudenza ha optato per un’interpretazione restrittiva della clausola di prelazione.
Cosi il Tribunale di Roma con la sentenza 95/2017 ha affermato che: "La clausola di prelazione deve essere oggetto di una interpretazione restrittiva. Ne consegue l’inapplicabilità agli atti a titolo gratuito”.
Il Tribunale di Milano 20.03.1997 aveva già affermato che “ sembra opinabile la contestabilità da parte della società di una violazione di una clausola statutaria di prelazione che non preveda espressamente l’ipotesi traslativa della donazione e non indichi i criteri per la determinazione del corrispettivo della cessione”.

Da quanto esposto si evince la mancanza di unanimità di vedute sul fatto se, in caso di trasferimento di quote a titolo gratuito, operi o meno la clausola di prelazione.

Nel caso in esame anche l’articolo 7 dello statuto della società presenta dubbi interpretativi adoperando indistintamente il termine “vendita” e “trasferimento”.
Il primo comma del citato articolo afferma che “ la trasferibilità totale o parziale delle quote, nei casi di cessione inter vivos , è soggetta alle limitazioni che seguono. Il socio che intende alienare in tutto o in parte la propria quota, è tenuto ad offrirla in prelazione agli altri soci"….
Dal tenore letterale di tali disposizioni, sembrerebbe che la volontà delle parti sia stata quella di subordinare il trasferimento delle quote, nei casi di cessione inter vivos, alla prelazione.
L’utilizzo del termine “alienare”, senza alcun espresso riferimento agli atti a “titolo oneroso”, sembrerebbe far propendere per una interpretazione della volontà dei soci nella direzione della operatività della prelazione anche per gli atti a titolo gratuito.
Nel linguaggio giuridico il termine "alienare", difatti, indica genericamente il trasferimento del diritto di proprietà su un determinato bene da un soggetto ad un altro. E l’alienazione può essere efficacemente compiuta sia in cambio di un corrispettivo sia a titolo gratuito.
Anche il 4 comma ove dispone che “se entro detto termine nessuno dei soci avrà esercitato la prelazione, il socio offerente sarà libero di vendere o trasferire a terzi la propria quota…”, sembrerebbe fare riferimento sia agli atti a titolo oneroso, sia ai trasferimenti a titolo gratuito (in caso contrario, infatti, sarebbe bastato indicare il termine "vendere"; perché aggiungere anche il termine "trasferire"?).
Pertanto, da una nostra interpretazione dell’art. 7 dello statuto, riteniamo di dover condividere l’opinione del notaio, giudicando che la prelazione operi anche in caso di atti a titolo gratuito.
Si evidenzia, tuttavia, ancora una volta, come la questione sia oggetto di discussione tra gli operatori del diritto e, pertanto, vi è chi potrebbe interpretare la medesima clausola come riferita solo agli atti a titolo oneroso, ritenendo, quindi, possibile la donazione senza prima dover esercitare la prelazione.

Quanto alla cessione mediante patto di famiglia, anche sul punto non vi è unanimità di vedute.
Parte della dottrina e della giurisprudenza ritengono che anche per il patto di famiglia debba essere rispettata la clausola di prelazione. Si ritiene, infatti, che anche se esso non è qualificabile come atto di donazione in senso tecnico, nondimeno realizza una “liberalità” ai sensi e per gli effetti dell’art 809 c.c.


ALFREDO C. chiede
martedì 30/08/2016 - Lazio
“UNA SOCIETA' DI CAPITALI ALCUNI SOCI FRATELLI VOGLIONO CEDERE LE QUOTE AL GENITORE. ESISTE PRELAZIONE PER GLI ALTRI SOCI?
GRAZIE”
Consulenza legale i 01/09/2016
La risposta al quesito è semplice: in assenza di ulteriori informazioni in proposito, l’art. 2469 c.c. afferma come la cessione delle quote sociali sia libera, tanto per atto tra vivi quanto per successione mortis causa. Si rende necessaria però la consultazione dello statuto della società di capitali al fine di verificare l’esistenza di una prelazione in favore degli altri soci. In caso positivo (presenza della clausola di prelazione all’interno dello statuto), la cessione delle quote sociali in favore del genitore non sarà libera ma condizionata all’offerta delle stesse in favore degli altri soci.
Solo qualora i soci rifiutino l’offerta delle quote, allora sarà possibile procedere alla cessione in favore del genitore.

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