(Relazione illustrativa del decreto legislativo recante: "Riforma organica della disciplina
delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3
ottobre 2001, n. 366.")
5 Le norme regolatrici della competenza assembleare sono state modificate, in attuazione della legge delega, sotto un duplice profilo. In primo luogo si è ristretta la competenza dell'assemblea ordinaria nelle società che optino per il sistema dualistico, interponendo fra assemblea e organo amministrativo un consiglio di sorveglianza (art. 4, comma 8°, lettera d) della legge delega). In tal caso l'assemblea ordinaria si limita a nominare e revocare i consiglieri di sorveglianza, a determinare il compenso ad essi spettante ed a deliberare sulla loro responsabilità, mentre spettano al consiglio di sorveglianza materie quali la nomina e la revoca degli amministratori e l'approvazione del bilancio di esercizio. In secondo luogo si è sviluppato il punto di cui all'art. 4, comma 8°, lettera c) della legge delega, che predica l'esclusiva responsabilità dell'organo amministrativo per la gestione dell'impresa sociale. A questi effetti si è profondamente innovato riguardo nella materia già regolata dall'
art. 2364 del c.c., n. 4, che attribuiva alla assemblea ordinaria il potere di deliberare sugli altri oggetti attinenti alla gestione della società riservati dalla sua competenza dall'atto costitutivo o sottoposti al suo esame dagli amministratori. Gli amministratori non possono, di propria iniziativa, sottoporre all'assemblea operazioni attinenti alla gestione sociale; si è solo ammesso che lo statuto possa richiedere che l'assemblea autorizzi gli amministratori al compimento di determinati operazioni, ma si è precisato che resta ferma in ogni caso la responsabilità degli amministratori per gli atti compiuti, quantunque autorizzati dall'assemblea. Si è così evitato che, come in passato poteva accadere, nessuno risponda di una data operazione: né l'assemblea che è per definizione irresponsabile, né gli amministratori che a discarico di responsabilità abbiano sottoposto l'operazione all'assemblea. La convocazione dell'assemblea su richiesta dei soci è stata oggetto di una riforma destinata a valere anche per le società quotate e, perciò, sostitutiva dell'art. 125 del Testo unico dell'intermediazione finanziaria. Si è tenuto conto della giurisprudenza di merito che esamina i non rari casi di abuso del diritto dei soci di chiedere la convocazione; e si è precisato che il presidente del tribunale provvede sentiti i componenti degli organi amministrativi e di controllo, e ordina la convocazione dell'assemblea solo se il rifiuto dell'organo amministrativo risulti ingiustificato. In attuazione poi del già ricordato art. 4, comma 8°, lettera c) della legge delega si è precisato che per determinate materie l'iniziativa della convocazione può essere assunta solo dagli amministratori, trattandosi di argomenti sui quali essa deve deliberare, a norma di legge, su proposta degli amministratori o sulla base di un progetto o di una relazione da essi predisposta (approvazione del bilancio, fusione, scissione, aumento di capitale da liberare in natura o con esclusione del diritto di opzione ecc.). Si è espressamente prevista, nel quarto comma dell'
art. 2366 del c.c., la validità dell'assemblea totalitaria anche in assenza delle formalità di convocazione, con la salvezza della facoltà per il socio di opporsi alla trattazione di argomenti sui quali non si ritenga sufficientemente informato. Corollario della nuova previsione della sufficienza della sola maggioranza dei rappresentanti degli organi amministrativi e di controllo ai fini della validità dell'assemblea è la previsione dell'ultimo comma dell'articolo 2366, che impone l'obbligo di comunicazione delle deliberazioni assunte ai membri di tali organi non repenti all'assemblea, così da garantire eguali livelli di informazione a tutti i componenti degli organi sociali. Le norme relative ai quorum costitutivi e deliberativi dell'assemblea sono state rimaneggiate (e quelle dell'assemblea straordinaria anche con riguardo alle società con azioni quotate) alla luce di una duplice direttiva della legge delega: quella, per un verso, di favorire la formazione delle deliberazioni e quella, per altro verso, di apprestare adeguata tutela alle minoranze (art. 4, comma 7°, lettera d). I quorum ora previsti sono frutto della ricerca del giusto punto di equilibrio fra queste opposte esigenze. In questa prospettiva si è anche disposto che le azioni per le quali non può essere esercitato il diritto di voto (come, ad esempio, le azioni di coloro che non abbiano reso pubblico, nei modi di legge, il patto parasociale fra essi intercorrente) sono computate nel quorum costitutivo dell'assemblea, mentre le stesse azioni e quelle dei soci che si sono astenuti dal voto per conflitto di interessi con la società non sono computate nel quorum deliberativo. Potrà così accadere che le deliberazioni siano validamente assunte, quando è richiesta la maggioranza assoluta dei votanti, da soci che rappresentano una frazione minoritaria del capitale presente in assemblea o, per le deliberazioni di assemblea straordinaria, da soci che rappresentano una quota di capitale inferiore, a seconda dei casi, alla maggioranza del capitale sociale o alla maggioranza del capitale rappresentato in assemblea o al terzo o al quinto del capitale sociale e così via. Sempre in attuazione dei principi espressi dalla legge delega, si è ammesso che lo statuto possa prevedere il voto per corrispondenza o l'intervento in assemblea mediante mezzi di telecomunicazione, e che possa determinare un numero di convocazione dell'assemblea ulteriore rispetto a quello legislativamente previsto. Il diritto di intervento in assemblea è stato reso funzionale all'espressione del voto; si è perciò circoscritto il diritto di intervento ai soli azionisti cui spetta il diritto di voto, così escludendo l'intervento dei nudi proprietari delle azioni. La necessità del preventivo deposito delle azioni o della relativa certificazione è stata rimessa alla valutazione dello statuto; sicché in mancanza di disposizioni statutarie al riguardo il preventivo deposito dovrà ritenersi superfluo, ciò che vale anche a eliminare le antiche dispute sulla validità delle deliberazioni assunte dall'assemblea non preceduta da un preventivo deposito dei titoli azionari. I poteri del presidente dell'assemblea sono stati analiticamente determinati, così superando incertezze interpretative al riguardo, per soddisfare le esigenze di funzionalità e di certezza dell'attività sociale raccomandate dalla legge delega. Esigenze di funzionalità hanno indotto anche a rivedere la disciplina della rappresentanza dei soci in assemblea ed a chiarire i dubbi interpretativi che la preesistente disciplina aveva sollevato. La norma sul conflitto di interessi non presenta particolari innovazioni: la sua più sintetica formulazione, che prescinde dal disposto di cui al primo comma del preesistente art. 2373, si conforma all'indirizzo interpretativo formatosi in giurisprudenza. Ciò non toglie che il socio, il quale si ritenga in conflitto di interessi con la società, possa dichiarare di astenersi dal voto, come del resto risulta dal terzo comma del nuovo
art. 2368 del c.c.. La nuova più accurata disciplina delle modalità di redazione del verbale delle deliberazioni assembleari risolve un antico dilemma nel senso della necessaria analiticità del verbale, mentre soddisfa varie esigenze di praticità che l'esperienza pregressa aveva prospettato. In tema di invalidità delle deliberazioni assembleari si è data attuazione al citato art. 4, comma 7°, lettera b), della legge delega sotto diversi profili. L'individuazione legislativa delle ipotesi di invalidità, richiesta dalla legge delega, corrisponde ad una sorta di riserva di legge al riguardo, volta ad escludere ipotesi di invalidità atipiche, come l'inesistenza delle deliberazioni assembleari, della quale si è in giurisprudenza alquanto abusato, frustrando la portata dell'originario art. 2377 c.c. , che aveva inteso convertire la nullità per violazione di norme imperative, di cui al principio generale di cui all'art. 1418, in semplice annullabilità (salve solo le due ipotesi di cui all'art. 2379), e reintroducendo in tal modo, sotto le mentite spoglie dell'inesistenza, la nullità virtuale delle deliberazioni assembleari per violazione di norme imperative. Si è perciò formulato il principio di tassatività delle ipotesi di invalidità delle deliberazioni assembleari previste dalla legge: la annullabilità per violazione di norme, anche imperative, di legge o di clausole dello statuto, e la nullità nelle ipotesi tassativamente indicate nel nuovo
art. 2379 del c.c.. Per prevenire ogni possibile dubbio si è tenuto a precisare quali conseguenze produce sulla validità della deliberazione la mancanza di legittimazione di partecipanti all'assemblea o l'illegittimità del singolo voto o la incompletezza o inesattezza del verbale assembleare. Risulta al tempo stesso precisato che simili anomalie possono tutt'al più comportare semplice annullabilità della deliberazione. Per ovviare all'inconveniente, troppe volte manifestatosi nell'esperienza, di impugnative ispirate da intenti meramente ricattatori si è richiesto il possesso di una quota qualificata di capitale sociale per esercitare l'azione di annullamento, mentre è stato confermato il termine di tre mesi entro il quale l'annullabilità può essere fatta valere. Il riferimento alla adozione di strumenti di tutela diversi dalla invalidità, contenuto nella parte finale delle citata norma della legge delega, è parso alludere alla tecnica sanzionatoria introdotta dall'art. 2504 quater c.c. per l'atto di fusione. Con la generalizzazione di questa tecnica si sono potute contemperare fra loro l'esigenza di limitare la legittimazione a far valere l'azione di annullamento e quella di tutelare i singoli soci danneggiati da deliberazioni invalide. I casi tassativi di nullità delle deliberazioni assembleari sono stati accresciuti, anche al fine di confermare la superfluità della pronuncia di inesistenza: alle impossibilità o illiceità dell'oggetto si sono aggiunte la mancata convocazione dell'assemblea e la mancanza del verbale della deliberazione, pur con la analitica precisazione di quando una assemblea può dirsi non convocata e di quando un verbale può dirsi mancante. Rilevanti innovazioni consistono nella previsione di cause sananti la nullità: di carattere generale è la sanatoria per il decorso di tre anni dall'iscrizione della deliberazione o dal suo deposito nel registro delle imprese oppure, per le deliberazioni che non vi sono soggette, dalla trascrizione nel libro delle adunanze delle assemblee (fatta salva solo l'ipotesi della modificazione dell'oggetto sociale che introduca in esso attività illecite o contrarie all'ordine pubblico).Di carattere particolare sono le sanatorie riguardanti l'invalidità di deliberazioni vertenti su specifici oggetti: l'aumento o la riduzione del capitale o la emissione di obbligazioni (analoga sanatoria, per l'art. 2500 bis, vale per la trasformazione della società). Qui l'azione di nullità è soggetta ai brevi termini di decadenza di cui all'art. 2379 ter, anche qualora possa eventualmente configurarsi una illiceità dell'oggetto. Analogo discorso vale per l'invalidità della deliberazione che approvi un bilancio falso, non più impugnabile dopo l'approvazione del bilancio successivo (art. 2434 bis), quantunque si possa in essa ravvisare una deliberazione con oggetto illecito. In questa materia potrà spiegare la propria funzione di protezione degli interessi dei soci e dei terzi eventualmente danneggiati il rimedio alternativo della azione di risarcimento.