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Articolo 1919 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Assicurazione sulla vita propria o di un terzo

Dispositivo dell'art. 1919 Codice Civile

L'assicurazione può essere stipulata sulla vita propria o su quella di un terzo [1899](1).

L'assicurazione contratta per il caso di morte di un terzo non è valida se questi o il suo legale rappresentante non dà il consenso alla conclusione del contratto. Il consenso deve essere provato per iscritto [2725](2).

Note

(1) In particolare, può essere stipulata sia un'assicurazione per la morte che per la sopravvivenza, a seconda che l'evento cui viene ancorato il diritto all'indennizzo sia la prima o un dato evento nella vita del soggetto.
(2) Poiché tale forma è dettata solo per l'assicurazione per il caso di morte e costituisce, al contempo, un'eccezione al principio di libertà delle forme (1325 c.c.), essa non si applica all'assicurazione per l'ipotesi di sopravvivenza.

Ratio Legis

La ratio sottesa alla norma è, oltre a quella di ammettere l'assicurazione sulla vita, quella di garantire il soggetto sulla cui vita sia fatta tale stipula, atteso che dopo essa sorge per il beneficiario un interesse alla sua morte.
La forma scritta ad probationem è volta ad agevolare la prova dell'esistenza del contratto.

Spiegazione dell'art. 1919 Codice Civile

L'assic. sulla vita di terzi

Come abbiamo accennato in sede di classificazione delle varie specie del contratto di assicurazione, l'assicurazione sulla vita può essere contratta sulla vita propria o sulla vita in un terzo, e può essere conclusa a favore proprio dello stesso stipulante o a favore di un terzo. A seconda delle vane coincidenze e combinazioni delle tre distinte figure di stipulante, assicurato, beneficiario, si ha : a) ass. sulla vita propria dello stipulante a favore proprio e aventi causa ; b) assicur. sulla vita propria a favore di un terzo ; c) assicurazione sulla vita di un terzo a favore proprio ; d) assicur. sulla vita di un terzo a favore dello stesso terzo o di un altro terzo. La prima ipotesi non presenta particolari questioni : problemi delicati presentano invece le assicuraz. sulla vita di un terzo (ipotesi c) e d) e, soprattutto, quella a favore di terzi di cui alle ipotesi
b e d). Della prima si occupa l’ art. 1919 ; della seconda, invece, gli artt. 1920 e 1922 e, in parte, l’ art. 1923 cpv.

Il cod. comm. italiano all'art. 449 cpv. disponeva che l'assicurazione contratta sulla vita di un terzo fosse nulla, se il contraente non avesse avuto alcun interesse all'esistenza di questo.

Dottrina e giurisprudenza concordemente ritenevano che a rendere valida l'assicur. sulla vita di un terzo non occorresse necessariamente un interesse di natura reonoetica, bastava soltanto un interesse di natura morale e che, d'altro canto, fosse sufficiente che tale interesse esistesse al momento della conclusione del contratto, senza che dovesse necessariamente esistere per tutta la sua durata o al momento del sinistro.

In tempi più recenti, però, elaborata la teoria dell'interesse per l'assicuraz. danni, si vide che tale teoria non poteva trovare applicazione nell’ assicur. vita, nella quale l'interesse aveva tutt'altro significato e una limitata portata; d'altro canto, si vide pure che il pericolo che l'assicurazione sulla vita di terzi costituisse incentivo a tentativi di sopprimere il terzo veniva già con più vigore eliminato con l'influenza preventiva delle leggi penali e dalla liberazione dell'assicuratore in caso di sinistro volontariamente procurato dal contraente ; e infine, si comprese che allargato l'interesse richiesto anche all'interesse morale l'indagine sulla reale esistenza di tale interesse nel caso concreto presentava difficoltà spesso insuperabili.


Nell'assic. per il caso di vita non è necessario il consenso del terzo


L’ art. 1919, dichiarato che l'assicurazione può essere stipulata sulla vita di un terzo (primo comma), dispone che quella contratta per il caso di morte non è valida se il terzo o il suo legale rappresentante non dia il consenso alla conclusione del contratto e che tale consenso deve essere provato per iscritto (secondo comma). Da tale disposizione si possono trarre i seguenti principi :

a) L'assicuraz. per il caso di vita di un terzo è sempre senza bisogno del consenso del terzo. Dato infatti che la prestazione dell'assicuratore è subordinata alla vita e non già alla morte dell'assicurato e non vi è quindi alcun incentivo alla soppressione dell'assicurato, il consenso di questi non appare necessario.

b) L’assicurazione per il caso di morte di un terzo (e quindi l’assic. Mista che comprende l’alternativa del caso di morte) è valida soltanto se il terzo vi consente.


Nell'assic. per i1 caso di morte è necessario il consenso del terzo. Natura, forma, prova, effetti del consenso del terzo


A) Il consenso del terzo è sempre necessario, qualunque sia il rapporto economico o morale (familiare) che lega stipulante e terzo.5 D'altro canto, purché tale consenso esista, I'assicuraz. può essere conclusa sulla vita di qualunque terzo, esista o meno l'interesse dello stipulante, e anche se il terzo è incapace e qualunque sia la causa dell’incapacità.

B) Il consenso del terzo è una vera e propria dichiarazione unilaterale di volontà con la quale il terzo conferisce allo per il divieto imperativo di legge (art. 1409 cpv.) tale dichiarazione è quindi un vero e proprio atto di autorizzazione. Il consenso del terzo ha sempre tale natura, poiché anche se prestato all'atto della conclusione del contratto e risultante dalla stessa polizza, esso non è volto a concludere il contratto di assicurazione, e non si fonde con quello dell'assicuratore e dello stipulante.

C) La dichiarazione di assenso deve essere emanata dal terzo, o, se questi è incapace, dal suo legale rappresentante.

D) La dichiarazione di volontà del terzo deve essere provata per iscritto a tutti gli effetti degli artt. 2702 e segg., 2725 cod. civ. Il consenso del terzo può essere prestato mediante sottoscrizione della stessa polizza di assicuraz. ovvero mediante scrittura pubblica o privata comunicata al contraente che l'esibirà all'assicuratore, o all' assicuratore che ne rilascerà copia al contraente, perché questi possa in ogni istante provare il suo potere, ovvero a entrambi.

E) Conferendo allo stipulante un potere che altrimenti esso non avrebbe, la dichiarazione di volontà del terzo — come ogni autorizzazione — costituisce un requisito di legittimazione dello stipulante. Mancando, ovvero essendo nulla o annullata la dichiarazione di volontà del terzo, manca la legittimazione dello stipulante. L'assicurazione da questo conclusa e quindi (assolutamente) nulla.

F) Concluso il contratto, l'assicurato è sì l'elemento sul quale incombe il rischio, ma come soggetto giuridico è un terzo. Esso quindi non riceve nessun obbligo dal contratto e, in quanto assicurato e cioè in quanto non sia anche beneficiario, esso non riceve neppure alcun diritto o potere.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 1919 Codice Civile

Cass. civ. n. 21863/2022

L'assicurazione sulla vita può essere stipulata per conto altrui, dal momento che la norma di cui all'art. 1891 c.c., in quanto inserita nelle disposizioni sull'assicurazione in generale, è applicabile anche a tale tipologia di contratto, e dovendosi intendere l'espressione "per conto altrui" non già come equivalente a "nell'interesse altrui", bensì nel senso di "a vantaggio altrui", con la conseguenza che è sufficiente che il terzo beneficiario acquisti, per effetto della stipula, una posizione di vantaggio, che può consistere anche nella liberazione da un debito.

Nel contratto di assicurazione sulla vita per il caso di morte può essere designato, quale beneficiario, lo stesso portatore del rischio, con conseguente devoluzione "mortis causa" dell'indennizzo ai suoi eredi. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto che il contratto di assicurazione sulla vita del mutuatario il quale preveda che, in caso di morte di quest'ultimo, l'indennizzo sia dovuto alla banca mutuante, e nello stesso tempo che il versamento dell'indennizzo medesimo estingua il credito residuo del mutante, senza diritto dell'assicurazione di surrogarsi alla banca, è volto a soddisfare gli interessi convergenti della banca al rimborso del mutuo e del mutuatario e dei suoi eredi a non restare esposti all'esecuzione della banca, con la conseguenza che, in caso di inadempimento dell'assicuratore, gli eredi del mutuatario sono legittimati a domandarne la condanna al pagamento dell'indennizzo in favore della banca).

Cass. civ. n. 29583/2021

Nell'assicurazione sulla vita "per il caso di vita", l'assicuratore è obbligato a pagare se, ad un determinato momento, una data persona è ancora in vita; per converso, ove l'assicurazione sulla vita sia stipulata "per il caso di morte", l'assicuratore è obbligato a pagare se, in un dato momento, una certa persona sia deceduta. La polizza può essere peraltro stipulata anche nella forma cd. mista sulla vita di un terzo e, cioè, tanto "per il caso di vita", quanto "per il caso di morte".

Cass. civ. n. 9380/2021

In tema di assicurazione sulla vita, ove l'evento che concreta la realizzazione del rischio assicurato costituisca altresì la conseguenza del fatto illecito di un terzo, l'indennità assicurativa si cumula con il risarcimento, sottraendosi alla regola della "compensatio lucri cum damno", perché si è di fronte ad una forma di risparmio posta in essere dall'assicurato sopportando l'onere dei premi, e l'indennità, vera e propria contropartita di quei premi, svolge una funzione diversa da quella risarcitoria ed è corrisposta per un interesse che non è quello di beneficiare il danneggiante.

Cass. civ. n. 3707/2018

In tema di assicurazione sulla vita, l'art. 1919, comma 2, c.c., nel subordinare la validità dell'assicurazione contratta per il caso di morte di un terzo al consenso scritto del medesimo, si riferisce all'ipotesi in cui il terzo si venga a trovare nella posizione di mero portatore del rischio, mentre i benefici del contratto assicurativo spettino esclusivamente al contraente o a persona da questo designata nel proprio interesse, sicché la necessità del consenso del terzo non sussiste quando il beneficiario dell'assicurazione non sia il contraente ma il terzo stesso, ovvero i suoi eredi o comunque soggetti da lui indicati, configurandosi in tal caso un'assicurazione sulla vita a favore di un terzo, regolata dall'art. 1891 c.c.. (Nella specie, la S.C., confermando la decisione impugnata, ha ritenuto la validità, senza necessità di consenso scritto, dell'assicurazione sulla vita di un terzo, figlio del contraente, in quanto i beneficiari erano gli eredi legittimi e testamentari del terzo).

Cass. civ. n. 4484/1996

Nel contratto di assicurazione per il caso di morte, il beneficiario designato è titolare di un diritto proprio, derivante dal contratto, alla prestazione assicurativa. Qualora il contratto preveda che l'indennizzo debba essere corrisposto agli «eredi legittimi o testamentari», tale designazione concreta una mera indicazione del criterio per la individuazione dei beneficiari, i quali sono coloro che rivestono, al momento della morte del contraente, la qualità di chiamati all'eredità, senza che rilevi la (successiva) rinunzia o accettazione dell'eredità da parte degli stessi.

Cass. civ. n. 1883/1977

L'art.1919 secondo comma c.c., nel subordinare la validità dell'assicurazione sulla vita, contratta per il caso di morte di un terzo, al consenso scritto del medesimo, si riferisce all'ipotesi in cui quest'ultimo si venga a trovare nella posizione di mero portatore del rischio, mentre i benefici del contratto assicurativo spettino esclusivamente allo stipulante o a persona da questo designata. Tale norma, pertanto, ancorché applicabile analogicamente all'assicurazione contro gli infortuni mortali di un terzo, non è invocabile nell'ipotesi in cui al terzo stesso, od a persona da lui designata, spettino i diritti derivanti da detto contratto assicurativo. In questo caso, si verte in tema di assicurazione per conto altrui, la cui validità prescinde dal consenso del «terzo», che in tale ipotesi è in realtà il soggetto assicurato (ai sensi dell'art. 1891 c.c.) e non quindi un mero portatore del rischio (ai sensi dell'art. 1919 secondo comma c.c.).

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Consulenze legali
relative all'articolo 1919 Codice Civile

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D.L. chiede
mercoledì 22/09/2021 - Toscana
“Buongiorno, cerco di esporre il problema con sintesi e chiarezza.
La mia prozia in linea collaterale (L.O.), stipula un contratto di assicurazione sulla vita per il tramite della banca XXX, in data 15/04/2015. La polizza in questione è mista, durata di 5 anni con relativa cedola a premio unico. Nello specifico la polizza è erogata dal gruppo Alfa e come beneficiario in caso di decesso viene indicato L.R. (mio padre e nipote ex fratre di L.O.), ovviamente in caso di vita, il beneficiario è la contraente medesima L.O. In data 15/04/2020 scade la polizza e la prozia trovandosi in una residenza assistita non viene informata della scadenza, per tale motivo non rinnova l'assicurazione e nemmeno incassa il premio unico dovuto. In data 07/02/2021 la prozia muore lasciando un testamento datato 15/10/2017 (la zia era vedova e non ha avuto figli), nel quale si nominano due eredi e si dispone che ad un erede venga lasciato la propria abitazione mentre all'altro (il sottoscritto) i "risparmi con i relativi investimenti in ogni sede". A seguito di queste disposizioni ho provveduto alla successione testamentaria per i titoli e il c/c che la zia aveva in banca. I problemi sono sorti con l'assicurazione perché inizialmente la banca asseriva che l'assicurazione non è un investimento, dubbio smentito dal documento di polizza dove è scritto "obiettivo di investimento: Risparmio/investimento", mentre l'assicurazione continua a chiedermi la sussistenza di eventuali eredi legittimi (non esistono legittimari) , albero genialogico, stato di famiglia storico da quando la prozia si è sposata (anni 50), etc. Con l'ultima conversazione telefonica hanno chiaramente riferito che l'assicurazione non " dovrebbe" rientrare nell'eredità e che comunque ha un sistema di liquidazione proprio. Vi chiedo se gentilmente potete aiutarmi ad interpretare la questione. In allegato il documento di chiarimento inviato alla assicurazione e la loro risposta. _Grazie per il vostro servizio”
Consulenza legale i 03/10/2021
Anche se da un punto di vista prettamente logico la richiesta avanzata dalla società di assicurazione può sembrare ingiustificata, sotto il profilo giuridico in effetti ha una sua ragione giustificatrice.
Occorre innanzitutto premettere che, nella sottoscrizione di una qualsiasi tipologia di assicurazione, il contratto è l’elemento fondamentale, in quanto è il documento che conferma le condizioni di tutela di un soggetto nel caso di svariati eventi fino al decesso (per questo sarebbe opportuno anche avere a disposizione copia del contratto a suo tempo sottoscritto).

La sua disciplina primaria si rinviene nel codice civile agli artt. dal 1882 al 1932 c.c., ed in esso i soggetti contraenti risultano fondamentalmente due: il sottoscrittore della polizza e la compagnia assicurativa.
Altro soggetto rilevante nella stipula del contratto di polizza vita in caso morte o di una polizza vita in caso vita è il beneficiario del capitale che, in caso di verifica degli eventi o situazioni per cui ci si assicura, ha il ruolo di colui che riscuote la somma versata all'assicurazione.

La compagnia assicurativa, nel momento in cui si verificano gli eventi per cui ci si è assicurati, (decesso in caso di sottoscrizione di una polizza vita in caso morte e termine naturale del contratto con la polizza vita in caso vita) è tenuta a corrispondere, al soggetto sottoscrittore della polizza vita o al suo beneficiario, la somma assicurata, pari all'importo complessivo della rendita che durante il periodo di sottoscrizione ha maturato.

Come giustamente viene osservato nel quesito, occorre distinguere la posizione del beneficiario da quella del contraente.
Infatti, mentre nel caso in cui venga sottoscritta un'assicurazione vita in caso vita, il soggetto beneficiario può coincidere con lo stesso soggetto contraente o lo stesso assicurato, prevedendo tale tipologia di polizza il riscatto della somma assicurata al termine di una durata di contratto, nel diverso caso di sottoscrizione di un'assicurazione vita in caso morte, la somma assicurata può essere riscattata solo nel momento in cui si verifica il decesso del soggetto assicurato, con la conseguenza che il beneficiario diventa l'unico soggetto che può riscuotere/riscattare la somma assicurata.

Nel caso di specie, trattandosi di un polizza a scadenza, il beneficiario di essa avrebbe conseguito il diritto alla riscossione del capitale maturato solo per l’ipotesi in cui la morte del contraente assicurato si fosse verificata prima della naturale scadenza contrattuale.
Per tale ipotesi sarebbe valso ciò che caratterizza queste tipologie di polizze, ossia il principio secondo cui le somme corrisposte dalla compagnia assicuratrice al beneficiario in caso di morte dell’assicurato non possono intendersi ricomprese nell’asse ereditario, in quanto spettano al beneficiario per diritto proprio, quindi non rientrano nella successione.

Il problema che adesso ci si pone è quello di stabilire se il medesimo principio, ossia quello della non appartenenza delle somme al patrimonio ereditario del de cuius, valga anche nell’ipotesi in cui il contraente assicurato, prima di morire, abbia maturato il diritto alla loro riscossione, ma non lo abbia esercitato.
Ebbene, purtroppo il ragionamento seguito dalla compagnia di assicurazione non è privo di fondamento e deve ritenersi corretto, in quanto occorre tenere presente che, a differenza di ciò che succede per i cd. risparmi del de cuius, ossia le somme dallo stesso depositate in un conto corrente bancario o postale o anche per le somme in qualunque modo investite, nel caso specifico della assicurazione sulla vita ciò che, sotto un profilo giuridico, cade in successione è il diritto ad esigere la prestazione contrattuale a cui l’assicurazione si è impegnata.

In buona sostanza, una volta verificatosi l’evento da cui viene fatta dipendere la prestazione oggetto dell’obbligazione assunta dalla compagnia di assicurazione, sorge in capo all’altra parte contrattuale (l’assicurato) il diritto di pretendere l’adempimento di quella prestazione, che poi di fatto consiste nel pagamento del capitale maturato.
Del resto, è questa la ragione per cui vale il principio secondo cui le somme a tal titolo erogate non rientrano nella massa attiva ereditaria e non sono neppure soggette ad imposta sulle successioni, in quanto la prestazione promana dal patrimonio dell’assicuratore e non dall’asse ereditario dell’assicurato.
Peraltro, proprio perché si tratta di subentrare in un rapporto contrattuale concluso tra impresa di assicurazione e contraente deceduto, l’eventuale istituzione di erede tramite testamento non potrebbe in alcun modo assumere rilievo come nuova designazione per attribuzione della somma assicurata, in quanto equivarrebbe ad una modifica unilaterale del rapporto contrattuale, certamente non consentita.

Tutto questo spiega per quale ragione la compagnia di assicurazione sta richiedendo di conoscere gli eredi legittimi del de cuius, in quanto la disposizione testamentaria con la quale la de cuius ha nominato come suo secondo erede il nipote, lasciando al medesimo i risparmi che avanzano sul conto corrente con i relativi investimenti in ogni sede, non può estendersi anche al rapporto contrattuale intercorrente tra la medesima e la compagnia assicuratrice, nel quale dovranno per forza di cose subentrare gli eredi legittimi della de cuius.

Ciò significa che la società di assicurazione adempirà correttamente la sua prestazione liquidando la somma che ne costituisce oggetto in favore degli eredi legittimi della de cuius.
A quel punto, al nipote resta soltanto una possibilità, ossia quella di far valere la disposizione testamentaria con la quale la de cuius lo aveva voluto istituire erede di ogni suo risparmio per pretendere dagli eredi legittimi la restituzione di quelle somme.
Chiaramente, se gli eredi legittimi non avranno alcuna intenzione di adempiere a quella richiesta, non rimane altra soluzione che adire l’autorità giudiziaria al fine di far valere la volontà manifestata dalla de cuius nella sua scheda testamentaria.
In tal caso, la soluzione di ogni questione non potrà che essere rimessa alla interpretazione che il giudice vorrà dare alla volontà della testatrice.
Chi scrive ritiene che in effetti la volontà della de cuius fosse stata quella di far giungere nel patrimonio del nipote qualunque somma di denaro di sua pertinenza, non potendosi certamente pretendere che una persona anziana possa riuscire a distinguere tra somme giacenti sul conto e somme alla stessa dovute in forza di un rapporto contrattuale in essere.
Inoltre, valga un’ultima considerazione: se la de cuius si fosse premurata a riscuotere la somma prima di morire, quella medesima somma sarebbe stata rinvenuta nel suo patrimonio e non poteva che essere devoluta al nipote, in favore del quale ha manifestato il desiderio di lasciare ogni suo risparmio.


Corrado M. chiede
mercoledì 10/04/2019 - Lombardia
“Il sig. X stipula una polizza vita che giunge a scadenza e determina un capitale liquidabile.

Poiché la polizza prevede la possibilità di non riscuotere il capitale, ma di lasciarlo in gestione alla Compagnia (opzione cosiddetta: differimento di scadenza), il sig. X lascia il capitale maturato in gestione alla Compagnia, che lo rivaluta secondo le condizioni di polizza e riconosce le rivalutazioni dello stesso, consolidandole ogni anno come previsto dalle condizioni di polizza.

La polizza si è praticamente trasformata da copertura di un rischio (di morte) a un sostanziale contratto di investimento.

Dopo qualche tempo però X muore.

Passa ancora altro tempo prima che il suo erede scopra l’esistenza del contratto e ne chieda la liquidazione.

La Compagnia dichiara di poter liquidare il capitale rivalutato solo fino alla data della morte dell’assicurato, ma non le rivalutazioni successive a tale data.

Il beneficiario (erede) ritiene che in questo modo si determini un arricchimento indebito della Compagnia che ha gestito e custodito il capitale depositato presso di lei anche dopo la morte dell’assicurato.

Le condizioni di polizza nulla precisano in proposito.

L’erede ha diritto alla rivalutazione del contratto anche dopo la morte del contraente originario?”
Consulenza legale i 28/04/2019
In base all’art. 1882 c.c., l'assicurazione è il contratto col quale l'assicuratore, verso il pagamento di un premio, si obbliga a rivalere l'assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro, ovvero a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana. Nel caso in esame, esaminata la copia della documentazione trasmessa, si evince che nell’ipotesi di vita il beneficiario coincideva con l’assicurato; mentre in caso di morte, erano stati indicati come beneficiari il coniuge ed i figli dell’assicurato in parti uguali.
Come è noto, l’esercizio del diritto di opzione di differimento scadenza ha la finalità di prolungare la durata contrattuale, una volta giunti alla scadenza di polizza, per un numero di anni scelto dal contraente, durante i quali il capitale assicurato continuerà a rivalutarsi.

Riguardando tale opzione il caso di vita e non quello di morte, in mancanza di diverse disposizioni contrattuali, riteniamo che la rivalutazione debba essere corrisposta per il periodo corrispondente alla vita dell’assicurato e non anche per quello successivo alla morte del de cuius, come correttamente sostiene la compagnia assicurativa.
Anzi, in realtà, nelle condizioni particolari relative alla clausola di differimento automatico (punto 1, sesta pagina della documentazione trasmessa) vi è una disposizione che rafforza ulteriormente quanto sostenuto dalla compagnia: è infatti espressamente previsto che qualora durante detto periodo di differimento automatico deceda l’assicurato la compagnia corrisponderà agli aventi diritto un importo pari a quello che sarebbe liquidabile “all’ultima ricorrenza annuale della data di effetto della polizza anteriore all’epoca del pagamento”.

Tra l’altro, non essendovi un obbligo della compagnia assicurativa di comunicare agli eredi di essere i beneficiari, non può nemmeno essere contestato ad essa un inadempimento contrattuale in tal senso. Non solo: non risulta nemmeno, nel silenzio del contratto, esservi un obbligo di legge.

Sulla base di quanto precede, l’azione residuale di ingiustificato arricchimento ai sensi dell’art. 2041 c.c. nei confronti della compagnia assicurativa, non appare pertanto molto fondata difettando, in particolare, il requisito della mancanza della giusta causa.

F. F. chiede
giovedì 03/11/2022 - Lombardia
“In caso di polizza di assicurazione sulla vita, dove il contraente stipula tale polizza ai sensi dell'art. 1919 2° comma del c.c. "Assicurazione sulla vita propria o di un terzo", provvedendo a farsi rilasciare il consenso scritto dal Terzo/Assicurato (mero portatore di rischio) in quanto lo stesso contraente è anche il Beneficiario, a fronte di dichiarazioni inesatte rilasciate dall'Assicurato sul suo stato di salute, è legittimo che gli Assicuratori applichino gli artt. 1892 e 1893 e rifiutino il pagamento del capitale assicurato?
Le dichiarazioni inesatte rilasciate dall'assicurato (mero portatore di rischio) sono opponibili al Contraente?”
Consulenza legale i 10/11/2022
Nel caso che occupa, è stata stipulata una polizza sulla vita di un terzo, ai sensi dell'art. 1919 del c.c., il quale prevede che “L'assicurazione può essere stipulata sulla vita propria o su quella di un terzo. L'assicurazione contratta per il caso di morte di un terzo non è valida se questi o il suo legale rappresentante non dà il consenso alla conclusione del contratto. Il consenso deve essere provato per iscritto”.
Se normalmente chi stipula un contratto di assicurazione è anche il beneficiario della prestazione, e allora in questo caso parlare genericamente di "assicurato" potrebbe essere tecnicamente corretto, può tuttavia capitare che vi sia una dissociazione soggettiva tra contraente ed assicurato.
Come correttamente affermato nel quesito, nel caso che occupa il contraente della polizza è anche il beneficiario, ovvero colui che otterrà la liquidazione dell’indennizzo in caso di morte del terzo. L’assicurato, invece, è il terzo, che è possibile definire “portatore di rischio”.
Ci si chiede se, a fronte di dichiarazioni inesatte rilasciate dall'assicurato sul suo stato di salute, sia legittimo, per la compagnia di assicurazione, applicare gli artt. 1892 c.c. e 1893 c.c., e se le dichiarazioni inesatte rilasciate dall'assicurato - mero portatore di rischio - possano essere “opposte” al contraente.
Una dettagliata disamina delle condizioni della polizza sulla vita in oggetto, oltreché della copia dei questionari compilati al momento della sottoscrizione della polizza, potrebbe offrire ulteriori dettagli. Tuttavia, si possono già fornire delle utili risposte sulla base di una analisi sistematica delle norme dettate dal Codice Civile in materia di assicurazione.
Ebbene, per rispondere agli interrogativi posti, è bene operare una considerazione di questo tipo: è vero che gli artt. 1892 e 1893 del Codice Civile parlano espressamente di “contraente”, ma lo fanno considerando l’ipotesi generale - e maggiormente ricorrente - in cui vi sia coincidenza tra contraente e assicurato.
Nel contratto di assicurazione sulla vita, invece, parti del contratto sono e non necessariamente coincidono:
  • l’assicuratore;
  • il contraente (il soggetto che stipula il contratto e sul quale gravano gli obblighi contrattuali, tra cui il pagamento del premio);
  • l’assicurato (il soggetto la cui morte o sopravvivenza rendono attuale l’obbligo dell’assicuratore di corrispondere l’indennità);
  • il beneficiario (il soggetto a cui favore è devoluta l’indennità assicurativa).
La dottrina e la giurisprudenza in materia assicurativa, nel commentare l’obbligo di fornire alla compagnia dichiarazioni veritiere ex art. 1892 del c.c., si riferiscono indistintamente al contraente o all’assicurato, proprio perché generalmente tali figure coincidono.
Tuttavia, è logico ritenere che, anche allorquando le dichiarazioni inesatte o reticenti derivino dall’”assicurato”, che non coincide col contraente, le conseguenze non possano che essere le medesime previste per le dichiarazioni inesatte o reticenti del “contraente”. Tali dichiarazioni inesatte, infatti, incidono inevitabilmente sulla corretta valutazione del rischio da parte della compagnia di assicurazione.
Per giungere a tale conclusione in via interpretativa, basta ritenere che è proprio l’assicurato, in quanto portatore del rischio, a dover fornire all’assicurazione tutte le informazioni di cui necessita al fine di valutare in maniera adeguata il rischio, calcolando così il premio sulla base di considerazioni corrette e veritiere.
A scanso di equivoci, e a tutela degli assicuratori, nelle condizioni generali delle polizze assicurative si parla spesso di "condizioni conosciute al contraente e/o assicurato", o si inserisce una clausola ad hoc in cui si prevede che le dichiarazioni reticenti o inesatte rese dall'assicurato possono comportare la perdita del diritto all'indennizzo, o ancora si conviene che il contraente e l’assicurato (entrambi, quindi) debbano comunicare alla compagnia di assicurazione le circostanze rilevanti per la determinazione del rischio, pena la possibilità per la compagnia assicurativa di impugnare il contratto o, comunque, di esercitare il recesso dallo stesso.
Pertanto, è corretto ritenere che la compagnia di assicurazione potrà applicare gli artt. 1892 c.c. e 1893 c.c. in caso di dichiarazioni inesatte o reticenti rilasciate dall’assicurato, che in questo caso non coincide con il contraente, ma è tenuto comunque a fornire le indicazioni richieste dalla compagnia di assicurazione.
Peraltro, se il questionario fosse stato compilato solamente dal contraente, sulla base di informazioni inesatte e della cui inesattezza l’assicurato era a conoscenza, si applicherebbe la disciplina di cui all'art. 1894 del c.c., che estende a tale ipotesi la disciplina degli artt. 1892 c.c. e 1893 c.c. Il terzo assicurato che sia a conoscenza delle dichiarazioni inesatte rese dal dichiarante, non può giovarsi della buona fede del contraente, che invece nulla sapeva al momento della compilazione del questionario per la compagnia.
In ogni caso, si rileva che l’onere probatorio in ordine alla dimostrazione delle condizioni in presenza delle quali trova applicazione il 1892 c.c. (a. che la dichiarazione sia inesatta o reticente; b. che la dichiarazione sia stata resa con dolo o colpa grave; c. che la reticenza sia stata determinante nella formazione del consenso dell'assicuratore) è esclusivamente a carico dell’assicuratore.
Come anticipato, riveste un ruolo determinante il questionario/i questionari predisposto/i dalla compagnia di assicurazione al momento della stipulazione della polizza, che assurge/assurgono anche a criterio valutativo della condotta dell’assicurato, di talché non potrebbe essergli imputata una falsa rappresentazione della realtà in assenza di specifici e dettagliati quesiti da parte dell’assicuratore.
Nel caso in cui si volesse resistere alle pretese di annullamento/recesso avanzate dalla compagnia di assicurazione, il consiglio è quello di rivolgersi ad un avvocato specializzato che analizzi nel dettaglio la polizza assicurativa sottoscritta e sappia indirizzare verso un’efficace strategia difensiva.