(massima n. 1)
Per la qualificazione del contratto di lavoro come autonomo o subordinato — ai fini della quale il nomen iuris attribuito dalle parti al rapporto può rilevare solo in concorso con altri validi elementi differenziali o in caso di non concludenza degli altri elementi di valutazione — occorre accertare se ricorra o no il requisito tipico della subordinazione, intesa come prestazione dell'attività lavorativa alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore e perciò con l'inserimento nell'organizzazione di questo, mentre gli altri caratteri dell'attività lavorativa, come la continuità, la rispondenza dei suoi contenuti ai fini propri dell'impresa e le modalità di erogazione della retribuzione non assumono rilievo determinante, essendo compatibili sia con il rapporto di lavoro subordinato, sia con quelli di lavoro autonomo parasubordinato. Sn relazione alla qualificazione del rapporto compiuta dal giudice di merito, è censurabile in sede di legittimità soltanto la determinazione dei criteri astratti e generali applicati, mentre costituisce apprezzamento di fatto, insindacabili in cassazione se sorretto da motivazione adeguata ed esente da vizi logici e giuridici, la valutazione delle circostanze ritenute in concreto idonee a far rientrare il rapporto nell'uno o nell'altro schema. (Nella specie il giudice di merito, con la sentenza confermata dalla Suprema Corte, aveva ritenuto la qualificabilità nell'ambito del lavoro subordinato del rapporto intrattenuto, con un'agenzia generale gestita direttamente dall'Istituto Nazionale delle Assicurazioni, da un lavoratore, formalmente qualificato come produttore, completamente inserito nell'organizzazione aziendale e assoggettato alle direttive dei superiori, con obbligo di presenza giornaliera in ufficio e di rispetto degli orari, con predeterminazione dei clienti da visitare, redazione di rapportini giornalieri sull'attività svolta, ecc.).