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Articolo 2095 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Categorie dei prestatori di lavoro

Dispositivo dell'art. 2095 Codice Civile

I prestatori di lavoro subordinato si distinguono in dirigenti, quadri, impiegati e operai(1).

Le leggi speciali [e le norme corporative](2), in relazione a ciascun ramo di produzione e alla particolare struttura dell'impresa, determinano i requisiti di appartenenza alle indicate categorie [2120].

Note

(1) Comma così sostituito dall'art. 1, L. 13 maggio 1985, n. 190.
(2) Le norme corporative sono state abrogate, quali fonti di diritto, per effetto della soppressione dell'ordinamento corporativo, disposta con R.D.L. 9 agosto 1943, n. 721.

Ratio Legis

Nel nostro ordinamento non esiste un principio che imponga al datore di lavoro di garantire parità di retribuzione e/o di inquadramento di tutti i lavoratori che svolgono le medesime mansioni, infatti l'art. 36 Cost. stabilisce un generico principio di sufficienza ed adeguatezza della retribuzione, prescindendo da ogni comparazione intersoggettiva.

Massime relative all'art. 2095 Codice Civile

Cass. civ. n. 2972/2021

Nell'interpretazione delle clausole di un contratto collettivo, in particolare aziendale, ai fini della classificazione del personale ha rilievo preminente la considerazione degli specifici profili professionali, rispetto alle declaratorie contenenti la definizione astratta dei livelli di professionalità delle varie categorie, poiché le parti collettive classificano il personale sulla base delle specifiche figure professionali dei singoli settori produttivi, ordinandole in una scala gerarchica, e successivamente elaborano le declaratorie astratte, allo scopo di consentire l'inquadramento di figure professionali atipiche o nuove.

Cass. civ. n. 7295/2018

La qualifica di dirigente spetta soltanto al prestatore di lavoro che, come "alter ego" dell'imprenditore, sia preposto alla direzione dell'intera organizzazione aziendale ovvero ad una branca o settore autonomo di essa, e sia investito di attribuzioni che, per la loro ampiezza e per i poteri di iniziativa e di discrezionalità che comportano, gli consentono, sia pure nell'osservanza delle direttive programmatiche del datore di lavoro, di imprimere un indirizzo ed un orientamento al governo complessivo dell'azienda, assumendo la corrispondente responsabilità ad alto livello (cd. dirigente apicale); da questa figura si differenzia quella dell'impiegato con funzioni direttive, che è preposto ad un singolo ramo di servizio, ufficio o reparto e che svolge la sua attività sotto il controllo dell'imprenditore o di un dirigente, con poteri di iniziativa circoscritti e con corrispondente limitazione di responsabilità (cd. pseudo-dirigente).

Cass. civ. n. 19579/2017

La qualifica di dirigente non spetta al solo prestatore di lavoro che, come "alter ego" dell'imprenditore, ricopra un ruolo di vertice nell'organizzazione o, comunque, occupi una posizione tale da poter influenzare l'andamento aziendale, essendo invece sufficiente che il dipendente, per l'indubbia qualificazione professionale, nonché per l'ampia responsabilità in tale ambito demandata, operi con un corrispondente grado di autonomia e responsabilità, dovendosi, a tal fine, far riferimento, in considerazione della complessità della struttura dell'azienda, alla molteplicità delle dinamiche interne nonché alle diversità delle forme di estrinsecazione della funzione dirigenziale (non sempre riassumibili a priori in termini compiuti) ed alla contrattazione collettiva di settore, idonea ad esprimere la volontà delle associazioni stipulanti in relazione alla specifica esperienza nell'ambito del singolo settore produttivo.

Cass. civ. n. 20805/2016

In tema di attribuzione della qualifica di dirigente, va tenuto conto di quanto stabilito dalla contrattazione collettiva e dalle prassi sindacali, che ne hanno portato al riconoscimento anche a lavoratori che, pur non investiti di quei poteri di direzione necessari per richiamare la nozione di "alter ego" dell'imprenditore, sono in possesso di elevate conoscenze scientifiche e tecniche o, comunque, sono dotati di professionalità tale da collocarsi in condizioni di particolare forza nel mercato del lavoro.

Cass. civ. n. 9463/2016

Ai fini della qualificazione come lavoro subordinato del rapporto di lavoro del dirigente, quando questi sia titolare di cariche sociali che ne fanno un "alter ego" dell'imprenditore (preposto alla direzione dell'intera organizzazione aziendale o di una branca o settore autonomo di essa), è necessario - ove non sussista alcuna formalizzazione di un contratto di lavoro subordinato di dirigente - verificare se il lavoro dallo stesso svolto possa comunque essere inquadrato all'interno della specifica organizzazione aziendale, individuando la caratterizzazione delle mansioni svolte, e se possa ritenersi assoggettato, anche in forma lieve o attenuata, alle direttive, agli ordini ed ai controlli del datore di lavoro (e, in particolare, dell'organo di amministrazione della società nel suo complesso), nonché al coordinamento dell'attività lavorativa in funzione dell'assetto organizzativo aziendale.

Ai fini della configurazione del lavoro dirigenziale - nel quale il lavoratore gode di ampi margini di autonomia ed il potere di direzione del datore di lavoro si manifesta non in ordini e controlli continui e pervasivi, ma, essenzialmente, nell'emanazione di indicazioni generali di carattere programmatico, coerenti con la natura ampiamente discrezionale dei poteri riferibili al dirigente - il giudice di merito deve valutare, quale requisito caratterizzante della prestazione, l'esistenza di una situazione di coordinamento funzionale della stessa con gli obiettivi dell'organizzazione aziendale, idonea a ricondurre ai tratti distintivi della subordinazione tecnico-giuridica, anche se nell'ambito di un contesto caratterizzato dalla cd. subordinazione attenuata.

Cass. civ. n. 3981/2016

Nelle imprese di rilevanti di dimensioni possono coesistere dirigenti di diverso livello, con differente graduazione dei compiti loro assegnati, purché sia riconosciuta al dirigente di grado inferiore un'ampia autonomia decisionale in grado di incidere sugli obiettivi aziendali anche se circoscritta dal potere generale di massima del dirigente di livello superiore. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva riconosciuto la qualifica dirigenziale, nel lavoro privato, in favore di ingegnere preposto a un'area organizzativa prevista da un piano aziendale che preponeva a ciascuna area un dirigente comunque subordinato al direttore operativo).

Cass. civ. n. 17123/2015

Ai fini del riconoscimento della qualifica di dirigente, il lavoratore deve non solo provare di aver svolto mansioni implicanti l'esercizio di poteri decisionali e direttivi propri di essa, ma anche effettuare una comparazione tra il livello di appartenenza ed il livello rivendicato e dimostrare l'inadeguatezza del primo in relazione all'attività svolta. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto correttamente esclusa la qualifica dirigenziale invocata dal lavoratore per aver fatto parte - durante il distacco presso un ente pubblico - di una commissione tecnico-scientifica i cui membri dovevano avere un livello di professionalità pari ai dirigenti dello Stato, non avendo egli dimostrato né il tipo di attività svolto nella commissione, né l'inadeguatezza del proprio livello di inquadramento rispetto ad essa).

Cass. civ. n. 8589/2015

Il procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell'inquadramento di un lavoratore subordinato si sviluppa in tre fasi successive, consistenti nell'accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, nell'individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e nel raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda, ed è sindacabile in sede di legittimità a condizione, però, che la sentenza, con la quale il giudice di merito abbia respinto la domanda senza dare esplicitamente conto delle predette fasi, sia stata censurata dal ricorrente in ordine alla ritenuta mancanza di prova dell'attività dedotta a fondamento del richiesto accertamento. (Omissis).

Cass. civ. n. 7517/2012

Ai fini della configurazione del lavoro dirigenziale - nel quale il lavoratore gode di ampi margini di autonomia ed il potere di direzione del datore di lavoro si manifesta non in ordini e controlli continui e pervasivi, ma essenzialmente nell'emanazione di indicazioni generali di carattere programmatico, coerenti con la natura ampiamente discrezionale dei poteri riferibili al dirigente - il giudice di merito deve valutare, quale requisito caratterizzante della prestazione, l'esistenza di una situazione di coordinamento funzionale della stessa con gli obiettivi dell'organizzazione aziendale, idonea a ricondurre ai tratti distintivi della subordinazione tecnico-giuridica, anche se nell'ambito di un contesto caratterizzato dalla c.d. subordinazione attenuata.

Cass. civ. n. 20272/2010

Nel procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell'inquadramento di un lavoratore subordinato non si può prescindere da tre fasi successive, e cioè, dall'accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, dalla individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e dal raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, con motivazione logica e adeguata, aveva escluso, sulla scorta dell'istruttoria espletata, di poter ravvisare nelle mansioni svolte dal ricorrente, inquadrato al 3° livello del CCNL del settore abbigliamento delle aziende artigiane ed addetto alla fase di stampa di disegni su foulard e sciarpe, l'elemento della particolare complessità che, unitamente a quello della variabilità, connotava l'inquadramento al 4° livello di detto CCNL, al cui riconoscimento mirava la domanda giudiziale).

Cass. civ. n. 5809/2010

Ai fini del riconoscimento della qualifica dirigenziale, è necessario e sufficiente che sia dimostrato l'espletamento di fatto delle relative mansioni, caratterizzate dalla preposizione ad uno o più servizi con ampia autonomia decisionale, e non occorre anche una formale investitura trasfusa in una procura speciale, perché richiedere anche tale requisito significherebbe subordinare il riconoscimento della qualifica ad un atto discrezionale del datore di lavoro, di per sé insindacabile, con conseguente violazione del principio della corrispondenza della qualifica alle mansioni svolte.

Cass. civ. n. 26978/2009

In caso di mansioni promiscue, ove la contrattazione collettiva non preveda una regola specifica per l'individuazione della categoria di appartenenza del lavoratore, la prevalenza - a questo fine - non va determinata sulla base di una mera contrapposizione quantitativa delle mansioni svolte, bensì tenendo conto, in base alla reciproca analisi qualitativa, della mansione maggiormente significativa sul piano professionale, purché non espletata in via sporadica od occasionale.

Cass. civ. n. 14835/2009

La qualifica di dirigente non spetta al solo prestatore di lavoro che, come "alter ego" dell'imprenditore, ricopra un ruolo di vertice nell'organizzazione o, comunque, occupi una posizione tale da poter influenzare l'andamento aziendale, essendo invece sufficiente che il dipendente, per l'indubbia qualificazione professionale, nonché per l'ampia responsabilità in tale ambito demandata, operi con un corrispondente grado di autonomia e responsabilità, dovendosi, a tal fine, far riferimento, in considerazione della complessità della struttura dell'azienda, alla molteplicità delle dinamiche interne nonché alle diversità delle forme di estrinsecazione della funzione dirigenziale (non sempre riassumibili a priori in termini compiuti) ed alla contrattazione collettiva di settore, idonea ad esprimere la volontà delle associazioni stipulanti in relazione alla specifica esperienza nell'ambito del singolo settore produttivo. (Nella specie, la S.C., in applicazione dell'anzidetto principio, ha ritenuto la correttezza dell'inquadramento dirigenziale - e la conseguente legittimità del licenziamento per giustificatezza - in quanto la lavoratrice era stata assunta con mansioni di responsabile del servizio fiscale ed era stata destinataria di numerosissime procure da parte di tutte le società del gruppo per la difesa dell'azienda nei processi tributari).

Cass. civ. n. 16015/2007

La figura professionale del dirigente implica lo svolgimento di compiti coordinati e non già subordinati a quelli di altri dirigenti, di qualsiasi livello, i quali siano caratterizzati da significativa autonomia e poteri decisionali, che li differenzino qualitativamente da quelli affidati agli impiegati direttivi. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, correttamente interpretando la contrattazione collettiva relativa sia alla dirigenza, che al personale impiegatizio della Federconsorzi, aveva escluso che si potesse riconoscere la qualifica dirigenziale — che, in base al C.C.N.L. applicabile, spettava, tra l'altro, ai responsabili di «branche di attività di rilevante importanza» — a lavoratore responsabile di un ufficio autonomo alle dirette dipendenze della direzione generale, giacché correttamente inquadrato nella qualifica di impiegato di primo livello, la quale, in base al C.C.N.L. di settore, includeva anche i preposti ad un ufficio autonomo, non dipendenti da un coordinatore ma direttamente da un dirigente).

Cass. civ. n. 15489/2007

Il tratto caratterizzante della figura del dirigente è rappresentato dall'esercizio di un potere ampiamente discrezionale che incide sull'andamento dell'intera azienda o che attiene ad un autonomo settore produttivo della stessa, non essendo per converso necessaria la preposizione all'intera azienda.

Cass. civ. n. 27464/2006

La qualifica di dirigente spetta soltanto al prestatore di lavoro che, come alter ego dell'imprenditore, sia preposto alla direzione dell'intera organizzazione aziendale ovvero ad una branca o settore autonomo di essa, e sia investito di attribuzioni che, per la loro ampiezza e per i poteri. di iniziativa e di discrezionalità che comportano, gli consentono, sia pure nell'osservanza delle direttive programmatiche del datore di lavoro, di imprimere un indirizzo ed un orientamento al governo complessivo dell'azienda, assumendo la corrispondente responsabilità ad alto livello (c.d. dirigente apicale); da questa figura si differenzia quella dell'impiegato con funzioni direttive, che è preposto ad un singolo ramo di servizio; ufficio o reparto e che svolge la sua attività sotto il controllo dell'imprenditore o di un dirigente, con poteri di iniziativa circoscritti e con corrispondente limitazione di responsabilità (c.d. pseudo-dirigente). L'accertamento in concreto della sussistenza delle condizioni necessarie per l'inquadramento del funzionario nell'una o nell'altra categoria costituisce apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità soltanto per vizi di motivazione. II licenziamento ad nutum a prescindere dalla sussistenza di una giusta causa o da un giustificato motivo, è applicabile solo al dirigente apicale, mentre il licenziamento dello pseudo-dirigente è soggetto alle norme ordinarie. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che si era attenuta, con motivazione logica ed adeguata, ai richiamati principi, riconoscendo all'intimato la qualifica di pseudo-dirigente e l'applicazione allo stesso della cosiddetta tutela reale).

Cass. civ. n. 21652/2006

Il diritto al riconoscimento della qualifica di «quadro» istituita dalla legge 13 maggio 1985 n. 190, è configurabile anche se, entro. l'anno dall'entrata in vigore della legge, la contrattazione non abbia provveduto, a norma degli artt. 2 e 3, a stabilire i requisiti di appartenenza alla categoria, che, in tal caso, vanno desunti dalle specifiche indicazioni poste dalla legge, considerando che la categoria dei quadri non appartiene alla categoria dei dirigenti e che ai quadri, salvo diversa disposizione, si applicano le norme riguardanti la categoria degli impiegati (art. 2, commi 1 e 3 legge n.190 del 1985). (Nella specie, la S.C. ha cassatola sentenza con cui il giudice di merito, nel desumere i requisiti di appartenenza alla categoria quadri, non aveva correttamente interpretato la norma, aggiungendo, all'unico requisito richiesto ex lege requisiti tipici della figura del dirigente, quali la gestione diretta dei rapporti con i terzi e la capacità di impegnare direttamente l'azienda).

Cass. civ. n. 3859/2006

In materia di inquadramento del lavoratore, il giudice di merito è tenuto ad effettuare un'operazione logica di comparazione delle mansioni astrattamente previste per la qualifica da attribuire e di quelle svolte in concreto dal prestatore. A tal riguardo, se il regolamento aziendale prevede per una determinata posizione di lavoro, adeguatamente definita nel suo contenuto, una qualifica superiore a quella che conseguirebbe all'applicazione delle disposizioni dei contratti collettivi nazionale e aziendale sull'inquadramento del personale, l'assegnazione di un lavoratore a detta funzione, dal medesimo accettata, determina il diritto dell'interessato al riconoscimento della qualifica in questione, quale qualifica convenzionale di miglior favore, dato che il regolamento aziendale in tal caso contenente la promessa di conferimento di una determinata qualifica in corrispondenza di certe mansioni diventa impegnativo nei confronti dei lavoratori attraverso la accettazione che essi ne facciano, anche implicitamente, e che fa riversare il loro contenuto nel contratto individuale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto legittima l'assegnazione al gruppo disciplina di un impiegato di settimo livello, prevista da un atto interno come l'organigramma aziendale, anziché dal contratto collettivo).

Cass. civ. n. 21212/2005

In sede di interpretazione della previsione contrattuale di una figura professionale, la norma collettiva deve essere letta in funzione delle concrete particolarità tecniche del rapporto cui è da applicare. Questa lettura non può tuttavia giungere allo svuotamento del carattere determinante della figura contrattuale stessa. Pertanto, ritenuta determinante per la figura del caposervizio la responsabilità (che si esprime principalmente con il potere di revisione) del servizio redazionale, consistente nel penetrare all'interno del lavoro del redattore, facendo proprio il servizio stesso, ne consegue che il telecineoperatore (TCO) coordinatore che chieda il riconoscimento della qualifica di caposervizio, non riconosciuta espressamente dalla contrattazione aziendale, deve provare la determinante responsabilità necessaria caratterizzante tale qualifica, senza che sia necessario l'effettivo materiale esercizio di tutte le attività che ne siano potenziale espressione, essendo sufficiente l'aver svolto mansioni che prevedano il diritto-dovere di esercitarle (Nella specie la S.C., confermando la decisione di merito, ha ritenuto privi di un pur minimo contenuto di autosufficienza i fatti segnalati come potenziale espressione di questa responsabilità — quali, mantenere un continuo contatto con il TCO; seguire tutte le notizie più immediate provenienti dalle diverse fonti di informazione e relative all'oggetto del servizio affidato, per incidere sull'intero contenuto del lavoro del TCO — e non provato, invece, il relativo potere, non escluso dal fatto che «raramente avvenisse che il caposervizio si permettesse di stravolgere il pezzo finito di un redattore ordinario o di un inviato speciale»).

Cass. civ. n. 17344/2004

Ai fini della valutazione in ordine al diritto al riconoscimento della qualifica di dirigente, il tratto caratteristico della figura del dirigente d'azienda rispetto a funzioni simili come quella di impiegato con funzioni direttive, va individuato nell'autonomia e nella discrezionalità delle scelte decisionali, in modo che l'attività del dirigente influisca sugli obiettivi complessivi dell'imprenditore. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che il giudice di merito avesse fatto corretta applicazione di tali principi, avendo escluso la qualifica dirigenziale in mancanza di prova circa i poteri decisionali, l'autonomia e la discrezionalità dell'operato, non attribuendo rilevanza decisiva alla circostanza che il ricorrente si avvalesse o meno della collaborazione di un sottoposto ed organizzasse turni di ferie sue e dell'impiegato che con lui collaborava).

Cass. civ. n. 12513/2004

Ove la contrattazione collettiva preveda, nel disciplinare la classificazione dei lavoratori, sia le categorie o livelli, mediante declaratorie estratte e generali, sia distinti e specifici profili professionali, l'indagine per determinare la qualifica spettante al lavoratore non va effettuata sulla base di una comparazione con le mansioni svolte da altri lavoratori e con l'inquadramento a costoro attribuito, esaurendosi invece nel verificare la corrispondenza delle mansioni in concreto svolte dal lavoratore a quelle di un determinato profilo professionale indicato dalla stessa contrattazione collettiva come rientrante in una particolare categoria. Il relativo accertamento costituisce un giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità ove correttamente e congruamente motivato.

Cass. civ. n. 12092/2004

Ove un contratto collettivo preveda una medesima attività di base in distinte qualifiche, in scala crescente, a seconda che tale attività sia svolta in maniera elementare o in maniera più complessa, il fatto costitutivo della pretesa del lavoratore che richieda la qualifica superiore, il cui onere di allegazione e di prova incombe sullo stesso lavoratore, non è solo lo svolgimento della suddetta attività di base, ma anche l'espletamento delle più complesse modalità di prestazione, alle quali la declaratoria contrattuale collega il superiore inquadramento. (Nella specie, relativa ad esperto assunto dal Ministero degli esteri con contratto di lavoro di diritto privato, la disciplina specifica prevedeva l'inquadramento nei diversi livelli in funzione della professionalità posseduta in precedenza e dunque un'equivalenza o fungibilità di mansioni tra i suddetti livelli; la S.C. ha rilevato che se al livello rivendicato non sono collegabili specifiche mansioni, resta esclusa la possibilità di risalire dalle mansioni al livello e di presupporre che il contemplare diversi livelli comporti il collegamento di specifiche mansioni a ciascuno di essi).

Cass. civ. n. 8064/2004

Ai fini della valutazione in ordine al diritto al riconoscimento della qualifica di Dirigente, occorre che le mansioni in concreto svolte dal dipendente siano coordinate e non subordinate a quelle dei Dirigenti, essendo caratterizzata la figura professionale del Dirigente dalla autonomia e discrezionalità delle decisioni, dalla mancanza di una vera e propria dipendenza gerarchica, nonché dall'ampiezza delle funzioni tali da influire sulla conduzione di un'intera azienda o di un suo ramo autonomo, e non circoscritte ad un settore di essa senza che possa rilevare il trattamento riservato dall'azienda ad altro dipendente svolgente identiche mansioni, in mancanza di un principio di parità di trattamento, o di comparazione soggettiva tra lavoratori. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che il giudice di merito avesse fatto corretta applicazione di tali principi, avendo escluso che il Direttore Commerciale di una Compagnia di navigazione aerea, non avendo la responsabilità della gestione nè la rappresentanza della società nei confronti dei terzi, ed avendo un potere di firma limitato alla richiesta di biglietti gratuiti o a tariffa scontata, fosse da inquadrare come impiegato con funzioni direttive, qualifica prevista dal contratto collettivo FAIRO, piuttosto che nella richiesta categoria dirigenziale ).

Cass. civ. n. 16461/2003

In caso di mansioni promiscue, la previsione espressa della contrattazione collettiva secondo cui tra le mansioni legittimamente esigibili da dipendenti inquadrati in un determinato livello vi siano anche compiti propri di un più elevato livello d'inquadramento integra il criterio di individuazione della esatta categoria di appartenenza, in quanto, nel riflettere la valutazione fattene dalle parti collettive, essa regola una situazione di compresenza di mansioni professionali collocate lungo una linea verticale. Ne consegue che, ai fini di un diverso e superiore inquadramento, irrilevante è in tal caso l'indagine qualitativa, giacché irrilevante risulta, secondo l'avviso espresso dalle parti collettive, l'espletamento della mansione superiore, non trovando pertanto applicazione i normali criteri della prevalenza qualitativa e del connesso carattere specialistico delle mansioni.

Cass. civ. n. 12650/2003

I tratti caratteristici dei dirigenti di aziende industriali sono: a) l'autonomia e la discrezionalità delle decisioni e la mancanza di una vera e propria dipendenza gerarchica; b) l'ampiezza delle funzioni tali da influire sulla conduzione dell'intera azienda (o di un suo ramo autonomo) e non circoscritte, come nel caso dell'impiegato con funzioni direttive, a un settore o ramo o servizio o ufficio della stessa. (Nella specie, il giudice di merito, con sentenza confermata dalla S.C., ha ravvisato il diritto alla qualifica dirigenziale ed escluso la qualità di agente di un dipendente che era stato direttore commerciale preposto ad una delle tre fondamentali aree in cui si articolava l'azienda, con elevata autonomia e professionalità e collocazione sullo stesso piano dei due titolari responsabili delle altre aree, restando peraltro soggetto a direttive ed a controllo sui risultati raggiunti.).

Cass. civ. n. 12632/2003

Va riconosciuta, in via di principio, all'autonomia collettiva il potere di stabilire gli inquadramenti del personale, ovvero la giusta collocazione del medesimo, in riferimento non solo alla consistenza professionale delle mansioni affidate a ciascun dipendente, ma anche alle caratteristiche ed all'articolazione del contesto produttivo nel quale esse si inseriscono. (Nella specie. La S.C. ha confermato la decisione di merito che, con riguardo alla domanda di numerosi dipendenti bancari con qualifica di ausiliari di ottenere l'inquadramento, con le relative differenze retributive, come impiegati di II o come commessi, aveva osservato che il contratto collettivo applicabile ai rapporti di lavoro in esame non assimila l'attività di guardiania e custodia svolta dai dipendenti di cui si tratta alle mansioni proprie dell'impiegato di II, né del commesso.).

Cass. civ. n. 12085/2003

Ai fini della qualificazione di un rapporto di lavoro come lavoro subordinato dirigenziale o rapporto di collaborazione professionale auto
noma spiega rilevanza decisiva la volontà delle parti, espressa nell'accordo contrattuale, qualora, come nella specie, in un modello organizzativo societario, ampiamente diffuso nel campo delle prestazioni professionali associate, informato ad altissimi compensi e corrispondente flessibilità di rapporti professionali, tale volontà si sia espressa su di un piano paritario e l'esecuzione del rapporto mostri indici rivelatori della natura autonoma (fatturazione dei compensi percepiti), in assenza di chiari indici di subordinazione. (Nel caso di specie la S.C. ha confermato la decisione del giudice di merito che aveva ritenuto che le parti avessero voluto instaurare un rapporto di collaborazione professionale, in quanto esistevano numerosi elementi — ricorrenti nei rapporti di collaborazione indipendente — tra i quali la fatturazione dei compensi percepiti dal soggetto a carico di società che facevano capo al soggetto stesso, e per contro mancavano indici di subordinazione del ricorrente alle direttive del datore di lavoro.).

Cass. civ. n. 10635/2003

L'astratta e preventiva attribuzione della qualifica di dirigente non vale, di per sé, a conferire alla qualifica medesima la rilevanza giuridica che le è propria se le mansioni di fatto esercitate manchino dei requisiti che oggettivamente caratterizzano la detta qualifica. L'accertamento in concreto della sussistenza o meno di tali requisiti è rimesso al giudice del merito e il controllo di legittimità non può investire il convincimento del giudice di merito sulla rilevanza probatoria degli elementi considerati, ma solo la congruenza del giudizio, dal punto di vista dei principi di diritto che regolano la prova. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, in presenza di una disposizione di contratto collettivo contenente la declaratoria della qualifica di dirigente, riferita anche al procuratore quale ausiliario dell'imprenditore, aveva ritenuto, con motivazione immune da vizi logico-giuridici, che il lavoratore non avesse fornito la prova dei requisiti caratterizzanti la posizione del dirigente).

Cass. civ. n. 1093/2003

In sede di interpretazione delle clausole di un contratto collettivo relative alla classificazione del personale in livelli o categorie, ha rilievo preminente, soprattutto se il contratto ha, come nella specie, carattere aziendale, la considerazione degli specifici profili professionali indicati come corrispondenti ai vari livelli, rispetto alle declaratorie contenenti la definizione astratta dei livelli di professionalità delle varie categorie, poiché le parti collettive classificano il personale non sulla base di astratti contenuti professionali, bensì in riferimento alle specifiche figure professionali dei singoli settori produttivi, che ordinano in una scala gerarchica, elaborando successivamente le declaratorie astratte, allo scopo di consentire l'inserimento di figure professionali atipiche o nuove. (Nella specie, la Suprema Corte ha confermato la sentenza impugnata che, con riferimento alla previsione del contratto collettivo di primo livello per i dipendenti delle Ferrovie dello Stato, secondo cui le funzioni di coordinatore del polo amministrativo presso l'Impianto di riferimento comportano l'inquadramento nella ottava categoria professionale delle funzioni, senza alcun riferimento alle dimensioni degli impianti, aveva ritenuto quella disposizione non derogata da accordi collettivi locali ed aveva quindi riconosciuto al lavoratore, che quelle mansioni aveva svolto, il corrispondente inquadramento).

Cass. civ. n. 7959/2001

Nel procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell'inquadramento di un lavoratore subordinato non può prescindersi dalla ricognizione dei caratteri generali ed astratti delle singole categorie e qualifiche alla stregua della disciplina collettiva del rapporto — categorie e qualifiche i cui profili professionali vanno interpretati, là dove vengano in considerazione servizi pubblici considerati dalla legge come essenziali, anche con riguardo agli interessi degli utenti, ciò essendo imposto dal canone ermeneutico della buona fede — e dall'accertamento in fatto dell'attività lavorativa effettivamente svolta, al fine di ricondurla all'una o all'altra previsione contrattuale; il difetto di tali definizioni e raffronti si risolve in una carenza di motivazione, come tale sindacabile in sede di legittimità. (Nell'enunciare il principio di cui in massima, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza di merito, la quale aveva accolto la pretesa dal lavoratore, dipendente delle Ferrovie dello Stato, avente ad oggetto il superiore inquadramento, senza riprodurre le clausole di accordo sindacale e di contratto collettivo, ove erano descritti i caratteri della qualifica superiore e di quella inferiore, e senza tenere nel debito conto la circostanza del mancato conseguimento, da parte del lavoratore, della abilitazione necessaria per la qualifica superiore).

Cass. civ. n. 9/2001

In ipotesi di svolgimento di mansioni promiscue, allo scopo di determinare l'inquadramento spettante al lavoratore devono considerarsi congiuntamente i dati quantitativi e quelli qualitativi, per giungere a stabilire quali attribuzioni assumano rilievo professionale preminente, fermo restando che la norma inderogabile dell'art. 2103 c.c. non consente alla contrattazione collettiva di estendere i profili professionali e l'equivalenza tra le mansioni fino al punto di consentire liberamente al potere di organizzazione del datore di lavoro di attribuire mansioni proprie di una qualifica superiore a dipendenti che rivestono qualifiche inferiori per il solo fatto che le mansioni superiori risultano comprese anche nel profilo professionale degli appartenenti alla qualifica inferiore. (Nella specie il giudice di merito, con la sentenza confermata dalla S.C., ha ritenuto corretto l'inquadramento di un dipendente di un ente istruzione professionale sulla base della qualifica relativa ai formatori con funzioni di coordinamento di sedi minori prive di direttore, e non di quella di direttore, avendo accertato che l'attività di formatore aveva occupato circa metà dell'orario di lavoro e che l'attività di coordinamento era in parte ricollegabile alle funzioni di coordinamento didattico specifiche della qualifica e per la parte relativa al coordinamento amministrativo e di responsabilità del personale aveva carattere marginale in una struttura di ridotte dimensioni e non era particolarmente qualificante.

Cass. civ. n. 14502/2000

Nel caso di espletamento da parte del lavoratore subordinato di una pluralità di mansioni in favore del medesimo datore di lavoro, sono riconducibili nell'ambito di un unico rapporto, secondo la qualifica corrispondente alla mansione principale, le attività a questa collegate da un vincolo di accessorietà mentre sono inquadrabili in un distinto rapporto le prestazioni che siano svolte in orari diversi e siano autonomamente contemplate dalla contrattazione collettiva. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva escluso il diritto del lavoratore ad un'autonoma retribuzione in relazione all'attività di amministratore di una società svolta per conto del datore di lavoro al di fuori dell'orario previsto dal contratto di lavoro).

Cass. civ. n. 431/2000

Ai fini dell'attribuzione della qualifica di dirigente per l'espletamento di fatto delle relative mansioni ex art. 2103 c.c., spetta al lavoratore che rivendichi tale qualifica l'onere di dimostrare le mansioni effettivamente svolte, nonché la corrispondenza fra queste ultime e quelle delineate per il ruolo dirigenziale dal contratto collettivo di categoria, e la relativa valutazione costituisce un giudizio di fatto riservato al giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità se sorretto da logica e adeguata motivazione. (Omissis).

Cass. civ. n. 618/1999

La figura professionale del dirigente — che in mancanza di una previsione della disciplina collettiva del rapporto di lavoro va determinata alla stregua della nozione legale di tale categoria — è caratterizzata dall'autonomia e discrezionalità delle decisioni e dalla mancanza di una vera e propria dipendenza gerarchica, nonché dall'ampiezza delle funzioni, tali da influire sulla conduzione dell'intera azienda o di un suo ramo autonomo, e non circoscritte ad un settore di essa. (Nella specie, è stata confermata la decisione dei giudici di merito che ha negato la sussistenza di tali requisiti per l'attività di un legale incaricato della trattazione del contenzioso dell'ente datore di lavoro, escludendo l'esistenza di una specifica previsione della contrattazione collettiva per i dipendenti dell'Enel, relativa alla figura del dirigente che svolge in campi specialistici un ruolo autonomo caratterizzato da un grado di professionalità particolarmente elevato).

Cass. civ. n. 12860/1998

La figura del dirigente d'azienda come alter ego dell'imprenditore non risponde agli attuali assetti organizzativi delle imprese, specie se di rilevanti dimensioni, caratterizzate da una pluralità di dirigenti, di diverso livello, nell'ambito di un diffuso decentramento dei poteri decisionali; per l'individuazione degli elementi qualificanti la figura del dirigente, pertanto, non è più possibile fare riferimento soltanto all'aspetto della supremazia gerarchica e dei poteri direttivi ad essa connessi, essendo necessario tenere presente anche la qualità, l'autonomia e la discrezionalità delle mansioni affidate: i due suddetti aspetti, che certo non si escludono a vicenda, sono tuttavia
anche separatamente sufficienti a qualificare l'attività dirigenziale, data la possibilità che un'elevata specializzazione o una sperimentata esperienza abbiano un'incidenza rilevante e immediata sugli obiettivi dell'impresa (siano essi quelli di carattere generale o quelli propri di un settore o ramo autonomo nel quale il dirigente si trovi ad operare), essendo proprio l'immediata incidenza sugli obiettivi complessivi dell'imprenditore l'elemento che, caratterizzando l'attività del dirigente, appare utile a marcare la linea di confine tra questa figura e quella di quadro.

Cass. civ. n. 12555/1998

In materia di legittimità dell'attribuzione al lavoratore di una categoria o di una qualifica prevista dal contratto collettivo, è compito del giudice di ricostruire la comune intenzione delle parti ai sensi dell'art. 1362 c.c., ossia di motivare la sentenza di merito: a) dando conto del testo del contratto, nelle parti in cui questo descrive le caratteristiche delle categorie o qualifiche in questione (senza trascurare l'interpretazione delle più specifiche disposizioni eventualmente contenute in accordi collettivi aziendali); b) ponendo in evidenza le differenze tra l'una e l'altra, in particolare indicando quali attività lavorative appartengono all'una ma non all'altra categoria; c) descrivendo le attività effettivamente svolte dal lavoratore, in modo da poter controllare la corrispondenza dell'inquadramento alle previsioni contrattuali.

Cass. civ. n. 12214/1998

La legge 13 maggio 1985, n. 190, che ha introdotto la nuova categoria dei «quadri nella classificazione dei prestatori di lavoro di cui all'art. 2095 c.c., pur non contenendo una precisa definizione della medesima e prevedendo che i relativi requisiti di appartenenza siano stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale o aziendale «in relazione a ciascun ramo di produzione e alla particolare struttura organizzativa dell'impresa» (art. 2, comma secondo), fornisce dei criteri direttivi, concependo la nuova categoria quale intermedia tra quella dei dirigenti e quella degli impiegati e specificando che i suoi appartenenti svolgono in maniera continuativa funzioni «di rilevante importanza ai fini dello sviluppo dell'impresa» (art. 2, comma secondo). Ferma restando l'eventuale funzione sussidiaria delle previsioni legali in assenza di fonti contrattuali integrative, la contrattazione collettiva deve attenersi a detti criteri, la cui violazione comporta la sua illegittimità, ed anche la nullità delle sue disposizioni ove sia dimostrato che la violazione della norma imperativa di legge leda interessi vitali dei lavoratori, in quanto tali di rilievo pubblicistico. (Nella specie, la S.C., confermato l'accertamento del giudice di merito circa la non spettanza al ricorrente, dipendente delle Ferrovie dello Stato, della ottava categoria — ricondotta dalla contrattazione collettiva insieme alla nona all'area dei quadri —, ha rigettato altresì il motivo di ricorso diretto a censurare il mancato rilievo della nullità di tale contrattazione e la mancata diretta applicazione della normativa legale, poiché il ricorrente non aveva dedotto elementi atti a suffragare la nullità delle disposizioni contrattuali).

Cass. civ. n. 11461/1997

Poiché, a norma dell'art. 2 della legge n. 190 del 1985, i requisiti di appartenenza alla categoria dei quadri sono previsti dalla contrattazione collettiva, non può pretendere il riconoscimento di tale categoria il lavoratore che non abbia titolo per l'inquadramento nei livelli di classificazione del personale che, secondo la contrattazione collettiva del settore, comportano la qualificazione come quadro.

Cass. civ. n. 7761/1996

La qualifica di dirigente può configurarsi anche in ipotesi di struttura imprenditoriale di modeste dimensioni, dal momento che l'ipotizzabile difficoltà di rinvenire nella stessa una posizione di lavoro subordinato caratterizzata da quel ruolo di supplenza imprenditoriale e dal quel grado di autonomia richiesti per l'integrazione della qualifica in questione, e normalmente inerenti alle strutture produttive ampie, comporta unicamente per il giudice un maggior rigore di indagine ed un più approfondito accertamento di fatto. (Nella specie la Suprema Corte ha confermato la sentenza di merito — impugnata dal lavoratore che mirava ad ottenere l'applicazione della disciplina legale limitativa dei licenziamenti — che aveva ritenuto legittima l'attribuzione della qualifica di dirigente al vice direttore generale di una banca locale).

Cass. civ. n. 7664/1996

La qualifica dell'impiegato con funzioni direttive presuppone che il dipendente sia preposto ad un ramo o ad un singolo settore, ovvero ad un servizio, dell'azienda, con attribuzione sia di poteri gerarchici su altri dipendenti, sia di poteri di iniziativa ed autonomia decisionale, con correlativa responsabilità, ancorché nell'attuazione delle direttive generali del titolare dell'impresa o dei dirigenti della stessa.

Cass. civ. n. 931/1996

L' art. 2 della legge 13 maggio 1985, n. 190, istitutiva della categoria dei quadri intermedi, nel demandare alla contrattazione collettiva nazionale o aziendale la determinazione dei requisiti di appartenenza alla suddetta categoria, non fissa alcun rapporto di gerarchia fra i due livelli di contrattazione; ne consegue che la contrattazione collettiva aziendale ben può derogare a quella nazionale nel determinare i suddetti requisiti.

Cass. civ. n. 4437/1995

Il riconoscimento ad un lavoratore subordinato della qualifica di dirigente a prescindere della corrispondenza della stessa alle mansioni effettivamente svolte e la successiva stipulazione con lo stesso di una clausola di durata minima del rapporto non possono ritenersi in contrasto con norme imperative (o con l'ordine pubblico o il buon costume) neanche se i relativi atti sono adottati da una società cooperativa che, trovandosi in difficoltà economiche, sia stata diffidata dall'organo di vigilanza a tenere una più oculata amministrazione e, in particolare a non procedere a nuove assunzioni, in quanto questa circostanza non limita l'autonomia della cooperativa stessa come soggetto privato e non incide, quindi, sulla volontà degli atti compiuti dai suoi organi. D'altra parte, la concreta situazione dell'impresa (e in particolare il collocamento in Cassa integrazione di gran parte del personale), può incidere sulla convenienza per la stessa del patto sulla stabilità del rapporto, e quindi sui motivi di tale patto ma non sulla sua causa, sempre riconducibile a quella del rapporto di lavoro subordinato (scambio tra retribuzione e prestazione di lavoro).

Cass. civ. n. 1899/1994

Allorché l'appartenenza alla categoria dei dirigenti sia espressamente regolata dalla contrattazione collettiva, occorre far riferimento alle relative disposizioni per stabilire l'esatto inquadramento del dipendente ed il giudice ha l'obbligo di attenersi ai requisiti dalle medesime previsti, poiché esse, riflettendo la volontà delle parti stipulanti e la loro specifica esperienza di settore, assumono valore vincolante e decisivo, tenendo altresì conto che in organizzazioni aziendali complesse è ammissibile - anche in riferimento alla prassi aziendale ed alla concreta organizzazione degli uffici - la previsione di una pluralità di dirigenti (a diversi livelli, con graduazione di compiti) i quali sono tra loro coordinati da vincoli di gerarchia, che però facciano salva, anche nel dirigente di grado inferiore, una vasta autonomia decisionale circoscritta dal potere direttivo generale di massima del dirigente di livello superiore.

Cass. civ. n. 1806/1994

Il tratto distintivo della qualifica di dirigente rispetto a quella di impiegato con funzioni direttive è dato dall'ampiezza delle rispettive funzioni, estese per la prima qualifica all'intera azienda o ad un ramo autonomo di questa e destinate ad incidere con carattere essenziale sulla vita dell'azienda, circoscritte invece, per la seconda, ad un settore, ramo o ufficio dell'azienda medesima. Vi è pertanto incompatibilità tra la qualifica di dirigente e l'esercizio di mansioni con vincolo di dipendenza gerarchica anche nei casi di aziende ad organizzazione complessa con pluralità di dirigenti e graduazione di compiti, atteso che pure in tali ipotesi per la sussistenza delle funzioni dirigenziali occorre che le mansioni nel loro svolgimento siano coordinate con quelle degli altri dirigenti e non già subordinate ad altre, differenziandosi l'autonomia degli altri funzionari o impiegati con funzioni direttive preposti a determinati uffici o servizi per il fatto che questa consiste nell'attività di attuare, determinare e curare l'esecuzione delle direttive generali dell'imprenditore o dei dirigenti dell'azienda in un ramo o servizio di questa.

Cass. civ. n. 5587/1993

Quando il rapporto di lavoro è regolato da contratti collettivi, l'accertamento dell'appartenenza del lavoratore alla categoria operaia o impiegatizia deve essere condotto alla stregua di tale disciplina — le cui indicazioni assumono valore decisivo e vincolante anche per la classificazione di determinate mansioni specifiche nell'una o nell'altra categoria — e non già in base a criteri distintivi elaborati in astratto, come quelli fondati sul carattere manuale o intellettuale della prestazione di lavoro o sul tipo di collaborazione prestata dal dipendente, essendo d'altro canto esclusa la diretta applicabilità dei criteri di qualificazione contenuti nella disciplina legale del R.D.L. 13 novembre 1924, n. 1925, convertito nella L. 18 marzo 1926, n. 562.

Cass. civ. n. 5136/1993

Non contrastano con la disciplina posta dalla L. 13 maggio 1985, n. 190 (riconoscimento giuridico dei quadri intermedi) le clausole della contrattazione collettiva per i dipendenti di azienda farmaceutica municipalizzata che prevedono l'inquadramento dei farmacisti in livelli diversi, nell'ambito della categoria dei quadri, sulla base di criteri concernenti l'inserimento delle prestazioni lavorative in una più o meno complessa organizzazione aziendale e le responsabilità amministrative e gestionali affidate al dipendente.

Cass. civ. n. 454/1985

I criteri di qualificazione dell'attività impiegatizia contenuti nel R.D.L. 13 novembre 1924, n. 1825 (disposizioni relative al contratto d'impiego privato) non sono direttamente applicabili (salvo l'eventuale limite derivante da norma inderogabile) quando il rapporto di lavoro sia disciplinato da contratti collettivi, anche postcorporativi, o da normativa regolamentare (nella specie, regolamento organico dei dipendenti del consorzio autonomo del porto di Genova) assimilabile a quella collettiva; invero, al fine di determinare la qualifica spettante al prestatore di lavoro subordinato in relazione alle mansioni svolte, è necessario fare riferimento, più che ai criteri astratti e formali desumibili dalle norme di legge che prevedono distinzioni in categorie di prestatori d'opera subordinata, al contratto collettivo, o regolamento, applicabile al rapporto di lavoro dedotto in giudizio, le cui indicazioni assumono valore vincolante e decisivo anche per quanto riguarda la classificazione di determinate mansioni specifiche nell'una o nell'altra categoria.

Cass. civ. n. 7433/1983

L'art. 2095 c.c. pur prevedendo tre categorie fondamentali di lavoratori subordinati (dirigenti, amministrativi o tecnici, impiegati e operai), consente di determinare contrattualmente le mansioni specifiche tipiche di ciascuna categoria e – nell'ambito della stessa categoria – di porre posizioni differenziate per qualifiche e gradi, ai sensi dell'art. 96 delle disposizioni di attuazione dello stesso codice, secondo l'importanza dell'impresa. Le previsioni del contratto collettivo che dispongono un quadro più articolato delle mansioni di un'impresa di non modeste dimensioni, attuano e specificano la cennata tripartizione dei lavoratori subordinati, senza porsi in contrasto con l'art. 36 Cost. e con l'art. 2103 c.c., ed in quanto esprimono la volontà delle associazioni stipulanti e la loro specifica esperienza nel settore e nella relativa organizzazione aziendale, assumono valore vincolante e decisivo anche per quanto riguarda la classificazione di determinate mansioni specifiche nell'una o nell'altra categoria.

Cass. civ. n. 46/1983

L'art. 2095 c.c. — pur prevedendo tre categorie fondamentali di inquadramento dei lavoratori subordinati, consente alle associazioni sindacali di determinare contrattualmente le mansioni tipiche di ciascuna categoria e — nell'ambito della stessa categoria — di porre posizioni differenziate per qualifiche e gradi, ai sensi dell'art. 96 disp. att. c.c., secondo l'importanza dell'impresa, con la conseguenza che, al fine di accertare la qualifica spettante al prestatore di lavoro in relazione alle mansioni svolte è necessario fare riferimento in primo luogo al contratto collettivo, le cui indicazioni, in quanto esprimono la volontà delle associazioni sindacali stipulanti e la loro specifica esperienza nel settore produttivo e della relativa organizzazione industriale, assumono valore vincolante per la classificazione di determinate mansioni specifiche nell'una o nell'altra categoria o qualifica, dovendo perciò il giudice limitarsi ad interpretarle a norma degli artt. 1362 e ss. c.c. senza possibilità di introdurre criteri determinativi propri, in sostituzione o in aggiunta a quelli stabiliti dal contratto collettivo o di modificare gli elementi caratterizzanti delle singole qualifiche come considerate da queste.

Cass. civ. n. 6567/1982

L'impiegato di concetto (o di seconda categoria) è colui che esplica un'attività intellettiva, svolta secondo un indirizzo di personale responsabilità e di iniziativa, anche se contenuta entro limiti prestabiliti, mentre l'impiegato d'ordine, pur svolgendo una attività intellettiva, compie la medesima come mera attuazione delle decisioni altrui, senza alcuna possibilità di iniziativa e sotto il controllo dell'imprenditore o di altro impiegato di grado superiore.

Cass. civ. n. 5756/1982

Escluso che un certo grado di discrezionalità e d'iniziativa sia caratteristica costante della figura dell'impiegato d'ordine (potendo questo svolgere anche attività di mera attuazione delle direttive altrui, senza alcuna possibilità d'iniziativa individuale e sotto il controllo dell'imprenditore o di un impiegato di grado superiore), il fondamentale criterio distintivo fra impiegato d'ordine ed operaio risiede in ciò che, indipendentemente dalla prevalenza della attività intellettiva o manuale e dal grado di collaborazione (genericamente intesa) con l'imprenditore, mentre le mansioni dell'impiegato d'ordine ineriscono al processo organizzativo tecnico-amministrativo dell'impresa, le mansioni dell'operaio attengono invece al processo produttivo, in quanto costituiscono un apporto alla funzionalità esterna dell'impresa nell'espletamento del proprio risultato produttivo.

Cass. civ. n. 4384/1977

Considerato che lavoro impiegatizio è quell'attività che integra e sostituisce quella del datore di lavoro, mentre lavoro operaio è quello che inerisce direttamente al processo di produzione ed in esso si esaurisce, esattamente viene qualificato come operaio, anziché come impiegato, il lavoratore di un'acciaieria addetto all'analisi dei campioni delle colate, posto che detta attività non integra o sostituisce quella del datore di lavoro, ma inerisce al processo di produzione in quanto volta ad assicurare che il prodotto abbia la qualità e le caratteristiche volute dall'imprenditore.

Cass. civ. n. 1976/1976

Le mansioni di operaio e quelle impiegatizie d'ordine, pur potendo queste ultime concretarsi anche in attività materiali (non manuali, ma strettamente esecutive) e le prime anche in attività intellettive (ma non integrative o sostitutive di quelle dell'imprenditore), ed essendo entrambe svolte in attuazione delle direttive altrui, senza possibilità di iniziativa e sotto il controllo continuo e quotidiano dell'imprenditore o di altro impiegato di grado superiore, sono peraltro distinte fra loro per il seguente criterio discriminatorio, e cioè: che le mansioni di impiegato si configurano quando l'opera del lavoratore inerisce al processo organizzativo tecnico-amministrativo dell'impresa, rientrando nell'ambito, ampiamente inteso, di impulso e rivestendo un carattere di cooperazione, sia pur lata, all'attività dell'imprenditore; si ravvisano invece le mansioni di operaio quando esse attengono al solo processo produttivo, in quanto concretantesi in un generico apporto alla funzionalità esterna dell'impresa nell'espletamento del proprio risultato produttivo.

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