(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)
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art. 2 del c.c. riproduce le regole tradizionali sulla maggiore età e sulla capacità d'agire. Nuova è invece la norma dell'
art. 3 del c.c. che riconosce una capacità professionale al minore pervenuto all'età di diciotto anni. Si attua così una giusta differenziazione fra coloro che, pur avendo compiuto l'età diciotto anni, non pongono in essere alcuna attività professionale e permangono sotto la vigilanza di chi esercita la patria potestà o la tutela e coloro che, esercitando invece un'attività lavorativa, dimostrano di aver raggiunto un grado di maturità psichica meritevole di particolare considerazione. La norma costituisce l'applicazione di un principio squisitamente politico e risponde alle precise direttive del Regime fascista, il quale intende valorizzare chiunque esplichi un'attività lavorativa e apporti un utile contributo al processo produttivo della Nazione. Data l'importanza fondamentale che nello Stato fascista ha il lavoro umano, la disposizione è stata collocata, anziché in tema di emancipazione o di contratto di lavoro, nella parte dei codice che tratta della capacità della persona, per dare al principio in essa contenuto il massimo rilievo, anche nel campo giuridico. Non si è creduto conveniente di attribuire al genitore o al tutore la facoltà di opporsi alla scelta dell'occupazione effettuata dal minore. E' ovvio che il padre o il tutore normalmente eserciterà sul minore l'autorità morale necessaria per distoglierlo da occupazioni dannose o comunque sconvenienti, onde non si vede la necessità di conferire loro un vero e proprio potere inibitorio, che in pratica potrebbe rendere vana la piena autonomia accordata al minore per quanto riflette l'attività lavorativa.