(massima n. 1)
Ai fini dell'annullamento di un negozio per incapacità naturale non è necessaria una malattia che annulli in modo assoluto le facoltà psichiche del soggetto, essendo sufficiente un turbamento psichico risalente al momento della conclusione del negozio tale da menomare gravemente, anche senza escluderle, le facoltà volitive ed intellettive, che devono risultare diminuite in modo da impedire o ostacolare una seria valutazione dell'atto o la formazione di una volontà; l'accertamento di tale incapacità costituisce valutazione di merito, non sindacabile in cassazione ove adeguatamente motivato. (Nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto viziata per insufficiente motivazione la sentenza di merito in cui il giudice, pur rilevando nel lavoratore che agiva per l'annullamento delle proprie dimissioni perché rassegnate in stato di incapacità naturale un quadro psichico connotato da aspetti patologici, non aveva verificato l'incidenza causale tra l'alterazione mentale del lavoratore e le ragioni soggettive che lo avevano spinto alle dimissioni, né le circostanze di fatto in cui esse erano maturate, omettendo di verificare se la dichiarazione di dimissioni — resa da una lavoratrice che non aveva maturato trattamento pensionistico e il cui marito era in quel momento disoccupato — fosse stata effettivamente frutto di una scelta consapevole o fosse stata resa in un momento di alterata percezione sia della situazione di fatto che delle conseguenze dell'atto che andava a compiere).