(massima n. 1)
Ai fini della sussistenza dell'incapacità di intendere e di volere, costituente causa di annullamento del negozio ex art. 428 c.c., non occorre la totale privazione delle facoltà intellettive e volitive, essendo sufficiente che esse siano menomate, sì da impedire comunque la formazione di una volontà cosciente; la prova di tale condizione non richiede la dimostrazione che il soggetto, al momento di compiere l'atto, versava in uno stato patologico tale da far venir meno, in modo totale e assoluto, le facoltà psichiche, essendo sufficiente accertare che queste erano perturbate al punto da impedirgli una seria valutazione del contenuto e degli effetti del negozio e, quindi, il formarsi di una volontà cosciente, e può essere data con ogni mezzo o in base ad indizi e presunzioni, che anche da soli, se del caso, possono essere decisivi per la sua configurabilità, essendo il giudice di merito libero di utilizzare, ai fini del proprio convincimento, anche le prove raccolte in un giudizio intercorso tra le stesse parti o tra altre, secondo una valutazione incensurabile in sede di legittimità, se sorretta da congrue argomentazioni, scevre da vizi logici ed errori di diritto.