Cass. pen. n. 49831/2018
Sussiste l'interesse dell'imputato all'impugnazione della sentenza di assoluzione, pronunciata con la formula "perché il fatto non costituisce reato", al fine di ottenere la più ampia formula liberatoria "perché il fatto non sussiste", considerato che, a parte le conseguenze di natura morale, l'interesse giuridico risiede nei diversi e più favorevoli effetti che gli artt. 652 e 653 cod. proc. pen. connettono alla seconda nei giudizi civili o amministrativi di risarcimento del danno e nel giudizio disciplinare.
Cass. pen. n. 9638/2017
La regola compendiata nella formula "al di là di ogni ragionevole dubbio" riguarda tutte le componenti del giudizio e, pertanto, anche la capacità di intendere e di volere dell'imputato, il cui onere probatorio non è attribuito all'imputato, quale prova di una eccezione, ma alla pubblica accusa. (In applicazione del principio la Corte ha annullato con rinvio la sentenza di appello, censurando il percorso logico motivazionale seguito dai giudici, che, a fronte di un quadro probatorio ritenuto incerto sull'esistenza di un vizio totale o parziale di mente dell'imputato, avevano concluso per la sussistenza quanto meno del vizio parziale di mente).
Cass. pen. n. 26109/2016
Sussiste l'interesse dell'imputato all'impugnazione della sentenza di assoluzione, pronunciata con la formula "perché il fatto non costituisce reato", al fine di ottenere la più ampia formula liberatoria "perché il fatto non sussiste", considerato che, a parte le conseguenze di natura morale, l'interesse giuridico risiede nei diversi e più favorevoli effetti che gli artt. 652 e 653, cod. proc. pen. connettono al secondo tipo di dispositivi nei giudizi civili o amministrativi di risarcimento del danno e nel giudizio disciplinare. (Fattispecie in tema di lottizzazione abusiva in cui la Corte ha ritenuto sussistente l'interesse ad impugnare, precisando che solo la formula assolutoria "perché il fatto non sussiste" preclude la via ad un possibile giudizio civile, in considerazione, nel caso concreto, della presenza delle parti civili e delle conclusioni dalle stesse rassegnate).
Cass. pen. n. 49165/2015
Per riformare "in peius" una sentenza di assoluzione, il giudice di appello non è obbligato a rinnovare l'istruzione dibattimentale per l'audizione dei testimoni ritenuti dal primo giudice inattendibili, in quanto tale adempimento non è necessario nel caso in cui, neppure in primo grado, si sia instaurato un contatto diretto tra l'autorità giudiziaria e la fonte dichiarativa. (Fattispecie in cui la Corte di appello ha riformato la sentenza assolutoria di primo grado sulla ritenuta attendibilità della vittima, in precedenza sentita solo dal g.i.p. in sede di incidente probatorio).
Cass. pen. n. 2548/2015
La regola di giudizio compendiata nella formula "al di là di ogni ragionevole dubbio", impone di pronunciare condanna a condizione che il dato probatorio acquisito lasci fuori soltanto eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili "in rerum natura" ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana. (Fattispecie in materia di rapina e sequestro di persona, nella quale la Corte ha annullato con rinvio per un nuovo esame la sentenza del giudice di appello, che aveva assolto l'imputato sulla base di una valutazione parcellizzata del compendio probatorio, avendo ricostruito i fatti, in alternativa all'ipotesi accusatoria, senza aggancio agli elementi processuali).
Cass. pen. n. 53512/2014
Il principio dell'"oltre ogni ragionevole dubbio", non può essere utilizzato, nel giudizio di legittimità, per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto emerse in sede di merito su segnalazione della difesa, se tale duplicità sia stata oggetto di puntuale e motivata disamina da parte del giudice di appello.
Cass. pen. n. 28351/2013
Ai fini dell'applicazione della esatta formula di assoluzione, il giudice deve innanzitutto stabilire se il "fatto" sussiste nei suoi elementi obiettivi (condotta, evento, rapporto di causalità) e, solo in caso di accertamento affermativo, può scendere all'esame degli altri elementi (imputabilità, dolo, colpa, condizioni obiettive di punibilità, etc.) da cui è condizionata la sussistenza del reato.
Cass. pen. n. 25457/2012
In caso di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per non essere il fatto previsto dalla legge come reato, ma solo come illecito amministrativo, il giudice non ha l'obbligo di trasmettere gli atti all'autorità amministrativa competente a sanzionare l'illecito amministrativo qualora la legge di depenalizzazione non preveda norme transitorie analoghe a quelle di cui agli artt. 40 e 41 L. 24 novembre 1981, n. 689, la cui operatività è limitata agli illeciti da essa depenalizzati e non riguarda gli altri casi di depenalizzazione.
Cass. pen. n. 23627/2011
Il pubblico ministero ha interesse al ricorso per cassazione contro la sentenza d'appello che, in riforma di quella di condanna di primo grado, abbia assolto con la formula "il fatto non costituisce reato" pur in presenza di una sopravvenuta causa di estinzione del reato, e quindi in violazione della regola normativa della prevalenza dell'assoluzione nel merito soltanto in caso di evidenza della prova dell'innocenza, evidenza che è logicamente incompatibile con l'esistenza di una sentenza di condanna.
Cass. pen. n. 6261/2010
Il proscioglimento nel merito all'esito del giudizio, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, oltre che in caso di necessaria valutazione, in sede di appello, ai fini civilistici, del compendio probatorio, e in caso di ritenuta infondatezza nel merito dell'impugnazione del P.M. avverso una sentenza di assoluzione pronunciata ai sensi dell'art. 530, comma secondo, c.p.p., anche laddove il giudice di appello debba valutare compiutamente gli elementi di prova al fine di pronunciarsi, per confermarla o revocarla, sulla confisca dei beni disposta con la sentenza di primo grado.
Cass. pen. n. 44848/2008
È illegittima, nel giudizio di rinvio, la declaratoria d'estinzione del reato per prescrizione, emessa in sede predibattimentale e senza la rituale comunicazione alla difesa dell'avviso di fissazione dell'udienza, allorché sussistano prove insufficienti e contraddittorie in ordine all'attribuibilità soggettiva del fatto, posto che ai sensi dell'art. 530, comma secondo, c.p.p., si deve equiparare l'insufficienza e la contraddittorietà degli elementi probatori alla mancanza di prove.
Cass. pen. n. 40049/2008
È inammissibile, per difetto di interesse concreto, il ricorso immediato per cassazione della parte civile, che sia diretto esclusivamente alla sostituzione della formula «perché il fatto non sussiste » con quella, corretta, «perché il fatto non costituisce reato » nella sentenza di assoluzione che abbia accertato l'esistenza della causa di giustificazione dell'esercizio di un diritto, in quanto detto accertamento, quale che sia la formula del dispositivo, ha efficacia di giudicato nell'eventuale giudizio civile (o amministrativo ) di danno.
Cass. pen. n. 30402/2006
Con la previsione della regola per la quale il giudice pronuncia sentenza di condanna solo se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli «al di là di ogni ragionevole dubbio» di cui all'art. 5 della legge n. 46 del 2006, modificativo del comma primo dell'art. 533 c.p.p., il legislatore ha formalizzato un principio già acquisito in tema di condizioni per la condanna, stante la preesistente regola, di cui all'art. 530, comma secondo, c.p.p., per la quale in caso di insufficienza o contraddittorietà della prova l'imputato va assolto
Cass. pen. n. 36642/2005
È censurabile per difetto di motivazione la sentenza di assoluzione pronunciata ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p., nella quale non si indichino ragioni atte a giustificare il mancato accoglimento della sollecitazione rivolta dal pubblico ministero al giudice per l'assunzione d'ufficio, ai sensi dell'art. 507 c.p.p., di una prova di potenziale decisività a sostegno dell'accusa (principio affermato, nella specie, con riguardo alla mancata assunzione come teste della persona offesa, motivata soltanto, nonostante la sua accertata presenza in udienza, con il rilievo che la stessa non era stata indicata nel decreto di citazione a giudizio). (Mass. redaz.).
Cass. pen. n. 45276/2003
Il ricorso per cassazione avverso sentenza di condanna in appello dell'imputato prosciolto in primo grado con la formula ampiamente liberatoria «per non aver commesso il fatto» può essere proposto anche per violazioni di legge non dedotte, perché non deducibili per carenza di interesse all'impugnazione, in appello.
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L'imputato assolto con la formula ampiamente liberatoria «per non aver commesso il fatto», anche se per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p., non è legittimato a proporre appello, neanche incidentale, avverso la relativa sentenza, per carenza di un apprezzabile interesse all'impugnazione, salvo che nell'eccezionale ipotesi in cui l'accertamento di un fatto materiale oggetto del giudizio penale conclusosi con sentenza dibattimentale sia suscettibile, una volta divenuta irrevocabile quest'ultima, di pregiudicare, a norma e nei limiti segnati dall'art. 654 stesso codice, le situazioni giuridiche a lui facenti capo, in giudizi civili o amministrativi diversi da quelli di danno e disciplinari regolati dagli artt. 652 e 653 c.p.p.
Cass. pen. n. 25928/2002
Nel vigente ordinamento processuale non può riconoscersi un interesse giuridicamente apprezzabile dell'imputato a proporre impugnazioni avverso sentenza di assoluzione pronunciata ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p. e cioè per ritenuta mancanza, insufficienza e contraddittorietà della prova della colpevolezza.
Cass. pen. n. 13170/2002
Non può farsi luogo alla declaratoria di improcedibilità per estinzione del reato a seguito di maturata prescrizione, qualora in sentenza si dia atto della sussistenza dei presupposti per la pronuncia di assoluzione, sia pure ai sensi del secondo comma dell'art. 530 c.p.p., atteso che, nel vigente sistema processuale, la assoluzione per insufficienza o contraddittorietà della prova è del tutto equiparata alla mancanza di prove e costituisce pertanto pronunzia più favorevole rispetto a quella di estinzione del reato.
Cass. pen. n. 384/2000
La facoltà concessa all'imputato di impugnare per cassazione le sentenze di proscioglimento è legata all'esistenza di un concreto interesse alla rimozione di un provvedimento pregiudizievole. Quest'ultimo non ricorre nel caso di formula assolutoria accompagnata dalla menzione del secondo comma dell'art. 530 c.p.p., laddove, come nella specie, non è legalmente prospettabile, neppure astrattamente, l'autonomo inizio di un'azione civile di risarcimento nei confronti dell'imputato, assolto in seguito a dibattimento.
Cass. pen. n. 14699/1999
L'interesse all'impugnazione, sebbene non possa essere confinato nell'area dei soli pregiudizi penali derivanti dal provvedimento giurisdizionale, non può neppure essere concepito come aspirazione soggettiva al conseguimento di una pronuncia dalla cui motivazione siano rimosse tutte quelle parti che possono essere ritenute pregiudizievoli, perché esplicative di una perplessità sull'innocenza dell'imputato. Ed invero, l'impugnazione si configura sempre come un rimedio a disposizione della parte per la tutela di posizioni soggettive giuridicamente rilevanti e non già di interessi di mero fatto, non apprezzabili dall'ordinamento giuridico. (Nella specie la Corte non ha ritenuto che sussistesse l'interesse all'impugnativa da parte dell'imputato assolto con la formula di cui all'art. 530, secondo comma, c.p.p.).
Cass. pen. n. 9531/1999
L'interesse all'impugnazione non può essere concepito come aspirazione soggettiva al conseguimento di una pronuncia dalla cui motivazione siano rimosse tutte quelle parti che possono essere ritenute pregiudizievoli perché esplicative di una perplessità sull'innocenza dell'imputato. Ed invero, l'impugnazione si configura pur sempre come un rimedio a disposizione della parte per la tutela di posizioni soggettive giuridicamente rilevanti, e non già di interessi di mero fatto, non apprezzabili dall'ordinamento giuridico. Ne consegue che la legge processuale non ammette l'esercizio del diritto di impugnazione al solo scopo di assicurare la congruità della motivazione e l'esattezza teorica della decisione, senza che alla posizione giuridica del soggetto derivi alcun risultato favorevole.
Cass. pen. n. 7557/1999
In tema di estensione degli effetti della impugnazione, sono da considerarsi motivi estensibili nei confronti di imputati che versano in identiche situazioni, quelli che, investendo la esistenza stessa del reato, non possono essere considerati esclusivamente personali. Pertanto, qualora, dal testo della sentenza impugnata, si ricavi (a prescindere dalla formula adottata) che l'imputato è stato assolto perché il fatto non sussiste o per la insufficienza o contradditorietà della prova sulla esistenza del fatto, l'omessa estensione in bonam partem degli effetti della decisione agli altri coimputati non appellanti può essere corretta dalla cassazione. (Fattispecie, in tema di falsificazione di testamento olografo, nella quale, pur essendo stato l'unico ricorrente assolto, in appello, per non aver commesso il fatto, la cassazione, rilevando che il giudice di merito aveva espresso dubbi in ordine alla stessa falsità dell'atto in contestazione, ha ritenuto che la assoluzione fosse stata, in realtà, pronunciata ai sensi del comma secondo dell'art. 530 c.p.p.; conseguentemente, la Corte ha deciso di estendere gli effetti della sentenza di appello anche agli imputati il cui appello era stato dichiarato inammissibile perché tardivo).
Cass. pen. n. 9357/1998
Qualora il contenuto decisorio della sentenza sia costituito da statuizioni alternative o cumulative, favorevoli all'imputato, una di merito (insussistenza del fatto) e l'altra di puro diritto stanziale (il fatto non è previsto dalla legge come reato) l'impugnazione del pubblico ministero deve aggredire l'una e l'altra disposizione. La mancata impugnazione della statuizione di merito, che esclude la responsabilità del soggetto anche ex art. 530 cpv. c.p.p., determina il passaggio in giudicato della disposizione non censurata. (Fattispecie in cui il pubblico ministero aveva impugnato la sentenza di assoluzione - motivata anche nel merito - con esclusivo richiamo al lamentato errore in diritto).
Cass. pen. n. 8450/1998
È configurabile l'interesse a impugnare dell'imputato che non sia stato assolto per non aver commesso il fatto, ma ai sensi dell'art. 530, comma secondo, c.p.p., sia perché l'ordinamento tutela in via primaria il diritto alla reputazione, evidentemente compromesso dall'elemento di dubbio insito nell'assoluzione in esame, sia perché un simile proscioglimento potrebbe recare pregiudizio al soggetto interessato nell'ambito del suo rapporto di impiego. (Fattispecie nella quale l'imputato, funzionario dell'amministrazione finanziaria, era assolto a norma dell'art. 530, comma secondo, c.p.p., dall'imputazione di concussione e di violenza privata. La Suprema Corte ha rilevato che una simile pronuncia avrebbe potuto avere ripercussioni nelle scelte discrezionali della pubblica amministrazione relative alla carriera del funzionario).
Cass. pen. n. 1460/1998
La regola di giudizio di cui al comma 2 dell'art. 530 c.p.p. — cioè l'obbligo del giudice di pronunciare sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova della responsabilità — è dettata esclusivamente per il normale esito del processo sfociante in sentenza emessa dal giudice al compimento dell'attività dibattimentale con piena valutazione di tutto il complesso probatorio acquisitosi in atti. Per contro, detta regola non può trovare applicazione in presenza di causa estintiva di reato. In tale situazione vale la regola di cui all'art. 129 c.p.p., in base alla quale in presenza di causa estintiva del reato, l'inizio di prova ovvero la prova incompleta in ordine alla responsabilità dell'imputato non viene equiparata alla mancanza di prova, ma, per pervenire ad un proscioglimento nel merito soccorre la diversa regola di giudizio, per la quale deve “positivamente” (... «risulta evidente» art. 129, comma 2, c.p.p.) emergere dagli atti processuali, senza necessità di ulteriore accertamento, l'estraneità dell'imputato per quanto contestatogli.
Cass. pen. n. 4264/1997
Il giudice per le indagini preliminari che ritenga di non poter accogliere la richiesta del P.M. di emissione di decreto penale di condanna ha l'alternativa di restituire gli atti al P.M. ovvero di pronunciare sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., ma non può prosciogliere l'imputato in caso di mancanza, insufficienza e contraddittorietà della prova, ai sensi dell'art. 530, secondo comma, c.p.p., perché una siffatta pronuncia è consentita solo nella fase conclusiva del dibattimento, a prescindere dal rito seguito.
Cass. pen. n. 8983/1997
In tema di cause di giustificazione, in forza del disposto di cui al terzo comma dell'art. 530 c.p.p. il giudice pronuncia sentenza di assoluzione quando vi sia anche il semplice dubbio sulla esistenza di una causa di giustificazione. Il concetto di dubbio contenuto in tale disposizione deve essere ricondotto a quello di «insufficienza» o «contraddittorietà» della prova di cui al secondo comma dell'art. 529 c.p.p. ed al secondo comma dello stesso art. 530 c.p.p., sicché, quando la configurabilità di cause di giustificazione sia stata allegata dall'imputato, è necessario procedere ad un'indagine sulla probabilità della sussistenza di tali esimenti: la presenza di un principio di prova o di una prova incompleta porterà all'assoluzione, mentre l'assoluta mancanza di prove al riguardo, o la esistenza della prova contraria, comporterà la condanna. Allorquando, nonostante tale indagine, non si sia trovata alcuna prova che consenta di escludere la esistenza di una causa di giustificazione, il giudizio sarà parimenti di condanna, qualora non siano stati individuati elementi che facciano ritenere come probabile la esistenza di essa o inducano comunque il giudice a dubitare seriamente della configurabilità o meno di una scriminante.
Cass. pen. n. 4294/1997
In tema di sentenza di assoluzione ex art. 530, comma secondo, c.p.p., si ha l'insufficienza della prova solo se la prova non assume quella consistenza ed efficacia tale da poter fondare una affermazione di responsabilità; mentre si ha la contraddittorietà della prova quando sussiste l'equivalenza delle prove di reità con quelle di innocenza. Non si versa né nell'una né nell'altra situazione se il giudice svalorizza motivatamente determinate prove, di modo che esse non ritornano più nella valutazione complessiva del materiale probatorio che il giudice deve compiere ai fini della decisione.
Cass. pen. n. 2110/1996
Una volta che sia stata pronunciata, a seguito dell'abolizione della formula dubitativa, assoluzione ai sensi dell'art. 530, comma secondo, c.p.p., avendo il giudice ritenuto insufficienti le prove acquisite, viene meno qualunque apprezzabile interesse dell'imputato al conseguimento di una più favorevole sentenza, in quanto la conclusiva statuizione in essa contenuta non può essere modificata, quale che sia il giudizio esprimibile sulla prova della responsabilità dell'accusato, e cioè sia che sia stata acquisita la prova positiva della sua innocenza, sia che la prova della sua responsabilità si sia rivelata soltanto insufficiente. Ed invero l'interesse all'impugnazione, sebbene non possa essere confinato nell'area dei soli pregiudizi penali derivanti dal provvedimento giurisdizionale, neanche può essere concepito come aspirazione soggettiva al conseguimento di una pronuncia dalla cui motivazione siano rimosse tutte quelle parti che possono essere ritenute pregiudizievoli, perché esplicative di una perplessità sull'innocenza dell'imputato. Difatti, l'impugnazione si configura pur sempre come un rimedio a disposizione della parte per la tutela di posizioni soggettive giuridicamente rilevanti, e non già di interessi di mero fatto, non apprezzabili dall'ordinamento giuridico. (Fattispecie relativa a procedimento che proseguiva con l'osservanza delle norme dell'abrogato codice di procedura penale).
Cass. pen. n. 698/1996
Quando un reato sia stato trasformato in illecito amministrativo, il giudice deve prosciogliere l'imputato con formula «perché il fatto non è previsto dalla legge come reato», che deve essere applicata sia per i fatti che sono ab origine privi di rilevanza penale che per quelli che hanno perso rilevanza a seguito di una legge di depenalizzazione. Non è possibile dichiarare estinto il reato per intervenuta depenalizzazione, poiché questa non è prevista tra le cause di estinzione in nessun articolo del titolo VI del libro primo del codice penale. La scelta dell'una o dell'altra formula comporta peraltro conseguenze differenti poiché la dichiarazione di estinzione di regola fa venir meno l'esecuzione della pena, ma fa salvi, al contrario dell'abolitio criminis, gli effetti penali della condanna. (Fattispecie in tema di depenalizzazione del reato di cui all'art. 195 del D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 per l'esercizio senza autorizzazione di una emittente radiofonica, reato depenalizzato dalla L. 28 dicembre 1993, n. 561, art. 1, lett. a).
Cass. pen. n. 18/1995
Il giudice per le indagini preliminari può, qualora lo ritenga, prosciogliere la persona nei cui confronti il pubblico ministero abbia richiesto l'emissione di decreto penale di condanna solo per una delle ipotesi tassativamente indicate nell'art. 129 c.p.p., e non anche per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova ai sensi dell'art. 530, comma 2, stesso codice, alle quali, prima del dibattimento - non essendo stata la prova ancora assunta - l'art. 129 non consente si attribuisca valore processuale.
Cass. pen. n. 3445/1995
In caso di estinzione del reato, il giudice (per la prevalenza, del favor innocentiae sul favor rei) deve accertare la possibilità di una assoluzione nel merito. Tale indagine non è conferente in presenza di cause di non procedibilità poiché per il contenuto meramente processuale della relativa sentenza, non è prevista una analoga soluzione. (Nella specie la S.C., rilevato che rispetto alle esigenze di una declaratoria di non procedibilità la sentenza offre una motivazione esorbitante sul merito e sulla consistenza dell'accusa, ha tuttavia osservato che da tale superflua motivazione non derivano i danni paventati dai ricorrenti, poiché l'art. 652 c.p.p. limita alla sentenza penale di assoluzione efficacia nel giudizio civile o amministrativo di danno, ed esclude tale efficacia alle pronunzie di improcedibilità; inoltre l'art. 654 c.p.p. conferisce efficacia di giudicato esclusivamente alle sentenze dibattimentali di condanna o di assoluzione, sicché le sentenze di proscioglimento rimangono escluse dall'ambito di efficacia del giudicato penale sancito da tale norma (di qui la carenza di interesse a proporre impugnazione).
Cass. pen. n. 1340/1993
In tema di scelta tra le varie formule assolutorie, va pronunciata assoluzione con la formula «perché il fatto non sussiste» quando manchi uno degli elementi oggettivi del reato (azione, evento, nesso di causalità) mentre deve assolversi con la formula «perché il fatto non costituisce reato», quando manchi l'elemento soggettivo (dolo, colpa). Ne deriva che, accertatosi il difetto del rapporto di causalità tra azione ed evento, la assoluzione con la formula «perché il fatto non sussiste» prevale su qualsiasi altra con formula diversa e, in particolare, rende superflua ogni valutazione della condotta poiché siffatto esame comporterebbe un giudizio che, comunque, si risolverebbe in una obiter dictum. Ed infatti, pur se tale giudizio fosse favorevole all'imputato, la relativa formula di assoluzione — e cioè «perché il fatto non costituisce reato» — non troverebbe applicazione essendo su di essa prevalente l'altra formula assolutoria più favorevole — e cioè «perché il fatto non sussiste» — sia perché indicata con priorità nella elencazione di cui all'art. 129 c.p.p. sia perché preclusiva di azione civile ex art. 652 c.p.p.
Cass. pen. n. 9708/1992
In tema di legittima difesa, il disposto dell'art. 530, comma terzo, c.p.p. impone la pronuncia di sentenza assolutoria anche nel caso in cui vi sia una semiplena probatio in ordine alla sussistenza dell'esimente. (Fattispecie relativa ad un omicidio volontario che si assumeva commesso per legittima difesa).
Cass. pen. n. 7557/1992
La formula assolutoria «per non avere commesso il fatto» deve essere usata quando manchi, sul piano puramente materiale, ogni rapporto tra l'attività dell'imputato e l'evento dannoso, mentre quella, più ampiamente liberatoria, «perché il fatto non sussiste» presuppone che nessuno degli elementi, integrativi della fattispecie criminosa contestata, risulti provato; quando, invece, sia stata accertata, sotto l'aspetto fenomenico, la sussistenza dell'elemento oggettivo del reato (quando cioè dalle risultanze processuali emerga che un fatto, corrispondente alla figura tipica di reato, sussiste), sicché la sentenza, non potendo escludere la riconducibilità dell'evento a tale fatto, si limiti ad affermare che nella condotta dell'imputato non si ravvisa l'elemento soggettivo della colpa (o del dolo), la formula è «perché il fatto non costituisce reato». (In applicazione di questo principio la Corte ha ritenuto che nell'ipotesi di urto tra veicoli, condotti da persone in stato di coscienza, sussistendo sempre, sotto il profilo naturalistico, il rapporto di causa ed effetto rispetto agli eventi lesivi che ne siano derivati, la formula «il fatto non sussiste» non può mai essere correttamente applicata. In tal caso, l'indagine deve concernere il rapporto di causalità psicologica, estrinsecandosi nella valutazione della condotta umana, riferita al comando della legge).
Cass. pen. n. 5356/1992
Nell'ipotesi di censura sulla logicità della motivazione fornita in ordine al dubbio sulla sufficienza della prova, ovvero, sul bilanciamento degli elementi probatori, vanno ribaditi i limiti alla cognizione della Corte di cassazione in tema di critica a decisione di merito sostenuta dalla insufficienza di prove, formula con la quale non è più consentito definire il processo (art. 530 del nuovo codice di procedura penale), ma che pure, sotto il profilo della sintesi del percorso logico-razionale della motivazione, non può essere soppressa, nulla potendo, neppure il legislatore, impedire al giudice di manifestare ragioni di perplessità, di incertezza. (Nella specie la Suprema Corte ha ritenuto che il ricorso del P.G. non potesse trovare accoglimento, non rivenendosi, nella decisione impugnata, vizi logici e giuridici ed errori di diritto conoscibili).
Cass. pen. n. 7961/1990
Poiché a norma dell'art. 530 nuovo c.p.p., il giudice deve adottare la stessa formula di assoluzione sia quando abbia accertato la insussistenza del fatto o la impossibilità di attribuirlo all'accusato e sia quando abbia riconosciuto soltanto carente ovvero insufficiente o contraddittoria la prova, in entrambe le ipotesi, per delineare l'ambito di operatività della sentenza e cioè per verificare se la decisione adottata sia capace di provocare gli effetti preclusivi indicati negli artt. 652 e 653 nuovo c.p.p., è necessario far riferimento (oltre che al dispositivo) anche alla motivazione.
Cass. pen. n. 3974/1990
Nel caso di ricorso per cassazione contro una sentenza di assoluzione per insufficienza di prove la Corte di cassazione deve fare applicazione dell'art. 254 delle norme transitorie relative al nuovo codice di procedura penale e, a norma dell'art. 538, ultimo comma, c.p.p. del 1930, deve provvedere alla rettificazione sostituendo la formula dubitativa con la formula piena che il giudice di merito avrebbe adottato se avesse ritenuto la prova mancante anziché insufficiente. Qualora solo l'imputato sia ricorrente la Corte di cassazione provvede alla rettificazione senza esaminare i motivi del ricorso.