(massima n. 1)
La formula assolutoria «per non avere commesso il fatto» deve essere usata quando manchi, sul piano puramente materiale, ogni rapporto tra l'attività dell'imputato e l'evento dannoso, mentre quella, più ampiamente liberatoria, «perché il fatto non sussiste» presuppone che nessuno degli elementi, integrativi della fattispecie criminosa contestata, risulti provato; quando, invece, sia stata accertata, sotto l'aspetto fenomenico, la sussistenza dell'elemento oggettivo del reato (quando cioè dalle risultanze processuali emerga che un fatto, corrispondente alla figura tipica di reato, sussiste), sicché la sentenza, non potendo escludere la riconducibilità dell'evento a tale fatto, si limiti ad affermare che nella condotta dell'imputato non si ravvisa l'elemento soggettivo della colpa (o del dolo), la formula è «perché il fatto non costituisce reato». (In applicazione di questo principio la Corte ha ritenuto che nell'ipotesi di urto tra veicoli, condotti da persone in stato di coscienza, sussistendo sempre, sotto il profilo naturalistico, il rapporto di causa ed effetto rispetto agli eventi lesivi che ne siano derivati, la formula «il fatto non sussiste» non può mai essere correttamente applicata. In tal caso, l'indagine deve concernere il rapporto di causalità psicologica, estrinsecandosi nella valutazione della condotta umana, riferita al comando della legge).