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Articolo 2195 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Imprenditori soggetti a registrazione

Dispositivo dell'art. 2195 Codice Civile

Sono soggetti all'obbligo [2194, 2200] dell'iscrizione, nel registro delle imprese [2082, 2136, 2188, 2189, 2198, 2221, 2249, 2709] gli imprenditori [2201, 2202, 2205] che esercitano [2308, 2556, 2564, 2566:

  1. 1) un'attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi [2135];
  2. 2) un'attività intermediaria nella circolazione dei beni [2203];
  3. 3) un'attività di trasporto per terra [1678], per acqua o per aria;
  4. 4) un'attività bancaria [1834] o assicurativa [1882, 1883];
  5. 5) altre attività ausiliarie delle precedenti [1754].

Le disposizioni della legge che fanno riferimento alle attività e alle imprese commerciali [320, 365, 371, 397, 425, 2214, 2955, n. 5] si applicano, se non risulta diversamente, a tutte le attività indicate in questo articolo e alle imprese che le esercitano [836].

Ratio Legis

Sebbene a livello formale lo scopo della previsione sia quello di individuare le tipologie di imprenditori soggetti all'obbligo di iscrizione nel registro delle imprese, in passato si è ritenuto che essa fornisse i criteri per identificare l'imprenditore commerciale e distinguerlo dall'imprenditore agricolo. Ad oggi, tuttavia, è opinione prevalente che la categoria degli imprenditori commerciali debba essere definita in termini negativi, appartenendovi tutti i soggetti esercenti attività imprenditoriali diverse da quelle agricole.

Spiegazione dell'art. 2195 Codice Civile

Le imprese indicate ai numeri 1 e 2 individuano tutte le possibili categorie di imprese commerciali, quelle indicate ai numeri 3, 4 e 5 sono specificazioni delle prime due e la loro specifica menzione si giustifica per l'importanza dei rispettivi settori economici.

In caso di attività di carattere promiscuo, svolta con un'unica organizzazione, occorre tener conto, ai fini della qualificazione dell'impresa, dell'attività primaria, a meno che l'imprenditore non eserciti una pluralità di attività con organizzazioni autonome e distinte.

È controverso il significato dell'aggettivo industriale.
Secondo un orientamento esso andrebbe inteso in senso generico: individuerebbe ogni attività di produzione dei beni diversa da quella agricola (GALGANO).
Secondo un altro orientamento attività industriale sarebbe ogni attività produttiva non artigiana (FERRARA).
In giurisprudenza è considerata industriale l'attività diretta alla produzione di beni o servizi, quindi vi rientrano l'attività alberghiera; l'attività delle case di cura; quella dei consorzi di bonifica; l'attività delle imprese di factoring; le società di revisione e di consulenza aziendale; le imprese di ristorazione; di lavanderia industriale; l'attività di gestione di istituti scolastici.

Il n. 2 si riferisce all'attività commerciale nel significato usuale del termine.

Le imprese di trasporto per mare e per aria sono soggette alla disciplina del codice della navigazione.

Le imprese esercenti attività bancaria sono disciplinate dal D. Lgs. 1 settembre 1993 n. 385 (Testo unico bancario). Vi rientrano anche gli istituti di credito agrario. Perché si abbia attività bancaria occorre che l'attività di intermediazione comprenda la duplice funzione della raccolta del risparmio tra il pubblico e dell'impiego del risparmio raccolto nell'esercizio del credito.

Le imprese ausiliarie sono quelle che, direttamente o indirettamente, agevolano l'attività delle altre imprese e che, rispetto a queste, hanno come scopo tipico l'obiettiva agevolazione di altre attività. Sono considerate imprese ausiliarie: le imprese che esplicano attività di mediazione; l'agente di commercio; l'agente di assicurazione; le agenzie di viaggi; i promotori finanziari; le imprese di pubblicità commerciale e di marketing.
Il requisito dell'ausiliarietà va valutato in astratto, non essendo necessario il collegamento in concreto con l'attività di impresa commerciale.

Massime relative all'art. 2195 Codice Civile

Cass. civ. n. 6874/2023

In tema di redditi d'impresa, il reddito del mercante d'arte - cioè, il soggetto che, a differenza dello speculatore occasionale e del collezionista, professionalmente e abitualmente esercita il commercio delle opere d'arte, ancorché in maniera non organizzata imprenditorialmente, al fine di trarre un profitto dall'incremento del loro valore - va tassato quale reddito d'impresa ex art. 55 del TUIR, poiché, ai fini delle imposte sui redditi, l'esercizio delle attività di cui all'art. 2195 c.c., se abituale, determina sempre la sussistenza di un'impresa commerciale, indipendentemente dall'assetto organizzativo scelto.

Cass. civ. n. 15021/2020

Ai fini della nozione tributaristica di esercizio di imprese commerciali - non coincidente con quella civilistica - l'art. 51 TUIR richiede lo svolgimento "per professione abituale ancorché non esclusiva" delle attività indicate dall'art. 2195 c.c., ancorché non organizzate in forma di impresa, connotate per caratteristiche di stabilità e ripetitività, anche solo tendenziale e prospettica nel tempo, potendo essere svolte pure in modo non esclusivo e, quindi, contemporaneamente ad altre attività, dandosi luogo, in questo caso, a due distinti redditi. Laddove si tratti di un contribuente persona fisica ovvero di ente diverso da società commerciale, l'indagine sulla professionalità, nel senso suddetto, va effettuata "ex ante" in connessione ad un insieme di fattori da valutare in relazione alla specifica tipologia di attività ed in base all'"id quod plerumque accidit", tra cui la predisposizione dei mezzi necessari per lo svolgimento dell'attività.

Cass. civ. n. 31643/2019

Ai fini delle imposte sui redditi, l'esercizio delle attività di cui all'art. 2195 c.c., tra le quali rientrano quelle ausiliarie del mediatore e del procacciatore d'affari, determina sempre la sussistenza di un'impresa commerciale, indipendentemente dall'assetto organizzativo scelto, ma è necessario che sussista il requisito dell'abitualità, da intendersi come attività stabile nel tempo con riguardo al periodo d'imposta.

Cass. civ. n. 14250/2016

Lo scopo di lucro (cd. lucro soggettivo) non è elemento essenziale per il riconoscimento della qualità di imprenditore commerciale, poiché è configurabile attività di impresa tutte le volte in cui sussista una obiettiva economicità dell'attività esercitata, intesa quale proporzionalità tra costi e ricavi (cd. lucro oggettivo), requisito quest'ultimo che, non essendo inconciliabile con il fine mutualistico, può essere presente anche in una società cooperativa pur quando essa operi solo nei confronti dei propri soci, sicché anche tale società, ove svolga attività commerciale, può, in caso di insolvenza, essere assoggettata a fallimento in applicazione dell'art. 2545 terdecies c.c.

Cass. civ. n. 4421/1995

La disposizione di cui al comma 1 dell'art. 2195 c.c. non ha alcun carattere definitorio, ma sostanzialmente esaurisce, ai numeri 1 e 2, l'ambito della nozione di imprenditore (di cui all'art. 2082 c.c.) mediante la previsione delle imprese industriali e, rispettivamente, di quelle commerciali in senso stretto, sicché le successive previsioni, contenute nei numeri 3, 4 e 5 del comma 1 del citato art. 2195 c.c., sono mere specificazioni, motivate dalla importanza dei rispettivi settori economici, delle categorie generali delineate nei primi due punti.

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