Presunzione legale di comunione dei muri divisori e suo fondamento
La prova dell'appartenenza dei muri divisori a confine delle proprietà potrebbe dar luogo nella pratica a
notevoli difficoltà: infatti non basterebbe a provarne la proprietà il fatto che negli atti di acquisto il muro sia dichiarato appartenere a uno dei confinanti, poiché questa dichiarazione unilaterale non può esplicare nessuna efficacia nei confronti del vicino rimasto estraneo all'atto. Non basterebbe nemmeno il fatto della costruzione del muro da parte di uno dei due confinanti per attribuirgliene la proprietà, perché per il diritto di accessione la costruzione appartiene al proprietario del suolo (
art. 934 del c.c.), ed è una cosa tutt'altro che facile poter dimostrare con sicurezza la proprietà della striscia di suolo a confine, su cui il muro è stato costruito.
Per facilitare la prova della proprietà dei muri divisori a confine, il legislatore ha posto la
presunzione legale di comunione dei muri divisori.
Come ogni presunzione, anche questa della comunione dei muri divisori si fonda su una
probabilità, sull'
id quod plerumque accidit. I due vicini hanno lo stesso interesse alla costruzione del muro che separa i loro fondi: fino a prova contraria, non è naturale supporre che essi abbiano costruito a spese comuni ? E la probabilità aumenta negli abitati in cui la contribuzione alla chiusura è obbligatoria (art.
886 e segg.). Se uno dei vicini ha fabbricato accanto all'altro, appoggiando allo stesso muro suo edificio, non è infatti probabile che egli abbia usufruito del diritto che la legge gli concede (artt.
874 e
875) di acquistarne la comunione? Il proprietario del muro non avrebbe certamente sopportato che il vicino appoggiasse l'edificio sopra un muro che non gli appartenesse: prima o poi (artt.
884 e
885) questi ha dovuto regolare la sua posizione di fronte al proprietario del muro, seguendo una doppia via: acquistare una servitù di appoggio o rendere comune il muro. Il legislatore presume la comunione, anche perché la cessione della comunione può essere forzosa (
art. 874 del c.c.) mentre la concessione della servitù è solo volontaria e quindi ha una minore sfera di applicazione: tra le due la probabilità è maggiore per la comunione.
Da quanto ora detto risulta pienamente dimostrato il fondamento della presunzione legale stabilita dall'art. 880, nonché la sua evidente utilità. Ciò spiega perché, sulla traccia del codice francese, la maggior parte dei codici posteriori hanno sanzionato la presunzione legale della comunione dei muri divisori.
Se ne discosta invece il codice civile
tedesco: il § 921 pone anch'esso una presunzione legale, ma invece di essere una presunzione legale di comproprietà è una
presunzione di godimento comune: si presume solo che i due proprietari dei due fondi separati dal muro divisorio abbiano diritto di servirsi in comune dell'opera di confinazione in generale, che può essere un muro, un fosso, una siepe, ecc. Appare tuttavia preferibile il sistema tradizionale seguito dal nostro codice.
Trattasi di presunzione semplice che ammette la prova contraria
La presunzione stabilita dall'art. 880 è una
presunzione semplice o iuris tantum. Ciò era detto esplicitamente dall'art. 546 codice del 1865 che poneva la presunzione di comunione «
se non vi è titolo o segno in contrario ». La soppressione di tale esplicita menzione nell'art. 880 da una parte non toglie che anche nel nuovo codice si tratti di presunzione semplice che cede di fronte alla prova contraria; dall'altra, ha il vantaggio di togliere di mezzo parecchie questioni che ci si poneva sotto il precedente codice.
La presunzione di comunione cade di fronte alla
prova dell'acquisto della proprietà esclusiva, che può essere tanto un modo di acquisto a titolo originario quanto a titolo derivativo. La prova di avere costruito il muro a proprie spese non può essere sufficiente a stabilire la proprietà esclusiva del muro perché la costruzione, accedendo al suolo, diventa proprietà del proprietario del suolo (
art. 934 del c.c.).
Tra i modi di acquisto della proprietà esclusiva del muro divisorio tutti riconoscono potervi essere pure la
prescrizione. Bisogna rilevare, peraltro, che l'acquisto della proprietà esclusiva del muro per prescrizione può avvenire raramente: infatti, perché si verifichi a vantaggio di un condomino la prescrizione acquisitiva della totalità del muro comune divisorio con perdita della comunione di esso da parte dell'altro condomino, è necessario che il primo eserciti il possesso esclusivo sul muro comune divisorio e che tale possesso sia manifestato con atti univoci in contrasto ed escludenti il compossesso dell'altro condomino. Non si perde certo il condominio, anche nel caso del suo non uso da parte di un condomino, senza il possesso esclusivo da parte dell'altro condomino.
Nell'art. 546 vecchio codice tra le prove contrarie alla presunzione di comunione si menzionava anche il
segno. Ma il segno di cui si parlava in tale contesto va distinto dai segni (sporti, vani, piovente) di cui parlava allora l'art. 547 e oggi l'
art. 881 del c.c.: infatti mentre questi sono segni che fanno presumere la proprietà esclusiva del muro divisorio, il segno di cui all'art. 546 valeva a far cadere la presunzione di comunione, ma non spingeva la sua efficacia fino al punto di far nascere una presunzione di proprietà esclusiva.
Fra i segni contrari alla presunzione legale di comunione può annoverarsi
uno stemma gentilizio sormontante il muro e appartenente a uno dei due confinanti, oppure la struttura e architettura del muro divisorio corrispondenti al restante fabbricato che si trova da una parte e non dall'altra. Nella Relazione della Commissione reale si cita un caso del genere: in una villa costruita secondo un determinato stile, se il muro che la circonda è costruito secondo il medesimo stile, è evidente che è stato costruito da chi costruì la villa, e che quindi gli appartiene. In questi casi, peraltro, non trattandosi di valutare se e fino a che punto tali segni possano valere come prova contraria alla presunzione legale della comunione del muro stabilita dall'art. 880.
Comunione pro indiviso
Superando antiche discussioni, la dottrina è oggi concorde nell'ammettere che la presunzione dei muri divisori sia di
comunione pro indiviso. Ciò è confermato da varie disposizioni del codice, come quella che pone in comune le spese di costruzione e riparazione del muro (
art. 882 del c.c.) senza distinguere da quale parte esse debbano farsi, ed altre che permettono l'immissione nel muro comune di opere oltrepassanti la metà dello spessore (
art. 884 del c.c.) e la sopraelevazione del medesimo (
art. 885 del c.c.), e la stessa giurisprudenza giurisprudenza conferma la natura
pro indiviso.
Quest’ultima ha deciso peraltro che per ciò che riguarda la superficie frontale esterna (testata del muro) in relazione alle opere materiali decorative e di sporto, il muro divisorio deve considerarsi come esattamente diviso
da una linea verticale corrispondente alla mediana del muro, di modo che ognuno dei confinanti eserciti i suoi diritti sulla parte corrispondente al proprio edificio, come se si trattasse di due muri autonomi combacianti, ossia di comunione
pro diviso.
Come deve intendersi la locuzione « muro »
La disposizione legislativa in esame parla di «
muro che serve di divisione »: si è molto discusso su cosa si debba intendere per
muro. Alcuni ne
allargano tanto il significato da comprendervi anche un tavolato, ma non sembra che il significato della parola autorizzi una simile estensione. Altri, al contrario, la vorrebbero
restringere tanto da escluderne i muri a secco: ma anche tale esclusione risulta eccessiva, soprattutto perché in alcune località l'uso dei muri a secco per dividere cortili o giardini è molto diffuso e può considerarsi addirittura normale per dividere i recinti nei campi.
Carattere tassativo e non esemplificativo dell’elencazione contenuta nell’art. 880
La presunzione di comunione è limitata dalla legge ai muri divisori tra cortili, giardini, orti e recinti nei campi. Questa elencazione deve intendersi come
tassativa e non semplicemente esemplificativa: si tratta, infatti, di una
presunzione legale e quindi di una deroga speciale alle norme generali sulle prove, che non può essere estesa oltre i casi contemplati dalla legge. Ne consegue che se il muro fosse divisorio tra fondi diversi da quelli indicati dall'art. 880 la presunzione legale di comunione non sarebbe ammessa. Così avverrebbe , ad es., nel caso di un muro divisorio tra due fondi aperti posti in campagna, o0 tra un edificio ed un cortile o giardino, ecc.
Muri divisori tra edifici
Passiamo ora all'esame dei vari casi previsti nell'art. 880, e cominciamo dai muri divisori fra edifici. II muro che serve di divisione fra edifici si presume comune fino alla sua sommità e, in caso di altezze diverse, fino al punto in cui uno degli edifici comincia ad essere più alto.
La semplice esistenza di
tubi di camino sporgenti sopra il tetto dell’edificio più basso e appoggiati al muro dell'edificio più alto non basta a far presumere la comunione del muro anche nella parte superiore: infatti potrebbe trattarsi di una semplice servitù di appoggio. E la stessa soluzione deve adottarsi anche se i tubi di camino del proprietario dell'edificio più basso, invece di essere appoggiati, fossero addirittura scavati nel muro: infatti qualora il tubo di camino preesistesse nel muro comune inferiore e questo fosse stato in seguito sopraelevato dal condomino, il prolungamento del tubo entro il muro sopraelevato farebbe carico al condomino che sopraeleva, pur acquistando egli la proprietà esclusiva della sopraelevazione (
art. 884 del c.c.).
Accade talora che il muro divisorio si sopraelevi al di sopra dei tetti dei
lastrici solari: in questo caso, se gli edifici sono di altezza disuguale non può sorgere alcun dubbio sul fatto che la sopraelevazione appartenga in proprietà esclusiva al proprietario dell'edificio più alto, così come a lui appartiene il tratto di muro che sovrasta al tetto dell’edificio più basso. Se poi gli edifici sono di eguale altezza, la presunzione dell’art. 880 si estende a tutto il muro sino alla sommità, poiché si è di fronte a un muro che divide due edifici.
La presunzione di comunione di un muro che sia solo divisorio tra due edifici ricorre
solo per il tratto in cui muro è divisorio, e non vale per il rimanente tratto in cui non sussiste la specifica funzione su cui la presunzione stessa è fondata.
Quid iuris del muro divisorio con preesistente edificio poi demolito
Tutti sono d'accordo nel ritenere che il muro esterno di un edificio debba presumersi comune col proprietario dell'area limitrofa, se esistono segnali dell'esistenza di un precedente edificio vicino, poi demolito. Ci si chiede, peraltro, se si debba limitare all'esistenza delle vestigia dell'edificio preesistente la prova del carattere divisorio del muro, e se, quando con qualunque mezzo si provi che il muro separava originariamente due edifici, sorge o meno la presunzione legale di comunione da distruggersi con la prova contraria.
L'esistenza di
vestigia del preesistente edificio non impedisce al proprietario dell'edificio rimasto in piedi la possibilità di acquistare per prescrizione la proprietà esclusiva del muro, tuttavia è discusso se per tale usucapione sia necessaria
l'interversione del possesso. La risposta è affermativa, perché in mancanza di interversione non può dirsi che il proprietario dell'edificio goda di un possesso esclusivo, permanendo il compossesso preesistente, sia pure presunto, ed essendo facoltativo nel vicino proprietario dell'edificio demolito l'esercizio dei diritti derivanti dal condominio (diritto di appoggio ecc.) e quindi esperibile senza limitazione di tempo.
La presunzione di comproprietà posta dall'art. 880 si riferisce ai muri divisori tra edifici: essa pertanto
non si applica al muro perimetrale di un preesistente edificio, poi demolito. Tale muro perimetrale è proprietà esclusiva del proprietario dell'edificio demolito, e questo carattere originario di appartenenza esclusiva non può subire modificazioni per il solo fatto che, a seguito della demolizione dell'antico fabbricato e dello stesso eseguito nell'area da esso occupata, l'antico muro perimetrale sia venuto ad assumere posteriormente la funzione di muro divisorio e di sostegno del giardino adiacente. Infatti la presunzione di comunione, che rispetto ai muri di confine sorge dalla loro speciale destinazione, funziona soltanto in mancanza di titolo, e non può avere quindi l'efficacia di trasformare o modificare i diritti da questo derivanti.
La presunzione di comunione vale anche pei muri divisori tra edifici privati e edifici demaniali
Agli effetti dell'art. 880 non ha importanza né il luogo ove gli edifici sono situati nè la loro destinazione: quindi è indifferente ad es. che siano in città o in campagna, se uno serve di abitazione e l'altro per opificio.
Qualche dubbio è sorto circa l'applicabilità dell'art. 880 ai
muri divisori tra un edificio privato e un altro demaniale: alcuni hanno risposto negativamente argomentando sulla base della esenzione degli edifici demaniali dalla cessione coattiva (
art. 879 del c.c.). In senso contrario, tuttavia, va osservato che la presunzione di comunione dei muri divisori tra edifici si fonda sul fatto che l'uno e l'altro edificio si servono in comune del muro divisorio, e ciò vale senza che vi sia ragione di distinguere tra edifici privati ed edifici pubblici. Va inoltre aggiunto che la disposizione dell'art. 556 capov. vecchio codice e dell’ attuale art. 880 esclude che la comunione presunta possa essere sorta per cessione forzosa del muro dell'edificio demaniale, ma non esclude che la comunione possa sorgere per la cessione forzosa del preesistente muro dell'edificio privato chiesta dal demanio per la costruzione dell'erigendo edificio demaniale, poiché l'eccezione di cui all'art. 556 capov. vecchio codice, e 880 del nuovo, è stata dettata a favore e non contro gli edifici demaniali.
La
Cassazione ha avuto occasione di pronunciarsi per la soluzione affermativa statuendo che il proprietario di un vano terraneo che da molto tempo è addossato al muro esterno di una chiesa può, in mancanza di titolo o di segno contrario, invocare la presunzione di comunione del muro.
Muri divisori tra cortili, giardini e orti
Secondo l'art. 880 si presume comune anche il muro che serve di divisione «
tra cortili, giardini e orti o tra recinti nei campi ». Va anzitutto sottolineato che il nuovo codice estende la presunzione di comunione anche ai muri divisori tra gli
orti, non menzionati invece dal corrispondente art. 546 vecchio codice: si è risolta così la questione se la disposizione dell'art. 546 dovesse estendersi anche agli orti.
Resta però anche nel nuovo codice la domanda che ci si faceva prima, e cioè se il muro, per presumersi comune, debba dividere cortile da cortile e giardino da giardino, oppure basti che divida un cortile da un giardino: quanto ai muri divisori tra giardini ed orti la locuzione è comprensiva di entrambe le ipotesi.
La
soluzione restrittiva, che vorrebbe escludere la presunzione per i muri divisori tra giardini e cortili, si fonda su due argomenti: in primo luogo, sul fatto che si tratta di una disposizione di diritto speciale e quindi di stretta applicazione; in secondo luogo, manca la ragione per fare un diverso trattamento ai muri divisori tra cortili e giardini, quando relativamente agli edifici e ai recinti nei campi non vi è dubbio che la presunzione legale di comunione ha luogo solo per i muri divisori tra edifici ed edifici, tra recinti e recinti.
Ma è facile osservare,
in senso contrario, che quanto al primo argomento si fa la solita confusione fra interpretazione estensiva ed analogica: nelle disposizioni di diritto speciale è esclusa l'interpretazione analogica, ma sarebbe errato escludere ogni interpretazione estensiva. Nemmeno il secondo argomento appare fondato: la ragione del diverso trattamento vi è, e consiste nel fondamento stesso della presunzione di comunione, che è l’utilità reciproca dei confinanti. Trattandosi di edifici, come di recinti nei campi, l'utilità non sarebbe adeguatamente reciproca se il muro dividesse un edificio da un cortile, o un recinto da un campo aperto: infatti l’utilità del muro si dimostrerebbe quasi esclusiva, o di gran lunga maggiore, per il proprietario dell'edificio o del recinto. Invece nel caso di muri divisori tra cortili e giardini, l'utilità è reciproca e come tale giustifica la presunzione di comunione.
Recinti nei campi
La giurisprudenza francese anteriore al codice escludeva la presunzione di comunione riguardo ai muri che separano poderi campestri: i compilatori del
codice francese vollero estendere la presunzione anche a questo caso, sotto la condizione, però che si trattasse di recinti. Di qui l'aggiunta dell'art. 653 codice francese «
et meme entre enclos dans les champs », passata attraverso tutti i codici italiani preesistenti, nell'art. 546 codice del 1865 e nel nuovo codice. Nel Progetto della Commissione reale (art. 69) si era pensato di togliere il requisito della recinzione, parlandosi semplicemente di campi, ma nel testo definitivo si è ritornati alla locuzione tradizionale.
Recinto è un luogo chiuso tutto intorno: affinché dunque la presunzione possa sorgere è necessario che i due campi limitrofi siano entrambi chiusi. Infatti, se uno fosse recintato e l'altro no, verrebbe meno la presunzione di comunione del muro divisorio perché verrebbe a mancare l'uguale utilità su cui la presunzione si fonda, potendo il muro divisorio giovare alla recinzione del campo recinto e non allo stesso modo al campo aperto dagli altri lati.
Una dibattuta questione riguardava come determinare la
natura della recinzione. Certo che trovandoci in materia di
muri divisori, quello che divide i due campi dev'essere un muro, ma dalle altre parti la chiusura dovrà consistere allo stesso modo in muri o basteranno le siepi vive, o anche semplici siepi morte, palizzate e simili? Si ritiene preferibile quest'ultima opinione, poiché, essendo richiesta come unica condizione la recinzione, in qualunque modo questa si ottenga si soddisfa quanto richiesto dalla legge. La natura e la destinazione dei campi non ha alcuna importanza agli effetti della presunzione della comunione.
Muri di sostegno
Poiché l'art. 880 parla di muri divisori
, la presunzione legale di comproprietà non può estendersi ai muri di sostegno, che il proprietario del fondo superiore costruisce sul proprio suolo allo scopo di sostenere il suo terreno e impedire che frani sul fondo inferiore. Di regola, quindi, il muro di sostegno appartiene in esclusiva proprietà al proprietario del fondo superiore, sia che si elevi sino al livello del fondo, sia che si sopraelevi sul medesimo. Però se nel primo caso non sorge alcun dubbio, nel caso invece in cui il muro di sostegno si sopraelevi sul fondo superiore la dottrina è in disaccordo.
Secondo alcuni, la sopraelevazione farebbe mutare destinazione e natura al muro, che da muro di sostegno si trasformerebbe in muro divisorio, a cui si dovrebbe quindi applicare, in tutto o in parte, la presunzione di comunione dell'art. 880. Gli autori francesi presumono la comunione del muro dalle fondamenta alla sommità: da noi alcuni giuristi, argomentando dall'art. 560 codice del 1865 corrispondente all'art.
887 del nuovo codice, attribuiscono al proprietario del fondo superiore la parte del muro che va dalle fondazioni sino al livello del fondo più alto, e per la rimanente parte presumono la comunione.
Preferibile è, invece, la
tesi intermedia. Come regola generale si mantiene quella secondo cui il muro di sostegno, anche quando si sopraeleva sul livello del fondo superiore, appartiene in esclusiva proprietà al proprietario di esso. Limitatamente poi agli abitati, a mente dell’'art.
887, è accettabile la teoria per cui, rifacendosi all'istituto della chiusura obbligatoria ai sensi degli artt.
886 e
887, e dovendosi fare quest’ultima tra i fondi in dislivello (
887), pare ragionevole presumere, fino a prova contraria, che i due proprietari limitrofi si siano attenuti, nella costruzione del muro, alla discriminazione di cui all’art.
887.