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Articolo 880 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 26/11/2024]

Presunzione di comunione del muro divisorio

Dispositivo dell'art. 880 Codice Civile

Il muro che serve di divisione tra edifici si presume comune [881] fino alla sua sommità e, in caso di altezze ineguali, fino al punto in cui uno degli edifici comincia ad essere più alto [903].

Si presume parimenti comune il muro che serve di divisione tra cortili, giardini e orti o tra recinti nei campi [881](1).

Note

(1) La presunzione opera solo nel caso di muri divisori tra gli edifici indicati nel secondo comma. L'elenco è tassativo e non è, quindi, passibile di interpretazione analogica (art. 12 delle preleggi).

Spiegazione dell'art. 880 Codice Civile

Presunzione legale di comunione dei muri divisori e suo fondamento

La prova dell'appartenenza dei muri divisori a confine delle proprietà potrebbe dar luogo nella pratica a notevoli difficoltà: infatti non basterebbe a provarne la proprietà il fatto che negli atti di acquisto il muro sia dichiarato appartenere a uno dei confinanti, poiché questa dichiarazione unilaterale non può esplicare nessuna efficacia nei confronti del vicino rimasto estraneo all'atto. Non basterebbe nemmeno il fatto della costruzione del muro da parte di uno dei due confinanti per attribuirgliene la proprietà, perché per il diritto di accessione la costruzione appartiene al proprietario del suolo (art. 934 del c.c.), ed è una cosa tutt'altro che fa­cile poter dimostrare con sicurezza la proprietà della striscia di suolo a confine, su cui il muro è stato costruito.

Per facilitare la prova della proprietà dei muri divisori a confine, il legislatore ha posto la presunzione legale di comunione dei muri divisori.

Come ogni presunzione, anche questa della comunione dei muri divisori si fonda su una probabilità, sull'id quod plerumque accidit. I due vicini hanno lo stesso interesse alla costruzione del muro che separa i loro fondi: fino a prova contraria, non è naturale supporre che essi abbiano costruito a spese comuni ? E la probabilità aumenta negli abitati in cui la contribuzione alla chiusura è obbligatoria (art. 886 e segg.). Se uno dei vicini ha fabbricato accanto all'altro, appoggiando allo stesso muro suo edificio, non è infatti probabile che egli abbia usufruito del diritto che la legge gli concede (artt. 874 e 875) di acquistarne la comunione? Il proprietario del muro non avrebbe certamente sopportato che il vicino appoggiasse l'edificio sopra un muro che non gli appartenesse: prima o poi (artt. 884 e 885) questi ha dovuto regolare la sua posizione di fronte al proprietario del muro, seguendo una doppia via: acquistare una servitù di appoggio o rendere comune il muro. Il legislatore presume la comunione, anche perché la cessione della comunione può essere forzosa (art. 874 del c.c.) mentre la concessione della servitù è solo volontaria e quindi ha una minore sfera di applicazione: tra le due la probabilità è maggiore per la comunione.

Da quanto ora detto risulta pienamente dimostrato il fondamento della presunzione legale stabilita dall'art. 880, nonché la sua evidente utilità. Ciò spiega perché, sulla traccia del codice francese, la maggior parte dei codici posteriori hanno sanzionato la presunzione legale della comunione dei muri divisori.

Se ne discosta invece il codice civile tedesco: il § 921 pone anch'esso una presunzione legale, ma invece di essere una presunzione legale di comproprietà è una presunzione di godimento comune: si presume solo che i due proprietari dei due fondi separati dal muro divisorio abbiano diritto di servirsi in comune dell'opera di confinazione in generale, che può essere un muro, un fosso, una siepe, ecc. Appare tuttavia preferibile il sistema tradizionale seguito dal nostro codice.


Trattasi di presunzione semplice che ammette la prova contraria

La presunzione stabilita dall'art. 880 è una presunzione semplice o iuris tantum. Ciò era detto esplicitamente dall'art. 546 codice del 1865 che poneva la presunzione di comunione « se non vi è titolo o segno in contrario ». La soppressione di tale esplicita menzione nell'art. 880 da una parte non toglie che anche nel nuovo codice si tratti di presunzione semplice che cede di fronte alla prova contraria; dall'altra, ha il vantaggio di togliere di mezzo parecchie questioni che ci si poneva sotto il precedente codice.

La presunzione di comunione cade di fronte alla prova dell'acquisto della proprietà esclusiva, che può essere tanto un modo di acquisto a titolo originario quanto a titolo derivativo. La prova di avere costruito il muro a proprie spese non può essere sufficiente a stabilire la proprietà esclusiva del muro perché la costruzione, accedendo al suolo, diventa proprietà del proprietario del suolo (art. 934 del c.c.).
Tra i modi di acquisto della proprietà esclusiva del muro divisorio tutti riconoscono potervi essere pure la prescrizione. Bisogna rilevare, peraltro, che l'acquisto della proprietà esclusiva del muro per prescrizione può avvenire raramente: infatti, perché si verifichi a vantaggio di un condomino la prescrizione acquisitiva della totalità del muro comune divisorio con perdita della comunione di esso da parte dell'altro condomino, è necessario che il primo eserciti il possesso esclusivo sul muro comune divisorio e che tale possesso sia manifestato con atti univoci in contrasto ed escludenti il compossesso dell'altro condomino. Non si perde certo il condominio, anche nel caso del suo non uso da parte di un condomino, senza il possesso esclusivo da parte dell'altro condomino.

Nell'art. 546 vecchio codice tra le prove contrarie alla presunzione di comunione si menzionava anche il segno. Ma il segno di cui si parlava in tale contesto va distinto dai segni (sporti, vani, piovente) di cui parlava allora l'art. 547 e oggi l' art. 881 del c.c.: infatti mentre questi sono segni che fanno presumere la proprietà esclusiva del muro divisorio, il segno di cui all'art. 546 valeva a far cadere la presunzione di comunione, ma non spingeva la sua efficacia fino al punto di far nascere una presunzione di proprietà esclusiva.

Fra i segni contrari alla presunzione legale di comunione può annoverarsi uno stemma gentilizio sormontante il muro e appartenente a uno dei due confinanti, oppure la struttura e architettura del muro divisorio corrispondenti al restante fabbricato che si trova da una parte e non dall'altra. Nella Relazione della Commissione reale si cita un caso del genere: in una villa costruita secondo un determinato stile, se il muro che la circonda è costruito secondo il medesimo stile, è evidente che è stato costruito da chi costruì la villa, e che quindi gli appartiene. In questi casi, peraltro, non trattandosi di valutare se e fino a che punto tali segni possano valere come prova contraria alla presunzione legale della comunione del muro stabilita dall'art. 880.


Comunione pro indiviso

Superando antiche discussioni, la dottrina è oggi concorde nell'ammettere che la presunzione dei muri divisori sia di comunione pro indiviso. Ciò è confermato da varie disposizioni del codice, come quella che pone in comune le spese di costruzione e riparazione del muro (art. 882 del c.c.) senza distinguere da quale parte esse debbano farsi, ed altre che permettono l'immissione nel muro comune di opere oltrepassanti la metà dello spessore (art. 884 del c.c.) e la sopraelevazione del medesimo (art. 885 del c.c.), e la stessa giurisprudenza giurisprudenza conferma la natura pro indiviso.

Quest’ultima ha deciso peraltro che per ciò che riguarda la superficie frontale esterna (testata del muro) in relazione alle opere materiali decorative e di sporto, il muro divisorio deve considerarsi come esattamente diviso
da una linea verticale corrispondente alla mediana del muro, di modo che ognuno dei confinanti eserciti i suoi diritti sulla parte corrispondente al proprio edificio, come se si trattasse di due muri autonomi combacianti, ossia di comunione pro diviso.


Come deve intendersi la locuzione « muro »

La disposizione legislativa in esame parla di « muro che serve di divisione »: si è molto discusso su cosa si debba intendere per muro. Alcuni ne allargano tanto il significato da comprendervi anche un tavolato, ma non sembra che il significato della parola autorizzi una simile estensione. Altri, al contrario, la vorrebbero restringere tanto da escluderne i muri a secco: ma anche tale esclusione risulta eccessiva, soprattutto perché in alcune località l'uso dei muri a secco per dividere cortili o giardini è molto diffuso e può considerarsi addirittura normale per dividere i recinti nei campi.


Carattere tassativo e non esemplificativo dell’elencazione contenuta nell’art. 880

La presunzione di comunione è limitata dalla legge ai muri divisori tra cortili, giardini, orti e recinti nei campi. Questa elencazione deve intendersi come tassativa e non semplicemente esemplificativa: si tratta, infatti, di una presunzione legale e quindi di una deroga speciale alle norme generali sulle prove, che non può essere estesa oltre i casi contemplati dalla legge. Ne consegue che se il muro fosse divisorio tra fondi diversi da quelli indicati dall'art. 880 la presunzione legale di comunione non sarebbe ammessa. Così avverrebbe , ad es., nel caso di un muro divisorio tra due fondi aperti posti in campagna, o0 tra un edificio ed un cortile o giardino, ecc.


Muri divisori tra edifici

Passiamo ora all'esame dei vari casi previsti nell'art. 880, e cominciamo dai muri divisori fra edifici. II muro che serve di divisione fra edifici si presume comune fino alla sua sommità e, in caso di altezze diverse, fino al punto in cui uno degli edifici comincia ad essere più alto.

La semplice esistenza di tubi di camino sporgenti sopra il tetto dell’edificio più basso e appoggiati al muro dell'edificio più alto non basta a far presumere la comunione del muro anche nella parte superiore: infatti potrebbe trattarsi di una semplice servitù di appoggio. E la stessa soluzione deve adottarsi anche se i tubi di camino del proprietario dell'edificio più basso, invece di essere appoggiati, fossero addirittura scavati nel muro: infatti qualora il tubo di camino preesistesse nel muro comune inferiore e questo fosse stato in seguito sopraelevato dal condomino, il prolungamento del tubo entro il muro sopraelevato farebbe carico al condomino che sopraeleva, pur acquistando egli la proprietà esclusiva della sopraelevazione (art. 884 del c.c.).

Accade talora che il muro divisorio si sopraelevi al di sopra dei tetti dei lastrici solari: in questo caso, se gli edifici sono di altezza disuguale non può sorgere alcun dubbio sul fatto che la sopraelevazione appartenga in proprietà esclusiva al proprietario dell'edificio più alto, così come a lui appartiene il tratto di muro che sovrasta al tetto dell’edificio più basso. Se poi gli edifici sono di eguale altezza, la presunzione dell’art. 880 si estende a tutto il muro sino alla sommità, poiché si è di fronte a un muro che divide due edifici.

La presunzione di comunione di un muro che sia solo divisorio tra due edifici ricorre solo per il tratto in cui muro è divisorio, e non vale per il rimanente tratto in cui non sussiste la specifica funzione su cui la presunzione stessa è fondata.


Quid iuris del muro divisorio con preesistente edificio poi demolito

Tutti sono d'accordo nel ritenere che il muro esterno di un edificio debba presumersi comune col proprietario dell'area limitrofa, se esistono segnali dell'esistenza di un precedente edificio vicino, poi demolito. Ci si chiede, peraltro, se si debba limitare all'esistenza delle vestigia dell'edificio preesistente la prova del carattere divisorio del muro, e se, quando con qualunque mezzo si provi che il muro separava originariamente due edifici, sorge o meno la presunzione legale di comunione da distruggersi con la prova contraria.

L'esistenza di vestigia del preesistente edificio non impedisce al proprietario dell'edificio rimasto in piedi la possibilità di acquistare per prescrizione la proprietà esclusiva del muro, tuttavia è discusso se per tale usucapione sia necessaria l'interversione del possesso. La risposta è affermativa, perché in mancanza di interversione non può dirsi che il proprietario dell'edificio goda di un possesso esclusivo, permanendo il compossesso preesistente, sia pure presunto, ed essendo facoltativo nel vicino proprietario dell'edificio demolito l'esercizio dei diritti derivanti dal condominio (diritto di appoggio ecc.) e quindi esperibile senza limitazione di tempo.

La presunzione di comproprietà posta dall'art. 880 si riferisce ai muri divisori tra edifici: essa pertanto non si applica al muro perimetrale di un preesistente edificio, poi demolito. Tale muro perimetrale è proprietà esclusiva del proprietario dell'edificio demolito, e questo carattere originario di appartenenza esclusiva non può subire modificazioni per il solo fatto che, a seguito della demolizione dell'antico fabbricato e dello stesso eseguito nell'area da esso occupata, l'antico muro perimetrale sia venuto ad assumere posteriormente la funzione di muro divisorio e di sostegno del giardino adiacente. Infatti la presunzione di comunione, che rispetto ai muri di confine sorge dalla loro speciale destinazione, funziona soltanto in mancanza di titolo, e non può avere quindi l'efficacia di trasformare o modificare i diritti da questo derivanti.


La presunzione di comunione vale anche pei muri divisori tra edifici privati e edifici demaniali

Agli effetti dell'art. 880 non ha importanza né il luogo ove gli edifici sono situati nè la loro destinazione: quindi è indifferente ad es. che siano in città o in campagna, se uno serve di abitazione e l'altro per opificio.

Qualche dubbio è sorto circa l'applicabilità dell'art. 880 ai muri divisori tra un edificio privato e un altro demaniale: alcuni hanno risposto negativamente argomentando sulla base della esenzione degli edifici demaniali dalla cessione coattiva (art. 879 del c.c.). In senso contrario, tuttavia, va osservato che la presunzione di comunione dei muri divisori tra edifici si fonda sul fatto che l'uno e l'altro edificio si servono in comune del muro divisorio, e ciò vale senza che vi sia ragione di distinguere tra edifici privati ed edifici pubblici. Va inoltre aggiunto che la disposizione dell'art. 556 capov. vecchio codice e dell’ attuale art. 880 esclude che la comunione presunta possa essere sorta per cessione forzosa del muro dell'edificio demaniale, ma non esclude che la comunione possa sorgere per la cessione forzosa del preesistente muro dell'edificio privato chiesta dal demanio per la costruzione dell'erigendo edificio demaniale, poiché l'eccezione di cui all'art. 556 capov. vecchio codice, e 880 del nuovo, è stata dettata a favore e non contro gli edifici demaniali.

La Cassazione ha avuto occasione di pronunciarsi per la soluzione affermativa statuendo che il proprietario di un vano terraneo che da molto tempo è addossato al muro esterno di una chiesa può, in mancanza di titolo o di segno contrario, invocare la presunzione di comunione del muro.


Muri divisori tra cortili, giardini e orti

Secondo l'art. 880 si presume comune anche il muro che serve di divisione « tra cortili, giardini e orti o tra recinti nei campi ». Va anzitutto sottolineato che il nuovo codice estende la presunzione di comunione anche ai muri divisori tra gli orti, non menzionati invece dal corrispondente art. 546 vecchio codice: si è risolta così la questione se la disposizione dell'art. 546 dovesse estendersi anche agli orti.

Resta però anche nel nuovo codice la domanda che ci si faceva prima, e cioè se il muro, per presumersi comune, debba dividere cortile da cortile e giardino da giardino, oppure basti che divida un cortile da un giardino: quanto ai muri divisori tra giardini ed orti la locuzione è comprensiva di entrambe le ipotesi.

La soluzione restrittiva, che vorrebbe escludere la presunzione per i muri divisori tra giardini e cortili, si fonda su due argomenti: in primo luogo, sul fatto che si tratta di una disposizione di diritto speciale e quindi di stretta applicazione; in secondo luogo, manca la ragione per fare un diverso trattamento ai muri divisori tra cortili e giardini, quando relativamente agli edifici e ai recinti nei campi non vi è dubbio che la presunzione legale di comunione ha luogo solo per i muri divisori tra edifici ed edifici, tra recinti e recinti.

Ma è facile osservare, in senso contrario, che quanto al primo argomento si fa la solita confusione fra interpretazione estensiva ed analogica: nelle disposizioni di diritto speciale è esclusa l'interpretazione analogica, ma sarebbe errato escludere ogni interpretazione estensiva. Nemmeno il secondo argomento appare fondato: la ragione del diverso trattamento vi è, e consiste nel fondamento stesso della presunzione di comunione, che è l’utilità reciproca dei confinanti. Trattandosi di edifici, come di recinti nei campi, l'utilità non sarebbe adeguatamente reciproca se il muro dividesse un edificio da un cortile, o un recinto da un campo aperto: infatti l’utilità del muro si dimostrerebbe quasi esclusiva, o di gran lunga maggiore, per il proprietario dell'edificio o del recinto. Invece nel caso di muri divisori tra cortili e giardini, l'utilità è reciproca e come tale giustifica la presunzione di comunione.


Recinti nei campi

La giurisprudenza francese anteriore al codice escludeva la presunzione di comunione riguardo ai muri che separano poderi campestri: i compilatori del codice francese vollero estendere la presunzione anche a questo caso, sotto la condizione, però che si trattasse di recinti. Di qui l'aggiunta dell'art. 653 codice francese « et meme entre enclos dans les champs », passata attraverso tutti i codici italiani preesistenti, nell'art. 546 codice del 1865 e nel nuovo codice. Nel Progetto della Commissione reale (art. 69) si era pensato di togliere il requisito della recinzione, parlandosi semplicemente di campi, ma nel testo definitivo si è ritornati alla locuzione tradizionale.
Recinto è un luogo chiuso tutto intorno: affinché dunque la presunzione possa sorgere è necessario che i due campi limitrofi siano entrambi chiusi. Infatti, se uno fosse recintato e l'altro no, verrebbe meno la presunzione di comunione del muro divisorio perché verrebbe a mancare l'uguale utilità su cui la presunzione si fonda, potendo il muro divisorio giovare alla recinzione del campo recinto e non allo stesso modo al campo aperto dagli altri lati.

Una dibattuta questione riguardava come determinare la natura della recinzione. Certo che trovandoci in materia di muri divisori, quello che divide i due campi dev'essere un muro, ma dalle altre parti la chiusura dovrà consistere allo stesso modo in muri o basteranno le siepi vive, o anche semplici siepi morte, palizzate e simili? Si ritiene preferibile quest'ultima opinione, poiché, essendo richiesta come unica condizione la recinzione, in qualunque modo questa si ottenga si soddisfa quanto richiesto dalla legge. La natura e la destinazione dei campi non ha alcuna importanza agli effetti della presunzione della comunione.


Muri di sostegno

Poiché l'art. 880 parla di muri divisori, la presunzione legale di comproprietà non può estendersi ai muri di sostegno, che il proprietario del fondo superiore costruisce sul proprio suolo allo scopo di sostenere il suo terreno e impedire che frani sul fondo inferiore. Di regola, quindi, il muro di sostegno appartiene in esclusiva proprietà al proprietario del fondo superiore, sia che si elevi sino al livello del fondo, sia che si sopraelevi sul medesimo. Però se nel primo caso non sorge alcun dubbio, nel caso invece in cui il muro di sostegno si sopraelevi sul fondo superiore la dottrina è in disaccordo.

Secondo alcuni, la sopraelevazione farebbe mutare destinazione e natura al muro, che da muro di sostegno si trasformerebbe in muro divisorio, a cui si dovrebbe quindi applicare, in tutto o in parte, la presunzione di comunione dell'art. 880. Gli autori francesi presumono la comunione del muro dalle fondamenta alla sommità: da noi alcuni giuristi, argomentando dall'art. 560 codice del 1865 corrispondente all'art. 887 del nuovo codice, attribuiscono al proprietario del fondo superiore la parte del muro che va dalle fondazioni sino al livello del fondo più alto, e per la rimanente parte presumono la comunione.

Preferibile è, invece, la tesi intermedia. Come regola generale si mantiene quella secondo cui il muro di sostegno, anche quando si sopraeleva sul livello del fondo superiore, appartiene in esclusiva proprietà al proprietario di esso. Limitatamente poi agli abitati, a mente dell’'art. 887, è accettabile la teoria per cui, rifacendosi all'istituto della chiusura obbligatoria ai sensi degli artt. 886 e 887, e dovendosi fare quest’ultima tra i fondi in dislivello (887), pare ragionevole presumere, fino a prova contraria, che i due proprietari limitrofi si siano attenuti, nella costruzione del muro, alla discriminazione di cui all’art. 887.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

421 Un secondo gruppo di norme (articoli 880-885) riguarda le presunzioni di appartenenza dei muri divisori e il regime dei muri comuni. In conformità del codice del 1865 (articoli 546-547), il nuovo codice (art. 880 del c.c. e art. 881 del c.c.) stabilisce due presunzioni, suscettibili di prova contraria: da un lato, la presunzione di comunione così per il muro che serve di divisione tra edifici (presunzione che, in caso di altezze ineguali degli edifici, è limitata al punto in cui uno di questi comincia ad essere più alto), come per il muro che serve di divisione tra cortili, giardini e orti o tra recinti nei campi; dall'altro lato, la presunzione di proprietà esclusiva del muro divisorio tra campi, cortili, giardini od orti, sulla base della posizione del piovente esistente nel muro e, ove questo manchi, di altri segni particolarmente qualificati. Circa i diritti e gli obblighi di ciascun condomino rispetto al muro comune, non ho apportato innovazioni rilevanti (art. 882 del c.c., art. 883 del c.c. e art. 884 del c.c.). Una disposizione integrativa ho però introdotta in tema d'innalzamento del muro comune. Come per il codice del 1865 (art. 554), il comproprietario che vuole eseguire la sopraelevazione, quando occorre aumentare lo spessore del muro per renderlo atto a sostenere il nuovo peso, deve costruire sul suolo proprio per il maggiore spessore che si renda necessario. Senonché può darsi che esigenze tecniche impongano di costruire sul suolo del vicino: in tal caso si autorizza la costruzione sul fondo finitimo per una doverosa tutela dell'interesse pubblico all'incremento edilizio. Il muro così ingrossato, resta di proprietà comune, ma il vicino ha diritto di conseguire il valore della metà del suolo occupato per il maggior spessore (art. 885 del c.c.).

Massime relative all'art. 880 Codice Civile

Cass. civ. n. 26941/2016

Nel caso di proprietà delimitate da un muro comune, la linea di confine non si identifica con la linea mediana del muro medesimo, poiché su di esso, nonché sull'area di relativa incidenza, i proprietari confinanti esercitano la contitolarità del rispettivo diritto per l'intera estensione ed ampiezza, sicché le distanze si misurano rispetto alla facciata del muro prospiciente la cosa da tenere a distanza.

Cass. civ. n. 6927/2015

Il muro divisorio non può dar luogo all'esercizio di una servitù di veduta, sia perché ha solo la funzione di demarcazione del confine e tutela del fondo, sia perché, anche quando consente di "inspicere" e "prospicere" sul fondo altrui, è inidoneo ad assoggettare un fondo all'altro, a causa della reciproca possibilità di affaccio da entrambi i fondi confinanti.

Cass. civ. n. 50/2014

La presunzione relativa di comunione del muro, stabilita dall'art. 880 cod. civ., postulando la funzione divisoria di fondi omogenei, alla quale si ricollega l'utilità comune, è vinta dall'accertamento che il muro sia stato costruito nella sua interezza su di una sola delle aree confinanti, con conseguente acquisto per accessione, ai sensi dell'art. 934 cod. civ.

Cass. civ. n. 22275/2013

L'accertata funzione divisoria di un muro di recinzione esistente tra le confinanti proprietà costituisce, ai fini della tutela possessoria dello stesso, prova presuntiva del suo compossesso.

Cass. civ. n. 5261/2006

In tema di presunzione di comunione del muro divisorio tra edifici prevista dall'art. 880 c.c., i limiti di operatività di detta presunzione sono determinati dallo stesso articolo (secondo periodo del primo comma) facendo espresso riferimento «al punto in cui uno degli edifici comincia ad essere più alto» nel senso che, in ipotesi che uno dei due edifici sia più alto rispetto all'altro, la presunzione suddetta opera sino al punto in cui le altezze dei due edifici combaciano. (Nel caso di specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito per difetto di motivazione, per non avere la stessa considerato che il resistente aveva inserito le travi di sostegno di una sua tettoia nella parte più alta del muro divisorio, dove questo proseguiva per cingere soltanto la fabbrica dell'edificio dei ricorrenti).

Cass. civ. n. 6678/1999

Un muro di recinzione di un fondo si presume comune al proprietario di quello limitrofo se: 1) sorge su suolo comune ad entrambi i confinanti proprietari; 2) divide, conformemente alla sua funzione, entità prediali omogenee tra loro (quali edifici, cortili, etc.), appartenenti a diversi proprietari; 3) mancano sporti e simili o altri elementi contrari, indicati dall'art. 881 c.c.

Cass. civ. n. 5115/1998

L'intercapedine, sotterranea o non, non può presumersi di proprietà comune (come il muro divisorio, ex art. 880 c.c.) per il solo fatto di essere realizzata sul confine, essendo costituita da uno spazio vuoto e non pieno (a differenza del muro), cosi che essa (purché di dimensioni apprezzabili per essere definita tale) va considerata parte dell'una o dell'altra proprietà frontistante (ovvero di entrambe, a seconda dell'andamento della linea di confine che le separi), in considerazione della sua attuale funzione e della finalità originariamente riservatele da chi ebbe a realizzarla, secondo le sue caratteristiche oggettive, potendo in relazione ad essa configurarsi, di volta in volta (e ricorrendone i presupposti), un vincolo pertinenziale ovvero un asservimento di fondi reciproco ed incrociato.

Cass. civ. n. 11162/1994

La presunzione di comunione del muro divisorio, stabilita dall'art. 880 c.c. ha carattere relativo e spiega la sua piena operatività - sino a rendere irrilevante nel caso di muro di separazione fra due edifici l'eventuale anteriorità di uno di questi rispetto all'altro - soltanto in mancanza di prova contraria, non operando invece quando risulti altrimenti che il muro rientra nel dominio esclusivo di uno dei due confinanti in forza di uno qualunque dei modi di acquisto, a titolo originario o derivativo, della proprietà immobiliare. Pertanto, poiché tra i modi di acquisto della proprietà si annovera l'accessione, a norma dell'art. 934 c.c., la presunzione anzidetta è vinta anche dall'accertamento che il muro è stato costruito nella sua interezza su una sola delle aree contigue, salvi gli effetti di un titolo pattizio successivamente intervenuto ovvero dell'usucapione.

Cass. civ. n. 9137/1993

La presunzione di comunione prevista dall'art. 880 c.c. riguarda soltanto il muro divisorio e non anche íl muro di contenimento tra fondi a dislivello, il quale non si elevi in altezza al di sopra del livello del fondo sovrastante.

Cass. civ. n. 1220/1993

La presunzione di cui all'art. 880 c.c., è invocabile ogni qual volta un'unica struttura divisoria separi entità fondiarie finitime appartenenti a proprietari diversi; pertanto essa ricorre, per il solo fatto che tale struttura assolva in concreto alla funzione di distinguere e dividere proprietà limitrofe, mentre non rileva, agli stessi fini, che essa abbia origine naturale o sia dovuta all'opera dell'uomo.

Cass. civ. n. 177/1993

La presunzione iuris tantum di comunione prevista dall'art. 880 c.c. relativamente a muri che separano entità prediali omogenee è vinta dalla prova della proprietà esclusiva del muro mediante riferimento ad uno dei modi di acquisto della proprietà originario o derivato. In mancanza di prova contraria la presunzione di comunione spiega piena operatività, non valendo contro di essa neppure l'eventuale anteriorità di una delle due costruzioni separate, potendo sovvenire ai fini dell'acquisto della proprietà esclusiva solo il principio dell'accessione (art. 934 c.c.) sempre che il muro sia stato costruito completamente sul suolo appartenente ad uno dei confinanti.

Cass. civ. n. 1348/1990

La presunzione di comproprietà di un muro divisorio, a norma dell'art. 880 c.c. fondandosi su uno stato di fatto, qual è l'esistenza di due edifici confinanti divisi da un muro di eguale utilità per l'uno e l'altro, comporta, in mancanza di prova contraria, la presunzione anche del compossesso del muro stesso, in considerazione dell'utilità che esso fornisce ad entrambi gli immobili, sicché in funzione dell'eccezione feci sed iure feci può spiegare rilevanza nel giudizio possessorio che abbia oggetto la tutela del detto manufatto.

Cass. civ. n. 796/1989

La presunzione di comunione del muro di cui all'art. 880 c.c. — appartenente alla categoria delle presunzioni legali iuris tantum — presuppone l'esistenza certa di due fatti, che non possono essere a loro volta oggetto di presunzione, per il divieto della presumptio de presumpto, e cioè che si tratti di muro divisorio e che esso abbia la funzione di dividere edifici, cortili, giardini, orti o recinti nei campi, con la conseguenza che, ove sorga controversia sulla comunione di un muro (asserito divisorio dalla parte che sostiene l'esistenza della comunione al fine di far dichiarare illegittima l'apertura di una luce ad opera del confinante) la presunzione deve ritenersi operante (con conseguente onere della controparte di provare la sua proprietà esclusiva) soltanto se è pacifica e comunque dimostrata l'esistenza dei due suddetti presupposti di fatto, mentre, in difetto, incombe alla parte che assume l'esistenza della comunione di provare la stessa.

Cass. civ. n. 6539/1985

La presunzione di comunione del muro divisorio prevista dalla norma dell'art. 880 c.c., riguarda soltanto il muro che divide entità prediali omogenee (edificio da edificio, cortile da cortile, orto da orto), e non è, quindi, operante quando trattisi di entità prediali diverse. Pertanto, detta presunzione non sussiste rispetto alla parte di muro che divide un edificio da un cortile interno di altro edificio contiguo, neppure nel caso in cui i corpi di fabbrica di quest'ultimo che circolano il cortile, si appoggiano ad altri tratti del muro stesso e debba presumersi che per tali tratti il muro sia comune.

Cass. civ. n. 4719/1977

La presunzione di comunione del muro divisorio, prevista dall'art. 880 c.c., postula l'analoga natura degli immobili confinanti (edifici, cortili, orti ecc.), ma non anche l'omogeneità della loro materiale struttura. (Nella specie, premesso il principio di cui sopra, la Suprema Corte ha ritenuto correttamente affermata dai giudici del merito l'operatività di detta presunzione, con riguardo al muro divisorio fra un fabbricato in muratura ed un capannone realizzato in legno e lamiere, ma con caratteristiche di solidità e stabilità).

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Consulenze legali
relative all'articolo 880 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

G. L. chiede
mercoledì 24/04/2024
“Salve,
Sono un architetto ed abito in un piccolo condominio in centro storico a XXX, che amministro. Abbiamo una discussione con i vicini, che ci chiedono di partecipare a spese per un muro divisorio, al confine tra i due edifici, muro che loro ritengono solo nostro e che noi riteniamo invece in comunione. Ci hanno inviato un parere legale, che allego, che pero’ omette completamente di considerare l’esistenza di una loro trave che insiste sul muro di confine, e che a mio avviso diventa l’evidenza stessa della comunione. Allego il loro parere e quanto penso di inviare in risposta. Sarei felice di un vostro parere.
Cordialmente”
Consulenza legale i 07/05/2024
La replica che si vuole inviare alla controparte è sostanzialmente corretta. Da quello che si è capito, il parere fornito dal collega di controparte poggia su presupposti fattuali del tutto errati e non è sorretto da una adeguata analisi peritale dello stato dei luoghi.
Se infatti il muro va in realtà a delimitare i pozzi luce dei due civici confinanti viene meno uno dei presupposti su cui si fondano le argomentazioni della controparte, ovvero che tale manufatto non possa considerarsi comune in quanto divide entità prediali differenti. Al contrario, proprio la giurisprudenza citata nel parere, conferma la natura comune di detto muro in quanto esso in realtà delimita i cavedi dei rispettivi edifici.
Per giurisprudenza assolutamente costante l’art. 880 del c.c. prevede una presunzione di comunione del muro divisorio, se appunto esso divide unità prediali omogenee: tale presunzione, tuttavia, può essere vinta da prova contraria. Per tale motivo, in linea teorica controparte potrebbe ancora negare la natura comune del muro divisorio se riuscisse a reperire un titolo (tipicamente un rogito notarile), che attribuisse espressamente la proprietà di detto muro ai condomini del civico confinante.

Dalla documentazione fornita a corredo, si evince come i due palazzi siano di costruzione estremamente remota: ciò fa sì che la reperibilità di una tale prova (se mai è esistita), sia con ogni probabilità impossibile. Tale circostanza, a parere di chi scrive, pone il condominio da Lei amministrato in una posizione di sicuro vantaggio in un ipotetico contenzioso: in un tale contesto, infatti, incomberebbe proprio nella controparte l’onere di superare la presunzione introdotta dall’art. 880 del c.c., provando che il muro divisorio sia in realtà un bene in proprietà esclusiva della controparte; ma, per le argomentazioni che già si sono esplicitate, tale compito appare estremamente arduo.

Vi è poi un altro elemento che induce ulteriormente a pensare che il muro in questione sia in comune tra i due edifici, ed è appunto la presenza di questa trave portante, da Lei opportunamente citata nella sua lettera di replica, assieme all’ art. 884 del c.c.. Tale norma prevede appunto il diritto per il proprietario confinante di innestare travi sul muro adiacente, diritto che sussiste nel solo caso in cui il muro possa considerarsi un manufatto comune, ed è proprio qui che, a parere di chi scrive, la posizione della controparte può ulteriormente complicarsi.

Ammesso e non concesso, infatti, che controparte riuscisse a dimostrare di non essere proprietario del muro su cui è innestata una sua trave portante, si dovrebbe anche ammettere che egli ha in realtà usucapito una servitù insistente sul fondo servente del vicino (il condominio amministrato dall’ autrice del quesito), che gli ha consentito di costruire in deroga alle distanze legali previste dagli artt. 873 e ss. del c.c. Ma se così fosse, troverebbe anche applicazione quanto previsto dall’art. 1069 del c.c., norma che obbliga il proprietario del fondo dominante (quindi proprio la controparte) a realizzare sul fondo servente tutte le opere necessarie alla conservazione della servitù. Per il tramite dell’istituto della servitù, vi sarebbe quindi sempre la possibilità di pretendere che la controparte partecipi pro quota alla manutenzione del muro su cui sarebbe innestata una sua trave portante.
Concludendo, comunque si voglia guardare questa vicenda, vi sono buone argomentazioni a sostegno delle ragioni del condominio da Lei amministrato.


E. B. chiede
martedì 26/09/2023
“Buongiorno,
con la presente vorrei formulare un quesito circa un muro di confine che necessità di essere messo in sicurezza attraverso un rafforzamento dello stesso.
Questo muro divide due proprietà. La prima (A)si trova a livello strada e la seconda (B) più in basso a seguito di uno scavo effettuato in fase di costruzione per poter predisporre i box del palazzo.
Il muro che parrebbe di contenimento per la proprietà più in alto, in realtà è stato creato a seguito della scavo dell'edificio confinante, che risulta più in basso.
Come funziona la ripartizione dei costi del rifacimento del muro o del suo eventuale rafforzamento.
Come dovrebbe avvenire la ripartizione tra (A) e (B).

Grazie
Cordialmente

Consulenza legale i 29/09/2023
Ai sensi dell’art. 880 del c.c. il muro che serve da divisione si presume comune fino alla sua sommità o in caso di altezze ineguali fino al punto in cui uno degli edifici comincia ad essere più alto. Tale presunzione semplice di comunione del muro divisorio può essere vinta in due modi: dimostrando un titolo (tipicamente un rogito notarile) che dimostri la proprietà esclusiva del muro divisorio a favore di uno dei confinanti; oppure, nel caso in cui il muro divida orti, cortili, giardini o vi siano recinti nei campi, vi siano nel muro divisorio degli spioventi: in questo caso, ai sensi del successivo art. 881 del c.c., il muro si presume di proprietà del confinante verso cui pende il piovente.

Tuttavia, in assenza di ulteriori elementi, nel caso specifico deve necessariamente operare la presunzione di cui all’art. 880 del c.c. Visto che, a quanto ci è dato sapere, non vi sono titoli particolari che disciplinano la comunione, ai sensi dell’art. 1101 del c.c. le quote di tale comunione devono presumersi pari al 50 % per entrambi i confinanti: pertanto ai sensi del successivo comma 2° dell’art. 1101 del c.c. e dell’ art. 1104 del c.c. le spese di manutenzione del muro comune devono essere sostenute da ciascun comproprietario nella misura di una metà.


F. R. chiede
mercoledì 07/06/2023
“Il confine tra il mio terreno e quello del vicino è delimitato da un muretto divisorio in blocchi di arenaria incementati alto circa 30 cm, sul quale poggiano paletti in ferro che sorreggono una rete metallica alta circa 1,50.
Il muretto e la rete, per una lunghezza di circa m 7,20, sono stati costruiti a mie spese e sul mio terreno 30 anni fa, mentre la restante parte, di circa m 8, è stata costruita circa 18 anni fa in comune da me e dal precedente proprietario del terreno confinante.
Circa un mese fa il confinante ha legato alla rete metallica dal suo lato e per tutto la lunghezza della rete, una stuoia in plastica di pari altezza della rete, senza richiedere il mio consenso.
Pertanto desidero sapere se egli ha il potere di modificare unilateralmente la recinzione, considerato che:
a) raffiche di vento piuttosto sostenute possono senz’altro piegare o addirittura sradicare sia i paletti di sostegno che la rete metallica a causa della aumentata resistenza al ventol;
b) subisco una intollerabile alterazione estetica della recinzione;
c) subisco una diminuzione di aria e luce.
Nel caso che l’operato del vicino sia illegittimo, desidero inoltre sapere che tipo di azione giudiziaria conviene intraprendere al fine di ottenere un più rapido accoglimento delle mie ragioni.”
Consulenza legale i 13/06/2023
La norma in forza della quale si ritiene che il vicino abbia deciso di porre in essere il comportamento che si vorrebbe contestare è l’art. 880 c.c., il quale sancisce una presunzione di comunione del muro che serve di divisione tra edifici nonché tra cortili, giardini e orti o tra recinti nei campi.
La presunzione di comunione posta da tale norma è volta sostanzialmente a limitare le liti che potrebbero sorgere tra vicini, per l'estrema difficoltà di accertare, nei singoli casi, la proprietà del muro divisorio.

Trattasi di presunzione c.d. iuris tantum, la quale, per consolidato orientamento giurisprudenziale, può essere vinta soltanto dalla prova che il muro è stato costruito interamente sul suolo di proprietà esclusiva di uno dei due confinanti.
Tre sono i presupposti richiesti per l’operatività della presunzione di comunione del muro divisorio (così Cass. n. 6678/1999), e precisamente:
1) che sorga su un suolo comune ad entrambi i proprietari confinanti.
Perché un muro sia divisorio deve sorgere sul confine tra i due fondi; se invece esso sorgesse per intero su un fondo, verrebbe meno il fondamento della presunzione, perché mancherebbe la possibilità della costruzione a spese comuni. Nel caso in cui il muro sia divisorio solo per un tratto, la presunzione varrà solo per questo tratto e non per la restante parte.

2) che serva di divisione tra edifici, cortili, giardini e orti appartenenti a proprietari diversi.
La presunzione di comunione opera solo se si tratti di muri divisori tra gli immobili indicati nel 2° co.: l'enumerazione deve ritenersi tassativa e non può estendersi ad altri casi, trattandosi di presunzione che opera in deroga ai principi generali delle prove.

3) che manchino su di esso sporti e simili o altri elementi contrari indicati dall'art. 881 del c.c..

Nel caso di comunione del muro divisorio ciascuno dei comproprietari va considerato come proprietario, sia pure pro quota, dell'intero muro e del suolo ad esso sottostante in ogni sua parte, e non invece come proprietario esclusivo di una metà del muro. La linea di confine non si identifica pertanto con la linea mediana del muro, ma con il muro comune in tutta la sua estensione e ampiezza (così Cass. n. 340/1980).

Ebbene, nel caso in esame non vi può essere alcun dubbio sulla ricorrenza dei presupposti di cui ai superiori nn. 2) e 3), mentre è soltanto sul presupposto di cui al n. 1) che potrebbe portarsi avanti un’eventuale azione volta a contrastare il comportamento arbitrariamente posto in essere dal confinante.
Si tratterebbe, infatti, come viene detto nel quesito, di riuscire a dimostrare che quel muro, o almeno una parte dello stesso, è stato realizzato su proprio suolo ed a proprie spese.
Tale prova consentirebbe di farne venir meno la presunzione di comunione, con evidente e conseguente illegittimità dell’atto materiale posto in essere dal confinante.
Per quanto concerne le forme di tutela, a parte una preventiva e necessaria lettera con la quale diffidare il vicino a rimuovere la stuoia in plastica in quanto apposta su un muro di proprietà altrui, sarà possibile agire in giudizio con un’azione possessoria, e precisamente con l’azione di manutenzione del possesso ex art. 1170 del c.c. c.c., azione esperibile entro il termine di un anno dal compimento dell’atto lamentato e per la quale sarà necessario avvalersi del patrocinio di un legale.

Gaetano F. chiede
lunedì 10/06/2019 - Sicilia
“Buonasera 5 anni fa ho acquistato una casa singola confinante con un'altra unità sempre singola, le due case molto anni addietro facevano capo ad un unico terreno, il proprietario li divise con un muro di recinzione di circa 2,5 e vendette la proprietà che a distanza di circa 40 anni oggi è di mia proprietà.
Adesso nella proprietà accanto la mia ci sta il figlio del vecchio proprietario di tutto il terreno che ha alzato tutto il muro, senza mio permesso, di circa 30/40 cm.
Appena io mi sono appellato lui ha asserito che il muro è di sua proprietà esclusiva perché è atto fatto dal padre prima di vendere la proprietà dove sto oggi io.
La domanda è: i muri di confine non sono di proprietà al 50% dei due lotti confinanti?
E poi dato che lui facendo lavori ha scoperchiato dei fogli di guaina messi a impermeabilizzare parte del muro in questione dove vi è la mia veranda, posso inviargli una diffida cautelativa nel caso la pioggia mi porti umidità?
Attendo Vs
Grazie”
Consulenza legale i 14/06/2019
Il quesito posto richiede di affrontare due diverse problematiche, che verranno esaminate separatamente.
Primo problema è quello di capire se il muro che divide le due proprietà sia di titolarità esclusiva di uno dei due confinanti o se si tratti di muro comune.
Per stabilire ciò occorre richiamare le norme a tale riguardo dettate dal codice civile, ed in particolare il riferimento va fatto agli articoli 880 e 881 c.c.
L’art. 880 del c.c. detta in effetti una presunzione di comunione del muro che serve da divisione fra edifici, giardini, cortili, orti o tra recinti nei campi.
Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, trattasi di una c.d. presunzione iuris tantum, la quale può essere vinta soltanto da prova contraria.
Affinché tale presunzione possa operare, occorre che ricorrano tre diversi presupposti, ossia:
  1. che il muro sorga su suolo comune ad entrambi i proprietari confinanti;
  2. che serva di divisione fra proprietari diversi;
  3. che lo stesso non presenti sporti, pioventi o altri elementi simili, quali risultanti dal successivo art. 881 del c.c..

Una precisazione si rende a questo punto necessaria: affinché possa operare la presunzione prevista dall’art. 880 c.c. e, dunque, ritenersi il muro comune, occorre che vi sia l’esistenza certa dei presupposti appena elencati, non essendo consentito che questi possano essere a loro volta oggetto di presunzioni (non è ammissibile la c.d. praesumptio de praesumpto).
In questo caso, invece, nessuna certezza sembra esservi in ordine al primo dei requisiti, ossia sul fatto che il muro sorge su suolo comune.
Sarebbe necessario, a tal fine, conseguire la prova di ciò, la quale può essere raggiunta in primo luogo (essendo la volontà tra le parti sovrana) da un esame accurato del titolo di acquisto del proprio immobile, il quale dovrebbe espressamente avere ad oggetto anche la comproprietà del muro (da cui ne consegue, implicitamente, la comunionedel suolo su cui esso sorge).

Qualora il titolo di proprietà nulla dica al riguardo, non resta altra soluzione che quella di dover ricorrere ad un accertamento per mezzo di un tecnico di propria fiducia, il quale dovrà effettuare delle misurazioni ben precise, onde verificare se nella propria particella o particelle vi sia compresa anche la parte di suolo occupata dal muro.
Allo stato attuale delle cose, non essendosi in possesso di alcuna prova da cui possa farsi risultare che quel muro è costruito su suolo comune, e stando a ciò che viene riferito nel quesito, è difficile poter far valere la presunzione di comunione del muro di cui al summenzionato art. 880 c.c.
Infatti, trattandosi di muro già esistente al momento dell’acquisto del proprio immobile e considerato che l’acquisto è successivo al frazionamento di un lotto di terreno appartenente ad unico proprietario, risulta fin troppo facile dimostrare che quel muro è stato realizzato su terreno in origine dello stesso unico proprietario e che non può mai esser stato realizzato a spese comuni (altro requisito indispensabile per sostenerne la comunione).

Sia la dottrina che la giurisprudenza, infatti, sono dell’opinione che la presunzione prevista da tale norma viene meno quando risulta che il muro non è a cavallo del confine, ma entro il confine del terreno cintato, oltre al caso della sussistenza di segni materiali che dimostrano l’esclusiva proprietà del muro (pioventi, pluviali, incavi, e opere simili, quali previsti dall’art. 881 c.c.).

Quanto fin qui detto vale per la situazione proprietaria del muro.
Discorso diverso va fatto, invece, per la lamentata attività di innalzamento di tale muro di circa 30-40 cm, attività posta in essere senza alcuna preventiva comunicazione e/o autorizzazione da parte dell’altro confinante, ossia colui che pone il quesito.
Ebbene, anche per ciò non vi può essere nulla da eccepire, in quanto trattasi di ipotesi anch’essa espressamente prevista dal codice civile ed in particolare dall’art. 885 c.c.
Infatti, tale norma, anche nell’ipotesi in cui il muro fosse comune, legittima uno qualsiasi dei comproprietari ad innalzare il muro, dovendo tuttavia assumere su di sé tutte le spese di costruzione e conservazione della parte sopraedificata.
Al vicino, qualora fosse comproprietario del muro, compete soltanto il diritto di rendere anche quella parte di muro comune ex art. 874 del c.c..
Per quanto concerne i limiti di altezza, dall’art. 876 del c.c. si ricava che il muro di cinta non può avere altezza superiore a tre metri, e sembra che qui, malgrado la sopraelevazione, tale altezza sia stata rispettata.

Passiamo adesso ad analizzare l’altra problematica, ossia quella relativa ai danni che potrebbero derivare alla propria veranda dall’avere il vicino alterato parte della impermeabilizzazione che protegge il muro in corrispondenza di essa.
E’ naturale che, qualora dovessero verificarsi dei danni da infiltrazioni il vicino sarebbe tenuto a risponderne ex art. 2053 del c.c., norma che disciplina appunto l’ipotesi in cui si verifichino dei danni dovuti a difetto di manutenzione di un edificio.
Dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che per edificio deve intendersi qualsiasi opera umana artificiale o naturale, connessa al suolo anche in via provvisoria, nonché qualsiasi singola parte incorporata materialmente e stabilmente alla cosa principale, tale da costituirne parte integrante (un muro di cinta può dunque farsi rientrare nella nozione di edificio).
Indubbiamente la responsabilità extracontrattuale prevista da tale norma presuppone la realizzazione di un danno effettivo a carico della parte che domanda il risarcimento e non la sussistenza di un mero pericolo di rovina e/ danno, situazione, quest'ultima per la quale l'ordinamento appresta un apposito rimedio di carattere preventivo, ossia la denuncia di danno temuto, ai sensi dell'art. 1172 del c.c..
Pertanto, non essendosi nel nostro caso ancora verificato alcun danno, si ritiene che il modo migliore per comunicare con il vicino sia quello di invitarlo, con una semplice lettera non contenente una espressa diffida, a ripristinare la copertura delle impermeabilizzazione, evidenziando che da tale stato ne possono derivare facili infiltrazioni alla propria proprietà e facendogli presente che eventuali danni gli verrebbero addebitati ex art. 2053 c.c.
Qualora il vicino continui a non ottemperare a tale bonaria richiesta e si abbia certezza, anche a seguito di un confronto con un tecnico, che da quella situazione ne potrà derivare il pericolo serio e concreto di infiltrazioni alla propria veranda, sarà possibile, ancor prima che si verifichi il danno, farne denuncia all’autorità giudiziaria ex art. 1172 c.c., al fine di ottenere una pronuncia che consenta di procedere anche coattivamente alla sistemazione a regola d’arte di quella impermeabilizzazione.


EMILIO F. chiede
sabato 16/03/2019 - Lazio
“Buongiorno, sono comproprietario per 1/3 unitamente ai miei due fratelli, di un immobile sito in (omissis), ricevuto in eredità alla morte dei genitori. Tale immobile è attualmente disabitato. L'immobile è costituito da un terreno rettangolare di circa 600 mq. dove inizialmente, partendo dalla via (omissis), è stato costruito a confine di comune accordo con la parte confinante, lasciando nella parte posteriore un giardino di circa 300 mq. che risulta separato dal giardino confinante con un muro di cinta alto circa 1,80 mt.. Sia nel giardino di nostra proprietà che in quello confinante, non esistono costruzioni. Due giorni fa, mio fratello mi ha comunicato che il vicino confinante, che peraltro è anche un parente, ha abbattuto il muro di cinta per circa 7/8 metri di lunghezza, lasciandone soltanto 3 o quattro metri nella parte finale del giardino, e predisponendo sul suo terreno un telaio in ferro per il contenimento del calcestruzzo. Sono venuto a conoscenza che sarebbe già in possesso di un "permesso a costruire" di un manufatto di un'altezza fino a tre metri partendo dal confine della nostra proprietà dove insisteva il muro di cinta che è stato abbattuto. Non sappiamo all'epoca se il muro è stato costruito in comproprietà. Comunque, quello che chiedo, il vicino poteva abbattere il muro di cinta senza avvertirci e può costruire sul confine senza il nostro consenso? Sono in possesso delle foto che dimostrano l'abbattimento del muro e la separazione dei due terreni con delle tavole di legno. Attualmente i lavori sono fermi.”
Consulenza legale i 18/03/2019
In base all’art. 880 c.c., il muro di cinta si presume comune ai proprietari di due fondi confinanti, anche quando “serve di divisione tra cortili, giardini e orti o tra recinti nei campi”.
In base al successivo art. 881 c.c. , si presume che il muro divisorio tra i campi, cortili, giardini od orti appartenga al proprietario del fondo verso il quale esiste il piovente e in ragione del piovente medesimo.

Nella presente vicenda, viste le foto dei luoghi, ci sembra che si possa parlare di muro divisorio in comproprietà.

Ciò posto, il comproprietario del muro non è ovviamente legittimato ad abbattere arbitrariamente il muro di cinta preesistente per crearne uno nuovo a suo piacimento all’insaputa degli altri comproprietari (come è accaduto nella presente vicenda).
Infatti, per giurisprudenza costante: “La comunione del muro divisorio non va intesa nel senso che ciascuno dei comproprietari abbia la proprietà assoluta della metà del muro (e del suolo) secondo una linea mediana ideale, da considerarsi come linea di confine delle proprietà esclusive da esso delimitate bensì nel senso che ciascuno di essi è proprietario, sia pure pro quota, dell'intero muro, e del suolo ad esso sottostante, in ogni sua parte (identificandosi la linea di confine delle proprietà esclusive con il muro ed il suolo comune); né la demolizione di uno dei due edifici confinanti fa venire meno (in assenza di titolo o di giustificazione) la comunione, che può essere utilmente invocata ad ogni effetto da ciascuno dei partecipanti, con la conseguenza che il comproprietario del muro comune abbattuto arbitrariamente dall'altro comproprietario ha diritto alla costruzione del manufatto secondo le primitive sue caratteristiche, nonché al risarcimento del danno (Cass.3393/1988).

Tutto ciò premesso, la risposta alla domanda contenuta nel quesito è pertanto negativa, nel senso che il vicino non poteva manomettere di sua esclusiva iniziativa il muro di confine.
Suggeriamo, quindi, di inviare intanto una lettera raccomandata a/r (o pec) in cui si invita e diffida il vicino a ripristinare a sue spese il muro di confine come era in precedenza.
Se la diffida bonaria non sortisce effetto, occorrerà azionare una causa possessoria ai sensi dell’art. 1168 c.c. (entro un anno da quando è stato scoperto il fatto) per chiedere al giudice che, accertata la situazione di fatto, ordini il ripristino dei luoghi, oltre l’eventuale risarcimento danni.

Ferma la predetta tutela, con riguardo alla documentazione amministrativa che ci è stata trasmessa, si osserva quanto segue.
Il permesso a costruire concesso al Suo vicino pare sia relativo a dei lavori di modifica ed ampliamento del fabbricato. Per sapere cosa di preciso era stato chiesto bisognerebbe leggere il contenuto dell'istanza del permesso a costruire depositata.
Ad ogni modo, l'autorizzazione amministrativa viene sempre concessa "fatti salvi in ogni caso i diritti dei terzi", come del resto specificato in entrambi i permessi a costruire (compreso quello in variante).
Ciò significa che anche laddove il Suo vicino sia in regola con le autorizzazioni amministrative, ciò non toglie che possa aver pregiudicato un Suo diritto alterando una preesistente situazione di fatto per la quale, come sopra indicato, Lei potrà chiedere idonea tutela giudiziaria tramite ricorso possessorio.


ALESSANDRO B. chiede
lunedì 16/05/2016 - Lazio
“Richiesta parere su applicazione dell’art. 880 c.c.

Buongiorno.
Sono proprietario di un immobile composto da garage a livello strada con sopra casa di abitazione. Il fabbricato è confinante con quello del mio vicino che consiste nel solo garage . Pertanto, il mio fabbricato si innalza su quello del vicino per la parte corrispondente alla casa d’abitazione posto che i 2 garages hanno stesse altezze, stesse lunghezze e sono adiacenti.
Il vicino ha posizionato nella parte esterna del muro della mia abitazione (che si alza sul suo garage) una canna fumaria in acciaio praticando dei fori nel muro stesso per i supporti di fissaggio.
Io ritengo che non possa farlo poiché il muro è stato da me eretto mentre lui sostiene che è sua facoltà l’utilizzo del muro. Di seguito la sua ricostruzione di fatti.

Premesso che:
- nel 1980 il vicino ha edificato il suo garage posizionandone il muro all’interno del proprio terreno;
- nel 1987 è stato costruito il mio garage “in appoggio” al muro del vicino. In altre, parole non è stato fatto un contro-muro all’interno della mia proprietà ma (in base ad accordi verbali trai nostri nonni) ci è stato consentito appoggiare le pareti, in perpendicolare, al muro del vicino già esistente;
- nel 1996 è stata sopraelevata l’abitazione sopra il mio garage poggiandosi sul sottostante muro divisorio tra i 2 garages posizionato all’interno del suolo del vicino.

Alla luce di quanto sopra, il vicino sostiene che può sfruttare liberamente il muro della mia abitazione costruito in sopraelevazione, poiché poggiando, per tutta la sua lunghezza sul muro divisorio tra i 2 garages da egli realizzato parecchi anni prima all’interno del proprio terreno è come se io avessi innalzato il suo muro ricadente nel proprio suolo. Di conseguenza, può sfruttarlo liberamente.

Ciò premesso, volevo sapere:
- il vicino ha ragione anche se il muro da me sopraelevato è stato fatto interamente a mie spese?
- oppure se, nel caso di specie, possa ricorrere l’applicazione dell’art. 880 c.c. in base al quale il muro si presume comune finché l’altezza di due edifici è identica mentre è esclusa per la parte in cui uno si eleva rispetto all’altro. Di conseguenza, la parte di muro che ho sopraelevato a mie spese non potrebbe essere sfruttata da altri in quanto di mia esclusiva pertinenza?

In particolare, con riferimento all’art. 880 c.c. vorrei sapere se, al caso di specie, possa applicarsi la sentenza della Cassazione n. 111628/1994 atteso che il mio garage è stato costruito “in appoggio” a quello del vicino nel 1987 e la sopraelevazione del muro divisorio tra garages (ancorché posizionato nel suolo del vicino) è stata fatta nel 1996 in occasione della costruzione dell’abitazione.
Ad ogni buon fine riporto uno stralcio della citata sentenza:

“…E’ ius receptum, invece, che detta presunzione è di carattere squisitamente relativo e spiega, quindi, la sua piena operatività - fino a rendere irrilevante, nel caso di muro separante due edifici, l'eventuale anteriorità di uno di questi rispetto all'altro - soltanto in mancanza di prova contraria, cioè quando non risulti, altrimenti, che il muri rientra nel dominio esclusivo di uno dei confinanti in forza di uno qualunque dei modi di acquisto, originario o derivativo, della proprietà immobiliare (v., tra le tante, le sentenze 1/2/1958 n. 594, 7/7/1966 n. 1784, 20/2/1963 n. 408, 20/6/1977 n. 2590). E tra i modi originari si annovera senza dubbio l'accessione in virtù della quale, a norma dell'art. 934 cod. civ., "qualunque piantagione, costruzione od opera esistente sopra e sotto il suolo appartiene al proprietario di questo, salvo quanto è disposto dagli artt. 935, 936, 937 e 938 e salvo che risulti diversamente dal titolo o dalla legge", sicché a vincere la presunzione in parola è sufficiente anche l'accertamento che il muro con funzione divisoria (originaria o sopravvenuta che sia) è stato costruito nella sua interezza su una sola delle aree contigue, sempre, beninteso, che non sia intervenuto successivamente un titolo pattizio o l'usucapione a mutare tale situazione giuridica”

Alla luce della sentenza, mi pare di capire… che anche in presenza di muro ricadente nel suolo del vicino, l’art. 880 c.c. può essere applicato laddove sia maturata l’usucapione ventennale. Quindi tenuto conto che il mio garage è stato costruito in appoggio del vicino nel 1987 e la sopraelevazione della casa è avvenuta nel 1996, vorrei sapere se sia possibile sfruttare, in qualche modo, il citato articolo per far rimuovere la canna fumaria del vicino.

Si ringrazia anticipatamente”
Consulenza legale i 23/05/2016
La sentenza richiamata nel quesito è una delle tante sul punto (tra le più recenti Cassazione civile, sez. II, 03 gennaio 2014, n. 50 e Tribunale Messina, sez. I, 10 maggio 2015, n. 1089) e stabilisce un principio ormai consolidatosi nel tempo, secondo il quale il muro che divide due edifici si presume comune fino al punto in cui uno dei due si innalza sull’altro (ai sensi dell’art. 880 c.c.); tuttavia, la presunzione non opera nel caso in cui si possa dimostrare che uno dei due edifici era preesistente all’altro e che si è costruito sopra l’allora parte di proprietà esclusiva di uno dei due proprietari, che è divenuto quindi titolare unico di tutto il muro (anche della parte sopraelevata) per effetto della regola dell’accessione (art. 934 c.c.: “Qualunque piantagione, costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario di questo (…) e salvo che risulti diversamente dal titolo o dalla legge”).

Il caso in esame rientra perfettamente nell’ipotesi di cui alla sentenza: infatti, originariamente (ovvero negli anni ’80) la nuova abitazione è stata edificata in appoggio vero e proprio sul muro del garage originario del fondo confinante, nel senso che il muro di tale garage (ed esistente su suolo di proprietà esclusiva del vicino) è stato sfruttato (con il consenso dell’allora nonno di quest’ultimo) quale muro anche di una nuova abitazione.

Ciò, si noti bene, non ha determinato una comunione forzosa, ma il muro è rimasto di proprietà dell’originario titolare (il vicino) e, di conseguenza, anche quando nel 1996 si è sopraelevato, la nuova parte di muro è diventata del vicino per effetto del principio dell’accessione di cui all’art. 934 c.c..

Il fatto che il muro sia stato costruito a spese esclusive di uno dei due proprietari non rileva, purtroppo, sulla proprietà dello stesso.

Peraltro, nel caso di specie non sembra neppure operare l’istituto dell’usucapione, dal momento che quest’ultima richiede il possesso continuo ed ininterrotto per vent’anni dell’immobile con l’intenzione di possedere quale proprietario esclusivo: così non è, dal momento che non vi è stato un possesso esclusivo da parte del proprietario dell’abitazione “sopraelevata” sull’immobile (muro) in questione, da intendersi – si noti bene – come immobile nel suo complesso, ovvero tutto il muro, da terra fino alla parte più alta seguita alla sopraelevazione.

In definitiva, quindi, il vicino non potrà essere obbligato a togliere la canna fumaria dal muro perché è nel suo pieno diritto utilizzarlo in quanto proprietario esclusivo.

Si noti bene, in ogni caso, che quand’anche si potesse ipotizzare una situazione, del tutto diversa, di comproprietà su tutto il muro nel suo complesso, il vicino avrebbe in ogni caso il diritto di mantenere il manufatto realizzato.
Esiste, infatti, una giurisprudenza consolidata proprio in merito alla fattispecie dell’installazione di una canna fumaria sul muro comune, e che si fonda sull’art. 1102 c.c. (“Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa. (…)”), in forza della quale l’installazione non solo è consentita, perché rientra tra i poteri del comunista ed è nel pieno rispetto dei limiti di legge, ma non è neppure soggetta ai vincoli sulle distanze legali tra edifici.

Si citano sul punto T.A.R. Firenze, (Toscana), sez. III, 28/10/2015, n. 1475, secondo la quale: “Il diniego di sanatoria edilizia avente ad oggetto l'installazione di una canna fumaria su facciata condominiale non può avere come unica motivazione il fatto che la facciata stessa non sia di esclusiva proprietà del richiedente, in quanto l'art. 1102 cod. civ. (relativo all'uso della cosa comune) va interpretato nel senso che il singolo condomino può apportare al muro comune perimetrale, senza bisogno di consenso degli altri partecipanti alla comunione, tutte le modificazioni che consentano di trarre dal bene comune una particolare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini, ivi compreso l'inserimento nel muro di elementi estranei posti a esclusivo servizio della sua porzione, purché non impedisca agli altri condomini l'uso del muro comune e non ne alteri la normale destinazione con interventi di eccessiva vastità. Il provvedimento di diniego motivato con esclusivo riguardo alla circostanza che l'interessato richiedente non è proprietario esclusivo della facciata (senza fare riferimento alcuno alla violazione dei limiti sostanziali ex art. 1102 c.c.) è quindi illegittimo, in quanto di per sé la contitolarità del bene non preclude la possibilità per ogni condomino di utilizzare il bene stesso e apportarvi modifiche.”, ancora Tribunale Trento, 16/05/2013, n. 432, per il quale “In materia condominiale costituisce opera lecita l'installazione di una canna fumaria sulla facciata comune, consentita ai sensi dell'art. 1102 c.c. Per costante orientamento della giurisprudenza, infatti, l'appoggio di una canna fumaria al muro comune perimetrale di un edificio condominiale, integra una modifica della cosa che ciascun condomino può apportare a sue cure e spese, sempre che non impedisca l'altrui paritario uso, non rechi pregiudizio alla stabilità e alla sicurezza dell'edificio e non ne alteri il decoro architettonico. L'esecuzione di tale opera non costituisce innovazione ma una modifica lecita finalizzata all'uso migliore e più intenso previsto dall'art. 1102 c.c., conforme alla destinazione del muro perimetrale che ciascun condomino può legittimamente apportare a sue spese, se non impedisce agli altri condomini di farne un pari uso, non pregiudichi la stabilità e la sicurezza dell'edificio e non ne alteri il decoro”, ed infine Cassazione civile, sez. II, 25/09/2012, n. 16306, per la quale In tema di condominio negli edifici, qualora uno dei condomini agisca in giudizio per ottenere l'ordine di rimozione di una canna fumaria posta in aderenza al muro perimetrale dell'edificio, la liceità dell'opera, realizzata da altro condomino, deve essere valutata alla stregua di quanto prevede l'art. 1102 c.c., secondo cui ciascun partecipante alla comunione può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso, non rilevando, a contrario, la disciplina dettata dall'art. 907 c.c. sulla distanza delle costruzioni dalle vedute, atteso che la canna fumaria non è una costruzione, ma un semplice accessorio di un impianto.”.

F. B. chiede
mercoledì 13/07/2022 - Lazio
“MURO DI CINTA (E SERVITU' DI VEDUTA)

Ho acquistato due anni fa un fabbricato con annesso terreno. Il fabbricato è attualmente oggetto di ristrutturazione edilizia e parte del terreno sarà destinato a corte del fabbricato ristrutturato.
Esiste un muro sul confine col vicino che separa il suo cortile e il mio terreno. Il muro è presumibilmente comune (nessun caratteristiche che indichi una proprietà esclusiva); per un tratto ha un’altezza variabile tra 1 e 1,5 m (a causa della pendenza del terreno) mentre per la parte rimanente ha altezza di 1,5 m. Lo spessore è di 40 cm ed è realizzato in muratura di pietrame.
In corrispondenza della parte meno alta del muro il vicino, circa un anno fa, per ragioni presumibilmente di privacy, ha installato sulla sommità del muro una rete metallica con telo verde coperto con una pianta rampicante. Ciò senza dare a me alcuna comunicazione (credo lo possa fare).
Il vicino ha ampliato circa 40 anni fa il suo fabbricato. A seguito dell’ampliamento, l’attuale fabbricato risulta a distanza dalla parete “interna” (quella rivolta verso la sua corte) del muro di confine, di 160 cm (per un primo tratto) di 380 cm (per un secondo tratto) e di 86 cm per un terzo tratto (ovvero distanze dalla mezzeria del muro di confine pari a: i) 180 cm per un primo tratto; ii) 400 cm per un altro tratto e iii) di 106 cm per un terzo tratto). La foto allegata alla email rende – mi auguro – più chiara la configurazione.
Su tali tratti esistono delle finestre e una porta al piano terra, mentre al piano 1 e al piano 2 c’è un balcone per quasi tutta l’estensione della facciata del fabbricato prospiciente la mia proprietà. Ciò determina una distanza delle sue vedute (le finestre e la porta al piano terra) dalla mezzeria del muro di confine di soli 106 cm, 180 cm e 400 cm (ovvero 86+40= 126 cm, 160+40= 200 cm e 380+40 = 420 cm rispettivamente, dalla parete “esterna” - quella rivolta verso il mio terreno- del muro di confine).
Per ragioni di sicurezza e privacy vorrei innalzare il muro esistente (fornendogli le caratteristiche di muro di cinta) fino all’altezza di 3 m dal piano campagna del mio terreno (la corte del vicino si trova per un tratto alla stessa quota del mio piano campagna e - per un tratto più limitato - a quota inferiore di circa 50 cm).

Chiedo se sia possibile farlo, innalzando il muro con spessore pari a metà del muro esistente e sostenendo integralmente le spese, o se il vicino possa impedire l’innalzamento invocando una servitù di veduta?
Qualora fosse questo il caso (servitù di veduta) quale azione posso intraprendere? Posso innalzare il muro in corrispondenza delle distanze delle vedute al piano terra di 180 cm e 400 cm, ma mantenendo inalterata l’attuale altezza in corrispondenza della veduta distante solo 106 cm?
La eventuale servitù di veduta costituita dal balcone al piano primo e al piano secondo (con distanza dalla mezzeria del muro di confine di 106 cm) mi impedisce di innalzare il muro ??
In caso di servitù di veduta, quali provvedimenti (per esempio piantumazione di siepe con altezza di 2,50 m a distanza 50 cm dal confine?) potrei utilizzare, in alternativa la muro di cinta, per assicurare sicurezza e privacy alla mia proprietà?
Ringrazio per la cortese risposta.”
Consulenza legale i 20/07/2022
Per rispondere al quesito occorre innanzitutto stabilire se il muro di cui trattasi sia effettivamente comune.
Al riguardo l'art. 880 del c.c. prevede una presunzione di comproprietà del muro sul confine, stabilendo che “il muro che serve di divisione tra edifici si presume comune fino alla sua sommità e, in caso di altezze ineguali, fino al punto in cui uno degli edifici comincia ad essere più alto”; ai sensi del secondo comma della norma, si presume comune anche il muro che serve di divisione tra cortili, giardini e orti o tra recinti nei campi.
In proposito la giurisprudenza (Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 6678 del 28 giugno 1999) ha precisato che “un muro di recinzione di un fondo si presume comune al proprietario di quello limitrofo se: 1) sorge su suolo comune ad entrambi i confinanti proprietari; 2) divide, conformemente alla sua funzione, entità prediali omogenee tra loro (quali edifici, cortili, etc.), appartenenti a diversi proprietari; 3) mancano sporti e simili o altri elementi contrari, indicati dall'art. 881 c.c.".
Ciò premesso, l'art. 885 del c.c. attribuisce a ciascun comproprietario il diritto di sopraelevare il muro comune; nel caso in cui lo faccia, però, saranno a suo carico tutte le spese di costruzione e conservazione della parte sopraedificata. Tuttavia, la parte sopraelevata può a sua volta essere resa comune dal vicino secondo il disposto dell’art. 874 del c.c. (che disciplina la comunione forzosa del muro sul confine).
Sempre l’art. 885 c.c. detta regole per la ripartizione delle spese nel caso in cui si renda necessario ricostruire o rinforzare il muro (se questo non è adatto a sostenere la sopraelevazione): i relativi costi sono a carico di chi esegue l’innalzamento. Inoltre, se è necessario aumentare lo spessore del muro, questo andrà realizzato sul suolo di chi effettua la sopraelevazione (salvo che esigenze tecniche impongano di costruirlo sul fondo confinante: in questo caso il vicino ha diritto di conseguire anche il valore della metà del suolo occupato per il maggiore spessore). Il muro ricostruito o ingrossato resta comunque di proprietà comune, e il vicino deve essere indennizzato di ogni danno prodotto dall'esecuzione delle opere.
Attenzione, però, perché nel quesito si parla di sopraelevare il muro fino a conferirgli le caratteristiche di un muro di cinta (dunque di altezza pari a tre metri): ora, l'art. 886 del c.c. prevede che ciascuno possa costringere il vicino a contribuire per metà nelle spese di costruzione di muri di cinta che separano le rispettive case, i cortili e i giardini situati negli abitati.
Tuttavia, la giurisprudenza ha chiarito che "il proprietario di un fondo, che innalzi il muro di confine sino a portarlo all'altezza di tre metri ex art. 886 cod. civ., sopporta per intero le spese di sopraelevazione e non può pretendere che vi concorra il proprietario del fondo contiguo, atteso che quest'ultimo, ai sensi degli artt. 874 e 885 cod. civ., ha soltanto la facoltà, e non l'obbligo, di entrare in comunione della parte sopraedificata" (Cass. Civ., Sez. II, sentenza 21/02/2012, n. 2485).


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