Cass. civ. n. 28804/2018
In tema di apertura di luci irregolari nel muro divisorio tra proprietà confinanti, bisogna distinguere se esse siano state realizzate sul manufatto di proprietà esclusiva di colui che compie tale attività e, quindi, "iure proprietatis", ovvero sul muro comune o di proprietà esclusiva del confinante e, pertanto, "iure servitutis", poiché solo in quest'ultima ipotesi il diritto a mantenere la relativa servitù può essere acquisito per usucapione. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la decisione di appello che aveva affermato la non usucapibilità di una servitù di luce, prescindendo dalla concreta individuazione del regime dominicale del muro sul quale detta luce era stata aperta).
Cass. civ. n. 5594/2016
In tema di distanze tra costruzioni su fondi finitimi, ai sensi dell'articolo 873 c.c., con riferimento alla determinazione del relativo calcolo, poiché il balcone, estendendo in superficie il volume edificatorio, costituisce corpo di fabbrica, e poiché l'articolo 9 del D.M. 2 aprile 1968 - applicabile alla fattispecie, disciplinata dalla legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150, come modificata dalla legge 6 agosto 1967 n. 765 - stabilisce la distanza minima di mt. 10 tra pareti finestrate e pareti antistanti, un regolamento edilizio che stabilisca un criterio di misurazione della distanza tra edifici che non tenga conto dell'estensione del balcone, è contra legem in quanto, sottraendo dal calcolo della distanza l'estensione del balcone, viene a determinare una distanza tra fabbricati inferiore a mt. 10, violando il distacco voluto dalla c.d. legge ponte (legge 6 agosto 1967 n. 765, che, con l'articolo 17, ha aggiunto alla legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150 l'articolo 41 quinquies, il cui comma non fa rinvio al D.M. 2 aprile 1968, che all'articolo 9, numero 2, ha prescritto il predetto limite di mt. 10).
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In tema di distanze tra costruzioni, la facoltà, evincibile dall'art. 903 c.c., di trasformare una veduta illegittima in luce è esercitabile a condizione che anche quest'ultima sia aperta lungo il medesimo muro preesistente, non essendo altrimenti consentita la trasformazione dell'una apertura nell'altra. (Nella specie, la S.C. ha escluso che una veduta esercitata attraverso un balcone posto a distanza inferiore a quella ex art. 905, comma 2, c.c. potesse essere eliminata e trasformata in luce, mediante la creazione "ex novo" di muri di tamponamento sui tre lati del balcone medesimo).
Cass. civ. n. 13649/2007
In caso di apertura di luci nel muro divisorio tra proprietà confinanti, da considerarsi comune ai sensi dell'articolo 880 c.c., deve applicarsi il disposto dell'articolo 903 c.c., il quale, oltre a consentire, al primo comma, l'apertura al proprietario di luci nel muro proprio che sia contiguo al fondo altrui, stabilisce, al secondo comma, come regola di ordine generale, che «se il muro è comune, nessuno dei proprietari può aprire luci senza il consenso dell'altro». Di conseguenza, il diritto a mantenere le luci può essere in tale ipotesi diversamente acquisito solo
iure servitutis.
Cass. civ. n. 2159/2002
Nel caso di apertura di veduta abusiva, l'offerta, purché seria, di sanare la violazione mediante la trasformazione della medesima in luce non può essere disattesa dal giudice, in quanto tale trasformazione, comunque sempre praticabile ai sensi dell'art. 903 c.c. e con le caratteristiche di cui al precedente art. 901 c.c., si risolve nell'eliminazione della veduta abusiva, con conseguente restaurazione del diritto del vicino da essa leso.
Cass. civ. n. 738/2000
La facoltà di apertura e mantenimento di luci in un solaio frapposto tra due unità immobiliari l'una soprastante l'altra e comprese in uno stabile condominiale resta subordinata, a mente dell'art. 903 comma secondo c.c. (norma dettata in tema di muro divisorio ed applicabile nella specie attesa l'analogia tra le funzioni del muro stesso e del solaio) al consenso di tutti i comproprietari, con la conseguenza che il diritto a mantenere le luci stesse può essere
aliunde acquisito soltanto
iure servitutis.
Cass. civ. n. 8611/1998
In virtù del disposto dell'art. 903 ed in applicazione dei principi generali sulla comunione, nessuno dei due proprietari può aprire luci senza il consenso dell'altro manifestato per iscritto.
Cass. civ. n. 6495/1981
Nell'ipotesi di comunione del muro divisorio fra un cortile comune ed un'area inedificata di proprietà esclusiva di uno dei comproprietari del muro, il fatto che, in prosieguo di tempo, quest'ultimo comproprietario abbia addossata al muro divisorio una sua baracca, non lo legittima, senza il consenso dell'altro comproprietario del muro, all'apertura di luci o vedute nel detto muro divisorio, stante il preciso divieto dell'art. 903 secondo comma, c.c. non essendo applicabile il regime proprio del muro perimetrale di edificio in condominio su un cortile comune, atteso che tale regime (che consente l'apertura di luci e vedute) trova la sua giustificazione nella diversa funzione del muro perimetrale di edificio in condominio, rispetto al semplice muro divisorio di due autonomi cortili e nel rapporto di complementarietà odi servizio che intercorre fra l'edificio condominiale e il cortile relativo.
Cass. civ. n. 3819/1981
Salva l'opposizione, per motivi di sicurezza o di estetica, degli altri partecipanti alla comunione, al condomino è consentito di aprire nel muro comune, sia esso maestro oppure no, luci sulla strada o sul cortile; tuttavia, qualora il muro comune assolva anche la funzione di isolare e dividere la proprietà individuale di un condomino dalla proprietà individuale di altro condomino, ricorrono anche gli estremi per l'applicabilità dell'art. 903, secondo comma, c.c., con la conseguenza che, in tal caso, l'apertura della luce resta subordinata sia alle condizioni ed alle limitazioni previste dalle norme in materia di condominio (con riguardo agli interessi riconosciuti a tutti i partecipanti alla comunione e alle regole stabilite circa l'uso delle cose comuni da parte dei singoli condomini) sia, alla stregua del secondo comma del citato art. 903 c.c., al consenso del condomino vicino, in considerazione dell'interesse del medesimo alla riservatezza della sua proprietà individuale.
Cass. civ. n. 3398/1981
Nel caso in cui si sia acquistata (nella specie, per usucapione) la comproprietà di un muro posto sul confine, la successiva sopraelevazione (muro su muro) non integra la fattispecie dell'accessione, di cui all'art. 934 c.c., a favore dell'originario unico proprietario del muro stesso, bensì quella prevista dall'art. 885, primo comma, c.c. che consente al comproprietario di innalzare il muro comune e stabilisce che la parte sopraedificata resta di sua esclusiva proprietà (fino a che il vicino non si avvalga del diritto di renderla comune), con la conseguenza che il comproprietario che ha provveduto alla sopraelevazione è facoltizzato ad aprire delle luci nella maggiore altezza del muro.
Cass. civ. n. 2732/1975
Qualora vengano aperte finestre in un incavo del muro contiguo al fondo altrui, esse debbono considerarsi — ai fini della distanza dal detto fondo — come se fossero state aperte sulla superficie del muro e non sulla parete dell'incavo: la distanza dall'altrui fondo, in altre parole, va misurata non dalla profondità dell'incavo, ma dal muro su cui l'incavo è praticato, con la conseguenza che esse finestre, ai sensi dell'art. 903 c.c., non possono avere le caratteristiche della veduta, ma debbono essere ridotte a luci.