Principii generali sulla restituzione di una cosa determinata
Gli art.
2037 e 20o38 contengono le norme speciali della ripetizione d' indebito quando sia diretta alla restituzione di una cosa determinata. E premesso, in principio, l'obbligo che la cosa determinata, indebitamente ricevuta, dev'essere restituita, ne configurano, poi, le ipotesi del perimento del deterioramento e dell'alienazione, fissandone diverse conseguenze legate a diverse ipotesi.
Cosa — nella sua più larga accezione — è tanto un immobile quanto una
res mobile nella entità oggettiva. Determinata, materialmente individuata, o individuabile, ed esistente anche al tempo della domanda.
Il presupposto del suo indebito ricevimento si riferisce ad entrambe le figure dell' indebito oggettivo e soggettivo; ed ha soltanto riguardo atto materiale della detenzione della cosa da parte dell'accipiente indipendentemente dal titolo (proprietà, possesso, ecc.) per il quale egli ebbe a conseguirla.
Così dalla stessa constatazione dell'avvenuta indebita acquisizione della cosa consegue l'obbligo della sua restituzione.
L'obbligo è assoluto, cogente, inderogabile finché sussiste la possibilità di restituire la cosa in natura, cioè nelle stesse materiali condizioni nelle quali fu ricevuta: e perciò è irrilevante ogni ricerca sullo stato soggettivo (buona o mala fede) nel quale versava l'accipiente all'atto del ricevimento. Tuttavia lo stato di malafede dell'accipiente importa, oltre la restituzione, anche il risarcimento dei danni. La ricerca diviene, invece, particolarmente rilevante quando si versi in taluna delle eccezioni come sopra previste dalla legge (perimento, deterioramento, alienazione), perché, come si dirà, diversi sono gli effetti che vi corrispondono.
Non è detto a chi la restituzione della cosa dev' essere effettuata. Ma poiché l'azione per la ripetizione dell' indebito è data, in principio, a chi ebbe ad eseguire il pagamento non dovuto, così egli stesso resta legittimato ad esperire l'azione diretta a ottenere la restituzione della cosa che fu l'oggetto del pagamento.
Tale interpretazione che prescinde, dunque, dalla qualità di proprietario della cosa, in colui al quale è riconosciuta l'azione, trova conforto anche nella discussione ché fu fatta sulla formula del progetto e che determinò il testo dell'
art. 2037 del c.c. definitivamente adottato.
I principii sopra esposti non possano essere comprensivi anche dell' ipotesi in cui la cosa, pur potendosi considerare esistente nella sua originaria entità, tuttavia lo è in tali condizioni da non più adempiere alla originaria funzione cui era, per sua natura, destinata.
Eccezioni: a) Perimento della cosa
Il perimento della cosa realizza la prima eccezione all'obbligo della sua restituzione.
A tale obbligo viene sostituita una forma di risarcimento, con modalità ed estensione diverse a secondo che l'accipiente versasse in mala o in buona fede nel momento in cui ebbe a ricevere la cosa.
E cioè:
1) se versava in mala fede, è responsabile del perimento e deve corrispondere il valore della cosa — anche se il perimento ne sia avvenuto per caso fortuito. La determinazione del valore dovrà essere in relazione al momento in cui la cosa fu dall'accipiente ricevuta. Ma anche in tale caso, come nei casi seguenti relativi al deterioramento e all'alienazione della cosa, lo stato di mala fede dell'accipiente può giustificare — per estensione del principio sostenuto dalla già citata dottrina
— l'applicazione delle conseguenze derivanti dalla svalutazione monetaria.
2) se versava in buona fede deve ugualmente rispondere del peri-mento della cosa: ma, anche se questo sia avvenuto per suo fatto, il risarcimento non si estenderà oltre i limiti dell'arricchimento derivatone.
Perciò se la cosa era costituita da danaro, o da cose fungibili ragguagliate a danaro e quasi in luogo e vece di esso, poiché non si deve ricercare come la cosa sia perita, basterà effettuarne la restituzione nella sua quantità; se, invece, la cosa era costituita da mobili o immobili singolarmente determinati, la restituzione ne sarà limitata a quanto l'accipiente Tali limiti non potranno essere tratti che dagli elementi concreti d'ogni fattispecie riferibili al valore della cosa nel momento in cui fu ricevuta dall'accipiente, all'uso fattone, alla destinazione datale, e al vantaggio che si dimostri averne egli conseguito per effetto di quell'uso e di quella destinazione.
Così, in definitiva, si dovrà ricercare non di quanto l'accipiente sia divenuto più ricco; ma quanta parte della cosa perita — e cioè del suo valore ridotto a danaro — sia entrata nel suo patrimonio.
b) Deterioramento della cosa
Il deterioramento della cosa indebitamente ricevuta costituisce la seconda eccezione all'obbligo di restituirla.
Per il deterioramento la cosa non cessa d'esistere nella sua oggettiva, identica e sostanziale entità, ed esiste in condizioni tali d'adempiere sempre alla originaria e naturale funzione cui è destinata: ma su di essa ha influito qualcosa che ne ha diminuito il valore.
Anche in questo caso non ricorre nell'accipiente l'obbligo assoluto della restituzione: e il risarcimento posto a suo carico assume forma ed estensione diverse a seconda che versasse in mala o in buona fede al momento in in cui la cosa fu da lui ricevuta.
Così :
1) se versava in mala fede — è tenuto a corrisponderne il valore rapportato sempre al momento del ricevimento, oppure a restituire la cosa insieme a un'indennità pel diminuitone valore con riferimento al momento anzidetto.
L'alternativa per questa forma duplice di risarcimento è rimessa dalla legge al legittimato ad esperire la ripetizione dell' indebito. È, cioè, un suo diritto: e perciò alla scelta, ch'egli faccia, d'una delle due forme di ripetizione, non potrebbe dall'accipiente essere opposto il diritto – insussistente - d'adempiere al suo obbligo mediante l'altra forma.
2) se versava in buona fede — allo stesso modo che per il perimento l'accipiente risponde del deterioramento della cosa ricevuta: ma anche se questo sia avvenuto per suo fatto, il risarcimento non si estende oltre i limiti dell'arricchimento che gliene sia derivato. Per la determinazione di questi limiti vale quanto ho detto sullo stesso oggetto, nel precedente n. 2.
c)Alienazione della cosa
Da tale ipotesi deriva una terza eccezione all'obbligo fondamentale della restituzione della cosa indebitamente ricevuta.
«
Alienazione » è adoperato nel senso generico di trasferimento; non nel senso specifico di vendita: tant' è vero che, nella norma in esame, si configura la doppia ipotesi che l'alienazione sia avvenuta mediante corrispettivo o a titolo gratuito.
Piuttosto non pare che il principio generale di cui all’
art. 1376 del c.c., in materia contrattuale, per cui il trasferimento si verifica per virtù del solo consenso, possa bastare all'applicazione dell'art. 2038.
Presupposto necessario è, invece, la
traditio: cioè l'avvenuto adempimento dell'obbligazione assunta di consegnare la cosa già trasferita in dominio per effetto del consenso.
Anche l'art. 2038 è disciplina di un diritto che ha per oggetto il ricupero materiale della cosa indebitamente consegnata e del correlativo obbligo, in chi l'ha ricevuta, di restituirla nella sua materialità, malgrado l’alienazione: salvo che la restituzione ne resti esclusa per speciali circostanze nella norma previste e per le quali alla restituzione della cosa viene sostituita una forma di risarcimento.
L'obbligo della restituzione della cosa è, infatti, particolarmente previsto nel secondo comma dell'art. 2038. Perciò non pare corrispondere alla sua disciplina l'affermazione di principio, contenuta l n. della relazione al codice, che «
nell' ipotesi in cui la cosa ricevuta è stata alienata, l'accipiente non è mai tenuto a recuperarla ».
Anche per l' ipotesi dell'alienazione della cosa indebitamente ricevuta, elemento discriminatore dei diritti e de
li doveri dell'accipiente e del solvens, nei riguardi reciproci e rispetto al terzo acquirente, è la buona o la mala fede.
1) La buona fede dell'accipiente nel ricevere indebitamente la cosa e nell'alienarla — cioè pel fatto d'averla alienata prima di conoscere l'obbligo di restituirla — (e si noti che la buona fede deve sussistere congiuntamente in entrambi quei momenti), determina:
a) se l'alienazione ne avvenne a titolo oneroso — l'obbligo dell'accipiente alienante di versare al
solvens il corrispettivo ricavatone, non importa se maggiore o minore del giusto. Cosi egli resta liberato restituendo soltanto il prezzo percepito, anche se minimo, non potendoglisi fare carico d'avere venduto a prezzo vile la cosa che, in buona fede, riteneva sua.
b) se l'alienazione ne avvenne a titolo gratuito — l'obbligo del terzo acquirente di rifonderne il valore, entro i limiti del suo arricchimento, al solvens, al quale è dato il diritto d'esperire, contro il terzo acquirente, la correlativa azione d'arricchimento.
Anche nell' ipotesi
sub i), se il corrispettivo è tuttora dovuto nel momento in cui chi ha pagato l’indebito ne propone la ripetizione, esso è surrogato di diritto, per conseguirlo, nell'azione dell'accipiente alienante. In sostanza viene applicato lo stesso principio di tutela immediata del solvente cui,, come s' è visto, s' informa il codice (
art. 2036 del c.c.), in ipotesi d' indebito soggettivo, quando la ripetizione dell' indebito non è ammessa. E differisce dall'art. 1149 del codice abrogato perché questo, nel caso in cui il solvente aveva diritto al corrispettivo dell'alienazione ed esso non era stato ancora ricevuto dall'accipiente alienante, obbligava soltanto quest'ultimo a cedere al solvente l'azione che potesse spettargli contro l'acquirente.
La tendenza a trasformare le obbligazioni a cedere in un trasferimento legale del diritto, ha indotto il legislatore a prevedere la surrogazione
ex lege di chi, errando, ha pagato, nei diritti dell'alienante verso il debitore de prezzo.
2) La mala fede dell'accipiente nel ricevere indebitamente la cosa nell'alienarla — cioè pel fatto d'averla alienata dopo avere conosciuto l'obbligo di restituirla — (e qui lo stato di mala fede è richiesto disgiuntamente, nel senso che basta incida nel momento della ricezione della cosa ovvero nel momento dell’alienazione), determina:
a) se l’alienazione avvenne a titolo oneroso – l’obbligo nell’accipiente alienante di restituire la cosa, ovvero – se ciò non sia possibile – di corrisponderne il valore indipendentemente da quello che ne fu il prezzo ricavato. Questo per ciò che concerne l’accipiente alienante. Ma la norma stabilisce un obbligo – naturalmente alternativo a quello ora enunciato – anche a carico del terzo acquirente che non abbia ancora pagato il corrispettivo dell’alienazione, e, contro di lui, dà al solvente l’azione diretta per ottenerlo.
2) se l'alienazione avvenne a titolo gratuito — l'obbligo dell'acquirente, verso il solvente, di rivalerlo, entro i limiti dell'arricchimento conseguito, ma subordinatamente alla condizione che l'accipiente alienante sia stato dal solvente inutilmente escusso.
Al riguardo è interessante il dibattito che ebbe luogo, secondo i lavori preparatori, sulla norma in esame.
Fu osservato che, tenendo obbligato l'acquirente a titolo gratuito, nei limiti del suo arricchimento, verso colui che aveva pagato l'indebito, si distruggeva il principio generale che il possesso della cosa mobile vale titolo e che la proprietà si acquista colla buona fede: né poteva approvarsi che, in tal modo, si sancisse anche un obbligo diretto a carico di chi avesse beneficiato in buona fede d'una donazione verso colui che aveva pagato l'indebito.
Fu risposto che anche in questo caso c'era sempre un arricchimento.
Ma fu replicato che, per lo meno nel caso in cui fosse solvente, avrebbe dovuto pagare colui che avesse fatto la donazione — cioè l'accipiente alienante — non colui che l'aveva ricevuta in buona fede -- cioè il terzo acquirente. Invece — si rilevava — soltanto nell'ultima parte dell'articolo, e non anche nella prima parte, era stata inserita una disposizione in questo senso.
Allora il relatore, per trattare alla stessa stregua le due ipotesi, propose di risolvere la questione introducendo anche nel primo comma dell'articolo, e precisamente dopo la parola «
arricchimento », l'inciso che già figurava nel secondo comma «
quando l'alienante sia stato inutilmente escusso »: altrimenti si sarebbe ingiustamente determinato, nel caso di donazione ricevuta in buona fede, una situazione peggiore di quella dell' ipotesi di cosa ricevuta in mala fede. La proposta fu approvata. Ma nel testo definitivo dell'art. 2038 non fu introdotta. Né comunque vi accenna la relazione al codice.
Da ultimo, è appena da rilevare che, per la determinazione del
. Corrispettivo della cosa alienata, del suo valore e dei limiti dell'arricchimento dell’acquirente, nei casi previsti dall'art. 2038, valgono le osservazioni già fatte nel commento all'art.
2037.
Restituzione dei frutti e corresponsione degli interessi
Poiché, come ho detto, gli art.
2037 e 2038 si riconducono ad entrambe le figure dell' indebito, oggettivo e soggettivo, integrandone la disciplina per quanto concerne la restituzione e l'alienazione di cosa determinata indebitamente ricevuta, restano ferme, anche in tali ipotesi, integrandone la disciplina per quanto concerne la restituzione e l’alienazione di cosa determinata indebitamente ricevuta, restano ferme, anche in tali ipotesi, le disposizioni – già esaminate - degli artt.
2033 e
2036, sulla restituzione dei frutti e sulla corresponsione degli interessi con diversa decorrenza, a seconda della buona o della mala fede dell'accipiente.