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Articolo 1147 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 25/09/2024]

Possesso di buona fede

Dispositivo dell'art. 1147 Codice Civile

È possessore di buona fede (1)chi possiede ignorando di ledere l'altrui diritto(2) [535, 1153, 1415, 1445].

La buona fede non giova se l'ignoranza dipende da colpa grave(3).

La buona fede è presunta e basta che vi sia stata al tempo dell'acquisto(4).

Note

(1) Il concetto di buona fede di cui all'articolo in oggetto (soggettiva), non deve confondersi con quella oggettiva, o correttezza, di cui all'art. 1175, cui fanno riferimento altre disposizioni del presente codice soprattutto in tema di formazione, interpretazione, ed esecuzione del contratto.
(2) L'altrui diritto, richiamato dal presente articolo, è quello vantato dal titolare che abbia trasmesso la disponibilità materiale della cosa al possessore, ma anche quello vantato dal titolare estraneo all'apprensione materiale della cosa da parte del possessore.
(3) La presunzione di buona fede implica che chi agisce contro di lui (generalmente rivendicando la cosa) deve provare la mala fede.
(4) L'acquisto è quello del possesso.

Ratio Legis

La disposizione si occupa del possesso di buona fede, istituto giuridico che viene in rilievo qualora chi esercita un potere di fatto sulla cosa non ha la consapevolezza di causare a terzi la lesione di un diritto da essi vantato sulla cosa, sempre che tale ignoranza non sia causata da colpevole trascuratezza, e si verifichi al momento dell'acquisto del possesso.
Qualificare il possesso come di buona fede rileva ai fini dell'individuazione dei suoi effetti.

Brocardi

Bona fides tantundem possidenti praestat, quantum veritas, quoties lex impedimento non sit
Errantibus, non dormientibus iura succurrunt
Mala fides superveniens non nocet
Opinio dominii
Qui intelligit alienum se possidere, mala fide possidet

Spiegazione dell'art. 1147 Codice Civile

Innovazioni del nuovo codice in materia

Si è visto negli articoli precedenti come, in materia di possesso di buona fede, oltre a migliorare le disposizioni dal lato formale, il nuovo codice abbia, introdotto due innovazioni di carattere sostanziale: a) l'abolizione dell'esigenza di un giusto titolo a fondamento del possesso di buona fede, salvo che per determinati effetti; b) l'esclusione dell'efficacia della buona fede, ogniqualvolta l'ignoranza, in cui essa consiste, dipenda da colpa grave.

Si è del pari visto come l'una e l'altra innovazione siano da approvare, passiamo ora ad illustrate brevemente la norma.


Definizione del possesso di buona fede

La definizione che il nuovo codice fornisce del possessore di buona fede è migliore di quella contenuta nell'art. 701 del codice del 1865 e vale a pone in giusto risalto tanto l’elemento psicologico quanto il substrato etico della buona fede.

La qualifica di quest'ultima come uno stato di ignoranza della lesione che con il possesso si arreca all'altrui diritto, insieme alla soppressione del richiamo al possesso quale proprietario, contenuto nell'art. 701 codice del 1865, vale poi a far giustizia dell'opinione — infondata anche per il vecchio codice — secondo la quale la buona fede dovrebbe concepirsi in modo positivo, quale credenza di non ledere altrui e non sarebbe invece sufficiente che si ignori di commettere la lesione.

La generalità delle espressioni usate nell'articolo vale inoltre a dimostrare che la nuova legge, cosi come per la vecchia, non distingue tra l'errore di fatto e l'errore di diritto.

Ciò che conta, perché il possessore sia di buona fede, è che egli ignori di ledere l'altrui diritto: il motivo di questa ignoranza non viene invece in alcuna considerazione.

Il solo limite che la legge pone è che l'ignoranza, per giovare al possessore, non deve dipendere da colpa grave: sebbene in concreto possa avvenire che l'errore di diritto, più frequentemente che non quello di fatto, sia dovuto ad una colpa di tal genere, tuttavia l'articolo si è opportunamente astenuto dal fissare alcuna regola tassativa in proposito ed ha rimesso la soluzione del punto ai principii generali.


Collocazione dello stato di dubbio

È del pari da risolvere in base ai principi generali la questione, vivamente discussa con riferimento al codice del 1865, della collocazione dello stato di dubbio. Ed in base a tali principii converrà distinguere caso da caso.

Nella scala dei dubbi, come è noto, ve ne sono alcuni più lievi che non hanno la forza di togliere di mezzo l'ignoranza del soggetto e la cui presenza è compatibile con la condotta di un galantuomo (quando le possibilità di difformità dell’ opinione dalla realtà appaiono cosi scarse che il soggetto finisce con l'escluderle, acquistando la persuasione di essere nel vero); altri, invece, più gravi, sono incompatibili con l'ignoranza del soggetto e tali che, se trascurati, escluderebbero l'onestà del comportamento (quando dette possibilità appaiono tante da far respingere l'ipotesi già creduta possibile, dubbia, e da farne adottare un'altra).

Nella prima ipotesi il possessore è da considerarsi di buona fede, nella seconda, no.


Vizi diversi dall alienità della cosa

La generalità delle espressioni usate dalla norma consente di risolvere in senso affermativo la questione se rientri fra i possessori di buona fede oltre all'acquirente a non domino, pur anche acquirente a domino, il cui acquisto sia affetto da un vizio diverso dalla « alienità » della cosa, sempre che naturalmente egli ignori l'esistenza di questo vizio.

Dell'esattezza di una tale conclusione forniscono poi una riprova gli art. 1153, 1159, e 1162, i quali, col limitare l’ applicabilità delle norme in essi racchiuse agli acquirenti a non domino, dimostrano a contrario che le altre norme trovano applicazione tanto agli acquisti a non domino quanto a quelli a domino.


Possessore di buona fede dei beni ereditari

L'art. art. 535 del c.c. capov., con riferimento alla petizione d’eredità, cosi definisce il possessore di buona fede di beni ereditari: « è possessore di buona fede colui che ha acquistato il possesso di beni ereditari, ritenendosi erede in base ad un errore scusabile ». In sede di coordinamento dei vari libri del codice la definizione sarà certamente armonizzata con quella che stiamo ora esaminando, sorge però il problema se la scusabilità dell'errore in cui sia incorso l'erede apparente debba valutarsi con riferimento alla colpa in genere od alla sola colpa grave. La Relazione al Re Imperatore è di tale avviso, ma è da dubitarsi che a una tale modifica dell' art. 535 del c.c. possa giungere l'interprete in mancanza di un preciso testo di legge.


L'indagine sulla buona fede nell'acquisto a mezzo di rappresentante

Nell'ipotesi di acquisto del possesso a mezzo di rappresentante, valgono per il nuovo codice gli stessi principi che regolano il punto nel sistema del 1865. Occorre, in altre parole, distinguere anzitutto la rappresentanza legale dalla volontaria e, riguardo a questa, il caso in cui la facoltà di acquistare in nome del dominus negotii non si riferisca particolarmente a quel determinato oggetto da quello in cui invece essa vi si riferisca.

Mentre è chiaro che nell'ultima ipotesi deve aversi riguardo unicamente alla buona o mala fede del rappresentato, che ha determinato egli stesso l'ambito dell'attività del rappresentante, nel caso di procura generale si deve tener conto tanto della mala fede del rappresentante quanto di quella del rappresentato; ed in caso di rappresentanza legale ciò che viene in considerazione è lo stato soggettivo del rappresentante giacche egli si sostituisce in tutto e per tutti al rappresentato.

Gli stessi principi naturalmente valgono per le persone giuridiche: queste sono in buona fede se lo sono gli individui che costituiscono gli organi preposti al loro funzionamento, altrimenti no. Però la buona fede di chi le rappresenta non giova se tali individui siano in mala fede, come la sua mala fede non nuoce se le istruzioni ricevute si riferiscano all'acquisto di quella determinata cosa, ove questi siano in buona fede.

Inutile aggiungere che laddove gli amministratori siano più, occorre la buona fede di tutti, poiché non si tratta di una deliberazione collegiale in cui predomini la maggioranza: ciò a differenza dell'ipotesi di più compossessori, nella quale si ha riguardo alla buona o mala fede di ciascuno.


Presunzione di buona fede e principio della buona fede iniziale

La presunzione di buona fede ed il principio della buona fede iniziale non richiedono spiegazioni, ma basti osservare, quanto al secondo punto, che il momento cui deve aversi riguardo e quello dell'acquisto del possesso, il quale (nei casi in cui sia richiesto il titolo) può anche non coincidere con quello in cui il titolo si forma.


Titolo

Poiché, come si è detto più volte, per l'usucapione abbreviata e per l'acquisto delle cose mobili il nuovo codice continua a richiedere che la buona fede si accompagni ad un « titolo idoneo al trasferimento della proprietà », giova sin da ora accennare brevemente anche a questo requisito.

Titolo, a questi fini, e un negozio, che di per se sarebbe idoneo al trasferimento o alla costituzione del diritto, ma che non può produrre tale effetto per la qualità di non dominus del disponente.

La sua funzione di iusta causa possessionis implica che esso debba necessariamente aver riferimento al possesso di cui si invocano gli effetti, dalla definizione teste data — e che si ricava dagli art. 1153, 1159 e 1162 — risulta poi in primo luogo come il titolo non abbia particolari requisiti di forma (tanto che in materia mobiliare può anche essere verbale) ed inoltre come la nuova legge abbia mantenuto l'inidoneità dei titoli originari e di quelli dichiarativi.

La regola che il successore universale subentra nella posizione giuri-dica del de cuius rispetto all’ universalità dei rapporti ed il principio sopra illustrato che il possesso continua nella sua persona con le stesse qualità che aveva presso il dante causa (art. 1146 del c.c.) non consentono poi di pensare ad un possesso di buona fede fondato sul titolo di erede.

Che dire nel caso dell'erede non vero, ma apparente, che, come si e visto, l' art. 535 del c.c. qualifica possessore di buona fede? Il fatto che, nonostante tale qualifica, la legge abbia dettato disposizioni speciali in materia ed abbia solo a determinati effetti richiamato le norme vigenti in materia di possesso, fa ritenere che l'erede apparente di buona fede non possa sic et simpliciter considerarsi possessore di buona fede.


Inefficacia del titolo putativo nei casi in cui la legge richiede la presenza di un titolo

La chiara dizione degli art. 1153, 1159 e 1163, che richiedono la presenza di un titolo d'acquisto, consente di respingere senz'altro l'opinione (sostenuta sotto l'impero del codice del 1865, ma con riferimento ai soli effetti minori del possesso, per i quali oggi il titolo non è più richiesto) che al titolo vero equipara il c. d. titolo putativo, cioè la semplice opinione dell’ esistenza di un titolo.

La stessa dizione, in relazione a quanto si è sopra osservato circa la possibilità che con l'usucapione o l'acquisto delle cose mobili si sani soltanto il vizio dell' « alienità » della cosa, consentono di risolvere in senso negativo le questioni precedentemente agitatesi circa l'ammissibilità di un titolo annullabile, rescindibile o revocabile o sottoposto a condizione, salvo nel caso in cui l’ annullabilità o la rescindibilità siano state sanate, la revoca non sia stata esercitata, e la condizione, se sospensiva, si sia verificata, se negativa non si sia verificata.


Trascrizione del titolo

Come si vedrà, per l'usucapione abbreviata la legge ha mantenuto il requisito della trascrizione del titolo: e ciò opportunamente, in quanto una tale specie di usucapione presuppone non solo che l'acquisto sia stato fatto in buona fede, ma che sussistano circostanze tali da presentare tutte le apparenze esteriori di un acquisto pienamente valido. Orbene, come è noto, la trascrizione, sebbene non necessaria per la validità del titolo, è tuttavia indispensabile per l'opponibilità dell'acquisto ai terzi: logico quindi che essa venga richiesta quale prova del comportamento normale dell'acquirente.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

539 Ho riprodotto (art. 1147 del c.c.) la definizione che del possesso di buona fede dava il progetto della Commissione Reale (art. 541). E' possessore di buona fede chi possiede ignorando di ledere l'altrui diritto. La formula non ha incontrato il favore della Commissione delle Assemblee legislative, alla quale è sembrato pericoloso prescindere dall'elemento oggettivo, costituito nel codice del 1865 (art. 701) dall'esistenza di un titolo abile a trasferire il dominio, del quale il possessore ignorava i vizi. Un nuovo esame del problema mi ha persuaso dell'opportunità di mantenere la formula del progetto, la quale, mentre è informata al fine di una più esatta precisazione di concetti, non importa nell'ordine pratico le temute conseguenze. La buona fede è una nozione di carattere psicologico e di portata etica: non va commista con elementi di diversa natura, che restano a essa estranei, anche se ne sia richiesto il concorse per la produzione di determinati effetti giuridici. Così è del titolo, il quale, soppresso come elemento qualificativo del possesso di buona fede, è richiesto perché il possesso stesso sia suscettivo di produrre taluni effetti. La buona fede non conduce infatti all'acquisto immediato del diritto di proprietà e dei diritti di usufrutto, di uso o di pegno sulle cose mobili, se ad essa non si accompagna un titolo idoneo al trasferimento o alla costituzione del diritto; né, se manca il titolo, conduce all'usucapione abbreviata delle universalità di mobili; né, infine, conduce all'usucapione abbreviata degli immobili e dei mobili iscritti in pubblici registri, se manca un titolo parimenti idoneo al trasferimento o alla costituzione del diritto e debitamente trascritto. Ma, indipendentemente dal concorso del titolo richiesto in determinate ipotesi, all'esigenza di non accordare protezione al possesso di buona fede, quando non se ne ravvisi la politica opportunità, provvede la più generale disposizione contenuta nel secondo comma dello stesso art. 1147, dove si dichiara che la buona fede "non giova se l'ignoranza dipende da colpa grave". Nell'ultimo comma dell'art. 1147 è riprodotta la norma dell'art. 702 del codice precedente, secondo cui la buona fede è presunta, salvo prova contraria, ed è sufficiente che vi sia stata al tempo dell'acquisto.

Massime relative all'art. 1147 Codice Civile

Cass. civ. n. 37722/2021

Il principio espresso dall'art. 1147 c.c., secondo cui la buona fede consiste nell'ignoranza di ledere l'altrui diritto ed è presunta, opera, in quanto generale, quando le norme facciano riferimento alla buona fede senza nulla dire in ordine a ciò che vale ad integrarla o ad escluderla, ovvero al soggetto tenuto a provarne l'esistenza o ad altri profili di rilevanza della stessa, sicché trova applicazione anche alla fattispecie di cui all'art. 2652, n. 6, c.c., a norma del quale, se la domanda di nullità è trascritta dopo cinque anni dalla trascrizione dell'atto impugnato, la sentenza che l'accoglie non pregiudica i diritti acquistati dai terzi in buona fede in base ad atto iscritto o trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda.

Cass. civ. n. 11845/2021

La buona fede rilevante ai fini dell'accessione invertita di cui all'art. 938 c.c. consiste nel ragionevole convincimento del costruttore di edificare sul proprio suolo e di non commettere alcuna usurpazione. Essa, in assenza di una previsione analoga a quella dettata in materia di possesso dall'art. 1147 c.c., non è presunta, ma deve essere provata dal costruttore; ai fini probatori, è necessario avere riguardo alla ragionevolezza dell'uomo medio e al convincimento che questi poteva legittimamente formarsi circa l'esecuzione della costruzione sul proprio suolo, in base alle cognizioni possedute effettivamente o che egli avrebbe potuto acquisire con un comportamento diligente, sicché la buona fede deve escludersi qualora, in relazione alle particolari circostanze del caso concreto, il costruttore avrebbe dovuto fin dall'inizio anche solo dubitare della legittimità dell'occupazione del suolo del vicino.

Cass. civ. n. 23448/2020

In materia di indebito oggettivo, la buona fede dell'"accipiens", rilevante ai fini della decorrenza degli interessi dal giorno della domanda, va intesa in senso soggettivo, quale ignoranza dell'effettiva situazione giuridica, derivante da un errore di fatto o di diritto, anche dipendente da colpa grave, non trovando applicazione l'art. 1147, comma 2, c.c., relativo alla buona fede nel possesso, sicché, essendo essa presunta per principio generale, grava sul "solvens", che intenda conseguire gli interessi dal giorno del pagamento, l'onere di dimostrare la malafede dell'"accipiens" all'atto della ricezione della somma non dovuta, quale consapevolezza della insussistenza di un suo diritto a conseguirla.

Cass. civ. n. 21505/2019

L'art. 1147 c.c., in base al quale la buona fede è presunta ed è sufficiente sussista al tempo dell'acquisto, detta un principio di carattere generale, applicabile anche al possessore dei beni ereditari; ne consegue che chi agisce per rivendicare i beni ereditari - eventualmente previo annullamento del testamento che ha chiamato all'eredità il possessore di buona fede - può pretendere soltanto i frutti indebitamente percepiti nei limiti fissati dall'art. 1148 c.c..

Cass. civ. n. 19502/2019

Il possesso di un bene, che sia stato acquisito in forza di un contratto poi dichiarato nullo, resta soggetto ai principi generali fissati dagli artt. 1147 e 1148 c.c., con la conseguenza che, ove sussista la buona fede (da presumersi) alla data del suddetto acquisto, la medesima buona fede non viene esclusa dalla mera proposizione della domanda rivolta a far valere quella nullità, ed il possessore è tenuto alla restituzione dei frutti solo a partire dalla data della domanda di rilascio.

Cass. civ. n. 6007/2019

Dalla presunzione di buona fede nel possesso, fissata dall'art. 1147, comma 3, c.c., deriva che all'attore in rivendicazione di un bene mobile è sufficiente provare di averne acquistato il possesso in base a titolo astrattamente e potenzialmente idoneo al trasferimento della proprietà (art. 1153 c.c.), mentre spetta a chi resiste all'azione medesima di dimostrare l'eventuale mala fede al momento della consegna a "non domino". (Rigetta, CORTE D'APPELLO FIRENZE, 06/09/2013).

Cass. civ. n. 19012/2017

L'ordinaria diligenza, alla quale il notificante è tenuto a conformare la propria condotta, per vincere l'ignoranza in cui versi circa la residenza, il domicilio o la dimora del notificando, al fine del legittimo ricorso alle modalità di notificazione previste dall'art 143 c.p.c., deve essere valutata in relazione a parametri di normalità e buona fede secondo la regola generale dell'art 1147 c.c. e non può tradursi nel dovere di compiere ogni indagine che possa in astratto dimostrarsi idonea all'acquisizione delle notizie necessarie per eseguire la notifica a norma dell'art. 139 c.p.c., anche sopportando spese non lievi ed attese di non breve durata. Ne consegue l'adeguatezza delle ricerche svolte in quelle direzioni (uffici anagrafici, ultima residenza conosciuta) in cui è ragionevole ritenere, secondo una presunzione fondata sulle ordinarie manifestazioni della cura che ciascuno ha dei propri affari ed interessi, siano reperibili informazioni lasciate dallo stesso soggetto interessato, per consentire ai terzi di conoscere l'attuale suo domicilio (residenza o dimora). (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto legittima la notificazione effettuata ai sensi dell'art. 143 c.p.c. ad un destinatario, imprenditore assoggettato a fallimento che, risultando impossibile effettuare la notificazione presso la sede sociale, ormai chiusa, non aveva potuto ricevere la notifica neppure presso la sua ultima residenza nota, coincidente con la residenza anagrafica, ove il suo nominativo non era stato rinvenuto sui citofoni e neppure sulle cassette postali, secondo quanto attestato dall'ufficiale giudiziario, avendo quest’ultimo anche raccolto informazioni negative, circa la reperibilità in quel luogo del destinatario dell’atto, dai residenti interpellati).

Cass. civ. n. 1593/2017

La buona fede che rileva, ex art. 1153 c.c., ai fini dell'acquisto della proprietà di beni mobili "a non domino", corrisponde a quella di cui all'art. 1147 c.c., sicché, ai sensi del comma 2 di quest'ultima norma, essa non è invocabile da chi compie l'acquisto ignorando di ledere l'altrui diritto per colpa grave, che ricorre quando quell'ignoranza sia dipesa dall'omesso impiego, da parte dell'acquirente, di quel minimo di diligenza, proprio anche delle persone scarsamente avvedute, che gli avrebbe permesso di percepire l'idoneità dell'acquisto a determinare la lesione dell'altrui diritto, poiché "non intelligere quod omnes intellegunt" costituisce un errore inescusabile, incompatibile con il concetto stesso di buona fede. (Nella specie, la S.C. ha escluso la buona fede nell’acquisto di dipinti antichi di provenienza illecita da parte di un professionista del settore che, non usando la dovuta prudenza, si era accontentato della dichiarazione mendace del venditore di aver acquistato i beni ad un’asta fallimentare, senza chiedere il verbale di aggiudicazione delle opere, nonostante il loro elevatissimo valore).

Cass. civ. n. 23543/2016

In materia di indebito oggettivo, la buona fede dell'"accipiens", rilevante ai fini della decorrenza degli interessi dal giorno della domanda, va intesa in senso soggettivo, quale ignoranza dell'effettiva situazione giuridica, derivante da un errore di fatto o di diritto, anche dipendente da colpa grave, non trovando applicazione l'art. 1147, comma 2, c.c., relativo alla buona fede nel possesso, sicché, essendo essa presunta per principio generale, grava sul "solvens", che intenda conseguire gli interessi dal giorno del pagamento, l'onere di dimostrare la malafede dell'"accipiens" all'atto della ricezione della somma non dovuta, quale consapevolezza della insussistenza di un suo diritto a conseguirla.

Cass. civ. n. 12526/2014

L'ordinaria diligenza, alla quale il notificante è tenuto a conformare la propria condotta, per vincere l'ignoranza in cui versi circa la residenza, il domicilio o la dimora del notificando, al fine del legittimo ricorso alle modalità di notificazione previste dall'art 143 cod. proc. civ., va valutata in relazione a parametri di normalità e buona fede secondo la regola generale dell'art 1147 cod. civ. e non può tradursi nel dovere di compiere ogni indagine che possa in astratto dimostrarsi idonea all'acquisizione delle notizie necessarie per eseguire la notifica a norma dell'art. 139 cod. proc. civ., anche sopportando spese non lievi ed attese di non breve durata. Ne consegue l'adeguatezza delle ricerche svolte in quelle direzioni (uffici anagrafici, portiere della casa in cui il notificando risulti aver avuto la sua ultima residenza conosciuta) in cui é ragionevole ritenere, secondo una presunzione fondata sulle ordinarie manifestazioni della cura che ciascuno ha dei propri affari ed interessi, siano reperibili informazioni lasciate dallo stesso soggetto interessato, per consentire ai terzi di conoscere l'attuale suo domicilio (residenza o dimora). (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto legittima la notificazione effettuata ai sensi dell'art. 143 cod. proc. civ. ad un destinatario che, in ragione di quanto attestato dall'ufficiale giudiziario per averlo appreso dal portiere in sede di infruttuosa notifica presso la residenza anagrafica, risultava aver abbandonato l'abitazione per un domicilio ignoto).

Cass. civ. n. 27296/2013

Proposta domanda riconvenzionale di usucapione decennale della proprietà di un immobile, l'eccezione relativa al difetto della buona fede nel possesso "ad usucapionem", concernendo un elemento inerente al fatto costitutivo del diritto di cui all'art. 1159 cod. civ., può essere sollevata anche dopo l'udienza prevista dall'art. 183 cod. proc. civ., trattandosi di eccezione rilevabile "ex officio" dal giudice alla stregua degli elementi probatori ritualmente acquisiti relativi all'esistenza di circostanze di fatto contrarie alla presunzione di buona fede del possesso ex art. 1147, terzo comma, cod. civ.

Cass. civ. n. 21387/2013

In materia di possesso, la buona fede costituisce oggetto di presunzione "iuris tantum", che può essere superata anche attraverso presunzioni contrarie e semplici indizi. (Nella specie, in applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva ritenuto che la presunzione iniziale di buona fede fosse venuta meno dal momento in cui i possessori di un fondo, non compreso nel titolo di acquisto da loro vantato, avevano ricevuto una lettera di intimazione al rilascio del bene).

Cass. civ. n. 8587/2004

In materia di indebito oggettivo, ai fini della decorrenza degli interessi ai sensi dell'art. 2033 c.c. e della rilevanza dell'eventuale maggior danno di cui all'art. 1224, secondo comma, c.c., rileva una nozione di buona fede in senso soggettivo, coincidente con l'ignoranza dell'effettiva situazione giuridica in conseguenza di un errore di fatto o di diritto, anche dipendente da colpa grave, non essendo applicabile la disposizione dettata dall'art. 1147, secondo comma, in riferimento alla buona fede nel possesso. Pertanto, anche il dubbio particolarmente qualificato circa l'effettiva fondatezza delle proprie pretese è compatibile con la buona fede ai fini in esame. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di secondo grado nella parte in cui aveva escluso che l'Inps fosse tenuto alla restituzione degli interessi sugli importi restituiti per contributi indebitamente versati con decorrenza dalla domanda amministrativa del datore di lavoro di un diverso inquadramento per i dipendenti inseriti nel ramo tecnico — domanda accolta dall'Inps a seguito della verifica della conformità dell'attività della impresa a quella descritta nella domanda medesima, — ritenendo detta richiesta inidonea a comprovare la conoscenza della situazione da parte dell'Istituto, e, quindi, la malafede dello stesso in relazione ai pagamenti effettuati in epoca successiva alla domanda e fino al momento dell'apertura, da parte dell'Istituto, della posizione assicurativa richiesta).

Cass. civ. n. 13424/2003

La presunzione di buona fede iniziale del possesso esclusivo del bene comune viene meno allorché sia fornita la prova della successiva consapevolezza da parte del possessore di ledere l'altrui diritto all'amministrazione e al godimento del bene comune.

Cass. civ. n. 13929/2002

In ipotesi di acquisto «a non domino» la presunzione di buona fede, che l'art. 1147 c.c. pone a vantaggio dell'acquirente nel possesso del bene, è una presunzione semplice, e come tale può essere superata in tutti i casi in cui l'acquirente sia stato posto in grado di accertare, o comunque di dubitare, che l'alienante non fosse proprietario del bene, a mezzo della verifica catastale o a mezzo della verifica dei registri nei quali è effettuata la trascrizione di determinate alienazioni o delle domande giudiziali relative al trasferimento della proprietà dello stesso bene.

Cass. civ. n. 3102/2002

Quando le norme (nella specie, quelle relative agli effetti della simulazione), facciano riferimento alla buona fede senza nulla dire in ordine a ciò che vale ad integrarla o ad escluderla, ovvero a soggetto tenuto a provarne l'esistenza o ad altri profili di rilevanza della stessa, si deve, in linea di principio, fare riferimento all'art. 1147 c.c., che tali aspetti disciplina in relazione al possesso di buona fede.

Cass. civ. n. 6648/2000

Il principio della presunzione di buona fede ha portata generale non limitata all'istituto del possesso in relazione al quale è enunciato. La presunzione in questione non è vinta dall'allegazione del mero sospetto di una situazione illegittima essendo, invece, necessario che l'esistenza del dubbio promani da circostanze serie, concrete e non meramente ipotetiche, la cui prova deve essere fornita da colui che intenda contrastare detta presunzione legale di buona fede.

Cass. civ. n. 4328/1997

La buona fede nel possesso, dell'acquirente a non domino di bene immobile va presunta, ai sensi dell'art. 1147 c.c., con la conseguenza che spetta a chi rivendichi il bene, al fine di escludere in favore del possessore gli effetti di cui all'art. 1153 c.c., di fornire la prova della malafede o della colpa grave del possessore medesimo, al momento della consegna. Tale prova può essere data anche mediante presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, e tali da prevalere sull'indicata presunzione legale.

Cass. civ. n. 1131/1993

La buona fede nel possesso è presunta solo quando si tratti di giustificarne gli effetti, non quando si controverta sulla legittimità del comportamento acquisitivo del possesso, dovendo in tal caso essere provata da chi la invoca. Ne segue che, in caso di spoglio, il convenuto con l'azione possessoria non può addurre la presunzione indicata e resta invece soggetto alla presunzione del carattere violento dello spoglio medesimo, ove posto in essere all'insaputa del precedente possessore.

Cass. civ. n. 8918/1991

A differenza dell'art. 701 del c.c. abrogato, che esigeva, per la sussistenza del possesso di buona fede, il concorso di tre elementi, e cioè l'animus rem sibi habendi, un titolo - anche viziato - idoneo, in astratto, a trasferire il dominio, e l'ignoranza del vizio del titolo, l'art. 1147 del c.c. vigente, nel presumere la buona fede con disposizione di carattere generale, prescinde dall'esistenza di un titolo e, assegnando rilievo alla cosiddetta opinio dominii, cioè al ragionevole convincimento di poter esercitare sulla cosa posseduta il diritto di proprietà o altro diritto reale senza ledere la sfera altrui, imprime al concetto di possesso di buona fede un carattere eminentemente psicologico o soggettivo.

Cass. civ. n. 5429/1977

La presunzione di buona fede, di cui all'art. 1147 c.c., non è applicabile alla detenzione qualificata, in quanto il detentore è consapevole che il suo rapporto fisico con la cosa deriva da altri che ne ha il possesso.

Cass. civ. n. 4413/1977

La qualifica di possessore di mala fede non può essere ritenuta implicita nella circostanza che il possessore sia stato dichiarato occupante abusivo dei terreni rivendicati con sentenza passata in giudicato, poiché l'esclusione di un titolo legittimante la occupazione, essendo riferita al momento dell'inizio della controversia e non al tempo dell'acquisto del possesso, non può riguardare la buona o mala fede al tempo di detto acquisto.

Cass. civ. n. 2178/1976

La buona fede nel possesso dell'acquirente a non domino di bene mobile va presunta, ai sensi dell'art. 1147 c.c., con la conseguenza che spetta a chi rivendichi il bene, al fine di escludere in favore del possessore gli effetti di cui all'art. 1153 c.c., di fornire la prova della mala fede o della colpa grave del possessore medesimo, al momento della consegna. Tale prova può essere data anche mediante presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, e tali da prevalere sull'indicata presunzione legale.

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